CANTO TRIGESIMOQUARTO
1
Cortesi donne, che benigna udienza
date a’ miei versi, io vi veggio al sembiante
che quest’altra sì sùbita partenza
che fa Ruggier da la sua fida amante
vi dà gran noia, e havete displicenza
poco minor c’havesse Bradamante;
e fate ancho argumento ch’esser puoco
in lui devesse l’amoroso fuoco.
2
Per ogni altra cagion che allontanato
contro la voglia d’essa se ne fusse,
anchor che havesse più thesor sperato
che Creso o Crasso insieme non ridusse,
io crederia con voi che penetrato
non fusse al cor il stral che lo percusse;
ch’un almo gaudio, un così gran contento
comperar non potrebbe oro né argento.
3
Pur, per salvar l’honor, non solamente
d’excusa, ma de laude è degno anchora;
per salvar, dico, in caso che altrimente
facendo, biasmo et ignominia fôra:
e se la donna fusse renitente
et ostinata in fargli far dimora,
darebbe di sé indicio e chiaro segno
o d’amar poco o d’haver poco ingegno.
4
Che se l’amante del amato deve
la vita amar più de la propria, o tanto
(io parlo d’uno amante a cui non lieve
colpo d’Amor passò più là del manto);
al piacer tanto più, ch’esso riceve,
l’honor di quel deve anteponer, quanto
l’honor è di più pregio che la vita,
ch’a tutti li piaceri è preferita.
5
Fece Ruggiero il debito a seguire
il suo signor, che non se ne potea,
se non con ignominia, dipartire;
che ragion di lasciarlo non havea.
E se Aimonte gli fe’ il padre morire,
tal colpa in Agramante non cadea;
ch’in molti effetti havea con Ruggier poi
emendato ogni error de i maggior suoi.
6
Fe’ il debito Ruggiero a ritornare
al suo signor; et ella anchor lo fece,
che sforzar non lo vòlse di restare
con mille prieghi, ove eran troppo diece.
Ruggier potrà alla donna satisfare
a un altro tempo, s’hor non satisfece:
ma chi manca al honor solo un momento,
non può in cent’anni satisfargli e cento.
7
Ruggier ritornò ad Arli, havendo tratta
la spada che non fe’ più resistenza.
Bradamante e Marphisa, che contratta
col parentado havean benivolenza,
andaro insieme ove Re Carlo fatta
la maggior prova havea di sua potenza,
sperando o per battaglia o per assedio
levar di Francia così lungo tedio.
8
Di Bradamante, poi che connosciuta
in campo fu, si fe’ letitia e festa:
ognun la riverisce e la saluta;
et ella a questo e a quel china la testa.
Rinaldo, come udì la sua venuta,
le venne incontra; né Ricciardo resta,
né Ricciardetto od altri di sua gente,
e la raccoglion tutti allegramente.
9
Come s’intese poi che la compagna
era Marphisa, in arme sì famosa,
che dal Cataio a’ termini di Spagna
di mille chiare palme iva pomposa,
non è povero o ricco che rimagna
nel padiglion: la turba desïosa
vien quinci e quindi, e s’urta, preme e stroppia
sol per veder sì glorïosa coppia.
10
A Carlo riverenti appresentârsi.
Questo fu il primo dì (scrive Turpino)
che fu vista Marphisa inginocchiarsi;
che sol le parve il figlio di Pipino
degno, a cui tanto honor devesse farsi,
tra quanti, o mai nel popul Saracino
o nel Christiano, imperatori e regi
per virtù vide o per ricchezza egregi.
11
Carlo benignamente la raccolse,
e le uscì contra fuor de’ padiglioni;
e che sedesse a lato suo poi vòlse
sopra tutti re, principi e baroni.
Se diè licentia a chi non se la tolse;
sì che presto restaro in pochi e buoni:
restaro i paladini e i gran signori;
la vilipesa plebe andò di fuori.
