CANTO PRIMO

1
Di donne e cavallier li antiqui amori,
le cortesie, l’audaci imprese io canto,
che furo al tempo che passaro i Mori
d’Aphrica il mare, e in Francia nocquer tanto,
tratti da l’ire e giovenil furori
d’Agramante lor Re, che si diè vanto
di vendicar la morte di Troiano
sopra Re Carlo Imperator Romano.
2
Dirò d’Orlando in un medesmo tratto
cosa non detta in prosa mai né in rima:
che per amor venne in furore e matto,
d’huom che sì saggio era stimato prima;
se da colei che tal quasi m’ha fatto,
ch’el poco ingegno ad hor ad hor mi lima,
me ne serà perhò tanto concesso,
che mi basti a compir quanto ho promesso.
3
Piacciavi, generosa Herculea prole,
ornamento e splendor del secol nostro,
Hippolyto, aggradir questo che vuole
e darvi sol può l’humil servo vostro.
Quel ch’io vi debbio posso di parole
pagare in parte, e d’opera d’inchiostro;
né che poco io vi dia da imputar sono,
che quanto io posso dar tutto vi dono.
4
Voi sentirete, fra’ più degni Heroi
che nominar con laude m’apparecchio,
ricordar quel Ruggier che fu di voi,
de li avi e maggior vostri il ceppo vecchio.
L’alto valore e’ chiari gesti suoi
vi farò udir, se voi mi date orecchio
e vostri alti pensier cedeno un poco,
sì che tra lor miei versi habbiano luoco.
5
Orlando, che gran tempo inamorato
fu de la bella Angelica, e per lei
in India, in Media, in Tartaria lasciato
havea infiniti et immortal trophei,
in Ponente con essa era tornato,
dove sotto i gran monti Pyrenei
con la gente di Francia e d’Alemagna
Re Carlo era attendato alla campagna,
6
per fare al Re Marsiglio e al Re Agramante
battersi anchor del folle ardir la guancia
d’haver condotto, l’un, d’Aphrica quante
genti erano atte a portar spada e lancia;
l’altro, d’haver spinta la Spagna inante
a destruttion del bel regno di Francia.
E così Orlando arrivò quivi a punto,
ma presto si pentì d’esservi giunto;
7
perché vi perse la sua donna poi:
ecco il giudicio human come spesso erra!
Quella che da li Hesperii a i liti Eoi
havea difesa con sì lunga guerra
hor tolta gli è fra tanti amici suoi,
senza colpo di spada, e in la sua terra:
il savio Imperator, che extinguer vòlse
un grave incendio, fu che gli la tolse.
8
Nata pochi dì inanzi era una gara
tra ’l conte Orlando e il suo cugin Rinaldo,
che ambi havean per la bellezza rara
d’amoroso disio l’animo caldo.
Carlo che non havea tal lite cara,
che gli rendea l’aiuto lor men saldo,
questa donzella che la causa n’era
tolse, e diè in mano al duca di Bavera,
9
in premio promettendola a quel d’essi
ch’in la dubbiosa pugna la giornata
de li infedeli in più copia uccidessi
e di sua man prestasse opra più grata.
Contrari a i voti poi furo i successi;
che in fuga andò la gente battizata,
et con molti altri fu il Duca prigione,
e restò abbandonato il padiglione;
10
dove, poi che rimase la donzella
ch’esser devea del vincitor mercede,
inanzi al caso era salita in sella
e quando bisognò le spalle diede,
presaga che quel giorno esser rubella
devea Fortuna alla christiana fede.
Entrò in un bosco e ne la stretta via
scontrossi un cavallier che a piè venìa.
11
La corazza havea indosso e l’elmo in testa,
cinta la spada, et imbracciato il scudo;
e più liggier correa per la foresta
ch’al palio rosso il villan mezo nudo.
Timida pastorella mai sì presta
non volse piede inanzi a serpe crudo,
come Angelica tosto il freno torse,
che del guerrier ch’a piè venìa s’accorse.
12
Era costui quel paladin gagliardo,
figliuol d’Amon, signor di Montalbano,
a cui pur dianzi il suo caval Baiardo
per strano caso uscito era di mano.
