CANTO SECONDO

1
Ingiustissimo Amor, perché sì raro
correspondenti fai nostri disiri?
onde, perfido, avien che t’è sì caro
il discorde voler che in dui cor miri?
Ir non mi lasci al facil guado e chiaro,
e nel più cieco e maggior fondo tiri;
da chi disia il mio amor tu mi richiami,
e chi m’ha in odio vuoi che adori et ami.
2
Fai che a Rinaldo Angelica par bella,
quando esso a lei brutto e spiacevol pare;
quando le parea bello e l’amava ella,
egli odiò lei quanto si può più odiare.
Hora s’afflige indarno e si flagella;
e così reso ben gli è pare a pare:
ella l’ha in odio, e l’odio è di tal sorte,
che più presto che lui vorria la morte.
3
Rinaldo a lui con ira e con orgoglio
gridò: – Scendi, ladron, del mio cavallo!
Che mi sia tolto il mio, patir non soglio,
ma ben fo a chi lo vuol caro costallo;
e levar questa donna ancho ti voglio,
che serebbe a lasciartela gran fallo:
sì perfetto destrier, donna sì degna
a un ladron non mi par che si convegna. –
4
– Tu te ne menti ben che ladro io sia
(rispose il Saracin non meno altiero):
chi dicesse a te ladro, lo diria
(per quanto n’è la fama) più con vero.
Che degno o indegno de la donna i’ sia,
non te n’ho a render conto di leggiero;
ma vuo’ ben dir, che se degno di lei
poco sono io, che tu nulla ne sei. –
5
Come soglion talhor dui can mordenti,
o per invidia o per altro odio mossi,
avicinarsi degrignando i denti,
con occhi bieci e più che bragia rossi;
indi a’ morsi venir di rabbia ardenti,
con aspri ronchi e rabuffati dossi:
così alle spade e da’ gridi e da l’onte
venne il Circasso e quel di Chiaramonte.
6
A piedi è l’un, l’altro a cavallo: hor quale
credete c’habbia il Saracin vantaggio?
Né ve n’ha perhò alcun, che così vale
forse anchor men ch’uno inexperto paggio:
ch’el destrier per instinto naturale
non volea fare al suo Signore oltraggio;
né con man né con spron puòte il Circasso
farlo a voluntà sua muover mai passo.
7
Quando crede cacciarlo, egli s’arresta;
e se tener lo vuole, o corre o trotta;
poi sotto il petto si caccia la testa,
giuoca di schiene e mena calci in frotta.
Vedendo il Saracin ch’a domar questa
furia bestial non v’era tempo allhotta,
ferma le man sul primo arcione e s’alza,
e dal sinistro fianco in piede sbalza.
8
Sciolto che fu el Pagan con leggier salto
da l’ostinatïon c’havea Baiardo,
si vide cominciar ben degno assalto
d’un par di cavallier tanto gagliardo.
Suona l’un brando e l’altro, hor basso hor alto:
il martel di Vulcano era più tardo
ne la spelonca affumicata, dove
battea all’incude e’ folgori di Giove.
9
Fanno hor con lunghi, hora con finti e scarsi
colpi veder che mastri son del giuoco:
hor li vedi ire altieri, hor ranicchiarsi;
hora coprirsi, hora mostrarsi un poco;
hora crescere inanzi, hora ritrarsi;
ribatter colpi, e spesso lor dar luoco;
girarsi intorno, e donde l’uno cede
l’altro haver posto immantinente il piede.
10
Ecco Rinaldo con la spada adosso
a Sacripante tutto se abandona;
quel porge il scudo inante, ch’era d’osso,
con la piastra d’acciar temprata e buona.
Taglial Fusberta, anchor che molto grosso;
ne geme la foresta e ne risuona:
l’osso e l’acciar ne va che par di giaccio
e lassa al Saracin stordito il braccio.
