CANTO QUINTO
1
Un capitan che d’inclito e di saggio
e di magno e d’invitto il nome merta,
non dico per richezza o per lignaggio,
ma perché spesso habbia fortuna esperta,
non si suol mai fidar sì nel vantaggio
che la vittoria si prometta certa:
sta sempre in dubbio c’haver debba cosa
da ripararsi il suo nimico ascosa.
2
Sempre li par veder qualche segreta
fraude scoccar, ch’ogni suo honor confonda:
ché pur là dov’è più tranquilla e quieta,
più perigliosa è l’acqua e più profonda;
perciò non mai prosperità sì lieta
né tal baldanza a’ suoi desir seconda,
che lasciar voglia gli ordini e i ripari
che faria havendo huomini e dei contrari.
3
Io ’l dirò pur, se ben audace parlo,
che quivi errò quel sì lodato ingegno
col qual paruto era più volte Carlo
saggio e prudente e più d’ogn’altro degno:
ma il vincer Cardorano e vinto trarlo,
glorïoso spettacolo, al suo regno,
quivi gli havea così occupato i sensi,
ch’altro non è ch’ascolti, vegga et pensi.
4
Né si scema sua colpa, anzi augumenta,
quando di Gano il mal consiglio accusi.
Per lui vuol dunque ch’altri vegga o senta,
et ei star tuttavia con gli occhi chiusi?
Dunque l’alloppia Gano e l’addormenta
et tutti gli altri ha da i segreti esclusi?
Ben seria il dritto che tornasse il danno
solamente su quei che l’error fanno.
5
Ma, pel contrario, il popolo innocente,
il cui parer non è ch’ascolti o chieggia,
è le più volte quel che solamente
patisse quanto il suo signor vaneggia.
Carlo, che non ha tempo che di gente
né che d’altro ripar più si proveggia,
quella con diligentia, che si trova,
tutta rivede e gli ordini rinova.
6
Et come che passar possa la Molta
sul ponte che v’è già fatto a man destra,
e la sua gente, in gli ordini raccolta,
ritrarre al monte et alla strada alpestra
e ver’ le terre franche indi dar volta,
o dove creda haver la via più destra:
pur ogni condition dura et estrema
vuol patir, prima che mostrar che tema.
7
Hor quel muro ch’opposto havea alla terra
tra un fiume e l’altro con sì longo tratto,
fa con crescer di fosso e legne e terra,
più forte assai che non havea già fatto;
et con gente a bastanza i passi serra
acciò non, mentre attende ad altro fatto,
questi di Praga, ritrovato il calle
di venir fuor, l’assaltino a le spalle.
8
L’un nimico havea dietro e l’altro a fronte,
e vincer quello e questo animo havea.
L’esercito de’ barbari su al monte
passò l’Albi, vicino ove sorgea.
Carlo tenea sopra l’altr’acqua il ponte,
ch’uscìa verso la selva di Medea,
e quello alla sua gente, che divise
in tre battaglie, al destro fianco mise.
9
Et così fece che ’l sinistro lato
non men difeso era da l’altro fiume:
si pose dietro l’argine e il steccato,
da non poter salir senza haver piume.
Il corno destro ad Olivier fu dato,
del sangue di Borgogna inclito lume,
che cento fanti havea per ogni fila,
le file cento, con cavai seimila.
10
Hebbe il Danese in guardia l’altro corno,
con numer par de fanti e de cavalli.
L’imperator, di drappo azuro adorno
tutto trapunto a fior de gigli gialli,
reggea nel mezo, e i paladini intorno,
duci, marchesi, e principi vassalli
e sette mila havea di gente equestre,
et duplicato numero pedestre.
11
A l’incontro, il stuol barbaro, diviso
in tre battaglie, era venuto inanti,
men d’una lega appresso a questi assiso,
et similmente havea i dui fiumi ai canti.
Cento settanta mila era il preciso
numer, ch’un sol non ne mancava a tanti;
e in ogni banda con ugual portioni
partiti i cavalli erano e i pedoni.
12
Ogni squadra de’ barbari non manco
ivi quel giorno stata esser si crede,
che tutto fosse insieme il popul franco,
quanto ve n’era, chi a caval, chi a piede:
ma tal ardir e tal valor, tal anco
ordine havean questi altri, e tanta fede
nel suo signor, d’ingegno e di prudenza,
che ciascun valer quatro havea credenza.
