CANTO QUARTO
1
Donne mie care, il torto che mi fate
ben è il maggior che voi mai feste altrui:
che di me vi dolete et accusate
che ne’ miei versi io dica mal di vui,
che sopra tutti gli altri v’ho lodate,
come quel che son vostro e sempre fui:
io v’ho offeso, ignorante, in un sol loco;
vi lodo in tanti a studio e mi val poco.
2
Questo non dico a tutte, ché ne sono
di quelle anchor c’hanno il giudicio dritto,
che s’appigliano al più che ci è di buono,
e non a quel che per cianciare è scritto;
dàn facilmente a un lieve error perdono,
né fan mortal un venïal delitto.
Pur, s’una m’odia, anchor che m’amin cento,
non mi par di restar però contento,
3
ché, come io tutte riverisco et amo,
e fo di voi, quanto si può far, stima,
così né che pur una m’odii bramo,
sia d’alta sorte, medïocre o d’ima.
Voi pur mi date il torto, et io mel chiamo;
concedo che v’ha offeso la mia rima,
ma per una ch’in biasmo vostro s’oda,
son per farne udir mille in gloria e loda.
4
Occasïon non mi verrà di dire
in vostro honor, che preterir mai lassi,
e mi sforzerò anchor farla venire,
acciò il mondo empia e fin nel ciel trapassi;
e così spero vincer le vostr’ire,
se non serete più dure che sassi:
pur, se sarete ancho ostinate, poi
la colpa non più in me sarà, ma in voi.
5
Io non lasciai per amor vostro troppo
Gano allegrar di Bradamante presa,
ché venir da Valenza di galoppo
feci il signor d’Anglante in sua difesa;
et hor costui che credea sciorr’ il groppo
di Gano e far alle guerriere offesa,
a vostro honor udite ancho in che guisa,
con tutt’i suoi, trattar fo da Marphisa.
6
Marphisa parve al stringer de la spada
una Furia ch’uscisse de l’inferno;
gli usberghi e gli elmi, ovunque il colpo cada,
più fragil son che le cannuccie il verno;
o che giù al petto o almen che a’ denti vada
o che faccia del busto il capo esterno,
o che sparga cervella o che triti ossa
convien che uccida sempre ogni percossa.
7
Dui ne partì fra la cintura e l’anche:
restar le gambe in sella e cadde il busto;
da la cima del capo un divis’anche
fin su l’arcion, ch’andò in dui pezzi giusto;
tre ferì su le spalle, o destre o manche;
e tre volte uscì il colpo acre e robusto
sotto la poppa dal contrario lato:
dieci passò da l’uno all’altro lato.
8
Lungo saria voler tutti li colpi
de la spada crudel, dritti e riversi,
quanti ne sveni, quanti snervi e spolpi,
quanti ne tronchi e fenda porr’ in versi.
Chi fia che Lupo di viltade incolpi,
e gli altri in fuga appresso a lui conversi,
poi che dal brando che gli uccide e strugge
difender non si può se non chi fugge?
9
Creduto havea la figlia di Beatrice
d’esser venuta a far quivi battaglia
e si ritrova, gionta, spettatrice
di quanto in armi la cognata vaglia,
ché non è alcun del numero infelice
ch’a lei s’accosti pur, non che l’assaglia,
che fan pur troppo, senza altri assalire,
se puon, volgendo il dosso, indi fuggire.
10
D’ogni salute hor disperato Gano,
di corvi e d’avoltor ben si ved’ésca,
ché, poi che questo aiuto è stato vano,
altro non sa veder che li rïesca.
Lo trasser le cognate a Mont’Albano,
che più che morte par che li rincresca;
e fin ch’altro di lui s’habbia a disporre,
lo fan calar nel piè giù d’una torre.
11
Ruggiero intanto al suo viaggio intento,
ch’anchor nulla sapea di questo caso,
carcando hor l’orza et hor la poggia al vento,
facea le prore andar volt’a l’occaso.
Ogni lito di Francia più di cento
milia lontano a dietro era rimaso.
Tutta la Spagna, che non sa a ch’effetto
l’armata il suo mar solchi, è in gran sospetto.
12
La città nominata da l’antico
Barchino Hanon, tumultüar si vede;
Taracona e Valenza e il lito aprico
a cui l’Alano e il Gotto il nome diede;
Cartagena, Almeria, con ogni vico,
de’ bellicosi Vandali già sede;
Malica, Saravigna, fin là dove
la strada al mar diede il figliuol di Giove.