12
Marphisa cominciò con grata voce:
– Excelso, invicto e glorïoso Augusto,
che dal mar Indo alla Tirynthia foce,
dal bianco Scytha all’Ethÿòpe adusto
reverir fai la tua candida croce,
né di te regna il più saggio o il più giusto;
tua fama, ch’alcun termine non serra,
m’ha tratto qui fin da l’estrema terra.
13
E (per narrarti il ver) sola mi mosse
Invidia, e sol per farti guerra venni,
acciò che sì potente un Re non fosse
che non tenesse la legge ch’io tenni.
Per questo ho fatto le campagne rosse
del christian sangue; et altri fieri cenni
ero per farti da crudel nemica,
se non cadea chi mi t’ha fatto amica.
14
Quando nuocer pensai più alle tue squadre,
io truovo (e come sia dirò più ad agio)
ch’el gran Ruggier di Risa fu mio padre,
tradito a torto dal fratel malvagio.
Portommi in corpo mia misera madre
di là dal mare, e nacqui in gran disagio.
Nutrimmi un Mago infin al settimo anno,
a cui li Aràbi poi rubata m’hanno.
15
E mi vendero in Persia per ischiava
a un Re, che poi cresciuta io posi a morte;
che mia virginità tuor mi cercava.
Lui un dì uccisi e tutta la sua corte;
tutta cacciai la sua progenie prava,
e presi il regno; e tal fu la mia sorte
che a dieciotto anni di mia età non venni,
che di sette reami il scettro tenni.
16
E di tua fama invidïosa, come
io t’ho già detto, havea fermo nel core
la grande altezza abbatter del tuo nome:
forse il facevo, e forse ero in errore.
Ma hora avien che questa voglia dome,
e faccia cader l’ale al mio furore,
l’haver inteso, poi che qui son giunta,
come io ti son d’affinità congiunta.
17
E come il padre mio parente e servo
ti fu, parente e serva anch’io ti sono:
e quella invidia e quel odio protervo
ch’io t’hebbi un tempo, qui tutto depono;
anzi pur contra il Re d’Aphrica il servo,
e contra tutti quei che scesi sono
da Troiano e d’Aimonte, che fur rei
de l’empia morte de’ genitor miei. –
18
E seguitò voler christiana farsi,
e poi che haverà extinto il Re Agramante,
voler, piacendo a Carlo, ritornarsi
a battizar il suo regno in Levante;
et indi contra tutto il mondo armarsi,
dove Machon s’adori e Trivigante;
e con promissïon ch’ogni suo acquisto
sia de l’Imperio e de la fé di Christo.
19
L’Imperator, che non meno eloquente
era, che fusse valoroso e saggio,
molto exaltando la Donna excellente,
e molto il padre e molto il suo lignaggio,
rispose ad ogni parte humanamente,
e mostrò in fronte aperto il suo coraggio;
e fu conchiuso in l’ultima parola
per parente accettarla e per figliuola.
20
E qui se lieva, e di nuovo l’abbraccia,
e come figlia bacia ne la fronte.
Vengono tutti con allegra faccia
quei di Mongrana e quei di Chiaramonte.
Lungo a dir fôra quanto honor le faccia
Rinaldo, che di lei le prove conte
vedute havea più volte al paragone,
quando d’Albracca assedïò il girone.
21
Lungo a dir fôra quanto il giovinetto
Guidon s’allegri di veder costei,
Aquilante e Griphone e Sansonetto
ch’alla città crudel furon con lei;
Malagigi e Viviano e Ricciardetto,
ch’all’occision de’ Maganzesi rei
e de li venditori empii di Spagna
l’haveano havuta sì fedel compagna.
22
Apparecchiâr per il seguente giorno,
et hebbe cura Carlo egli medesmo,
che fusse un luoco riccamente adorno
dove prendesse Marphisa battesmo.
Li Vescovi e gran chierici d’intorno,
che le leggi sapean del Christianesmo,
fece raccôrre, acciò da loro in tutta
la santa fé fusse Marphisa instrutta.
23
Venne in pontificale habito sacro
l’arcivesco Turpino, e battizolla:
Carlo dal salutifero lavacro
con cerimonie debite levolla.