13
Ma poi sentìr, che si trovaro in fatto,
che pur troppo era un sol, non che a bastanza;
né di quella battaglia hebbono il patto
che lor promesso havea loro arroganza:
e potea Carlo rimaner disfatto
se Dio, che salva ch’in lui pon speranza,
non gli havesse al bisogno proveduto
d’un improviso e non sperato aiuto.
14
Et non poteron sì l’insidie astute,
l’arte e l’ingan de ’l traditor crudele
che non potesse più chi per salute
nostra morendo, volse bere il fele:
Gano le ordì, ma al fin l’alta Virtute
fece in danno di lui tesser le tele:
lo fe’ da Bradamante e da Marfisa
metter prigione, e detto v’ho in che guisa.
15
Quelle gli havean già ritrovato adosso
lettere e contrasegni e una patente,
per le quali apparea che Gano mosso
non s’era a tòr Marsiglia di sua mente,
ma che venuto il male era da l’osso:
Carlo n’era cagion principalmente.
E vider scritto quel ch’in mar appresso
per distrugger Ruggier s’era commesso.
16
E leggendo, Marfisa vi trovoro
e Ruggier traditor esser nomati,
perché, partiti da le guardie loro,
in favor di Rinaldo erano andati;
et per questo rubelli a i gigli d’oro
eran per tutto il regno divulgati;
e Carlo havea lor dietro messo taglia,
sperando haverli in man senza battaglia.
17
Marfisa, che sapea ch’alcun errore
né suo né del fratell’era precorso,
pel qual dovesse Carlo imperatore
contr’essi in sì grand’ira esser trascorso,
di giusto sdegno in modo arse nel core
che, quanto ir si potea di maggior corso,
correr pensò in Boemmia e uccider Carlo,
che non potrian suoi paladin vietarlo.
18
E ne parlò con Bradamante e appresso
col Selvaggio Guidon, ch’ivi era alhora:
ché Mont’Alban gli havea il fratel commesso,
che vi dovesse far tanta dimora
che Malagigi, com’havea promesso,
venisse; e l’aspettava d’hora in hora
per dar a lui la guardia del castello
e poi tornar in campo al suo fratello.
19
Marfisa ne parlò, come vi dico,
a i duo germani e li trovò disposti
che s’habbia a trattar Carlo da nimico
e far che l’odio lor caro li costi;
che si meni con lor Gano, il suo amico,
et che s’un par di forche ambi sian posti;
et che si scanni, tronchi, tagli e fenda
qualunque d’essi la difesa prenda.
20
Guidon, ch’andar con lor facea pensiero
né lasciar senza guardia Mont’Albano,
espedì allhora allhora un messaggiero,
ch’andò a far fretta al frate di Viviano;
e li parve che fusse quel scudiero
che tratto havea quivi legato Gano;
per narrar lui che la figlia d’Amone
libera e sciolta e Gano era prigione.
21
Sinibaldo, il scudier, calò del monte
e verso Malagigi il camin tenne;
e nol potendo haver in Agrismonte,
più lontan per trovarlo ir li convenne.
Ma il dì seguente Alardo entrò nel ponte
di Mont’Albano e ben a tempo venne,
ché, lui posto in suo loco, entrò in camino
Guidon, senza espettar più il suo cugino.
22
Egli e le donne, tolto i loro arnesi,
in Armaco e a Tolosa se ne vanno
due donzelle e tre paggi havendo presi,
col conte de Pontier che legat’hanno.
Lasciànli andar, che forsi più cortesi
che non ne fan sembianti, al fin seranno:
diciam del messo il qual da Mont’Albano
vien per trovar il frate di Viviano.
23
Non era in Agrismonte, ma in disparte,
tra certe grotte inaccessibil quasi,
dove imagini sacre e sacre carte,
sacri altar, pietre sacre e sacri vasi,
et altre cose appartinenti all’arte,
de le quai si valea per varii casi,
in un hostello havea ch’in cima a un sasso
non admettea, se non con man, il passo.
