CANTO TRIGESIMOSEXTO

1
Lungo serìa se li diversi casi
volessi dir di quel naval conflitto;
e raccontarlo a voi sarebbe quasi,
magnanimo figliuol d’Hercole invitto,
portar (come se dice) a Samo vasi,
nottole a ’Thene, e crocodilli a Egytto;
che quanto per udita io ve ne parlo,
signor, miraste, e fêste altrui mirarlo.
2
Gran spettacolo e lungo hebbe il fedele
vostro popul la notte e il dì che stette,
come in theatro, l’inimiche vele
mirando in Po tra ferro e fuoco astrette.
Che gridi udir si possano e querele,
ch’onde veder di sangue humano infette,
per quanti modi in tal pugna si muora
vedeste, e a molti il dimostraste allhora.
3
Nol vide io già, ch’ero sei giorni inanti,
mutando ognhora altre vetture, corso
con molta fretta e molta a i piedi santi
del gran pastore a dimandar soccorso:
poi né cavalli bisognâr né fanti;
ch’intanto al Leon d’or l’artiglio e il morso
havate rotto sì, che più molesto
non l’ho sentito da quel giorno a questo.
4
Absente ero io; ma il Bagno, il Zerbinatto,
Luigi, Alfonso, Elpasto, Afranio, Alberto,
Alexandro, Hannibàl, ch’erano in fatto,
tanto me ne contâr, ch’io ne fui certo:
me ne chiarîr poi le bandiere affatto,
vistone al tempio il gran numero offerto,
e quindice galee ch’a queste rive
con mille legni star vidi captive.
5
Chi vide allhor l’incendi e li naufragi,
le tante uccisïoni e sì diverse
che, vendicando i nostri arsi palagi,
fin che fu preso ogni naviglio, fêrse;
potrà le varie morti e li disagi
imaginarsi, e i strati che sofferse
la gente vinta d’Aphrica in le salse
onde, la notte che Dudon l’assalse.
6
Era la notte, e non si vedea lume,
quando se incominciâr l’aspre contese:
ma poi ch’el solpho, la pece, il bitume
sparso in gran copia, ha prore e sponde accese,
e la vorace fiamma arde e consume
le navi e le galee poco difese;
sì chiaramente ognun si vedea intorno,
che la notte parea mutata in giorno.
7
Onde Agramante che per l’aer scuro
fece al principio di combatter stima,
c’haver contrasto non credea sì duro
che, resistendo, al fin non lo reprima;
poi che rimosse le tenèbre furo,
e vide quel che non credeva prima,
che le navi nemiche eran duotante,
fece pensier diverso a quel dinante.
8
Smonta con pochi, ove in spalmata barca
ha Brigliadoro e l’altre cose care.
Tra legno e legno taciturno varca,
fin che si truova in più sicuro mare
da’ suoi lontan, che Dudon preme e carca,
et a conditïon mena acri e amare:
li arde il foco, il mar sorbe, il ferro strugge;
egli che n’è cagion, via se ne fugge.
9
Fugge Agramante, et ha con lui Sobrino,
con cui si duol di non gli haver creduto
quando previde con occhio divino,
e il mal gli annoncïò, c’hor gli è avenuto.
Ma ritorniamo a Orlando paladino,
che prima che Biserta habbia altro aiuto
consiglia Astolfo che la getti in terra,
sì che a Francia mai più non faccia guerra.
10
E così fu publicamente detto
ch’el campo in arme al terzo dì sia instrutto.
Molti navigli Astolfo a buono effetto
tenuti havea, né Dudone hebbe il tutto;
e ne diede il governo a Sansonetto,
buon guerrier parimente al molle e al sciutto:
e quel si pose, in su l’ancore sorto,
contra a Biserta, un miglio appresso al porto.
11
Come veri christiani Astolfo e Orlando,
che senza Dio non vanno a rischio alcuno,
nel exercito fan publico bando
ch’oratïone sia fatta e digiuno;
e poi, ch’el terzo Sol, dal mar spuntando,
ritruovi in arme apparecchiato ognuno
per expugnar Biserta, che data hanno,
vinta che s’habbia, a fuoco e a saccomanno.
12
E così, poi che l’abstinentie e i voti
debitamente celebrati fôro,
li amici, li parenti e li più noti
si cominciaro a convitar tra loro.