Ma tempo è hormai ch’al capo vuoto e macro
di senno si soccorra con l’ampolla,
con che dal ciel più basso ne venìa
il duca Astolfo sul carro d’Helia.
24
Sceso era Astolfo dal giro lucente
alla maggiore altezza de la terra,
con la felice ampolla che la mente
devea sanare al gran mastro di guerra.
Una herba quivi di virtù excellente
mostra Giovanni al Duca d’Inghilterra:
con essa vuol ch’al suo ritorno tocchi
al Re di Nubia e che gli sani li occhi;
25
acciò per questi e per li primi merti
gente gli dia con che Biserta assaglia.
E come poi quei populi inexperti
armi et acconci ad uso di battaglia,
e senza danno passi li deserti
dove l’arena li huomini abbarbaglia,
a punto a punto l’ordine che tegna
tutto il Vecchio santissimo gl’insegna.
26
Poi lo fe’ rimontar su quello alato
che di Ruggiero, e fu prima d’Atlante.
Il Paladin lasciò, licentïato
da san Giovanni, le contrade sante;
e secondando il Nilo a lato a lato,
presto i Nubi apparir si vide inante;
e ne la terra che del regno è capo
scese da l’aria, e ritrovò il Senapo.
27
Molto fu il gaudio e molta fu la gioia
che portò a quel Signor nel suo ritorno;
che ben si raccordava de la noia
che gli havea tolta, de l’Harpie, d’intorno.
Ma poi che la grossezza gli discuoia
di quel humor che già gli tolse il giorno,
e che gli rende la vista di prima,
l’adora e cole, e come Dio sublima:
28
sì che non pur la gente che gli chiede
per mover guerra al regno di Biserta,
ma centomila sopra gli ne diede,
e de la sua persona fe’ proferta.
D’elephanti e cameli e gente a piede
(perhò che de cavalli è male experta)
senza più differir fu il campo tutto
all’ordinanza in sette giorni instrutto.
29
La notte inanzi il dì che a suo camino
l’exercito di Nubia devea porse,
montò sul Hippogrypho il Paladino
e verso Mezodì con fretta corse,
tanto che giunse al monte che l’Austrino
vento produce, e spira contra l’Orse.
Trovò la cava onde per stretta bocca,
quando si desta, il furïoso scocca.
30
E come racordògli il suo maestro,
havea seco arrecato un utre vuoto.
Mentre ne l’antro rigido et alpestro
profondamente sogna il fiero Noto,
pon l’utre al buco Astolfo cheto e destro:
et è l’aguato in modo al vento ignoto
che, credendosi uscir fuor la dimane,
preso e legato in quel utre rimane.
31
Di tanta preda il Paladino allegro,
ritorna in Nubia, e in la medesma luce
si pone a caminar col popul negro,
e vittuaglia drieto si conduce.
A salvamento trasse il stuolo intègro
sopra l’Atlante il glorïoso Duce,
venuto al dritto per mezo la sabbia
senza temer che vento a nuocer gli habbia.
32
Giunto che fu di qua dal giogo, in parte
onde il pian si discopre e la marina,
Astolfo elegge la più nobil parte
del campo e la meglio atta a disciplina;
e qua e là per ordine la parte
a piè d’un colle, ove nel pian confina:
quivi la lascia, e su la cima ascende
in vista d’huom che a gran pensier intende.
33
Poi che, inchinando le ginocchia, fece
al santo suo maestro oratïone,
sicuro che sia udita la sua prece,
copia di sassi a far cader si pone.
Oh quanto a chi ben crede in Christo lece!
Li sassi, fuor di natural ragione
crescendo, si vedean venire in giuso,
e formar ventre e gambe e collo e muso:
34
e con chiari annitrir giù per quei calli
venian saltando, e giunti poi nel piano
scuotean le groppe, e fatti eran cavalli,
chi baio e chi leardo e chi roano.