24
Sinibaldo, che ben sapea il camino
(ché vi venne talhor con Malagigi,
del qual da’ tener’anni picolino
fin a’ più forti stato era a’ servigi),
giunse a l’hostello e trovò l’indovino
c’havea sdegno coi spirti aerii e stigi,
ché scongiurati havendoli due notti,
gli lor silentii anchor non havea rotti.
25
Malagigi volea saper s’Orlando
nimico di Rinaldo era venuto,
sì come in apparenza iva mostrando,
o pur gli era per dar segreto aiuto:
perciò due notti i spirti scongiurando,
l’aria e l’inferno havea trovato muto;
hora s’apparecchiava al ciel più scuro
provar il terzo suo maggior scongiuro.
26
La causa che tenean lor voci chete
non sapeva egli, et era nigromante;
e voi non nigromanti lo sapete,
mercé che già ve l’ho narrato inante.
Quando contra l’Imperio ordì la rete
Alcina, s’ammutiro in uno instante,
eccetto pochi, che serbati fòro
da quelle fate a li servigi loro.
27
Malagigi, al venir di Sinibaldo,
molto s’alegra udendo la novella
che sia di man del traditor ribaldo
in libertà la sua cugina bella,
e ch’in la gran fortezza di Rinaldo
si trovi chiuso in podestà di quella;
e li par quella notte un anno lunga,
che veder Gano preso li prolunga.
28
Perciò s’affretta con la terza prova
di vincer la durezza de i demoni;
e con horrendo mormore rinova
prieghi, minaccie e gran scongiurationi,
possenti a far che Belzabù si mova
con le squadre infernali e legïoni.
La terra e il cielo è pien di voci horrende,
ma del confuso suon nulla s’intende.
29
Il mutabil Vertunno, ch’in l’anello
che Sinibaldo havea stava nascosto
(sapete già come fu tolto al fello
Gan di Maganza e in altro dito posto:
non ch’el scudier virtù sapesse in quello,
ma perché il vedea bello e di gran costo),
Vertunno, a chi il parlar non fu interdetto,
là si trovò con gli altri spirti astretto.
30
Et perché il silinguagnolo havea rotto,
narrò di Gano l’opera volpina,
ch’a prender varie forme l’havea indotto
per por Rinaldo e i suoi tutti in ruina;
e li narrò l’historia motto a motto,
e da Gloricia comminciò e d’Alcina,
fin che sul molo Bradamante ’scesa
per fraude fu con la sua terra presa.
31
Maravigliosse Malagigi e lieto
fu ch’un spirito a sé ignoto gli havesse
a caso fatto intendere un segreto
che saper d’alcun altro non potesse.
L’anel in ch’era chiuso il spirto inquieto,
nel dito, onde lo tolse, ancho rimesse
e la mattina andò verso Rinaldo,
pur con la compagnia di Sinibaldo.
32
Rinaldo dava il guasto alla campagna
de li Turoni e la città premea,
ché, costeggiando Arverni e quei di Spagna,
col lito di Pittoni e di Bordea,
se gli era il pian renduto e la montagna,
né fatto colpo mai di lancia havea:
ma già per l’advenir così non fia,
poi ch’Orlando al contrasto gli venia.
33
Orlando amò Rinaldo e li fu sempre
a far piacer e non oltraggio pronto;
ma questo amor è forza che distempre
il veder far del re sì poco conto.
Non sa trovar ragion per la qual tempre
l’ira c’ha contra lui per questo conto:
cagion non li può alcuna entrar nel core,
che scusi il suo cugin di tanto errore.
34
Hor se ne viene il paladino innanti,
quanto più può, verso Rinaldo in fretta
e seco ha cavalier, arcieri e fanti,
varie nation, ma tutta gente elletta.
Sa Rinaldo ch’ei vien, né fa sembianti
quali far debbe chi il nimico espetta:
tanto sicur di quello si tenea
ch’in nome suo detto il demon gli havea.
35
Da campo a Torse, ove era, non si mosse,
né curò d’alloggiarsi in miglior sito.