13
Havea Ruggier lasciato poche miglia
Tariffa a dietro e da la destra sponda
vede le Gade, e più lontan Siviglia,
e ne le poppe havea l’aura seconda;
quando a un tratto di man, con maraviglia,
un’isoletta uscir vide da l’onda:
isola par et era una balena,
che fuor del mar scopria tutta la schena.
14
L’apparir del gran mostro, che ben diece
passa del mar con tutto il dosso usciva,
correr a l’armi i naviganti fece
et a molti bramar d’esser a riva.
Saete e sassi e foco acceso in pece
da tutto il stuolo in gran rumor veniva
di timpani e di trombe, e tanti gridi,
che facea il ciel, non che sonar i lidi.
15
Poco lor giova ir l’acqua e l’aer vano
di percosse e di strepiti ferendo,
che non si fa per questo più lontano,
né più si fa vicino il pesce horrendo;
quanto un sasso gettar si può con mano,
quel vien l’armata tuttavia seguendo:
sempre le appar col smisurato fianco
hora dal destro lato, hora dal manco.
16
Andàr tre giorni et altre tante notti,
quanto il corso dal stretto al Tago dura,
che sempre di restar sommersi e rotti
dal vivo e mobil scoglio hebbon paura:
gli assalse il quarto dì, che già condotti
eran sopra Lisbona, un’altra cura:
ché scoperson l’armata di Ricardo
che contra lor venia dal mar Picardo.
17
Insieme si connobero l’armate,
tosto che l’una hebbe de l’altra vista.
Ruggier si crede ch’ambe sian mandate
perché lor meno il Lusitan resista,
e non che, per zinzanie seminate
da Gano, l’una l’altra habbia a far trista:
non sa il meschin che colui sia venuto
per ruinarlo, e non per darli aiuto.
18
Fa sugli arbori tutti e in ogni gabbia
e le bandiere stendere e i pennoni,
dar ai tamburi e gonfiar guancie e labbia
a trombe, a corni, a piffari, a bussoni.
Come allegrezza et amicitia s’habbia
quivi a mostrar, fa tutti i segni buoni;
gettar fa in l’acqua i palischermi e gente
lo manda a salutar humanamente.
19
Ma quel di Normandia, ch’assai diverso
dal buon Ruggier ha in ogni parte il core,
al suo vantaggio intento, non fa verso
lui segno alcun di gaudio né d’amore,
ma, con disir di romperlo e sommerso
quivi lasciar, ne vien senza rumore;
e scostandosi in mar, l’aura seconda
si tolle in poppa, ove Ruggier l’ha in sponda.
20
Poi che vide Ruggier assenzo al mèle,
armi a’ saluti, odio a l’amor opporse
et che, ma tardi, del voler crudele
del capitan di Normandia s’accorse,
né più poter montar sopra le vele
di lui, né per fuggir di mezo tòrse,
si volse e diede a’ suoi duri conforti,
ch’invendicati almen non fosser morti.
21
L’armata de’ Normandi urta e fracassa
ciò che tra via, cacciando Borea, intoppa
et prore e sponde al mar aperte lassa,
da non le serrar poi chiovi né stoppa:
ch’ogni sua nave al mezo, ov’è più bassa,
vince dei Provenzal la maggior poppa.
Ruggier, col disvantaggio che ciascuna
nave ha minor, ne sostien sei contr’una.
22
Il naviglio maggior d’ogni normando,
che nel castel da poppa havea Ricardo,
per l’alto un pezzo era venuto orzando,
come su l’ali il pellegrin gagliardo
che, mentre va per l’aria volteggiando,
non lieva mai da la riviera il sguardo;
e vista alzar la preda ch’egli attende,
come folgor dal ciel ratto giù scende.
23
Così Ricardo, poi ch’in mar si tenne
alquanto largo e vedut’ hebbe il legno
con che venia Ruggier, tutte l’antenne
fece carcar sino a l’estremo segno;
et, sì come era sopra vento, venne
ad investir e riuscì il disegno,
che tutto a un tempo fur l’àncore gravi
d’alto gettate ad attaccar le navi
24
et correndo alle gomone in aita
più d’una mano, i legni gionti furo.
Da pal di ferro intanto e da infinita
copia de dardi era nissun sicuro:
che da le gabbie ne cadea, con trita
calzina e solfo acceso, un nembo oscuro:
né quei di sotto a ritrovar si vanno
con minor crudeltà, con minor danno.