La turba, che aspettando ne le valli
stava alla posta, lor dava di mano:
sì che in poche hore fur tutti montati;
che con sella e con freno erano nati.
35
Ottanta mila cento e dua in un giorno
fe’, di pedoni, Astolfo cavallieri.
Con questi tutta scórse Aphrica intorno,
facendo prede, incendi e prigionieri.
Posto Agramante havea fin al ritorno
el Re di Fersa e il Re de li Algazeri
col Re Branzardo a guardia del paese:
e questi si fêr contra il Duca Inglese,
36
prima havendo spacciato un suttil legno
che a vele e a remi andò battendo l’ali,
ad Agramante aviso come il regno
pativa da li Nubi oltraggi e mali.
Giorno e notte andò quel senza ritegno,
tanto che giunse a i liti Provenzali;
e trovò in Arli il suo Re mezo oppresso,
ch’el campo havea di Carlo un miglio appresso.
37
Sentendo il Re Agramante a che periglio,
per guadagnar il regno di Pipino,
lasciava il suo, chiamar fece a consiglio
Principi e Re del popul saracino.
E poi ch’una o due volte girò il ciglio
quinci a Marsiglio e quindi al Re Sobrino,
li qual d’ogn’altro fur, che vi venisse,
li dui più antiqui e saggi, così disse:
38
– Quantunque io sappia come mal convegna
a un capitano dir: non me ’l pensai,
pur lo dirò; che quando un danno vegna
d’ogni discorso human lontano assai,
a quel fallir par che sia excusa degna:
e qui si versa il caso mio; ch’errai
a lasciar d’arme l’Aphrica sfornita,
se da li Nubi esser devea assalita.
39
Ma chi pensato havria, fuor che Dio solo,
a cui non è cosa futura ignota,
che devesse venir con sì gran stuolo
a farne danno gente sì remota?
tra’ quali e noi giace l’instabil suolo
di quella arena ognhor da’ venti mota.
Pur è venuta ad assediar Biserta,
et ha in gran parte l’Aphrica deserta.
40
Hor sopra ciò vostro consiglio chieggio:
s’in Aphrica tornar come io ne venni,
o pur seguir tanto l’impresa deggio,
che i Gigli abbatta, e l’Aquila dispenni;
o come insieme salvar possa il seggio,
e non lasciar Francia e Christiani indenni.
Se alcun di voi sa dir, priego nol taccia,
acciò si truovi il meglio, e quel si faccia. –
41
Così disse Agramante; e volse li occhi
al Re di Spagna, che gli sedea appresso,
come mostrando di voler che tocchi
de li suoi detti la risposta ad esso.
E quel, poi che surgendo hebbe i ginocchi
per riverentia, e così il capo flesso,
nel suo honorato seggio si raccolse;
indi la lingua a tai parole sciolse:
42
– O bene o mal che la Fama ne porti,
Signor, di sempre crescerlo ha in usanza.
Per ciò non serà mai ch’io mi sconforti,
o mai più del dever pigli baldanza,
per casi o buoni o rei che sieno sorti:
ma sempre n’haverò tema e speranza
che esser debbian minori, e non del modo
ch’a noi per tante lingue venire odo.
43
E tanto men prestar gli debbio fede,
quanto più al verisimile s’oppone.
Hor se egli è verisimile si vede,
c’habbia con sì gran numer di persone
posto in la populosa Aphrica il piede
un Re di sì lontana regïone,
traversando l’arene a cui Cambyse
con male augurio il popul suo commise.
44
Crederò ben, che sien li Aràbi scesi
da le montagne, et habbian dato il guasto
e saccheggiato, e morti huomini e presi,
dove trovato havran poco contrasto;
e che Branzardo, che per quei paesi
di te luocotenente era rimasto,
per le decine scriva le migliaia
acciò l’excusa sua più degna paia.
45
Vuo’ concedergli anchor che sieno i Nubi
per miracol dal ciel forse piovuti;
o forse ascosi vennero in le nubi,
poi che non fur mai per camin veduti.
Temi tu che tal gente Aphrica rubi,
se ben di più soccorso non l’aiuti?