Dato restauro a’ corpi exhausti e vuoti,
abbracciandosi insieme lachrymoro,
tra loro usando i modi e le parole
che tra li amici al dipartir si suole.
13
Dentro a Biserta i sacerdoti santi
supplicando col populo dolente,
battonsi il petto, e con dirotti pianti
chiamano il lor Machon che nulla sente.
Quante vigilie, quante offerte, quanti
doni promessi son privatamente!
quanto in publico templi, statue, altari,
memoria eterna de’ lor casi amari!
14
E poi che dal Cadì fu benedetto,
prese il populo l’arme, e tornò al muro.
Anchor giacea col suo Tithon nel letto
la bella Aurora, et era il cielo oscuro,
quando Astolfo e li suoi (come fu detto)
con l’arme in dosso alli ordini lor furo:
e poi ch’el segno che diè il Conte udiro,
Biserta con grande impeto assaliro.
15
Havea Biserta da dui canti il mare,
sedea da li altri dui nel lito asciutto.
Con fabrica excellente e singulare
fu antiquamente il suo muro construtto:
poco altro ha che l’aiuti o la ripare;
che poi ch’el Re Branzardo fu ridutto
dentro da quella, pochi mastri, e poco
tempo haver puòte a riparare il luoco.
16
Astolfo dà l’assunto al Re de’ Neri
che faccia a’ merli tanto nocumento
con falariche, fonde e con arcieri,
che non s’affacci alcun di quelli drento;
sì che passin pedoni e cavallieri
fin sotto la muraglia a salvamento,
de’ quai non viene alcun che non sia grave
d’asce o di pietra o di fascina o trave.
17
E legna e strame ognun nel fango getta,
torna per anche, e vien di mano in mano.
La grossa acqua il dì nanzi fu intercetta,
sì che in più parti si scopria il pantano.
Tutta la fossa fu atturata in fretta,
e quasi è sin a’ muri uguale il piano.
Astolfo, Orlando et Olivier procura
di far salir li fanti in su le mura.
18
Li Nubi d’ogni indugia impatïenti,
da la speranza del guadagno tratti,
non mirando a’ pericoli imminenti,
coperti da testugini e da gatti,
con arïeti e lor altri instrumenti
a forar torri, e porte rompere atti,
tosto si fêro alla città vicini;
né ritrovâr sprovisti i Saracini,
19
che di ferro e di fuoco e sassi gravi
d’alto spargendo horribili tempeste,
facean per forza aprir tavole e travi
de le machine in lor danno conteste.
Ne l’aria oscura li principii pravi
danneggiâr più le battizate teste;
ma poi ch’el Sole uscì del ricco albergo,
voltò Fortuna a’ Saracini il tergo.
20
Da tutti i canti risforzar l’assalto
fe’ il conte Orlando da mare e da terra.
Sansonetto, c’havea l’armata in alto,
entrò nel porto e s’accostò alla terra;
e con frombe e con archi facea d’alto,
e con varii tormenti, estrema guerra;
e d’altra parte expedia lance e scale,
ogni apparecchio e munition navale.
21
Facea Oliviero, Orlando e Brandimarte,
e quel che fu sì dianzi in aria ardito,
aspra e fiera battaglia da la parte
che lungi al mar era più dentro al lito.
Ciascun d’essi venìa con una parte
de l’hoste che s’havean quadripartito:
qual a mur, qual a porte, e qual altrove,
tutti davan di sé lucide prove.
22
Il valor di ciascun meglio si puote
veder così, che se fusser confusi:
chi sia degno di premio e chi di note
appare inanzi a mill’occhi non chiusi.
Torri di legno trannosi con ruote,
e li elephanti altre ne portano usi
su’ dossi lor, che così in alto vanno,
che i merli sotto a molto spatio stanno.
23
Vien Brandimarte, e pon la scala a’ muri,
e sale, e di salir altri conforta;
segueno molti intrepidi e sicuri,
che non puon dubitar sotto tal scorta:
non è chi miri o chi mirar si curi
se quella scala il gran peso comporta.
Sol Brandimarte all’inimici attende:
pugnando sal tanto ch’un merlo prende;
24
e con mano e co piè quivi s’attacca,
salta su i merli, e mena il brando in volta,
urta, riversa e fende e fora e ammacca,
e di sé mostra experïentia molta.