25
Quelli di Normandia, che di luogo alto
e di numero havean molto vantaggio,
nel legno di Ruggier féro il mal salto,
dal furor tratti e dal lor gran coraggio;
ma tosto si pentir del folle assalto,
ché non patendo il buon Ruggier l’oltraggio,
presto di lor, con bel menar de mani,
fe’ squarzi e tronchi e gran pezzi da cani;
26
e via più a sé valer la spada fece
che ’l vantaggio del legno lor non valse,
o perché contra quattro fosson diece:
con tanta forza e tant’ardir gli assalse!
Fe’ di negra parer rossa la pece
e rosseggiar intorno l’acque salse,
ché da prora e da poppa e da le sponde
molti a gran colpi fe’ saltar ne l’onde.
27
Fattosi piazza e visto sul naviglio
che non era huom se non de’ suoi rimaso,
ad una scala corse a dar di piglio,
per montar sopra quel di maggior vaso;
ma veduto Ricardo il gran periglio
in che incorrer potea, provid’al caso.
Fu la provisïon per lui sicura,
ma mostrò di poch’altri tener cura.
28
Mentre i compagni difendean il loco,
andò a li schiffi e fe’ gettarli all’acque:
quattro o sei n’avisò, ma il numer poco
fu verso agli altri a chi la cosa tacque.
Poi fe’ in più parti al legno porre il foco,
ch’ivi non molto adormentato giacque;
ma di Ruggier la nave accese anchora
e da le poppe andò sin alla prora.
29
Ricardo si salvò dentro ai battelli
et seco alcuni suoi c’hebbe più cari;
e sopra un legno si fe’ por di quelli
ch’in sua conserva havean solcati i mari:
indi mandò tutti i minor vasselli
a trar i suoi dei salsi flutti amari:
che per fuggir l’ardente dio di Lenno
in braccio a Theti et a Nettun si denno.
30
Ruggier non havea schiffo ove salvarse,
ché, come ho detto, il suo mandato havea
a salutar Ricardo et allegrarse
di quel di che doler più si dovea;
né all’altre navi sue, ch’erano sparse
per tutto il mar, ricorso haver potea,
sì che, tardando un poco, ha da morire
nel foco quivi o in mar, se vuol fuggire.
31
Vede in prua, vede in poppa e ne le sponde
crescer la fiamma, e per tutte le bande:
ben certo è di morir, ma si confonde,
se meglio sia nel foco o nel mar grande:
pur si risolve di morir ne l’onde,
acciò la morte un poco in longo mande:
così spicca un gran salto da la nave
in mezo il mar, di tutte l’armi grave.
32
Qual suol vedersi in lucid’onda e fresca
di tranquillo vivai’ correr la lasca
al pan che getti il piscator o a l’ésca
ch’in ramo alcun de le sue rive nasca;
tal la balena, che per longa tresca
segue Ruggier perché di lui si pasca,
visto il salto, v’accorre e senza noia
con un gran sorso d’acqua se l’ingoia.
33
Ruggier, che s’era abbandonato e al tutto
messo per morto, dal timor confuso,
non s’avide al cader come condutto
fusse in quel luogo tenebroso e chiuso,
ma perché li parea fetido e brutto,
esser spirto pensò di vita escluso,
il qual fusse dal Giudice superno
mandato in purgatorio o giù a l’inferno.
34
Stava in gran tema del foco penace,
di che havea ne la nuova fé già inteso.
Era com’una grotta ampla e capace
l’oscurissimo ventre ov’era sceso:
sente che sotto i piedi arena giace,
che cede, ovunque egli la calca, al peso:
brancolando, le man quanto può stende
da l’un lato e da l’altro, e nulla prende.
35
Si pone a Dio, con humiltà di mente,
de’ suoi peccati a dimandar perdono,
che non lo danni all’infelice gente
di quei ch’al ciel mai per salir non sono.
Mentre ch’in ginocchion divotamente
sta così orando al basso curvo e prono,
un picciol lumicin d’una lucerna
vide apparir lontan per la caverna.
36
Esser Charon lo giudicò da lunge,
che venisse a portarlo all’altra riva:
s’avvide, poi che più vicin li giunge,
che senza barca a sciutto piè veniva.
La barba alla cintura si congiunge,
le spalle il bianco crin tutto copriva;
ne la destra una rete havea, a costume
di piscator, ne la sinistra un lume.
37
Ruggier lo vedea appresso et era in forse
se fosse huom vivo o pur fantasma et ombra.