El tuo presidio havria ben trista pelle
quando temesse un populo sì imbelle.
46
Ma se tu mandi anchor che poche navi,
pur che si veggian li stendardi tuoi,
non volgeran sì presto al lito i clavi,
che fuggiran ne li confini suoi
questi, o sien Nubi o sien Aràbi ignavi,
ai quali il ritrovarti qui con noi,
separato pel mar da la tua terra,
ha dato ardir, e ti fa romper guerra.
47
Piglia l’occasïon che, per l’absenza
d’Orlando, sopra Carlo hai di vendetta:
poi che Orlando non c’è, mal resistenza
ti farà alcun de la nemica setta.
Se per non veder lasci, o negligenza,
l’honorata vittoria che te aspetta,
volterà il calvo, ove hor il crin ne mostra,
con molto danno e lunga infamia nostra. –
48
Queste et altre parole accortamente
usò l’Hispano, dando per consiglio
al Re Agramante di non farsi absente
da Francia, sin che non sfiorasse il Giglio:
a cui Sobrin, che vide apertamente
a che camino andava il Re Marsiglio,
che per util di Spagna dicea cose
poco al bisogno d’Aphrica, s’oppose;
49
e cominciò: – Signor, nel cor mi pesa
ch’io sia del nostro mal stato propheta
quando ti sconfortai da questa impresa,
che hor vedi ben come succede lieta,
allhor che mia sententia vilipesa
fu da quella superba et inquïeta
anima del audace Rodomonte,
cui ciò mi duol non poter dire in fronte;
50
ch’io vorria improverargli le parole
che disse da bestiale e furïoso,
ch’andarle a paro, o lasciar drieto vuole
tua Maestà nel caso periglioso:
poi nel bisogno, in le deserte e sole
montagne, non so dove, sta nascoso.
Et io, che per predirti il vero allhora
codardo detto fui, son teco anchora;
51
e serò sempremai, fin che abbandono
questa vita, che anchor che d’anni grave
per te sovente ho posta al risco e pono;
né mai fur l’opre mie triste né prave:
e con Orlando e con Rinaldo sono,
e con qual altro in Francia alcun nome have,
stato a battaglia; e non han fatto tanto
molti che se donâr di me più vanto.
52
Dico così, per dimostrar che quello
ch’io dissi allhora, e che ti voglio hor dire,
né per viltade vien né per cor fello,
ma d’amor vero e da fedel servire.
Io ti conforto ch’al paterno hostello,
più presto che tu puoi, vogli redire;
che poco saggio si può dir colui
che perde il suo per acquistar l’altrui.
53
Se acquisto c’è, tu ’l sai. Trentadui fummo
Re tuoi vassalli a uscir teco del porto:
hor, se di nuovo il conto ne rasummo,
c’è a pena il terzo, e tutto il resto è morto.
Che non ne cadan più, piaccia a Dio summo:
ma se tu vuoi seguir, temo di corto
che non ne rimarrà quarto né quinto;
e il miser popul tuo fia tutto extinto.
54
Ch’Orlando non vi sia, ne giova; che ove
siàn pochi, forse alcun non ci saria:
ma per questo il periglio non rimove,
se ben prolunga nostra sorte ria.
Rinaldo v’è, ch’a molte e molte prove
non mostra che minor d’Orlando sia;
v’è il suo lignaggio e tutti i paladini,
timore eterno a’ nostri Saracini.
55
Appresso a questi, quel secondo Marte
(ben che i nemici al mio dispetto lodo)
provato habbiàno, io dico Brandimarte,
il qual, per ciò ch’io ne connosco et odo,
ne fo giudicio che in alcuna parte
non sia d’Orlando meno ardito e prodo.
Poi son più dì che non v’è Orlando stato;
e più perduto habbiàn che guadagnato.
56
Se per adietro haven perduto, io temo
che da qui inanzi perderen più in grosso.