È ver che nel suo cor maravigliosse
che, dopo che Terigi era partito,
avisato dal conte più non fosse,
per tramar quanto era tra loro ordito:
molto di ciò maravigliossi, e molto
c’havesse il baston d’or contra sé tolto
36
e non gli havesse innanzi un de i mal nati
del scelerato sangue di Maganza
mandato a castigar de li peccati
indegni di trovar mai perdonanza:
ma tai contrarii non puon far che guati
fuor di quanto li mostra la fidanza,
né che per suo vantaggio se gli affronti
dove vietar li possa guadi o ponti.
37
Ben mostra far provisïon, ma solo
fa per dissimular e per coprire
l’accordio c’haver crede col figliuolo
del bon Milon, da non poter fallire.
Ma il Conte, che non sa di Gano il duolo,
fa le sue genti gli ordini seguire:
né questa né altra cosa pretermette,
ch’a valoroso capitan si spette.
38
Alla sua gionta, tutti i passi tolle,
che non venga a Rinaldo vettovaglia;
e di quanti ne prese, alcun non volle
vivo serbar, ma impicca e i capi taglia.
Quel, donde più Rinaldo d’ira bolle,
è che ’l cugin fa publicar la taglia,
la qual su la persona il re de’ Franchi
bandita gli ha di cento mila franchi.
39
Et ha fatto ancho publicar per bando
che ’l re vuol perdonar a tutti quelli
che verran ne l’esercito d’Orlando
e lascieran Rinaldo e li fratelli.
Rinaldo al fin si vien certificando
ch’Orlando esser non vuol de li ribelli,
e si connosce, in somma, esser tradito,
ma quando non vi può prender partito.
40
Vede che se non vien al fatto d’arme,
anchor che nol può far con suo vantaggio,
di fame serà vinto, se non d’arme,
ch’a lui nav’ ir non può né carïaggio;
e teme appresso, che la gente d’arme
un giorno non si lievi a farli oltraggio:
ché non è cosa che più presto chiame
a ribellarsi un campo, che la fame.
41
Mirava le sue genti e li parea
che di febre sentissero ribrezo
sì la giunta d’Orlando ognun premea,
c’havean creduto dover star di mezo.
Rinaldo, poi che forza lo traea,
fece tutto il suo campo uscir del rezo,
e cautamente, in quattro schiere armato,
al Conte il fe’ veder fuor del steccato.
42
Già prima i fanti e i cavalieri havea
con Hunuldo partito e con Ivone;
quei di Medoco il duca conducea,
con quei di Villanova e di Rione,
da San Macario, l’Aspara e Bordea,
Selva Maggior, Caorsa e Talamone,
e gli altri che dal mar fino in Rodonna
tra Cantello s’albergano e Garonna.
43
Usciti erano gli Auscii e li Tarbelli
sotto i segni d’Hunuldo alla campagna;
gli Cotüeni e li Ruteni e quelli
de le valee che Dora e Niva bagna;
e gli altri che le ville e li castelli
quasi vuoti lasciàr de la montagna
che già natura alzò per muro e sbarra
al furor aquitano e di Navarra.
44
Rinaldo gli Vassari e li Biturgi,
Tabali, Petrocori havea in governo,
e Pittoni e li Movici e Cadurgi,
con quei che scesi eran dal monte Averno;
e quei c’havean tra dove, Loria, surgi
e dove è meta al tuo viaggio eterno,
le montagne lasciate e le maremme,
con quei di Borgo, Blaia et Angolemme.
45
Et oltre a questi, havea d’altro paese
e fanti e cavalier di buona sorte,
de quai parte havea prima e parte prese
dal suo signor, quando partì di corte;
tutti a l’honor di lui, tutti a l’offese
de suoi nimici pronti sino a morte.
Dato havea in guardia questo stuol gagliardo
a Ricciardetto et al fratel Guicciardo.
46
Hunuldo d’Aquitania era nel destro,
Ivo sul fiume havea il sinistro corno;
de la schiera di mezo fu il maestro
Rinaldo, che quel dì molt’era adorno
d’un ricco drappo di color cilestro
sparso di pecchie d’or dentro e d’intorno,
che cacciate parean dal natio loco
da l’ingrato villan con fumo e foco.
47
Et perché ad ogni incommodo occorresse
(che non men ch’animoso, era discreto),
contra quei de la terra il fratel messe,
con buona gente, per far lor divieto
che, mentre gli occhi e le man volt’havesse
a quei dinanzi, non venisser drieto
o venisser da’ fianchi e con gran scorno,
oltre il danno, li dessero il mal giorno.