Come egli volse alla Donzella il sguardo
riconnobbe, quantunque di lontano,
l’angelico sembiante e quel bel volto
ch’alle amorose reti il tenea involto.
13
La Donna il palafreno a dietro volta
e per la selva a tutta briglia caccia;
né per la rara più che per la folta,
la più sicura e miglior via procaccia;
ma pallida, tremando, e di sé tolta,
lascia cura al caval che la via faccia.
Di su di giù, ne l’alta selva fiera
tanto vagò, che giunse a una rivera.
14
Su la rivera Ferraù trovosse,
di sudor pieno e tutto polveroso.
Da la battaglia dianzi lo rimosse
un gran disio di bere e di riposo;
e poi (mal grado suo) quivi fermosse
perché, de l’acqua ingordo e frettoloso,
l’elmo nel fiume si lasciò cadere,
n’anchor l’havea potuto rïhavere.
15
Quanto potea più forte, ne veniva
gridando la donzella ispaventata.
A quella voce salta in su la riva
quel Saracino, e nel viso la guata,
e la connosce subito ch’arriva,
ben che turbata in faccia e scapigliata
e sien più dì che non udì novella,
che senza dubbio ella è Angelica bella.
16
E perché era cortese e n’havea forse
non men de i dui Cugini il petto caldo,
l’aiuto che potea tutto le porse,
pur come havesse l’elmo ardito e baldo:
trasse la spada, e minacciando corse
dove poco di lui temea Rinaldo.
Più volte s’eran già non pur veduti,
m’al paragon de l’arme connosciuti.
17
Cominciâr quivi una crudel battaglia,
come a piè si trovâr co i brandi ignudi:
non che le piastre e la minuta maglia,
ma a’ colpi lor non reggerian l’incudi.
Hor, mentre l’un con l’altro si travaglia,
bisogna al palafren ch’el passo studi;
che quanto può menar de le calcagna
colei lo caccia al bosco, alla campagna.
18
Poi che s’affaticâr gran pezzo invano
i dui guerrier per por l’un l’altro sotto,
quando non meno era con l’arme in mano
questo di quel, né quel di questo dotto,
fu primiero il signor di Montalbano
ch’al cavallier di Spagna fece motto,
sì come quel c’ha nel cor tanto fuoco,
che tutto n’arde e non ritruova luoco.
19
Disse al Pagan: – Me sol creduto havrai,
et havrai pur te stesso anchora offeso:
se questo avien perché i fulgenti rai
del nuovo Sol t’habbiano il petto acceso,
di farmi qui tardar che guadagno hai?
che quando anchor tu m’habbi morto o preso,
non perhò tua la bella donna fia,
che mentre noi tardiàn se ne va via.
20
Quanto fia meglio, amandola tu anchora,
che tu sia meco a traversar la strada,
sì che a costei si faccia far dimora
prima che più lontana se ne vada.
Come l’havremo in potestade, allhora
di che esser de’ si provi con la spada:
non so altrimente, dopo un lungo affanno,
che possa reuscire altro che danno. –
21
Al Pagan la proposta non dispiacque:
così fu differita la tenzone;
e tal tregua tra lor subito nacque,
sì l’odio e l’ira va in oblivïone,
ch’el Pagano al partir da le fresche acque
non lasciò a piedi il buon figliuol d’Amone:
con prieghi invita, et al fin tolle in groppa,
e per l’orme de Angelica galoppa.
22
Oh gran bontà de’ cavallieri antiqui!
Eran rivali, eran di fé diversi,
e in tutta la persona i colpi iniqui
che s’havean dati anchor sentian dolersi;
et hor per selve oscure e calli obliqui
insieme van senza suspetto haversi.
Da quattro sproni il caval punto arriva
dove una strada in due se dippartiva.
23
E come quei che non sapean se l’una
o l’altra via facesse la donzella,
perhò che senza differentia alcuna
apparia in amendue l’orma novella,
s’appresero ad arbitrio di Fortuna:
Rinaldo a questa e il Saracino a quella.
Pel bosco Ferraù molto s’avolse
e ritrovossi al fine onde si tolse.
24
Pur se ritruova anchor su la rivera,
là dove l’elmo gli cascò nel’onde.