Tosto che del splendor l’altro s’accorse
che feria l’armi e si spargea per l’ombra,
si trasse a drieto e per fuggir si torse,
come destrier che per camino adombra;
ma poi che si miràr l’un l’altro meglio,
Ruggier fu il primo a dimandar al veglio:
38
— Dimmi, padre, s’io vivo o s’io son morto,
s’io sono al mondo o pur son a l’inferno:
questo so ben, ch’io fui dal mar absorto,
ma se per ciò io morissi, non discerno.
Perché mi veggo armato, mi conforto
ch’io non sia spirto dal mio corpo esterno;
ma poi l’esser rinchiuso in questo fondo
fa ch’io temo esser morto e fuor del mondo.
39
— Figliuol, — rispose il vecchio — tu sei vivo,
com’anch’io son; ma fòra meglio molto
esser di vita l’un e l’altro privo,
che nel mostro marin viver sepolto.
Tu sei d’Alcina, se non sai, captivo:
ella t’ha il laccio teso e al fin t’ha colto,
come colse me anchora, con parecchi
altri che ci vedrai, gioveni e vecchi.
40
Vedendoti qui dentro, non accade
di darti cognition chi Alcina sia,
che se tu non havessi sua amistade
hauta prima, ciò non t’avverria.
In India vedut’hai la quantitade
de le conversïon che questa ria
ha fatto in fiere, in fonti, in sassi, in piante,
de cavalier di ch’ella è stata amante.
41
Quei che, per nuovi successor, men cari
le vengono, muta ella in varie forme,
ma quei che se ne fuggon, che son rari,
sì come esserne un tu credo d’apporme,
quando giunger li può negli ampli mari
(però che mai non ne abandona l’orme),
gli caccia in ventre a quest’horribil pesce,
onde mai vivo o morto alcun non esce.
42
Le fate hanno tra lor tutta partita
e l’habitata e la deserta terra:
l’una ne l’Indo può, l’altra nel Scyta,
questa può in Spagna e quella in Inghilterra;
e ne l’altrui ciascuna è prohibita
di metter mano, et è punita ch’erra:
ma comune fra lor tutt’il mare hanno
e ponno a chi lor par quivi far danno.
43
Tu vederai qua giù, scendendo al basso,
degli infelici amanti i scuri avelli,
de’ quali è alcun sì antico, che nel sasso
li nomi non si pon legger di quelli.
Qui crespo e curvo, qui debole e lasso
m’ha fatto il tempo, e tutti bianchi i velli;
che quando io venni, a pena uscìan dal mento
com’oro i peli c’hor vedi d’argento.
44
Quant’anni sien non saprei dir, ch’io scesi
in queste d’ogni tempo oscure grotte:
che qui né gli anni annoverar né i mesi,
né si può il dì connoscer da la notte.
Duo vecchi ci trovai, dai qual intesi
quel da che fur le mie speranze rotte:
che più de la mia età ci havean consunto,
et io li giunsi a sepelire a punto.
45
E mi narràr che, quando giovinetti
ci vennero, alcun’altri havean trovati,
che similmente d’Alcina diletti,
di poi qui presi e posti erano stati:
sì che, figliuol, non converrà ch’espetti
riveder mai più gli huomini beati,
ma con noi che tre eramo et hora teco
siam quattro, starti in questo ventre cieco.
46
Ci rimasi io già solo et poscia dui,
poi da venti dì in qua tre fatti eramo,
et hoggi quattro, essendo tu con nui:
ch’in tanto mal grand’aventura chiamo
che tu ci trovi compagnia, con cui
pianger possi il tuo stato oscuro e gramo,
e non habbi a provar l’affanno e ’l duolo
che quel tempo io provai che ci fui solo. —
47
Come ad udir sta il misero il processo
de’ falli suoi che l’han dannato a morte,
così turbato e col capo demesso
udia Ruggier la sua infelice sorte.
— Rimedio altro non ci è — soggiunse appresso
il vecchio — che di oprar l’animo forte.
Meco verrai dove, secondo il loco,
l’industria e il tempo n’ha adagiati un poco.
48
Ma voglio proveder prima di cena,
che qui sempre però non si digiuna. —
Così dicendo, Ruggier indi mena,
cedendo al lume l’ombra e l’aria bruna,
dove l’acqua per bocca a la balena
entra e nel ventre tutta si raguna:
quivi con la sua rete il vecchio scese
e di più forme pesci in copia prese.