48
Da l’altra parte il capitan d’Anglante
quelli medesimi ordini gli oppone:
fa longo il fiume andar Teone inante,
figliuolo e capitan di Tassillone;
da l’altro corno al conte di Barbante,
alla schiera di mezo egli s’oppone.
Bianca e vermiglia havea la sopravesta,
ma di ricamo d’or tutta contesta.
49
Nell’un quartier e l’altro la figura
d’un rilevato scoglio havea ritratta,
che sembra dal mar cinto e che non cura
che sempre il vento e l’onda lo combatta.
L’uno di qua, l’altro di là procura
pigliar vantaggio e le sue squadre adatta
con tal rumor e strepito di trombe
che par che triemi il mar e il ciel ribombe.
50
Già l’uno e l’altro havea, con efficace
et ornato sermon, chiaro e prudente,
cercato d’animar e far audace
quanto potuto havea più la sua gente.
Era d’ambo gli eserciti capace
il campo, sino al mar largo e patente,
ché non s’era indugiato a questo giorno
a levar boschi e far spianate intorno.
51
Li corridori e l’arme più leggiere
e quei ch’i colpi lor credono al vento,
hor longi, hor presso, intorno alle bandiere
scorrono il pian con longo avolgimento,
mentre gli huomini d’arme e le gran schiere
vengon de’ fanti a passo ugual e lento,
sì che né picca a picca o piede a piede,
se non quanto vuol l’ordine, procede.
52
L’un capitano et l’altro a chiuder mira
dentro ’l nimico e poi venirli a fiancho.
Theon, per questo, il corno estende e gira
et Ivo il simil fa dal lato manco.
Andar da l’altra parte non s’aspira,
ché l’acqua vi facea sicuro e franco
a Rinaldo il sinistro, al Conte serra
il destro corno il gran fiume de l’Erra.
53
L’un campo e l’altro venìa stretto e chiuso,
con suo vantaggio stretto ad affrontarsi:
tutte le lancie con le punte in suso
poteano a due gran selve assimigliarsi,
le quai venisser, fuor d’ogn’human uso,
forsi per magica arte, ad incontrarsi.
Cotali in Delo esser doveano, quando
andava per l’Egeo l’isola errando.
54
A l’accostarsi, al ritener del passo,
a l’abbassar dell’haste ad una guisa,
sembra cader l’horrida Hircina al basso,
che tutta a un tempo sia dal piè succisa:
un fragor s’ode, un strepito, un fracasso,
qual fors’ Italia udì quando divisa
fu dal monte Apenin quella gran costa
che su Tipheo per soma eterna è imposta.
55
Al giunger de gli eserciti si spande
tutto ’l campo di sangue e il ciel di gridi:
a un volger d’occhi in mezo e da le bande
ogni cosa fu piena d’homicidi:
in gran confusïon tornò quel grande
ordine, e non è più chi regga o guidi
o ch’oda o vegga, ché conturba e involve,
assorda e accieca il strepito e la polve.
56
A ciascun a bastanza, a ciascun troppo
era d’haver di se medesmo cura.
La fantaria fu per discior il groppo,
perduto il lume in quella nebbia oscura:
ma quelli da cavallo al fiero intoppo
già non hebbon la fronte così dura:
le prime squadre sùbito e l’estreme
di qua di là restar confuse insieme.
57
Le compagnie d’alcuni, che promesso
s’havean di star vicine, unite e strette
e l’un l’altro in aiuto essersi appresso
né si lassar se non da morte astrette,
in modo si disciolser che rimesso
non fu più ’l stuol fin che la pugna stette;
et di cento o di più ch’erano stati
al dipartir non furo i dui trovati.
58
Ché da una parte Orlando e da l’altr’era
Rinaldo entrato, e prima con la lancia
forando petti e più d’una gorgera,
più d’un capo, d’un fianco e d’una pancia;
poi, l’un con Durindana e con la fera
Fusberta l’altro, i dui lumi di Francia,
a’ colpi, quai fece in Alfegra Marte,
ponean in rotta e l’una e l’altra parte.