Poi che la donna ritrovar non spera,
per haver l’elmo ch’el fiume gli asconde,
in quella parte onde caduto gli era
discende ne le estreme humide sponde;
ma quello era sì fitto ne la sabbia,
che molto havrà da far prima che l’habbia.
25
Con un gran ramo d’albero rimondo,
di che havea fatta una pertica lunga,
tenta il fiume e ricerca sino al fondo,
né luoco lascia ove non batta e punga.
Mentre con la maggior stizza del mondo
tanto l’indugia sua quivi prolunga,
di mezo ’l fiume vide un cavalliero
insino al petto uscir, di aspetto fiero.
26
Era, fuor che la testa, tutto armato
et havea un elmo ne la destra mano
(havea il medesimo elmo che cercato
da Ferraù fu lungamente invano).
A Ferraù parlò come adirato,
e disse: – Ah mancator di fé, Marano!
perché lasciarmi anchor l’elmo t’aggrevi,
che render già gran tempo me devevi?
27
Ricordati, Pagan, quando uccidesti
d’Angelica il fratel (che son quell’io),
drieto al’altre arme tu mi promettesti
fra pochi dì gettar l’elmo nel rio.
Hor se Fortuna, quel che non volesti
far tu, pone ad effetto il voler mio,
non ti turbar; e se turbar ti déi,
turbati che di fé mancato sei.
28
Ma se desir hai pur d’un elmo fino,
trovane un altro, et habbil con più honore:
un tal ne porta Orlando paladino,
un tal Rinaldo, e forse ancho migliore;
l’un fu d’Aimonte, e l’altro di Mambrino:
acquista un di quei dui col tuo valore;
e questo, c’hai già detto di lasciarmi,
lasciami, e non cercar più di levarmi. –
29
All’apparir che fece all’improviso
di l’acqua il spirto, ogni pelo arricciosse
e scolorosse al Saracino il viso;
la voce ch’era per uscir fermosse.
Udendo poi da l’Argalìa, che ucciso
quivi havea già (che l’Argalìa nomosse),
la rotta fede in faccia improverarse,
di scorno e d’ira, e dentro e di fuor arse.
30
Né tempo havendo a pensar altra scusa,
e connoscendo ben ch’el ver gli disse,
restò senza risposta a bocca chiusa;
ma la vergogna il cor sì gli traffisse,
che giurò per la vita di Lanfusa
non voler mai ch’altro elmo lo coprisse,
se non havea quel buon ch’in Aspramonte
trasse del capo Orlando al fiero Aimonte.
31
E servò meglio questo giuramento
che non havea quel altro fatto prima.
Quindi se parte tanto mal contento,
che molti giorni poi si rode e lima.
Sol di cercare è il Paladino intento
di qua e di là, dove trovarlo stima.
Altra aventura al buon Rinaldo accade,
che da costui tenea diverse strade.
32
Non molto va Rinaldo, che si vede
saltare inanzi il suo destrier feroce.
– Ferma, Baiardo mio, deh ferma il piede!
che l’esser senza te troppo mi nuoce. –
Per questo il destrier sordo a lui non riede,
anzi più se ne va sempre veloce.
Segue Rinaldo, e d’ira se distrugge:
ma seguitiamo Angelica che fugge.
33
Fugge tra selve spaventose e scure,
per luochi inhabitati, ermi e silvaggi.
El muover de le frondi e di verdure,
di cerri, d’olmi, abeti, pini e faggi,
fatto le havea, con sùbite paure,
trovar di qua e di là strani vïaggi;
che d’ogni ombra veduta, o in monte o in valle,
temea Rinaldo haver sempre alle spalle.
34
Qual pargoletta o damma o caprïola,
che tra le fronde del natio boschetto
alla madre veduta habbia la gola
stringer el pardo, e aprirle il fianco o il petto,
di selva in selva dal crudel s’invola
e di paura trema e di suspetto,
e ad ogni sterpo che passando tocca
esser si crede all’empia fiera in bocca.
35
Quel dì e la notte e mezo l’altro giorno
s’andò aggirando, e non sapeva dove.
Trovasi infine in un boschetto adorno
che lievemente la fresca aura muove.