49
Poi, con la rete in collo e il lume in mano,
la via a Ruggier per strani groppi scorse:
al salir et al scendere la mano,
ai stretti passi ancho talhor, li porse.
Tratto ch’un miglio o più l’hebbe lontano,
con gli altri dui compagni al fin trovorse
in più capace luogo, ove a l’esempio
d’una moschea, fatt’era un picciol tempio.
50
Chiaro vi si vedea come di giorno,
per le spesse lucerne ch’eran poste
in mezzo e per li canti e d’ogn’intorno,
fatte de nicchi di marine croste:
a dar lor l’olio traboccava il corno,
ché non è quivi cosa che men coste,
pei molti capidogli che divora
e vivi ingoia il mostro ad hora ad hora.
51
Una stanza alla chiesa era vicina,
di più famiglia che la lor capace,
dove su ben asciuta alga marina
nei canti alcun commodo letto giace.
Tengono in mezo il fuoco la cucina:
che fatt’havea l’artefice sagace,
che per longo condotto di fuor esce
il fumo, ai luoghi ove sospira il pesce.
52
Tosto che pon Ruggier là dentro il piede,
vi riconosce Astolfo paladino,
che mal contento in un dei letti siede,
tra sé piangendo il suo fiero destino.
Lo corre ad abbracciar, come lo vede:
li lieva Astolfo incontro il viso chino
et come lui Ruggier esser conosce,
rinuova i pianti e fa maggior l’angosce.
53
Poi che piangendo a l’abbracciar più d’una
e di due volte ritornati furo,
l’un l’altro dimandò da qual fortuna
fusson dannati in quel gran ventre oscuro.
Ruggier narrò quel ch’io v’ho già de l’una
e l’altra armata detto, il caso oscuro
e di Ricardo senza fin si dolse;
Astolfo poi così la lingua sciolse:
54
— Dal mio peccato (ch’accusar non voglio
la mia fortuna) questo mal m’avviene.
Tu di Ricardo, io sol di me mi doglio:
tu pati a torto, io con ragion le pene.
Ma, per aprirti chiaramente il foglio
sì che l’historia mia si vegga bene,
tu déi saper che non son molti mesi
ch’andai di Francia a riveder mie’ Inglesi.
55
Quivi, per chiari e replicati avisi
essendo più che certo de la guerra
che ’l re di Danismarca e i Datii e i Frisi
apparecchiato havean contra Inghelterra,
ove il bisogno era maggior mi misi,
per lor vietar il dismontar in terra,
dentro un castel che fu per guardia sito
di quella parte ov’è men forte il lito,
56
ché da quel canto il re mio padre Othone
temea che fosse l’isola assalita.
Signor di quel castel era un barone
c’havea la moglie di beltà infinita,
la qual tosto ch’io vidi, ogni ragione,
ogni honestà da me fece partita;
e tutto il mio voler, tutto il mio core
diedi in poter del scelerato amore.
57
Et senza haver a l’honor mio riguardo
che quivi ero signor, egli vassallo
(ché contra un debol, quant’è più gagliardo
chi le forze usa, tant’è maggior fallo),
poi che dei prieghi ir il rimedio tardo
et vidi lei più dura che metallo,
all’insidie aguzzar prima l’ingegno
et indi alla vïolenza hebbi il dissegno.
58
E perché, come i modi miei non molto
erano honesti, così anchor né ascosi,
fui dal marito in tal sospetto tolto
ch’in lei guardar passò tutt’i gelosi.
Per questo non pensar che ’l desir stolto
in me s’allenti o che giamai riposi;
et uso atti e parole in sua presenza
da far romper a Iobbe la patienza.
59
Et perché havevo pur quivi rispetto
d’usar le forze a la scoperta seco,
dov’era tanto populo, in conspetto
de’ principi e baron che v’eran meco,
disegnai di sforzarlo, ma l’effetto
coprir, e lui far in vederlo cieco;
e mezo a questo un cavalier trovai,
il qual molt’era suo, ma mio più assai.
60
A’ prieghi miei, costui li fe’ vedere
com’era mal accorto e poco saggio
a tener dove io fossi la mogliere,
che sol studiavo procacciarli oltraggio;
e seria più laudabile parere,
tosto che mi accadesse a far vïaggio
da un loco a un altro, com’era mia usanza,
di salvar quella in più sicura stanza.
61
Còrre il tempo potrà la prima volta
che, per non ritornar la sera, andassi:
che spesso havevo in uso andar in volta
per riparar, per riveder i passi.