59
Come ne i paschi tra Primaro e Filo,
voltando in giù verso Volana e Goro,
ne i mesi che nel Po cangiato ha il Nilo
il bianco uccel ch’a’ serpi dà martoro,
veggiam, quando lo punge il fiero asilo,
cavallo andar in volta, asino e toro,
così veduto havreste quivi intorno
le schiere andar senza pigliar soggiorno.
60
A Rinaldo parea che, distornando
da quella pugna il cavalier di Brava,
li suoi sarebbon vincitori, quando
sol Durindana è che gli afflige e grava;
di lui parea il medesimo ad Orlando:
che se da le sue genti il dilungava,
facilmente a li Franchi e a li Germani
cederiano i Pittoni e gli Aquitani.
61
Perciò l’un l’altro, con gran studio e fretta
e con simil desir, par che procacci
di ritrovarsi e da la turba stretta
tirarsi in parte ove non sia ch’impacci.
Per vietarli il camin nissun gli aspetta,
non è chi lor s’opponga o che s’affacci,
ma in quella parte ove gli veggon volti,
tutti le spalle dàn, nissun i volti.
62
Come da verde margine di fossa
dove trovat’ havean lieta pastura,
le rane soglion far sùbita mossa
e ne l’acqua saltar fangosa e scura
se da vestigio human l’herba percossa
o strepito vicin lor fa paura;
così le squadre la campagna aperta
a Durindana cedono e a Fusberta.
63
Li duo cugin, di lancie proveduti
(che d’olmo l’un, l’altro l’avea di cerri),
s’andaro incontro e i lor primi saluti
furo abassar alle visiere i ferri.
Li dui destrier, che senton con che acuti
sproni a li fianchi il suo ciascun afferri,
si vanno a ritrovar con quella fretta
ch’uccel di ramo o vien dal ciel saetta.
64
Negli elmi si feriro a mezo il campo
sotto la vista, al confinar dei scudi:
suonàr come campane e gettàr vampo,
come talhor sotto ’l martel gli incudi.
Ad amendui le fatagion fur scampo,
che non puotero entrarvi i ferri crudi:
l’elmo d’Almonte e l’elmo di Mambrino
difese l’un e l’altro paladino.
65
Il cerro e l’olmo andò, come se stato
fosser di canne, in tronchi e in schegge rotto:
messe le groppe Brigliador sul prato,
ma, come un caprio snel, sorse di botto.
L’un e l’altro col fren abbandonato,
dove piacea al cavallo, era condotto,
coi piedi sciolti e con aperte braccia,
ruvescio a dietro, e parea morto in faccia.
66
Poi che per la campagna hebbono corso
di più di quattro miglia il spatio in volta,
pur rivenne la mente al suo discorso
e la memoria sparsa fu raccolta:
tornò alla staffa il piè, la mano al morso,
e rassettati in sella dieder volta
e con le spade ignude aspra tempesta
portaro al petto, agli homeri e alla testa.
67
Tutt’in un tempo, d’un parlar mordente
Rinaldo a ferir venne, e di Fusberta,
al cavalier d’Anglante, e insiememente
li disse — Traditor — a voce aperta;
e la testa che l’elmo rilucente
tenea difesa, li fe’ più che certa
ch’a far colpo di spada di gran pondo
si ritrovava altri che Orlando al mondo.
68
Per l’aspro colpo il senator romano
si piegò fin del suo destrier sul collo,
ma tosto col parlar e con la mano
ricompensò l’oltraggio e vendicollo:
li fe’ risposta che mentia e villano
e disleal e traditor nomollo;
e la lingua e la mano a un tempo sciolse
et quella il core e questa l’elmo colse.
69
Moltiplicavan le minaccie e l’ire,
le parole d’oltraggio e le percosse;
né l’un l’altro potea tanto mentire
che detto traditor più non li fosse.
Poi che tre volte o quattro così dire
si sentì Orlando dal cugin, fermosse
e pianamente domandollo come
li dava, e per che causa, cotal nome.
70
Con parole confuse li rispose
Rinaldo, che di còlera ardea tutto;
Carlo, Orlando e Terigi insieme pose
in un fastel, da non ne trar construtto:
come si suol rispondere di cose
donde quel che dimanda è meglio instrutto.