11
Come vide la timida donzella
dal fiero colpo uscir tanta ruina,
per gran timor cangiò la faccia bella,
quale il reo ch’al supplicio se avicina;
né le par che vi sia da tardar, s’ella
non vuol di quel Rinaldo esser rapina,
di quel Rinaldo ch’ella tanto odiava
quanto esso lei miseramente amava.
12
Volta il Cavallo, e ne la selva folta
il caccia per un aspro e stretto calle;
e spesso il smorto viso adietro volta,
che le par che Rinaldo habbia alle spalle.
Fuggendo non havea fatto via molta
che scontrò un Eremita in una valle,
c’havea lunga la barba a mezo il petto,
devoto e venerabile d’aspetto.
13
Da li anni e dal digiuno attenuato,
sopra un lento asinel se ne veniva;
e parea più che alcun fosse mai stato
di conscïenza scrupulosa e schiva.
Come egli vide il viso delicato
de la donzella che sopra gli arriva,
debil quantunque e mal gagliarda fosse,
tutta per charità se gli commosse.
14
La donna al fraticel chiede la via
che la conduca ad un porto di mare,
perché levar di Francia si vorria
per non udir Rinaldo nominare.
Il frate, che sapea negromantia,
non cessa la donzella confortare
che presto la trarrà d’ogni periglio;
et a una tasca sua diede di piglio.
15
Trassene un libro, e mostrò grande effetto;
che legger non finì la prima faccia,
ch’uscir fa un spirto in forma d’un valletto
e gli commanda quanto vuol ch’el faccia.
Quel se ne va, da la scrittura astretto,
dove i duo cavallieri a faccia a faccia
eran nel bosco, e non stavano al rezo;
fra’ quali intrò con grande audacia in mezo.
16
– Per cortesia (disse), un di voi mi mostre,
quando ancho occida l’altro, che gli vaglia:
che merto harete alle fatiche vostre,
finita che tra voi sia la battaglia,
se ’l conte Orlando, senza liti o giostre,
e senza pur haver rotta una maglia,
verso Parigi mena la donzella
che v’ha condotti a questa pugna fella?
17
Vicino un miglio ho ritrovato Orlando
che ne va con Angelica a Parigi,
di voi ridendo insieme e motteggiando
che senza frutto alcun siate in litigi.
Il meglio forse vi sarebbe (hor quando
non son più lungi) a seguir lor vestigi;
che s’in Parigi Orlando la può havere,
non ve la lascia mai più rivedere. –
18
Veduto hareste e’ cavallier turbarsi
a quel annontio, e mesti e sbigottiti
senza occhi e senza mente nominarsi
che sì li havesse il lor rival scherniti;
ma con suspir Rinaldo al caval trarsi,
con suspir che parean del foco usciti,
giurar di passïone e di furore,
se giunge Orlando, di cavargli il core.
19
E dove aspetta il suo Baiardo passa,
e sopra vi si lancia e via galoppa;
n’al Cavallier, ch’a piè nel bosco lassa,
pur dice adio, non che lo ’nviti in groppa.
L’animoso Cavallo urta e fracassa
(punto dal suo signor) ciò che gli ’ntoppa:
non ponno fosse o fiumi o sassi o spini
far che dal corso il corridor declini.
20
Signor, non voglio che vi paia strano
se Rinaldo hor sì presto il caval piglia
che già duo giorni ha seguitato invano,
né gli ha possuto mai toccar la briglia.
Fece il Destrier, c’havea intelletto humano,
non per vitio seguirsi tante miglia,
ma per guidar dove la donna giva
il suo signor, da chi bramar l’udiva.
21
Quando ella si fuggì dal padiglione,
la vide et osservolla il buon Destriero
che si trovava haver vuoto l’arcione,
perhò che n’era sceso il Cavalliero
per combatter di par con un Barone,
che men di lui non era in arme fiero;
e seguitonne l’orme di lontano,
bramoso porla al suo signore in mano.