Gualtier (che così havea nome) l’ascolta,
né vuol ch’indarno il buon consiglio passi:
pensa mandarla in Scotia, ove di quella
il padre era signor di più castella.
62
Quivi segretamente alcune some
de le sue miglior cose in Scotia invia.
Io do la voce d’ir a Londra e, come
mi pare il tempo, un dì mi metto in via;
et ei con Cinthia sua (che così ha nome),
senza sospetto di trovar tra via
cosa ch’a l’andar suo fosse molesta,
del castel esce et intra in la foresta.
63
Con donne e con famigli disarmati
la via più trita inverso Scotia prese:
non molto andò, che cadde negli aguati,
ne l’insidie ch’i miei già gli havean tese.
Haveva alcuni miei fedel mandati,
che coi visi coperti in strano arnese
li furo adosso e tolser la consorte;
e a lui di gratia fu campar da morte.
64
Quella portano in fretta in una torre,
fuor de la gente, in loco assai rimoto,
donde a me senza indugio un messo corre,
il qual mi fa tutto il successo noto.
Io già havea detto di volermi tòrre
de l’isola; e la causa di tal moto
era ch’udivo esser Rinaldo a Carlo
fatto nimico et io volea aiutarlo.
65
Agli amici fo motto e, come io voglia
passar quel giorno, inverso il mar mi muovo;
poi mi nascondo et armi muto e spoglia
e piglio a’ miei servigi un scudier novo;
e per le selve ove meno ir si soglia
verso la torre ascosa via ritrovo
e dove è più solinga e strana et erma,
incontro una donzella che mi ferma,
66
e dice: «Astolfo, giovaràti poco»
che mi chiamò per nome «andar di piatto,
che ben serai trovato, e a tempo e a loco
ti punirà quello a chi ingiuria hai fatto.»
Così dice e ne va poi come foco
che si vede pel ciel discorrer ratto:
la vuo’ seguir; ma sì corre, anzi vola,
che replicar non posso una parola.
67
E se n’andò quel dì medesimo ancho
a ritrovar Gualtier afflitto e mesto,
che per dolor si battea il petto e ’l fianco,
e li fe’ tutto il caso manifesto:
non già ch’alcun me lo dicessi e manco
che con gli occhi io ’l vedessi, io dico questo;
ma, così, discorrendo con la mente,
veggo che non puot’esser altrimente.
68
Conietturando, similmente, seppi
esser costei d’Alcina messaggiera;
che dal dì ch’io mi sciolsi dai suoi ceppi,
sempre venuta insidïando m’era.
Com’ho detto, costei Gualtier pei greppi
pianger trovò di sua fortuna fiera;
né chi offeso l’havea li mostra solo,
ma il modo anchor di vendicar suo duolo.
69
E lo pon, come suol porr’a la posta
il mastro de la caccia i spiedi e i cani;
e tanto fa ch’un mio corrier, ch’in posta
mandavo a ’ Ntona, li fa andar in mani.
Io scrivea a un mio, che vi tenea a mia posta
un legno per portarmi agli Aquitani,
il giorno ch’io volea che fusse a punto
in certa spiaggia per levarmi giunto.
70
Né in Antona volea né in altro porto,
per non lasciar connoscermi, imbarcarmi:
del segno anchor io lo faceva accorto
col qual volea dal lito a lui mostrarmi,
acciò stando sul mar tuttavia sorto
mandasse il palischermo indi a levarmi;
et, a l’incontro, il segno che dovessi
far egli a me in la lettera gli espressi.
71
Ben fu Gualtier de la ventura lieto,
che se gli apria la strada a la vendetta.
Fe’ che tornar non puoté il messo e, cheto,
dov’era un suo fratel se n’andò in fretta
e lo pregò che gli armasse in segreto
un legno de fedele gente elletta.
Hauto il legno, il buon Gualtiero corse
al capo di Lusarte e quivi sorse.
72
Vicino a questo mar sedea la rocca,
dove aspettavo, in parte assai selvaggia
sì che apparir veggo lontan la cocca
col segno da me dato in su la gaggia:
io, d’altra parte, quel ch’a me far tocca
li mostro da la torre e da la spiaggia.
Manda Gualtier lo schiffo e me raccoglie
et un scudier c’ho meco, e la sua moglie.