— Pian, pian, fa ch’io t’intenda, — dicea Orlando
— cugino; e cessi l’ira intanto e il brando. —
71
In questo tempo i cavalieri e i fanti
per tutto ’l campo fanno aspra battaglia;
non si vede ancho in mezo, né da i canti,
qual parte habbia vantaggio e chi più vaglia.
Le trombe, i gridi, i strepiti son tanti
che mal i duo cugin alzar, che vaglia,
le voci ponno e far sentir di fuore
perché l’un l’altro chiami traditore.
72
Per questo fur d’accordo di ritrarsi
e diferir la pugna al novo sole;
poi, la mattina, insieme ritrovarsi
nel verde pian con le persone sole;
e qual fosse di lor certificarsi
il traditor, con fatti e con parole.
Fatto l’accordo, dier subito volta
e per tutto sonar féro a raccolta.
73
Al dipartir vi fur pochi vantaggi;
pur, s’alcun ve ne fu, Rinaldo l’hebbe:
che, oltre che de’ prigioni e carïaggi
vi guadagnasse, a grand’util gli accrebbe,
ch’alloggiò dove haver da li villaggi
copia di vettovaglie si potrebbe.
L’altra mattina, com’era ordinato,
si trovò solo a la campagna armato.
74
Scendono a basso a Basilea et al Reno
e van longo le rive insino a Spira,
lodando il ricco e di cittadi pieno,
il bel paese ove il gran fiume gira.
Entrano quindi alla Germania in seno,
e son già a Norimbergo, onde la mira
lontan si può veder de la montagna
che la Boemia serra d’Alemagna.
75
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..........................................................
Vener, continüando il lor vïaggio,
s’un monte onde vedean giù ne la valle
la pugna che Sassoni, Ungari e Traci
facean crudel contra i Francesi audaci:
76
e gli haveano a tal termine condotti,
per esser tre, com’io dicea, contr’uno,
e sì gli havean ne l’antiguardia rotti
che senza volger volto fuggia ognuno:
né per fermarli i capitani dotti
de la militia havean riparo alcuno;
anzi, i primi ch’in fuga erano volti,
i secondi e i terzi ordini havean sciolti.
77
L’ardite donne, con Guidone e ’nsieme
gli altri venuti seco a questa via,
sul monte si fermar che da l’estreme
rive d’intorno tutto il pian scopria,
dove sì Carlo e li suoi Franchi preme
la gente di Sansogna e d’Ungheria
e l’altre varie natïoni miste,
barbare e greche, ch’a pena resiste.
78
Con gran cavaleria russia e polacca,
l’esercito di Slesia e di Sansogna
guida Gordamo e sì fiero s’attacca
con la gente di Fiandra e di Borgogna
e sì l’ha rotta, tempestata e fiacca
al primo incontro, che fuggir bisogna;
né può Olivier fermarli, ch’è lor guida,
e priega invano e invan minaccia e grida.
79
Hor, mentre questo et hor quell’altro prende
ne le spalle, nel collo et ne le braccia
volge per forza l’un, l’altro riprende
che ’l nimico veder non voglia in faccia;
Gordamo di traverso a lui si stende
et s’un corsier ch’a tutta briglia caccia,
sì con l’urto il percuote e sì l’afferra
con la gross’hasta, che lo stende a terra.
80
Non longi da Olivier era un Gherardo
et un Anselmo: il primo è di sua schiatta,
ché di don Buoso nacque, ma bastardo
(però havea il nome del vecchio da Fratta);
il secondo fiamingo, il cui stendardo
seguia una schiera in sue contrade fatta:
restàr questi dui soli alle difese,
fuggendo gli altri, del gentil marchese.
81
Gherardo col caval d’Olivier venne
e si volea accostar perché montassi,
et Anselmo, menando una bipenne,
gli andava inanzi e disgombrava i passi,
quando Gordamo alzò la spada e fenne
con un gran colpo i lor disegni cassi,
ché da la fronte agli occhi a quello Anselmo
divise il capo, e non gli valse l’elmo.
82
Tutto ad un tempo, o con poco intervallo,
con la spada a due man menò Baraffa,
venuto quivi con Gordamo, et hallo
accompagnato il dì sempre alla staffa;
e le gambe troncò dietro al cavallo
de l’altro sì che parve una giraffa:
ch’alto dinanzi e basso a dietro resta.