Del nostro campo Mandricardo è scemo;
Gradasso il suo soccorso n’ha rimosso;
Marphisa n’ha lasciati al punto estremo,
e così il Re d’Algier, di cui dir posso
che, se fusse fedel come gagliardo,
poco uopo era Gradasso o Mandricardo.
57
E dove tolti a noi son questi aiuti,
e tante mila son de’ nostri morti;
e quei che a venir han, son già venuti,
né s’aspetta altro legno che n’apporti;
quattro son giunti a Carlo, che tenuti
non son men che sia Orlando arditi e forti;
e per ragion, che da qui sino a Battro
potresti mal trovar tali altri quattro.
58
Non so se sai chi sia Guidon Selvaggio
e Sansonetto e i figli d’Oliviero
di questi fo più stima e più tema haggio,
che d’ogni duca insieme e cavalliero
che di Lamagna o d’altro stran linguaggio
sia contra noi per aiutar l’Impero;
ben che importa ancho assai la gente nuova
che a’ nostri danni in Francia se ritruova.
59
Quante volte uscirai alla campagna,
tante havrai la peggior, o serai rotto.
Se spesso il campo perse Aphrica e Spagna,
quando siàn stati sedici per otto,
che sarà dopo che Italia e Lamagna
e Francia et Inghilterra e il popul Scotto
son posti insieme, e dui contro un saranno?
ch’altro esser può, che nostro biasmo e danno?
60
La gente qui, là perdi a un tempo il Regno,
s’in questa impresa più duri ostinato;
dove, se al ritornar muti disegno,
servi l’avanzo di tua gente e il stato.
Lasciar Marsiglio in guerra è caso indegno
di te, ch’ognun te ne terrebbe ingrato;
ma c’è rimedio: far con Carlo pace,
ch’a lui deve piacer, s’a te pur piace.
61
Pur se ti par che non ci sia el tuo honore,
che tu, che offeso sei, prima la chieda,
e la battaglia più ti sta nel core,
qualunque, o male o ben, la ti succeda,
tenta restarne almen superïore:
che averrà forse, quando tu mi creda,
se d’ogni tua querela a un cavalliero
doni l’assunto, e se quel fia Ruggiero.
62
Io so, e tu ’l sai, ch’in arme è Ruggier tale,
che a sol a sol s’el pon con l’arme in mano,
né di Rinaldo né d’Orlando vale,
né men d’altro guerrier di Carlo Mano.
Ma se tu vuoi far guerra universale,
anchor che ’l valor suo sia soprahumano,
egli perhò non serà più che un solo,
e di par suoi troverà contra un stuolo.
63
Se a te par, a me par che a dir si mandi
al Re Christian, che per finir le liti,
e perché cessi il sangue che tu spandi
ognhor di suoi, egli de’ tui infiniti;
che contra un tuo guerrier tu gli dimandi
che metta in campo un de li suoi più arditi,
e faccian questi dui tutta la guerra,
fin che l’un vinca e l’altro resti in terra:
64
con patto, che qual d’essi perde, faccia
ch’el suo Re al altro Re tributo dia.
Questa conditïon non credo spiaccia
a Carlo, anchor che sul vantaggio sia.
Io mi confido in le robuste braccia
poi di Ruggier, che vincitor ne fia;
e ragion tanta è da la nostra parte,
che vincerà s’havesse contra Marte. –
65
Con questi et altri più efficaci detti
fece Sobrin sì che il partito ottenne;
e l’interpreti fur quel giorno eletti,
e quel dì a Carlo l’ambasciata venne.
Carlo, che havea tanti guerrier perfetti,
vinta per lui quella battaglia tenne,
di cui l’impresa al buon Rinaldo diede,
in che havea, dopo Orlando, maggior fede.
66
Di questo accordo parimente lieto
l’uno exercito e l’altro si godea;
né più curando i danni corsi a drieto,
ciascun gioir per l’avenir volea.
L’otio tranquillo e il bel viver quïeto
ogni lingua lodando al ciel tollea;
e maledicean tutti quel furore
che di far guerra havuto havean in core.