Ma tutto a un tempo la scala si fiacca,
che troppa soma e di soperchio ha tolta:
li altri in la fossa tornano a gran salto,
e Brandimarte sol lasciano in alto.
25
Per ciò non perde il cavallier l’ardire,
né pensa riportare adrieto il piede;
ben che de’ suoi non vede alcun seguire,
ben che berzaglio alla città si vede.
Pregavan molti, e non volle egli udire,
di ritornar; ma dentro al mur si diede:
i’ dico che saltò dentro alla terra,
dentro dal mur che la circonda e serra.
26
Come trovato havesse o piume o paglia,
presse il duro terren senza alcun danno.
Quelli c’ha intorno affrappa, fora e taglia,
come s’affrappa e taglia e fora il panno:
hor contra questi, hor contra quei si scaglia;
e quelli e questi in fuga se ne vanno.
Pensan quelli di fuor, che l’han veduto
dentro saltar, che tardi fia ogni aiuto.
27
Per tutto ’l campo alto rumor si spande
di voce in voce, il mormorio e ’l bisbìglio.
La vaga Fama intorno si fa grande,
e narra, et accrescendo va il periglio:
dov’era Orlando (perché da più bande
si dava assalto), ove Oliviero e ’l figlio
era di Othon, quella volando venne,
senza posar mai le veloci penne.
28
Questi guerrieri, e più di tutti Orlando,
ch’amano Brandimarte e l’hanno in pregio,
udendo che se van troppo indugiando
perderanno un compagno così egregio,
piglian le scale, e qua e là montando,
mostrano a gara animo altiero e regio,
con sì audace sembiante e sì gagliardo
che l’inimici fan tremar col sguardo.
29
Come nel mar che per tempesta freme
assaglion l’acque il temerario legno,
c’hor da la prora, hor da le parti estreme
cercano entrar piene di rabbia e sdegno;
e il pallido nocchier sospira e geme,
che aiutar deve, e non ha cor né ingegno;
una onda viene al fin, ch’occùpa el tutto,
e dove quella entrò segue ogni flutto:
30
così da poi c’hebbeno presi i muri
quelli tre primi, fu sì largo il passo,
che li altri hormai seguir ponno sicuri,
che mille scale hanno fermate al basso.
Haveano intanto li arïeti duri
rotto in più luochi, e con sì gran fraccasso,
che si poteva in più che in una parte
soccorrer l’animoso Brandimarte.
31
Con quel furor ch’el Re de’ fiumi altiero,
quando rompe talvolta argini e sponde,
ne’ campi Mantuani apre il sentiero,
e i grassi solchi e le biade feconde,
e con le sue capanne il gregge intiero,
e con li cani i pastor porta in l’onde;
guizzano i pesci all’olmi in su la cima,
ove solean volar li augelli in prima:
32
con quel furor l’impetüosa gente,
là dove havea in più parti il muro rotto,
entrò col ferro e con la face ardente
a destrugere il popul mal condotto.
Homicidio, rapina, e man violente
nel sangue e nel haver, trasse di botto
la ricca e triomphal città a ruina,
che fu di tutta l’Aphrica regina.
33
D’huomini morti pieno era per tutto;
e de le innumerabili ferite
fatto era un stagno più scuro e più brutto
di quel che cinge la città di Dite.
Di casa in casa un lungo incendio indutto
ardea palagi, portici e meschite;
de pianti e strida e man percosse a i petti
suonano i vuoti e depredati tetti.
34
Li vincitori uscir de le funeste
porte vedeansi de gran preda onusti,
chi con bei vasi e chi con ricche veste,
chi con rapiti argenti a’ Dèi vetusti;
chi trahea i figli, e chi le madri meste:
stupri infiniti e mille altri atti ingiusti
commessi fur, di che gran parte intese,
né lo puoté vietare, il Duca inglese.
35
Fu Bucifar de l’Algazera morto
con esso un colpo da Olivier gagliardo;
perduta ogni speranza, ogni conforto,
s’uccise di sua mano il Re Branzardo;
con tre ferite, onde morì di corto,
fu preso Folvo dal Duca dal Pardo:
questi eran tre che al suo partir lasciato
havea Agramante a guardia de lo stato.