73
Né sé né alcun de’ suoi ch’io connoscessi
prima scopersi che sul legno fui;
ove lassando a pena ch’io dicessi:
— Dio aiutami —, pigliar me fece ai sui,
che come vespe o galavroni spessi
mi s’aventaro e, commandando lui,
in mar buttàrmi, ove già questa fera,
com’Alcina ordinò, nascosa s’era.
74
Così il peccato mio brutto e nefando,
degno di questa e di più pena molta,
m’ha chiuso qui, onde di come e quando
io n’habbia a uscir, ogni speranza è tolta,
quella protectïon tutta levando,
che san Giovanni havea già di me tolta. —
Poi c’hebbe così detto, allentò il freno
Astolfo al pianto e bagnò il viso e il seno.
75
Ruggier, che come lui non era immerso
sì nel dolor, ma si sentia più sorto,
gli studiava, inducendoli alcun verso
de la Scrittura, di trovar conforto.
— Non è — dicea — del Re de l’universo,
l’intentïon che ’l peccator sia morto,
ma che dal mar d’iniquitadi a riva
ritorni salvo e si converta e viva.
76
Cosa humana è a peccar; e pur si legge
che sette volte il giorno il giusto cade;
e sempre a chi si pente e si corregge
ritorna a perdonar l’Alta bontade:
anzi, d’un peccator che fuor del gregge
habbi errato e poi torni a miglior strade,
maggior gloria è nel regno de li eletti
che di nonantanove altri perfetti. —
77
Per far nascer conforto, cotal seme
il buon Ruggier venìa spargendo quivi;
poi ricordava ch’altra volta insieme
d’Alcina in Oriente fur captivi;
e come di là usciro, ancho haver speme
dovean d’uscir di questo carcer vivi.
— S’alhora io fui — dicea — degno d’aita,
hor ne son più, che son miglior di vita. —
78
E seguitò: — Se quando ne l’errore
de la dannata legge ero perduto
e ne l’otio sommerso e nel fetore
tutto d’Alcina, com’animal bruto,
mi liberò il mio Sommo Almo Fattore,
perché sperar non debbio hora il suo aiuto,
che per la fede essendo puro e netto
di molte colpe, io so che m’ha più accetto?
79
Creder non voglio che ’l demonio rio,
dal qual la forza di costei dipende,
possa nuocere agli huomini che Dio
per suoi connosce e che per suoi difende.
Se vera fede havrai, se l’havrò anch’io,
Dio la vedrà ch’i nostri cori intende:
et vedendola vera, habbi speranza
che non havrà il demonio in noi possanza. —
80
Astolfo, presa la parola, disse:
— Questo ogni buon christian de’ tener certo.
Non scese in terra Dio, né con noi visse,
né in vita e in morte ha tanto mal sofferto,
perché il nimico suo dipoi venisse
a riportar di sua fatica il merto.
Quel che sì ricco prezzo costò a lui,
non lascierà sì facilmente altrui.
81
Non manchi in noi contritïone e fede
et il pregar con purità di mente,
che Dio non può mancarci di mercede.
Egli lo disse, e il dir suo mai non mente.
Scritto ha nel suo Evangelio: «Ch’in me crede,
occide nel mio nome ogni serpente,
il venen bee senza che mal li faccia,
sana gli infermi e li demoni scaccia.»
82
e dice altrove: «Quando con perfetta
fede ad un monte a commandar tu vada:
“Di qui ti lieva, e dentro il mar ti getta”
che ’l monte piglierà nel mar la strada.»
Ma perché fede quasi morta è detta
quella che sta senza far opre a bada,
procacciam con buon’opere che sia
più grata a Dio la tua fede e la mia.
83
Proviam di trar alla vera credenza
questi altri che son qui presi con nui,
di che già fatto ho qualche esperïenza,
ma poco un parer mio può contra dui.
Forse saremo a mutar lor sentenza
meglio insieme tu et io, ch’io sol non fui;
e se potiam questi al demonio tòrre,
non ha qua dentro poi dove si porre.
84
Et Dio, tutti vedendone fedeli
pregar la sua clemenza che n’aiute,
dal fonte di pietà scender dai cieli
farà qua dentro un fiume di salute. —
Così dicean, poi salmi, hinni e vangeli,
oratïon ch’a mente havean tenute,
incominciaro i cavalier devoti
e a porr’in opra i prieghi e i pianti e i voti.
85
Intanto gli altri dui con studio grande
cercavan di far vezzi al novell’hoste.
Di varii pesci varie le vivande
a rosto e lesso al foco erano poste.
