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Forza è ch’al fine scopra et che si veggia
il gaudio mio dianzi a gran pena ascoso,
anchor ch’io sappia che tacer si deggia,
et quanto dirlo altrui sia periglioso,
5perché sempre chi ascolta è più proclive
ad invidiar che ad esserne gioioso.
Ma come, poi che alle calde aure estive
si risciolveno e giacci et neve alpine,
crescono i fiumi a par de le sue rive,
10et alcun, disprezzando ogni confine,
rompe superbo li argeni et inonda
le biade e i paschi et le città vicine,
così, quando soverchia et sovrabonda
a quanto cape et può patir il petto,
15convien che l’allegrezza se difonda
et faccia rider gli occhi et ne l’aspetto
ir con baldanza, et d’ogni nebbia mostri
l’aer del viso disgravato et netto.
Come si fan con lor mordaci rostri
20l’ingrati figli porta per uscire
de li materni viperini chiostri
(sì de nascer li affretta il fer disire,
che non attendon che la matre grave
possa l’un dopo l’altro parturire),
25così li gaudii miei ch’in le più cave
parte posi di me, per tener chiusi,
niegan più star sotto custodia et chiave;
tentano altro camin, poi ch’io li exclusi
da quel che per la bocca, da chi viene
30dal petto, par che per più trita s’usi.
Di passar quindi homai tolta ogni spene,
se ne vengon per gli occhi et per la fronte,
dove raro o non mai guardia si tiene:
guardar si suole o strada o guado o ponte,
35luoco facile a intrar, non dove sia
fiume profondo o inaccessibil monte.
Poi che vietar non posso a lor tal via,
che non faccian peggior effetto al meno
porrò ogni sforzo et ogni industria mia.
40Sappil chi ’l vuol saper ch’io son sì pieno,
sì colmo di leticia et di contento
che non lo cape a una gran parte il seno.
Ma la cagion del gran piacer ch’io sento
non vuo’ che soni voce o snodi lingua
45et faccia Dio, se mai di ciò mi pento,
che l’una svelta sia, l’altra s’extingua.