36
Agramante che intanto havea deserta
l’armata, e con Sobrin n’era fuggito,
pianse da lungi e sospirò Biserta,
veduto sì gran fiamma arder sul lito.
Poi più d’appresso hebbe novella certa
come de la sua terra il caso era ito:
e d’uccider se stesso in pensier venne,
e lo facea; ma il Re Sobrin lo tenne.
37
Dicea Sobrin: – Che più vittoria lieta,
signor, potrebbe il tuo inimico havere
che la tua morte udire, onde quïeta
si speraria poi l’Aphrica godere?
Questo contento il viver tuo gli vieta;
quindi havrà sempre causa di temere:
sa ben che lungamente Aphrica sua
esser non può, se non per morte tua.
38
Tutti i sudditi tuoi, morendo, privi
de la speranza, un ben che sol ne resta.
Spero che n’habbi a liberar, se vivi,
e trar d’affanno e ritornare in festa.
So che, se mori, siàn sempre captivi,
Aphrica sempre tributaria e mesta.
Dunque, s’in util tuo viver non vuoi,
vivi, signor, per non far danno a’ tuoi.
39
Dal Soldano d’Egytto, tuo vicino,
esser puoi certo haver denari e gente:
mal volentieri el figlio di Pipino
in Aphrica vedrà così potente.
Verrà con ogni sforzo Norandino
per ritornarti in regno, il tuo parente:
Armeni, Turchi, Persi, Aràbi e Medi,
tutti in soccorso havrai, se tu li chiedi. –
40
Con tali e simil detti il Vecchio accorto
ritornar puote il suo signor in speme
de racquistarsi l’Aphrica di corto;
ma nel suo cor forse el contrario teme:
sa ben quant’è a mal termine e mal porto,
e come spesso invan sospira e geme
chiunque il regno suo si lascia tôrre,
e per soccorso a’ Barbari ricorre.
41
Hannibàle e Iugurta di ciò fôro
buon testimoni, et altri al tempo antico;
al tempo nostro Ludovico il Moro,
dato in poter d’un altro Ludovico.
Vostro fratello Alfonso da costoro
ben hebbe exempio: a voi, signor mio, dico;
che sempre ha riputato pazzo expresso
chi più si fida in altri che in se stesso.
42
E perhò ne la guerra che gli mosse
del pontifice irato un duro sdegno,
anchor che ne le deboli sue posse
non potesse egli far molto disegno,
e chi già il difendea, d’Italia fosse
spinto, e n’havesse il suo nemico il regno;
né per minaccie mai né per promesse
si puòte indur ch’el stato altrui cedesse.
43
Il Re Agramante all’Orïente havea
volta la prora, e s’era spinto in l’alto,
quando da terra una tempesta rea
mosse da banda impetüoso assalto.
Il nocchier ch’al governo vi sedea:
– Io veggio (disse alzando li occhi ad alto)
una procella apparecchiar sì grave,
che contrastar non le potrà la nave.
44
S’attendete, signori, al mio consiglio,
qui da man manca a una isola vicina
a salvamento io ridurrò el naviglio,
fin che passi el furor de la marina. –
Consentì il Re Agramante; e di periglio
uscì, pigliando la spiaggia mancina,
che per salute de’ nocchieri giace
tra li Aphri e di Vulcan l’alta fornace.
45
D’habitationi è l’isoletta vuota,
di lauri e myrti piena e di ginepri,
ioconda solitudine e remota
a cervi, a danne, a caprïoli e lepri;
e fuor che a piscatori è poco nota,
dove sovente a rimondati vepri
suspendon, per sciugarle, humide reti:
dormeno intanto i pesci in mar quïeti.
46
Quivi trovâr che s’era un altro legno,
cacciato de fortuna, già ridutto;
e il gran guerrier ch’in Sericana ha regno,
levato d’Arli, havea quivi condutto.
Con modo reverente e di sé degno
l’uno e l’altro signor s’abbraccia al sciutto;
ch’erano amici, e poco inanzi furo
compagni d’arme al Parigino muro.
47
Con molto dispiacer Gradasso intese
del Re Agramante le fortune averse;
poi confortollo, e come Re cortese
con la propria persona se gli offerse:
ma ch’egli andasse all’infedel paese
d’Egytto, per aiuto, non sofferse.