67
Rinaldo che exaltar molto si vede,
che Carlo in lui di quel che tanto pesa
ha più che in tutti li altri havuto fede,
lieto s’accinge all’honorata impresa.
Ruggier non stima; e veramente crede
che contra sé non potrà far difesa:
che possa valer tanto non gli è aviso,
se ben in campo ha Mandricardo occiso.
68
Ruggier dal’altra parte, anchor che molto
honor gli sia ch’el suo Re l’habbia eletto
e pel miglior di tutti i buoni tolto,
a cui commetta un sì importante effetto;
pur mostra affanno e gran mestitia in volto,
non per paura che gli turbi il petto
di andar contra Rinaldo, che non teme
se con Rinaldo fusse il mondo insieme:
69
ma perché vede esser di lui sorella
la sua cara e fidissima consorte
che ognhor scrivendo il stimula e martella,
come colei ch’è ingiurïata forte.
Hor se alle vecchie offese aggiunge quella
d’entrar in campo a porli il frate a morte,
se la farà, d’amante, così odiosa
che a placarla mai più fia dura cosa.
70
Se tacito Ruggier s’afflige et ange
de la battaglia che mal grado prende,
la sua cara moglier lachryma e piange,
come la nuova indi a poche hore intende:
batte il bel petto, e l’auree chiome frange,
e le guancie innocenti irriga e offende;
e chiama con ramarichi e querele
Ruggiero ingrato, e il suo destin crudele.
71
D’ogni fin che sortisca la contesa,
a lei non può venirne altro che doglia.
C’habbia a morir Ruggier in questa impresa,
pensar non vuol; che par ch’el cor le toglia.
Quando ancho, per punir più d’una offesa,
Christo de Francia la ruina voglia,
oltra che le serà morto il fratello,
seguirà un danno a lei più acerbo e fello:
72
che non potrà, se non con biasmo e scorno,
e nimicitia di tutta sua gente,
far al marito suo mai più ritorno,
sì che lo sappia ognun publicamente,
come s’havea, pensando notte e giorno,
più volte disegnato ne la mente;
e tra lor era la promessa tale,
ch’el ritrarsi e il pentir più poco vale.
73
Ma quella usata in l’altre cose adverse
mai non mancarle di soccorsi fidi,
dico Melissa maga, non sofferse
udirne il pianto e i dolorosi gridi;
e venne a consolarla, e le proferse,
quando ne fusse il tempo, alti sussidi,
e disturbar quella pugna futura
di ch’ella piange e si puon tanta cura.
74
Rinaldo intanto e l’inclyto Ruggiero
apparecchiava l’arme alla tenzone,
di cui devea la eletta al cavalliero
che del Romano Imperio era campione:
e come quel, che poi ch’el buon destriero
Baiardo perse, andò sempre pedone,
s’elesse a piè, coperto a piastra e maglia,
con l’Azza e col pugnal far la battaglia.
75
O fusse caso, o fusse pur ricordo
di Malagigi suo provido e saggio,
che sapea quanto Balisarda ingordo
il taglio havea di far all’arme oltraggio;
combatter senza spada fu d’accordo
l’uno e l’altro guerrier, come detto haggio.
Del luoco s’accordâr presso alle mura
del antiquo Arli in una gran pianura.
76
A pena havea la vigilante Aurora
dal hostel di Tithon fuor messo il capo,
per dar al giorno terminato, e all’hora
che era prefissa alla battaglia, capo;
quando di qua e di là vennero fuora
li eletti a-cciò, ch’in l’uno e in l’altro capo
de li steccati i padiglion tiraro,
e un grande altar presso a ciascun fermaro.
77
Dopo non molto, instrutto a schiera a schiera,
si vide uscir l’exercito pagano.
In mezo armato e suntüoso v’era
di barbarica pompa il Re Aphricano;
e s’un baio corsier di chioma nera,
di fronte bianca, e di dui piè balzàno,
a par a par con lui venìa Ruggiero,
di cui servir non è Marsiglio altiero.