22
Bramoso di ritrarlo ove fosse Ella,
per la gran selva inanzi se gli messe;
né lo volea lasciar montar in sella
perché ad altro camin non lo volgesse.
Per lui trovò Rinaldo la Donzella
una e dua volte, e mai non gli successe;
che fu da Feraù prima impedito,
poi dal Circasso, come haveti udito.
23
Hora, al demonio che mostrò a Rinaldo
de la donzella li falsi vestigi
credette il Caval ancho, e stette saldo
e mansueto a’ soliti servigi.
Rinaldo il caccia, d’ira e d’Amor caldo,
a tutta briglia, e sempre invêr Parigi;
e vola tanto col disio, che lento
(non che un destrier) ma gli parrebbe il vento.
24
La notte a pena di seguir rimane,
per affrontarsi col signor d’Anglante:
tanto ha creduto alle parole vane
del messaggier del cauto Negromante.
Non cessa cavalcar sera e dimane
che si vede apparir la terra inante,
dove Re Carlo, rotto e mal condotto,
con le reliquie sue s’era ridotto.
25
E perché dal Re d’Africa battaglia
et assedio v’aspetta, ogni sua cura
è di raccôrvi gente e vittuaglia,
far cavamenti e riparar le mura.
Ciò ch’a diffesa spera che gli vaglia
senza gran diferrir tutto procura:
pensa mandare in Inghilterra, e trarne
gente onde possa un nuovo campo farne;
26
che vuole uscir di nuovo alla campagna
e ritentar la sorte de la guerra.
Spaccia Rinaldo subito in Bertagna,
Bertagna che fu poi detta Inghilterra.
Ben de l’andata il paladin si lagna:
non c’habbia così in odio quella terra,
ma perché vuol che parta allhora allhora,
né pur lo lascia un giorno far dimora.
27
Rinaldo mai di ciò non fece meno
volentier cosa, poi che fu distolto
di gir cercando il bel viso sereno
che gli havea ’l cor di mezo ’l petto tolto:
ma per ubidir Carlo, nondimeno
a quella via si fu subito volto.
In pochi giorni si trovò a Calesse,
dove imbarcossi e per passar si messe.
28
Contra la volontà d’ogni nocchiero,
pel gran disir che di tornare havea,
intrò nel mar, ch’era turbato e fiero
e gran procella minacciar parea.
El Vento si sdegnò che da l’altiero
sprezzar si vide, e con tempesta rea
sollevò il mare intorno, e con tal rabbia,
che gli mandò a bagnar sino alla gabbia.
29
Calano presto i marinari accorti
le maggior vele, e pensano dar volta
e ritornarsi in li medesmi porti
donde in mal punto havean la nave sciolta.
– Non convien (dice il Vento) ch’io comporti
tanta licentia che v’haveti tolta; –
e soffia e grida e naufragio minaccia
s’altrove van che dove egli li caccia.
30
Hor a poppa, hor all’orza hanno ’l crudele,
che mai non cessa, e vien più ognhor crescendo:
essi di qua e di là con humil vele
vansi aggirando, e l’alto mar scorrendo.
Ma perché varie fila a varie tele
uopo mi son, che tutte ordire intendo,
lascio Rinaldo e l’agitata prua
e torno a dir di Bradamante sua.
31
Io parlo di quella inclyta Donzella
per cui Re Sacripante in terra giacque,
che, di questo signor degna sorella,
del Duca Amone e di Beatrice nacque.
La gran possanza e il molto ardir di quella
non meno a Carlo e tutta Francia piacque,
che più d’un paragon ne vide saldo,
ch’el lodato valor del bon Rinaldo.
32
La donna amata fu da un cavalliero
che d’Africa passò col Re Agramante,
che partorì del seme di Ruggiero
la disperata figlia d’Agolante:
e costei, che né d’orso né di fiero
leone uscì, non sdegnò tal amante,
ben che concesso anchor Fortuna trista
non l’ha più nanzi d’una dolce vista.