Dui chiari rivi, mormorando intorno,
facean l’herbette tenerelle e nuove;
tra piccol sassi rotto, il correr lento
rendeva ad ascoltar dolce concento.
36
Quivi parendo a lei d’esser sicura
et lontana a Rinaldo mille miglia,
da la via stanca et da la estiva arsura,
di riposare alquanto si consiglia:
smonta tra’ fiori alla fresca verdura,
et al suo palafren lieva la briglia
e lo lascia nel margine de l’onde,
che di fresca herba havea piene le sponde.
37
Non men ch’al suo cavallo a sé provede,
e mira intorno ove più agiata pose.
Ecco non lungi un bel cespuglio vede,
di spin fiorito e di vermiglie rose,
ch’in modo di spelonca in sé conciede
ombroso albergo ne le parti ascose,
e la foglia con rami in modo è mista,
ch’el Sol non v’entra, non che minor vista.
38
Dentro letto vi fan tenere herbette
che invitano a posar chi s’appresenta.
La bella donna in mezo a quel si mette;
ivi si corca, et ivi se addormenta.
Ma non per lungo spatio così stette,
che par che calpistar pel bosco senta:
cheta si lieva, et oltra alla rivera
vede che all’acqua un cavallier giunto era.
39
Se l’è amico o nemico non comprende;
tema e speranza il dubbio cuor le scuote
e di quella aventura il fine attende,
né pur d’un sol sospir l’aria percuote.
Il cavalliero in ripa il fiume scende
sopra l’un braccio a riposar le guote;
e ’n un suo gran pensier tanto penètra,
che par cangiato in insensibil pietra.
40
Pensoso più d’una hora a capo basso
stette, Signore, il cavallier dolente;
poi cominciò in un suono afflitto e lasso
a lamentarsi sì suavemente,
c’havrebbe di pietà spezzato un sasso,
una tygre crudel fatta clemente.
Suspirando piangea, tal che un ruscello
parean le guancie, e il petto un Mongibello.
41
– Pensier (dicea) ch’el cor m’aggiacci et ardi,
e causi il duol che sempre il rode e lima,
che debbio far, poi che son giunto tardi
e truovo ch’altri il frutto ha colto prima?
Io non hebbi da lei mai se non sguardi;
hor truovo ch’altri n’ha la spoglia opima.
Se non ne tocca a me frutto né fiore,
perché affliger per lei vommi più il core?
42
La verginella è simile alla rosa
che ’n un chiuso horto in la nativa spina,
mentre sola e sicura si riposa,
né gregge né pastor se le avicina;
l’aura soave e l’alba rugiadosa,
l’acqua, la terra al suo favor s’inchina;
gioveni vaghi e donne inamorate
amano haverne e seni e tempie ornate.
43
Ma non sì tosto dal materno stelo
rimossa viene, e dal suo ceppo verde,
ch’el favor e de li huomini e del Cielo
e de’ Elementi e di Natura perde.
La vergine ch’el fior anzi ch'el melo
lascia ricôrre altrui, ch’un solo haver de’,
l’amor, la gratia, il pregio che havea inanti
perde nel cor di tutti li altri amanti.
44
Sia vile alli altri, e da quel solo amata
a cui di sé fece sì larga copia.
Ah Fortuna crudel, Fortuna ingrata!
triomphan li altri, e ne moro io di inopia.
Dunque esser può che non mi sia più grata?
dunque io potrò lasciar mia vita propia?
Ah, più presto hoggi manchino i dì miei
ch’io viva più, s’amar non debbo lei! –
45
Se mi dimanda alcun chi costui sia,
che versa sopra il rio lachryme tante,
io dirò ch’egli è il Re di Circassia,
quel d’amor travagliato Sacripante;
io dirò anchor che di sua pena ria
sia prima e sola causa esser amante,
e pur un de li amanti di costei:
e ben riconnosciuto fu da lei.
46
Appresso ove il Sol cade, per amore
di lei venìa dal capo d’Orïente;
che seppe in India con suo gran dolore
come seguito Orlando havea in Ponente;
poi seppe in Francia, che gli passò il core,
che tolta Carlo imperïosamente
l’havea, e promessa in premio a l’un di dui
che in la battaglia più fêsse per lui.