Sopra Gherardo ognun picchia e tempesta;
83
e tanto li ne dàn che l’hanno morto
prima ch’aiutar possa il suo parente.
Dolse a Olivier vederli far quel torto,
ma vendicar non lo potea altrimente,
perché, da terra a gran pena risorto,
havea da contrastar con troppa gente;
pur, quanto longo il braccio era e la spada,
dovunque andassi si facea far strada.
84
E se non fosser stati sì lontani
da lui suoi cavalier in fuga volti,
che fuggian come cervo innanzi a’ cani
o la perdice a sparavieri sciolti,
tra lor per forza de piedi e de mani
saria tornato e gli havria anchor rivolti:
ma che speme può haver perché contenda
che forz’ è ch’egli moia o che s’arrenda?
85
Ecco Gordamo, senza alcun rispetto
ch’egli a cavallo e ch’Olivier sia a piede,
arresta un’altra lancia e ’n mezo il petto
a tutta briglia il paladino fiede;
e lo riversa sì che de l’elmetto
una percossa grande al terren diede.
Tosto ch’in terra fu, sentì levarsi
l’elmo dal capo, e non poter aitarsi:
86
ché li son più di venti adosso a un tratto,
su le gambe, sul petto e su le braccia;
et più di mille un cerchio gli hanno fatto:
altri il percuote et altri lo minaccia;
chi la spada di mano, chi gli ha tratto
dal collo il scudo e chi l’altre armi slaccia.
Al duca di Sansogna al fin si rende,
che lo manda prigione alle sue tende.
87
Se non tenea Olivier, quando havea anchora
l’arme e la spada, la sua gente in schiera,
come fermarla e come volgerl’hora
potrà, che disarmato e prigion era?
Fuggesi l’antiguardia, ch’ apre e fora
l’altra battaglia e l’urta in tal maniera
che, confondendo ogn’ordine, ogni metro,
seco la volge e seco porta indietro.
88
Et perché Praga è lor dopo le spalle,
i fiumi a canto e gli Alemani a fronte,
non sanno ove trovar sicuro calle
se non a destra, ov’era fatto il ponte;
e però a quella via sgombran la valle
con li pedoni i cavalieri a monte;
ma non rïesce, perché già re Carlo
preso havea il passo e non volea lor darlo.
89
Carlo, che vede scompigliata e sciolta
venir sua gente in fuga manifesta,
la via del ponte gli ha sùbito tolta,
perché ritorni o ch’ivi faccia testa;
né vi può far però ripar, ché molta
l’arme abandona e di fuggir non resta;
e qualch’un, per la tema che l’affretta,
lascia la ripa e nel fiume si getta.
90
Altri s’affoga, altri notando passa,
altri il corso de l’acqua in giro mena;
chi salta in una barca e il caval lassa,
chi lo fa notar dietro alla carena;
o dove un legno appar, ivi s’ammassa
la folta sì che, di soverchio piena,
o non si può levar se non si scarca
o nel fondo tra via cade la barca.
91
Non era minor calca in su l’entrata
del ponte, che da Carlo era difesa,
et sì cresce la gente spaventata:
a chi più d’ogni biasmo il morir pesa
che ’l re non pur con tutta quell’armata
che seco havea ne perde quella impresa,
ma, con molt’altri huomini et bestie a monte,
nel fiume è rovesciato giù del ponte.
92
Carlo ne l’acqua giù dal ponte cade
et non è chi si fermi a darli aiuto,
che sì a ciascun per sé da far accade
che poco conto d’altri ivi è tenuto:
quivi la cortesia, la charitade,
amor, rispetto, beneficio hauto,
o s’altro si può dir, è tutto messo
da parte e sol ciascun pensa a se stesso.
93
Se si trovava sotto altro destriero
Carlo che quel che si trovò quel giorno,
restar potea ne l’acqua de leggiero,
né mai più in Francia bella far ritorno.
Bianco era il buon caval, fuor ch’alcun nero
pelo, che parean mosche havea d’intorno
il collo e i fianchi fin presso alla coda:
da questo al fin fu ricondotto a proda.