33
Quindi cercando Bradamante gìa
l’amator suo, c’havea ’l nome del padre,
così sicura, senza compagnia,
come havesse a sua guardia mille squadre:
e fatto c’hebbe il Re di Circassia
battere il volto de l’antiqua madre,
traversò un bosco, e dopo ’l bosco un monte,
tanto che giunse ad una bella fonte.
34
La fonte discorrea per mezo un prato
d’arbori antiqui e di bell’ombre adorno,
che li viandanti con mormorio grato
a ber invita e far seco soggiorno;
un culto monticel dal destro lato
le difende il calor del mezo giorno.
Quivi, come i begli occhi prima torse,
d’un cavallier la giovane s’accorse,
35
d’un cavaller, ch’all’ombra d’un boschetto,
nel margin verde e bianco e rosso e giallo
sedea pensoso, tacito e soletto,
sopra quel chiaro e liquido christallo.
Non lontan gli pendea ’l scudo e l’elmetto
dal faggio, ove legato era il cavallo;
et havea gli occhi molli e il viso basso,
e si mostrava addolorato e lasso.
36
Questo disir ch’a tutti sta nel core,
de’ fatti altrui sempre cercar novella,
fece a quel cavaller del suo dolore
la cagion dimandar da la donzella.
Egli l’aperse e tutta mostrò fuore,
dal cortese parlar mosso di quella
e dal sembiante altier, ch’al primo sguardo
gli sembrò di guerrer molto gagliardo.
37
E comminciò: – Signore, io conducea
pedoni e cavalleri, e venìa in campo
là dove Carlo Marsiglio attendea
per fargli al scender l’alpe haver inciampo;
e una giovane bella meco havea,
del cui fervido amor nel petto avampo:
e ritrovai presso a Rodonna armato
un che frenava un gran destrero alato.
38
Tosto ch’el ladro, o sia mortale, o sia
una de l’infernali anime horrende,
vede la bella e cara donna mia,
come falcon che per ferir discende,
cala e poggia in uno atimo, e tra via
getta le mani, e la smarrita prende:
anchor non m’era accorto de l’assalto,
che de la donna io senti’ il grido in alto.
39
Così il rapace Nibio furar suole
el misero pulcin presso alla chioccia,
che di sua inadvertenza si conduole
e vanamente poi drieto gli croccia.
Io non posso seguire un huom che vole,
chiuso tra l’alpi, a piè d’un’erta roccia:
stanco ho ’l destrer, che muta a pena i passi
ne l’aspre vie de’ faticosi sassi.
40
Ma, come quel che men curato harei
veder del petto erradicarmi il core,
lasciai lor via seguir quell’altri miei
senza mia guida e senza alcun rettore:
per li scoscesi poggi e manco rei
presi la via che mi mostrava Amore,
e dove mi parea che quel rapace
portassi il mio conforto e la mia pace.
41
Sei giorni me n’andai matino e sera
per balze e per pendici horride e strane,
dove non via, dove sentier non era,
dove non segno di vestigie humane;
tanto ch’io venni in una valle austera,
di ripe cinta e spaventose tane,
che nel mezo s’un sasso havea un castello
forte e ben posto, e a maraviglia bello.
42
Da lungi par che come fiamma lustri,
né sia di terra cotta, né di marmi.
Come più m’avicino ai muri illustri
l’opra più bella e più mirabil parmi;
e seppi poi che li demoni industri,
da suffumigi tratti e sacri carmi,
tutto d’azzaio cinsero il bel luoco,
temprato all’onda stigia, al stigio foco.
43
Di sì terso metal luce ogni torre,
ch’in tutto non appar sola una macchia.
Da quel castello il maledetto scorre
tutto ’l paese, e là dentro s’immacchia.
Dove giunge con man non vi s’ha a porre
scala né uncino, e ’ndarno se gli gracchia.
Quivi con molto altrui lo mio mi tiene,
che di mai ricovrar lascio ogni spene.