47
Stato era in campo, havea veduta quella,
quella rotta che dianzi hebbe Re Carlo;
cercò vestigio di Angelica bella,
né havea potuto anchora ritrovarlo.
Questa è dunque la trista e ria novella
che d’amorosa doglia fa penarlo,
affligger, lamentar, e dir parole
che di pietà potrian fermare il Sole.
48
Mentre costui così s’affligge e duole
e fa de li occhi suoi tepida fonte,
e dice queste e molte altre parole
che non mi par bisogno esser racconte,
l’aventurosa sua Fortuna vuole
che alle orecchie d’Angelica sien conte:
e così quel ne vien a un’hora, a un punto,
che ’n mille anni, o mai più, non è raggiunto.
49
Con molta attentïon la bella donna
al pianto, alle parole, al modo attende
di colui che in amarla non assonna,
né questo è ’l primo dì ch’ella l’intende;
ma dura e fredda più d’una colonna,
ad haverne pietà non perhò scende,
come colei c’ha tutto il mondo a sdegno
e non le par ch’alcun sia di lei degno.
50
Pur, tra quei boschi il ritrovarsi sola
le fa pensar di tuor costui per guida;
che chi nel’acqua sta fin alla gola
ben è ostinato se mercé non grida.
Se questa occasïone hor se l’invola,
non troverà mai più scorta sì fida;
ch’a lunga prova connosciuto inante
s’havea quel Re fedel sopra ogni amante.
51
Per ciò non pensa il dispiacer, la noia
in ch’ella vede il misero che l’ama,
di convertirli in quella somma gioia
ch’ogni amator da la sua donna brama;
m’alcuna fittïone, alcuna soia
di tenerlo in speranza ordisce e trama:
tanto ch’al suo bisogno se ne serva,
poi torni al uso suo dura e proterva.
52
E fuor di quel cespuglio oscuro e cieco
fa di sé bella et improvisa mostra,
come talhor uscir di selva o speco
Dïana in scena o Cytherea si mostra;
e dice all’apparir: – Pace sia teco,
teco difenda Dio la fama nostra
e non comporti, contra ogni ragione,
c’habbi di me sì falsa opinïone. –
53
Non mai con tanto gaudio o stupor tanto
levò li occhi al figliuolo alcuna madre,
c’havea per morto suspirato e pianto
poi che senza esso udì tornar le squadre,
con quanto gaudio il Saracin, con quanto
stupor l’alta presenza e le liggiadre
maniere e vero angelico sembiante
improviso apparir si vide inante.
54
Pieno di dolce affetto e reverente,
alla sua donna, alla sua diva corse;
lo raccolse ella più cortesemente
che non faria se fusse in India forse.
Al regno di suo padre in Orïente,
seco havendo costui, l’animo torse:
subito in lei s’aviva la speranza
di presto riveder sua ricca stanza.
55
Angelica gli rese pienamente
conto di sé dal dì ch’esso da lei
a cercar fu mandato in Orïente
lontan soccorso alli suoi casi rei;
disse che Orlando da tutta la gente
ch’è tra li Franchi alberghi e i Nabattei
le havea servato il fior virgineo salvo
come ella sel portò dal materno alvo.
56
Forse era ver, ma non perhò credibile
a chi del senso suo fosse signore;
ma parve facilmente a lui possibile,
ch’era perduto in via più grave errore.
Quel che l’huom vede Amor gli fa invisibile,
e l’invisibil fa vedere Amore.
Questo creduto fu, ch’el miser suole
dar facile credenza a quel che vuole.
57
– Se mal si seppe il cavallier d’Anglante
pigliar per sua sciocchezza il tempo buono,
il danno se n’havrà, che da qui inante
nol chiamerà Fortuna a sì gran dono
(tra sé tacito parla Sacripante);
ma io per imitarlo già non sono,
che lasci tanto ben che m’è concesso
e che a doler poi m’habbia di me stesso.
58
Corrò la fresca e matutina rosa
che, tardando, stagion perder potria.