Poco inanzi, un naviglio da le bande
di Vinegia, spezzato ne le coste,
la balena s’havea cacciato sotto
e tratto in ventre in molti pezzi rotto;
86
et le bótte e le casse e li fardelli
tutti nel ventre ingordo erano entrati.
Gli naviganti solo coi battelli
ai legni di conserva eran campati,
sì che v’è da dar foco e nei piatelli
da condir buoni cibi e delicati
con zuchero e con spetie; et havean vini
e còrsi e grechi, precïosi e fini.
87
Passavano pochi anni, ch’una o due
volte non si rompesson legni quivi,
dond’i prigion per le bisogne sue
cibi trahean da mantenersi vivi.
Poser la cena, come cotta fue;
s’havessen pane o se ne fusson privi,
non so dir certo: ben scrive Turpino
che sotto il gorgozulle era un molino,
88
che con l’acque ch’entravan per la bocca
del mostro, il grano macinava a scosse,
il quale o in barcia o in caravella o in cocca
rotta là dentro ritrovato fosse.
D’una fontana similmente tocca,
ch’a ridirla le guancie mi fa rosse,
lo scrive pure et il miracol copre
dicendo ch’eran tutte magich’opre.
89
Non l’affermo io per certo né lo niego:
se pane hebbono o no, lo seppon essi.
Li dui fedel, de dui infedeli al priego,
fen punto a salmi e a tavola son messi.
Ma d’Astolfo e Ruggier più non vi sego:
diròvi un’altra volta i lor successi.
Finch’io ritorno a rivederli, ponno
cenar ad agio e dipoi far un sonno.
90
Intanto Carlo, alla battaglia intento
che ’l re boemme haver dovea con lui,
senza sospetto ignun che tradimento
(quel che non era in sé) fusse in altrui,
facea provar destrier, che cento e cento
n’havea d’elletti a li bisogni sui;
e li migliori, a chi facea mestieri,
largamente partia fra i suoi guerrieri.
91
Né solo haver per sé buon’armatura
quanto più si potea forte e liggiera,
ma trovarne ai compagni ancho havea cura,
che se mai lor ne fu bisogno, hor n’era.
Seco gli usava alla fatica dura
due fïate ogni dì, mattino e sera;
et seco in maneggiar arme e cavallo
facea provarli, e non ferir in fallo.
92
Ma Cardoran, che non ha alcun dissegno
di por lo stato a sorte d’una pugna,
viene aguzzando tuttavia l’ingegno
sì come tronchi a l’augel santo l’ugna.
Aspetta e spera da Ungheria, e dal regno
de li Sassoni homai, ch’aiuto giugna:
la notte e ’l giorno intanto unqua non resta
di far più forte hor quella cosa hor questa.
93
Et ridur si fa dentro a poco a poco
e vettovaglia e munition e gente,
ché, per la tregua, in assediar quel loco
l’esercito era fatto negligente
et parea quasi ritornata in gioco
la guerra ch’a principio era sì ardente;
e scemata di qui più d’una lancia,
contra Rinaldo era tornata in Francia.
94
Sansogna e Slesia et Ungaria una bella
e grossa armata insieme posta havea:
la gente di Sansogna, e così quella
di Slesia, i pedestri ordini movea;
venir con questi, e la più parte in sella,
l’esercito de gli Ungar si vedea;
poi seguia un stuol di Traci e di Valachi,
Bulgari, Servïan, Russi e Polachi.
95
Questi mandava il greco Constantino,
e per suo capitano un suo fratello,
sì come quel ch’a Carlo di Pipino
portava iniqua invidia et odio fello,
per esser fatto imperator latino
et usurparli il coronato augello.
Ben di lor mossa e del lor pors’in via
havuto Carlo havea più d’una spia;
96
ma, com’ho detto, Gano con diversi
mezi gli havea cacciato et fisso in mente
che si metteva insieme per doversi
mandar verso Ellesponto quella gente
e tragittarsi in Asia contra i Persi,
c’havean presa Bitinia novamente;
et ch’era a petition fatta et instanza
del greco imperator la ragunanza.
97
Né ch’ella fusse a li suoi danni volta
prima sentì, ch’era in Boemia entrata,
sì che ben si pentì più d’una volta
che la sua più del terzo era scemata,
già credendo haver vinto; quindi tolta
n’havea una parte et al nipote data.
Ma quel ch’oggi dir volsi è qui finito:
chi più ne brama udir, domani invito.