44
Ah lasso! che poss’io più che mirare
la ròcca lungi, ove il mio ben m’è chiuso?
come volpe, che ’l figlio ode gridare
dentro il nido de l’aquila di giuso,
s’aggira intorno, e non sa che si fare,
poi che l’ali non ha da gir là suso.
Tanto è quel sasso altier, tale è il castello,
che non vi può salir chi non è augello.
45
Mentre io tardavo quivi, ecco venire
duo cavallier c’havean per guida un Nano,
che la speranza giunsero al disire;
ma ben fu la speranza e il disir vano.
Ambi erano guerrier di summo ardire:
era Gradasso l’un, Re Sericano;
era l’altro Ruggier, giovene forte,
molto pregiato in l’Africana corte.
46
«Vengon» mi dicea il Nano «per far prova
di lor persona col sir del castello,
che per via strana, inusitata e nuova
cavalca armato il quadrupede augello».
«Deh, signor (dissi io lor), pietà vi mova
del duro caso mio spietato e fello!
Quando (come ho speranza) voi vinciate,
vi prego che mia donna mi rendiate».
47
E come mi fu tolta lor narrai,
con lachryme affermando il dolor mio.
Quei proferiro (lor mercede) assai,
e giù calaro il poggio alpestre e rio.
Di lontan la battaglia io riguardai,
pregando per la lor vittoria Dio.
Era sotto ’l castel tanto di piano
quanto in duo volte si può trar con mano.
48
Poi che fur giunti a piè de l’alta Ròcca,
l’uno e l’altro volea combatter prima;
pur a Gradasso (o fosse sorte) tocca,
o pur che non ne fe’ Ruggier più stima.
Quel Serican si pone il corno a bocca;
ribomba il sasso e la fortezza in cima:
ecco apparire il cavalliero armato
fuor de la porta, e sul caval alato.
49
Comminciò a poco a poco indi a levarse
come suol far la peregrina grue,
che correr prima, e poi si vede alzarse
alla terra vicina un braccio o due;
e quando tutte sono all’aria sparse,
velocissime mostra l’ale sue.
Sì ad alto il Negromante batte l’ale,
ch’a tanta altezza a pena Aquila sale.
50
Poi, come parve a lui, volse il destriero,
che chiuse i vanni e venne a terra a piombo,
come casca dal ciel falcon maniero
che levar veggia l’Anitra o il Colombo.
Con la lancia arrestata il cavalliero
l’aria fendendo vien d’horribil rombo;
Gradasso a pena del calar s’accorge
che giunto il vede, e a tempo il scudo porge.
51
Sopra Gradasso il Mago l’hasta roppe;
ferì Gradasso il vento e l’aria vana;
per questo il volator non interroppe
el batter l’ale, e quindi s’allontana.
El grave scontro fa chinar le groppe
sul verde prato alla gagliarda Alfana:
Gradasso havea un’Alfana, la più bella
e la miglior che mai portasse sella.
52
Sin nele stelle il volator trascorse;
indi girossi, e tornò in fretta al basso
e percosse Ruggier che non s’accorse,
Ruggier che tutto intento era a Gradasso.
Ruggier del grave colpo si distorse
e ’l suo destrier più rinculò d’un passo:
e quando si voltò per lui ferire,
da sé lontano il vide al ciel salire.
53
Hor su Gradasso, hor su Ruggier percuote
ne la fronte, nel petto e ne la schiena,
e le botte di quei lascia ognhor vuote,
perché è sì presto che si vede a pena.
Girando va con spatïose ruote
e quando all’uno accenna, all’altro mena:
et essi, per guardare onde li assaglia,
non batton gli occhi e il lume s’abbarbaglia.
54
Tra duo guerrieri in terra et uno in cielo
la battaglia durò sin a quell’hora
che, spiegando pel mondo oscuro velo,
tutte le belle cose discolora.
Fu quel ch’io dico, e non v’aggiungo un pelo:
io ’l vidi, io ’l so, né m’assicuro anchora
di dirlo altrui, che questa maraviglia
al falso più ch’al ver si rassimiglia.