So ben che a-ddonna non si può far cosa
che più soave e più piacevol sia,
anchor che se ne mostri disdegnosa
e talhor mesta e flebil se ne stia:
non starò per repulsa o finto sdegno
ch’io non adombri e incarni el mio disegno. –
59
Così dice egli; e mentre s’apparecchia
a dar l’assalto, un gran rumor che suona
dal vicin bosco l’introna l’orecchia,
sì che mal grado l’impresa abbandona;
e si pon l’elmo, c’havea usanza vecchia
di portar sempre armata la persona,
viene al destriero e gli repon la briglia,
rimonta in sella e la sua lancia piglia.
60
Ecco pel bosco un cavallier venire,
il cui sembiante è di huom gagliardo e fiero:
candido come neve è il suo vestire,
un bianco pennoncello ha per cimiero.
Re Sacripante, che non può patire
che quel con l’importuno suo sentiero
gli habbia interrotto el gran piacer c’havea,
con vista il guarda disdegnosa e rea.
61
Come è più appresso lo sfida a battaglia,
che crede ben fargli vuotar l’arcione.
Quel che di lui non stimo già che vaglia
un grano meno, e ne fa paragone,
l’orgogliose minaccie a mezo taglia,
sprona il destriero, e l’hasta al scudo pone.
Sacripante ritorna con tempesta,
e corronsi a ferir testa per testa.
62
Non si vanno i Leoni o i Tori in salto
a dar di petto e ad accozar sì crudi
come li dui guerrieri al fiero assalto,
che parimente si passaro i scudi.
Fece il scontro tremar dal basso a l’alto
l’herbose valli sino a i poggi ignudi;
e ben giovò che fur buoni e perfetti
li usbergi sì, che lor salvaro i petti.
63
Li dui cavalli con terribile urto
cozzaro insieme a guisa di montoni:
quel del guerrier Pagan morì di curto,
ch’era vivendo in numero de’ buoni;
quel altro cadde anchor, ma l’ha risurto
presto il suo cavallier con briglia e sproni;
ma quel del Saracin restò disteso
adosso il suo Signor con tutto il peso.
64
L’incognito campion che restò ritto
e vide l’altro col cavallo in terra,
stimando havere assai di quel conflitto,
non si curò di rinovar la guerra;
ma dove per la selva è il camin dritto
correndo a tutta briglia si disserra;
e prima che di briga esca il Pagano
un miglio o poco meno è già lontano.
65
Qual sbigottito e stupido aratore,
poi ch’è passato il fulmine, si lieva
di là dove l’altissimo fragore
presso alli morti buoi steso l’haveva;
che mira senza fronde e senza honore
il Pin che veder lungi si soleva:
tal si levò il Pagano a piè rimaso,
Angelica presente al duro caso.
66
Sospira e geme, non perché l’annoi
che piede o braccio s’habbia rotto o mosso,
ma per vergogna sola, onde a’ dì suoi
né pria né dopo el viso hebbe sì rosso;
e più, ch’oltra il cader, sua donna poi
fu che gli tolse il gran peso da dosso.
Muto restava, mi cred’io, se quella
non gli rendea la voce e la favella.
67
– Deh! (disse ella) Signor, non vi rincresca!
che del cader non è la colpa vostra,
ma del cavallo, a cui riposo et esca
meglio si convenia che nuova giostra.
Né perciò quel guerrier sua gloria accresca;
che d’esser stato il perditor dimostra:
così per quel ch’io me ne sappia stimo,
quando a lasciar il campo è stato il primo. –
68
Mentre costei conforta il Saracino,
ecco col corno e con la tasca al fianco
galoppando venir sopra un ronzino
un messaggier che parea afflitto e stanco;
che come a Sacripante fu vicino
gli dimandò se quel dal scudo bianco,
che la bandiera candida havea in testa,
veduto havea passar per la foresta.
69
Rispose Sacripante: – Come vedi,
m’ha qui abbattuto, e se ne parte hor hora;
e perch’io sappia chi m’ha messo a piedi
fa’ che per nome io lo connosca anchora. –
Et egli a lui: – Di quel che tu mi chiedi
io te satisfarò senza dimora:
hai da saper che ti levò di sella
l’alto valor d’una gentil donzella.
