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Meritamente hora punir mi veggio
del grave error che dipartir mi fece
da la mia donna, et degno son di peggio.
Ben poco saggio fui che all’altrui prece
5a cui devea et potei chiuder l’orecchi,
più ch’al mio desir proprio satisfece.
S’esser può mai che contra lei più pecchi,
tal pena sopra me subito cada
che nel mio exempio ogni amator si specchi.
10Deh, che spero io, che per sì iniqua strada,
sì rabbiosa procella d’acque et venti,
possa esser degno ch’a trovar si vada?
Arroge il pensar poi da chi mi absenti
che travaglio non è, non è periglio
15che più mi stanchi o che più mi spaventi.
Pentomi, et col pentir mi maraviglio
come io potessi uscir sì di me stesso
ch’io m’appigliasse a questo mal consiglio.
Tornar adietro hormai non m’è concesso,
20né mirar se mi giova o se mi offende:
licito fora più quel c’ho promesso.
Mentre ch’io parlo, il turbido austro prende
maggior possanza et cresce il verno, et sciolto
da ruinosi balzi il liquor scende;
25di sotto il fango, e quinci e quindi il folto
bosco mi tarda, e in tanto l’aspra pioggia
acuta più che stral mi fere il volto.
So che qui appresso non è casa et loggia
che mi ricopra, et pria che a tetto giunga,
30per lungo trato il monte hor scende hor poggia.
Né più affretar, per ch’io lo sferzi et punga,
posso il caval, ché lo sgomenta l’ira
del ciel, et stanca la via alpestre et lunga.
Tutta questa acqua et ciò che intorno spira
35vegna in me sol, che non può premer tanto
ch’uguagli al duol che dentro mi martira:
ché, se a madonna io m’appressasi quanto
me ne dilungo, et fusse speme al fine
del rio camin poi respirarle a canto,
40et le man bianche più che fresche brine
baciarle, e insieme questi avidi lumi
pascer de le bellezze alme e divine,
poco il mal tempo et loti et sassi et fiumi
mi darian noia, et mi parrebbon piani
45e più che prati molli erte et cacumi.
Ma quando avien che sì me ne allontani,
l’amene Tempe et del re Alcino li orti
che puon se non parermi horridi et strani?
Li altri in le lor fatiche hanno conforti
50di riposarsi da poi, et questa spene
li fa patir l’aversità più forti.
Non più tranquille già, né più serene
hore attender posso io, m’al fin di queste
pene et travagli, altri travagli et pene,
55altre pioggie al coperto, altre tempeste
di suspiri et de lacryme mi aspetto
che mi sien più continue et più moleste.
Duro serammi più che sasso il letto,
e ’l cor trottar per tutta questa via
60mille volte ogni dì serà constretto.
Languido il resto de la vita mia
si struggerà di stimulosi affanni,
percosso ognhor di penitentia ria.
Et mesi, l’hore e i giorni a parer anni
65comincieranno, et diverrà sì tardo
che parrà il tempo aver tarpato i vanni:
che già, aspettando di furar un sguardo
da la invitta beltà, da l’immortale
valor, da’ bei sembianti onde tutto ardo,
70vedea fuggir più che da corda strale.