55
D’un bel drappo di seta havea coperto
el scudo in braccio il cavallier celeste,
come havesse, non so, tanto sofferto
di tenerlo nascosto in quella veste;
ch’immantinente che lo mostra aperto,
forza è chi ’l mira abbarbagliato reste
e cada come corpo morto cade,
e vegna al Negromante in potestade.
56
Fiammeggia il scudo a guisa di piropo,
ma luce altra non è tanto lucente:
cader in terra a quel splendor fu uopo
con gli occhi abbacinati e senza mente.
Persi da lungi anch’io li sensi, e dopo
gran spatio mi rïhebbi finalmente;
né più i guerrieri, né più vidi il Nano,
ma vuoto il campo, e scuro il monte e il piano.
57
Pensai per questo che l’incantatore
havesse amendua colti a un tratto insieme
e tolto con la forza del splendore
a-llor la libertade, a me la speme.
Così a quel luoco che chiudea il mio core
dissi, partendo, le parole estreme:
hor giudicate s’altra pena ria
che causi Amor può pareggiar la mia. –
58
Ritornò il cavallier nel primo duolo,
poi che alla donna la ragion ne rese.
Questo era il conte Pinabel, figliuolo
d’Anselmo d’Altaripa, Maganzese,
che tra sua gente scelerata solo
leale esser non vòlse né cortese,
ma ne li vitii abominandi e brutti
non pur li altri uguagliò, ma passò tutti.
59
La bella Donna con diverso aspetto
stette, ascoltando il Maganzese, cheta,
che come prima di Ruggier fu detto
nel viso si mostrò più che mai lieta;
ma quando sentì poi ch’era in distretto
turbossi tutta d’amorosa pieta,
e per poterne me’ certificarse
duo volte e tre lo fece replicarse.
60
E poi ch’al fin le parve esserne chiara,
gli disse: – Cavallier, datti riposo,
che ben può la mia giunta esserti cara,
parerti questo giorno aventuroso.
Andiamo presto a quella stanza avara
che sì ricco thesor ne tiene ascoso;
né spesa serà invan questa fatica,
se Fortuna non m’è troppo nemica. –
61
Rispose il cavallier: – Tu vuoi ch’io passi
di nuovo i monti e mostrite la via?
A me molto non è perdere i passi,
perduta havendo ogni altra cosa mia;
ma tu per balzi e ruinosi sassi
cerchi intrar in pregione, e così sia:
non hai di che dolerti di me, poi
ch’io tel predìco, e tu pur gir vi vuoi. –
62
Così dice egli, e torna al suo destriero
e di quella animosa si fa guida,
che si mette a periglio, per Ruggiero,
che la pigli quel Mago o che la ancida.
In questo, ecco alle spalle il messaggiero
ch’ – Aspetta, aspetta! – a tutta voce grida,
quel che al Circasso havea fatto palese
che costei fu ch’in l’herba lo distese.
63
A Bradamante il messaggier novella
di Mompolier, Arli e Narbona porta,
che levato i stendardi di Castella
havean, con tutto il lito d’Acquamorta;
e che Marsiglia, non vi essendo quella
che la devea guardar, mal si conforta,
sì che il populo a lei si raccomanda
e il valor d’essa in suo favor dimanda.
64
L’Imperatore a questa bella figlia
del duca Amon, in c’ha speranza e fede
(perhò ch’el suo valor con maraviglia
riguardar suol quando armeggiar la vede),
havea dato il governo di Marsiglia;
et hor che Carlo ha volto in fuga il piede,
da la cittade a-ccui bisogna aiuto
a cercar lei quel messo era venuto.
65
Tra sì e no la giovane suspesa,
di voler ritornar dubita un poco:
quinci del stato il debito le pesa,
quindi l’incalza l’amoroso foco.