78
L’elmo, che dianzi con travaglio tanto
trasse di testa al Re di Tartaria,
l’elmo, che celebrato in maggior canto
portò il Troiano Hettòr mill’anni pria,
gli porta il Re Marsiglio a canto a canto:
d’altri principi e re gran compagnia
s’hanno partite l’altre arme fra loro,
ricche di gioie e ben fregiate d’oro.
79
Da l’altra parte fuor di gran ripari
Re Carlo uscì con la sua gente d’arme,
con li ordini medesmi e modi pari
che terria se venisse al fatto d’arme.
Cingonlo intorno i suoi famosi Pari;
e Rinaldo è con lui con tutte l’arme,
fuor che l’elmo che fu del Re Mambrino,
che porta Ugier Danese paladino.
80
E di due Azze ha il duca Namo l’una,
e l’altra Salamon Re di Bertagna.
Carlo da un lato i suoi tutti raguna;
da l’altro son quei d’Aphrica e di Spagna.
Nel mezo non appar persona alcuna:
vuoto riman gran spatio di campagna,
che per bando commune a chi vi sale,
excetto a i deputati, è capitale.
81
Poi che de l’arme la seconda eletta
si diè al campion del populo pagano,
dui sacerdoti, l’un de l’una setta,
l’altro de l’altra, uscîr coi libri in mano.
In quel del nostro è la vita perfetta
scritta di Christo; e l’altro è l’Alcorano.
Con questi dui li Re si fêro inante,
Carlo con l’un, con l’altro il Re Agramante.
82
Giunto Carlo al altar che statuito
li suoi gli haveano, al ciel levò le palme,
e disse: – O Dio, c’hai di morir patito
per redimer da morte le nostre alme,
e tu Donna, di cui tanto gradito
da Dio fu il gran valor, che le sue salme
non si sdegnò in te porre, sì che, salvo
il tuo bel fiore, uscì del tuo santo alvo:
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siatemi testimoni, ch’io prometto,
se di questa battaglia il mio campione
vinto riman, ch’el mio regno suggetto
sia per tributo e recognitïone
al Re Agramante, et a chi dopo eletto
serà al governo di sua regïone,
mandar ogn’anno venti some d’oro;
ma se vinco io, fo pace al signor Moro.
84
Gli fo pace con patto ch’ei mi renda
il censo che, perdendo, io daria a lui:
e s’in ciò manco, contra me s’accenda
la formidabil ira d’ambidui,
sì che in brevissima hora si comprenda
che sia il mancar de la promessa a vui. –
Così dicendo, Carlo sul Vangelo
tenea la mano, e li occhi fissi al cielo.
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Si lievan quindi, e vanno a quello altare
che riccamente havean pagani adorno;
dove giurò Agramante che oltra il mare
con l’exercito suo faria ritorno,
et a Carlo daria tributo pare,
se restasse Ruggier vinto quel giorno;
e che, vincendo, anchor pace faria,
coi patti che havea Carlo detti pria.
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E simelmente con parlar non basso,
chiamando in testimonio il gran Maumette,
sul libro c’havea in mano il suo Papasso,
ciò c’ha detto, osservar tutto promette.
Del campo poi se parteno a gran passo,
e tra’ suoi l’uno e l’altro si rimette.
Poi quel par di campioni a giurar venne;
e il giuramento lor questo contenne:
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Ruggier promette, se de la tenzone
il suo Re viene o manda a disturbarlo,
che né suo guerrier più, né suo barone
esser mai vuol, ma darsi tutto a Carlo;
giura Rinaldo anchor, che se cagione
serà del suo signor di non lasciarlo
finir la impresa che ha verso Ruggiero,
esser vuol d’Agramante cavalliero.
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Poi che le cerimonie finite hanno,
ciascun si ritornò da la sua parte.
Di qua e di là le trombe el segno dànno,
e l’uno e l’altro a un tempo se diparte;
e maestrevolmente se ne vanno
girando l’haste con gran forza et arte,
come ne l’altro canto v’ho da dire,
se in l’altro canto mi vorrete udire.