– Che vi sia (disse) periglioso gire,
devria Pompeio i profugi ammonire.
48
E perché detto m’hai che con l’aiuto
de li Ethïòpi, sudditi al Senapo,
Astolfo a tuorti l’Aphrica è venuto,
e ch’arsa ha la città che n’era capo;
e che Orlando è con lui, che diminuto
poco inanzi di senno haveva el capo;
mi pare al tutto un ottimo rimedio
haver pensato a farti uscir di tedio.
49
Io pigliarò per amor tuo la impresa
d’entrar col Conte a singular certame:
contra me so che non havrà difesa
se tutto fosse di ferro o di rame.
Morto lui, stimo la christiana Chiesa
quel che l’agnelle il lupo c’habbia fame.
Ho poi pensato (e mi fia cosa lieve)
di far li Nubi uscir d’Aphrica in breve.
50
Farò che li altri Nubi che da loro
el Nilo parte e la diversa legge,
li Aràbi, li Macrobii, questi d’oro
e gente ricchi, et quei d’equino gregge,
Persi e Caldei, perché tutti costoro
con altri molti il settro mio corregge;
farò che in Nubia lor faran tal guerra,
che non potran fermarsi in la tua terra. –
51
Al Re Agramante assai parve opportuna
del Re Gradasso la seconda offerta;
e se chiamò obligato alla Fortuna,
che l’havea tratto all’isola deserta:
ma non vuol tôr conditïon alcuna
(se racquistar credesse indi Biserta)
che battaglia per lui Gradasso prenda;
che in ciò gli par che l’honor troppo offenda.
52
– Se a disfidar s’ha Orlando, son quell’io
(rispose) a cui la pugna più conviene;
e pronto vi sarò: poi faccia Dio
di me, come gli pare, o male o bene. –
– Facciàn – disse Gradasso – al modo mio,
a un nuovo modo che in pensier mi viene:
questa battaglia pigliamo ambedui
incontra Orlando, e un altro sia con lui. –
53
– Pur ch’io non resti fuor, non me ne lagno, –
disse Agramante, – o sia primo o secondo:
ben so ch’in arme ritrovar compagno
di te miglior non si può in tutto il mondo. –
– Et io (disse Sobrin) dove rimagno?
E se vecchio vi paio, vi rispondo
ch’io debbio esser più experto; e nel periglio
presso alla forza è buono haver consiglio. –
54
D’una vecchiezza valida e robusta
era Sobrino, e di famosa prova;
e dice ch’in vigor l’età vetusta
da la sua prima indifferente truova.
Perhò li altri dui Re stimaron giusta
la sua dimanda; e presto se ritruova
un che si mandi a gli Aphricani lidi,
e da lor parte il conte Orlando sfidi;
55
che s’habbia a ritrovar con numer pare
de cavallieri armati in Lipadusa.
Una isoletta è questa, che dal mare
medesmo che li cinge è circonfusa.
Non cessò il messo a vela e remi andare,
come quel che prestezza al bisogno usa,
che fu a Biserta; e trovò Orlando quivi
partir la preda a i Nubi e li captivi.
56
L’invito di Gradasso e d’Agramante
e di Sobrino in publico fu expresso,
tanto giocondo al principe d’Anglante,
che d’ampli doni honorar fece il messo.
Havea da li compagni udito inante
ch’el Re Gradasso al fianco s’havea messo
sua Durindana; et egli, per disire
de racquistarla, in India volea gire,
57
stimando non haver Gradasso altrove,
poi ch’udì che di Francia era partito:
hor più vicin gli è offerto luoco, dove
spera ch’el suo gli fia restituito.
El bel corno d’Aimonte ancho lo muove
ad accettar sì volentier l’invito,
e Brigliador non men; che sapea in mano
esser venuti al figlio di Troiano.
58
S’elegge per compagni alla battaglia
el fedel Brandimarte e il suo Cognato:
provato ha quanto e l’uno e l’altro vaglia;
sa che da trambi è sommamente amato.
Buon caval, buona piastra e buona maglia,
e spade cerca e lancie in ogni lato
per sé e’ compagni: che sappiate parme
che nessun d’essi havea le solite arme.
59
Orlando (come i’ v’ho detto più volte)
de le sue sparse per furor la terra;
a gl’altri ha Rodomonte le lor tolte,
c’hor alta torre in ripa un fiume serra.