Fermasi al fin di seguitar l’impresa
e trar Ruggier de l’incantato loco;
e quando sua virtù non possa tanto,
almen restargli prigionera accanto.
66
E finge honesta scusa a quel messaggio,
sì che senza essa il fa tornar adrieto.
Indi gira la briglia al suo vïaggio
con Pinabel, che non ne parve lieto:
che seppe esser costei di quel lignaggio
che tanto ha in odio in publico e in secreto;
e già s’avisa le future angoscie
se lui per Maganzese ella connosce.
67
Tra casa di Maganza e Chiaramonte
era odio antico e inimicitia intensa,
e più volte s’havean rotta la fronte
e di lor sangue sparsa copia immensa:
e perhò nel suo cor l’iniquo Conte
tradir l’incauta Giovane si pensa;
o, come prima commodo gli accada,
lasciarla sola e trovar altra strada.
68
E tanto gli occupò la fantasia
il nativo odio, il dubbio e la paura,
che inavedutamente uscì di via
e ritrovossi in una selva oscura,
che nel mezo havea un monte che finia
la nuda cima in una pietra dura;
e la figlia del Duca di Dordona
gli è sempre drieto, e mai non l’abbandona.
69
Come si vide il Maganzese al bosco,
pensò tôrse la donna da le spalle.
Disse: – Prima ch’el ciel torni più fosco
verso uno albergo è meglio farsi il calle.
Oltra quel monte (s’io lo riconosco)
siede un ricco Castel giù ne la valle:
tu qui m’aspetta; che dal nudo scoglio
con gli occhi più certificar mi voglio. –
70
Così dicendo, alla cima superna
del solitario monte il destrier caccia,
mirando pur s’alcuna via discerna
di levarsi la donna da la traccia.
Ecco nel sasso trova una caverna
che si profonda più di trenta braccia:
tagliato a picchi et a scarpelli el sasso
scende in la roccia et ha una porta al basso.
71
Ha nel fondo una porta ampla e capace
che in maggior stanza largo adito dava,
e fuor n’uscia un splendor, come di face
ch’ardesse in mezo alla montana cava.
Mentre quivi il fellon suspeso tace,
Bradamante, che a lungi il sequitava
perché perderne l’orma si temea,
nanzi alla grotta gli sopragiungea.
72
Poi che si vide il traditore uscire
quel che havea prima disegnato invano,
o da sé tôrla o di farla morire
nuovo argumento imaginossi e strano.
Le si fe’ incontra, e su la fe’ salire
là dove il monte era forato e vano;
e le disse c’havea visto nel fondo
una donzella di viso giocondo,
73
ch’a’ bei sembianti et alla ricca vesta
esser parea di non ignobil grado;
ma quanto più potea turbata e mesta,
mostrava esservi chiusa suo mal grado;
e per saper la condition di questa,
c’havea già cominciato intrar il guado;
e che era uscito de la interna grotta
un che drento a furor l’havea ridotta.
74
Bradamante, che molto era animosa
et hor mal cauta, a Pinabel diè fede;
e d’aiutar la donna disïosa,
si pensa come por colagiù il piede.
Ecco d’un olmo alla cima frondosa
volgendo gli occhi, un lungo ramo vede,
e con la spada quel subito tronca
e lo declina giù ne la spelonca.
75
Dove è tagliato, in man lo raccomanda
a Pinabello, e poscia a quel s’appende:
prima giù e’ piedi ne la tana manda
e su le braccia tutta si suspende.
Sorride Pinabello, e le dimanda
come ella salti; e le man apre e stende,
dicendole: – Qui fusser teco insieme
tutti li tuoi, ch’io ne spegnessi il seme! –
76
Non come vòlse Pinabel avenne
de l’innocente giovane la sorte,
perché giù diroccando a ferir venne
prima nel fondo il ramo saldo e forte.
Ben si spezzò, ma tanto la sostenne
ch’el suo favor la liberò da morte.
Giacque stordita la donzella alquanto,
come vi seguirò ne l’altro canto.