70
Ella è gagliarda, ma più bella è molto;
né ti vuo’ il nome suo tener secreto:
fu Bradamante quella che t’ha tolto
quanto honor acquistato hai per adrieto. –
Poi c’hebbe così detto, a freno sciolto
n’andò lasciando il Saracin non lieto,
che non sa che si dica o che si faccia,
tutto abbragiato di vergogna in faccia.
71
Poi che gran pezzo al caso intervenuto
hebbe pensato invano, e finalmente
da una donzella si trovò abbattuto,
che pensandolo più, più dolor sente;
montò l’altro caval tacito e muto,
e senza altra contesa, chetamente
tolse Angelica in groppa, e differilla
a più lieto uso, a stanza più tranquilla.
72
Non furo iti duo miglia, che sonare
odon la selva che li cingie intorno,
con tal rumor e strepito, che pare
che tremi la foresta d’ognintorno;
e poco dopo un gran destrier n’appare,
d’oro guarnito e riccamente adorno,
che salta macchie e rivi, et a fracasso
arbori mena e ciò che vieta il passo.
73
– Se l’intricati rami e l’aer fosco
(disse la donna) a gli occhi non contende,
Baiardo è quel destrier ch’in mezo ’l bosco
con tal rumor nanzi la via si fende.
Questo è certo Baiardo, io ’l riconnosco:
deh, come ben nostro bisogno intende!
che un sol caval per dui serìa mal atto,
e ne vien egli a satisfarne ratto. –
74
Smonta il Circasso et al destrier s’accosta,
e si pensava dar di mano al freno.
Colle groppe il destrier gli fa risposta,
che fu presto a voltar come un baleno;
ma non arriva dove i calci apposta:
misero il cavallier se giunge a pieno!
che ne’ calci tal possa havea il cavallo,
c’havria spezzato un monte de metallo.
75
Indi va mansueto alla donzella,
con humile sembiante e gesto humano,
come intorno al patrone il can saltella
che sia dui giorni o tre stato lontano.
Baiardo anchora havea memoria d’ella,
che ’n Albracca il servia già di sua mano
nel tempo che da lei tanto era amato
Rinaldo, alhor crudele, alhora ingrato.
76
Con la sinistra man prende la briglia,
con l’altra còme e palpa il collo e il petto:
quel destrier, c’havea ingegno a maraviglia,
a lei, come un agnel, si fa suggetto.
Intanto Sacripante il tempo piglia:
monta Baiardo, e l’urta, e lo tien stretto.
Del ronzin disgravato la donzella
lasciò la groppa, e ritornò in la sella.
77
Poi, rivolgendo a caso li occhi, mira
venir sonando d’arme un gran pedone.
Tutta s’avampa di dispetto e d’ira,
che connosce il figliuol del duca Amone.
Più che sua vita l’ama egli e desira;
l’odia e fugge ella più che grue falcone.
Già fu ch’esso odiò lei più che la morte;
ella amò lui: hor han cangiato sorte.
78
E questo hanno causato due fontane
che di diverso effetto hanno liquore,
ambe in Ardenna, e non sono lontane:
d’amoroso disio l’una empie il core;
chi bee de l’altra senza amor rimane
e volge tutto in odio il primo amore.
Rinaldo gustò d’una, e Amor lo strugge;
Angelica de l’altra, e l’odia e fugge.
79
Quel liquor di secreto venen misto,
che muta in odio l’amorosa cura,
fa che la donna che Rinaldo ha visto
ne’ sereni occhi subito se oscura;
e Sacripante con pallido e tristo
viso, e tremando, supplica e scongiura
che quel guerrier più presso non attenda,
ma che insieme con lei la fuga prenda.
80
– Son dunque (disse il Saracino), sono
dunque in sì poco credito con vui,
che me stimiate inutile e non buono
da potervi difender da costui?
Le battaglie d’Albracca già vi sono
di mente uscite? e la notte ch’io fui
per la salute vostra, solo e nudo
contra Agricane e tutto il campo, scudo? –
81
Non gli diè più risposta la donzella
perché Rinaldo hormai l’è troppo appresso,
che da lontano al Saracin favella
come vide il cavallo e connobbe esso,
e quella donna riconnobbe, quella
che l’amoroso incendio in cor gli ha messo:
quel che seguì tra questi dui superbi
vuo’ che per l’altro canto si riserbi.