Non se ne può per Aphrica haver molte;
sì perché in Francia portato alla guerra
havea Agramante ciò ch’era di buono,
sì perché poche in Aphrica ne sono.
60
Ciò che di ruginoso e di brunito
haver si può, fa ragunare Orlando;
con li compagni intanto va pel lito
de la futura pugna ragionando.
Gli avien ch’essendo fuor del campo uscito
più di tre miglia, e li occhi al mar alzando,
vide con le vele alte un grosso legno
verso il lito calar senza ritegno.
61
Senza nocchieri e senza naviganti,
sol come il vento e sua fortuna il mena,
venìa con le vele alte il legno inanti,
tanto che se ritenne in su l’arena.
Ma prima che di questo più vi canti,
l’amor ch’a Ruggier porto mi rimena
alla sua historia, e vuol ch’io vi racconte
di lui e del guerrier di Chiaramonte.
62
Di questi dui guerrier dissi che tratti
s’erano fuor del martïal agone,
viste conventïon rompere e patti,
e turbarsi ogni squadra e legïone.
Chi prima havesse i giuramenti fratti
e fosse del gran mal stato cagione,
o l’Imperator Carlo o il Re Agramante,
studian saper da chi lor passa inante.
63
Un servitor intanto di Ruggiero,
ch’era fedele e pratico et astuto,
né pel conflitto di dui campi fiero
havea di vista il patron mai perduto,
venne a trovarlo, e la spada e il destriero
gli diede, perché a’ suoi fusse in aiuto.
Montò Ruggiero e la sua spada tolse,
ma in la battaglia intrar non perhò vòlse.
64
Quindi si parte; ma prima rinuova
quel patto, quel che con Rinaldo havea:
che se pergiuro il suo Agramante truova,
lascierà lui con la sua setta rea.
Per quel giorno Ruggier far altra prova
d’arme non vòlse; ma solo attendea
fermar hor questo hor quello, e adimandarlo
chi prima ruppe, o il Re Agramante o Carlo.
65
Ode da tutto il mondo che la parte
del Re Agramante fu, che ruppe prima.
Ruggiero ama Agramante, e se si parte
per ciò da lui, far grande error si stima:
fur le genti Aphricane e rotte e sparte
(questo ho già detto inanzi), e da la cima
de la volubil ruota tratte al fondo,
come piacque a colei che gira il mondo.
66
Tra sé volve Ruggiero e fa discorso,
se restar deve o il suo signor seguire.
Gli pon l’amor de la sua donna un morso
per non lasciarlo in Aphrica più gire:
lo volta e gira, et a contrario corso
lo sprona, e lo minaccia di punire,
s’el patto e il giuramento non tien saldo,
che fatto havea col paladin Rinaldo.
67
Non men da l’altra parte il sferza e sprona
la vigilante e stimulosa cura,
che se Agramante a tanto uopo abbandona,
a viltà gli fia ascritto et a paura;
se del restar la causa parrà buona
a molti, a molti ad accettar fia dura:
molti diran che non se de’ osservare
quel ch’era ingiusto e illicito a giurare.
68
Tutto quel giorno e la notte seguente
stette solingo, e così l’altro giorno,
pur travagliando in la dubbiosa mente
se partir deve o far quivi soggiorno.
Pel signor suo conclude finalmente
di fargli dietro in Aphrica ritorno:
potea in lui molto il coniugale amore,
ma più vi potea il debito e l’honore.
69
Torna verso Arli; che trovar vi spera
l’armata anchor, ch’in Aphrica il transporti:
né legno in mar né dentro alla riviera,
né Saracini vede, se non morti.
Seco al partire ogni legno che v’era
trasse Agramante, e ’l resto arse ne’ porti.
Fallitogli il pensier, prese il camino
verso Marsiglia pel lito marino.
70
Sa che vi potrà haver qualche naviglio
ch’a prieghi o forza il porti all’altra riva.
Già v’era giunto del Danese il figlio
con l’armata de’ Barbari captiva.
Non s’havrebbe potuto un gran di miglio
gettar ne l’acqua: tanto la copriva
la spessa moltitudine de navi,
de vincitori e de prigioni, gravi.
