La sezione Poesie
Ariosto scrive alcune tra le poesie più note del Rinascimento italiano. Nonostante questo, oggi è ancora difficile definire quante rime abbia composto, perché in vita il poeta non ha mai pubblicato una raccolta, né ha lasciato alcuna disposizione in merito. Si tratta, insomma, di una produzione a cui Ariosto lavora in vari momenti della vita, probabilmente in modo significativo durante gli anni Dieci e i primissimi anni Venti del Cinquecento, ma a cui non accorda mai le sue complete attenzioni. Per questa ragione, le rime sono state pubblicate solo postume, nel 1546, dal modenese Iacopo Coppa.
In questa stampa confluiscono sessanta testi di Ariosto, con ogni probabilità provenienti dal suo scrittoio, e tre testi a lui attribuiti ma in realtà da assegnare ad altri autori. L’iniziativa editoriale è importante, anche se permangono dubbi sull’ordinamento delle rime, con ogni probabilità da attribuire all’editore e non all’autore. È grossomodo questo il corpus di testi lirici letti nei secoli successivi dagli appassionati di Ariosto, anche se ormai sappiamo che vi sono altre rime – non tantissime – che circolano attraverso il canale manoscritto e le stampe.
Il primo ad allestire un’edizione critica delle rime è stato Giuseppe Fatini nel 1924. L’edizione è importante, ma oggi da rivedere, e fissa il testo delle rime per tutto il Novecento, sulla scorta delle revisioni suggerite da Cesare Segre nel 1954 (cfr. ed. Segre: Ariosto 1954; ed. Santoro: Ariosto 1989; ed. Bianchi: Ariosto 1992). È proprio dopo gli anni Cinquanta che una questione diviene centrale nel dibattito attorno alle rime: si comincia a ipotizzare che Ariosto abbia operato a un certo punto della sua vita una selezione di testi, tra i molti composti (e spesso perduti), per organizzarli in una vera e propria raccolta d’autore. La conferma a questa ipotesi, avanzata con convinzione da Emilio Bigi (Bigi 1975), arriva nel 1985, con la scoperta, a opera di Cesare Bozzetti, di un importante manoscritto, il Rossiano 639 della Biblioteca Apostolica Vaticana, che trasmette 48 testi – quasi tutti presenti anche nella princeps –, in una forma canzoniere. Il ritrovamento cambia profondamente la considerazione di questo cantiere ariostesco, perché conferma l’intenzione di Ariosto, almeno in una specifica stagione, di dar vita a una raccolta organica. Dal manoscritto sono tratte alcune recenti edizioni commentate (ed. Bozzetti: Ariosto 2000; ed. Guassardo: Ariosto 2021; ed. Volta: Ariosto 2024).
Sul fronte metrico, Ariosto compone molti sonetti e capitoli ternari, poche canzoni, un numero non elevatissimo di ballate, una serie di stanze e un solo madrigale. Il capitolo ternario, metro non petrarchesco, è metro apprezzato da Ariosto, probabilmente in ragione della tensione narrativa molto simile all’ottava frequentata a lungo con il Furioso. Proprio nei capitoli si intreccia un fitto dialogo con i classici, con i poeti elegiaci soprattutto, da cui vengono ripresi situazioni topiche e motivi.
La poesia di Ariosto è sostanzialmente di materia amorosa. Occasioni e referenti dei testi risultano spesso difficili da comprendere: si tratta di una lirica di solito astratta, con rare aperture a specifici dettagli biografici. Alcune poesie sono di certo dedicate ad Alessandra Benucci, la donna che il poeta sposa nel 1528, ma con cui ha da tempo una lunga relazione.
Le rime attendono ora una nuova edizione critica che, oltre a mettere al centro il Rossiano, faccia luce sui testi trasmessi dalla tradizione estravagante e chiarisca le paternità dubbie di molte poesie che già nel Cinquecento circolano sotto il nome di Ariosto.
Sezione a cura di Nicole Volta
Data aggiornamento: 26 febbraio 2025