71
Le navi de’ pagani, che avanzaro
dal fuoco e dal naufragio quella notte
(excetto poche che in fuga n’andaro),
tutte a Marsiglia havea Dudon condotte.
Sette di quei ch’in Aphrica regnaro,
che, poi che le lor genti vider rotte,
con sette legni lor s’erano resi,
stavan dolenti inanzi a l’altri presi.
72
Era Dudon sopra la spiaggia uscito,
ch’a trovar Carlo andar volea quel giorno;
e de’ captivi e de lor spoglie ordito
con lunga pompa havea un triompho adorno.
Eran tutti i prigion stesi nel lito;
li Nubi vincitori allegri intorno
facean, gridando il nome di Dudone,
sentirsi oltra la aerea regïone.
73
Venne in speranza di lontan Ruggiero,
che questa fusse armata d’Agramante;
e per saperne il certo urtò il destriero:
ma riconnobbe, come fu più inante,
il Re de Nasamona prigionero,
Bambirago, Agricalte e Farurante,
Manilardo e Balastro e Rimedonte,
che piangendo tenean bassa la fronte.
74
Ruggier li amava, e sofferir non puòte
lasciarli in la miseria in che trovolli.
Quivi sa che a venir con le man vuote
potrian poco valere i prieghi molli.
La lancia abbassa, e chi li tien percuote;
e fora spalle e fianchi e petti e colli:
stringe la spada, e in un piccol momento
ne fa cadere intorno più di cento.
75
Dudone ode il rumor, la strage vede
che fa Ruggier, ma chi sia non connosce;
vede li suoi ch’in fuga han volto il piede
con gran timor, con pianto e con angosce.
Presto el destriero, il scudo e l’elmo chiede;
che già havea armato e petto e braccia e cosce:
salta a cavallo, e si fa dar la lancia,
e non oblia ch’è paladin di Francia.
76
Grida che se retiri ognun da canto,
spinge il cavallo e fa che sente i sproni.
Ruggier cent’altri n’havea occisi intanto,
e gran speranza dato alli prigioni:
e come venir vide Dudon santo
solo a caval, che l’altri eran pedoni,
stimò che capo o che signor lor fosse;
e contra lui con gran desir si mosse.
77
Già mosso prima era Dudon; ma quando
senza lancia Ruggier vide venire,
lunge da sé la sua gettò, sdegnando
con tal vantaggio il cavallier ferire.
Ruggiero, al cortese atto riguardando,
disse fra sé: – Costui non può fallire
esser de’ buoni cavallier del mondo,
più presso al primo, che drieto al secondo.
78
E inanzi che segua altro, voglio il nome
saper di lui, se non mi vuol celarlo; –
e così dimandollo: e seppe come
era Dudon de’ paladin di Carlo.
Dudon gravò Ruggier poi d’ugual some,
e lo trovò cortese in satisfarlo.
Poi ch’i nomi tra lor s’hebbeno detti,
si disfidaro e venero alli effetti.
79
Havea Dudon quella ferrata mazza
ch’in mille imprese gli diè eterno honore:
con essa mostra ben che egli è di razza
di quel Danese pien d’alto valore.
La spada che non cura elmo o corazza,
di che non era al mondo la migliore,
trasse Ruggiero, e fece paragone
de sua virtude al paladin Dudone.
80
Ma perché in mente ognhora havea di meno
offender la sua Donna che potea,
certo era ben, che se spargea il terreno
del sangue di costui, quella offendea:
de le case di Francia instrutto a pieno,
sa che Armelina, che produtto havea
Dudone, era sorella di Beatrice,
che fu di Bradamante genitrice.
81
Per questo mai di punta non gli trasse,
e di taglio rarissimo ferìa.
Schermiase, ovunque la mazza calasse,
hor ribattendo, hor dandole la via.
Crede Turpin che per Ruggier restasse,
che Dudon morto in pochi colpi havria:
né mai, qualunque volta si scoperse,
ferir, se non di piatto, lo sofferse.
82
Del piatto usar potea, come del taglio,
Ruggier la spada sua, c’havea gran schiena;
e quivi a strano giuoco di sonaglio
sopra Dudon con tanta forza mena,
che spesso a li occhi gli pon tal barbaglio,
che si ritien di non cadere a pena.
Ma per esser più grato a chi m’ascolta,
il cantar differisco a una altra volta.