CANTO VIGESIMOQUINTO

1
Molti consigli de le donne sono
meglio improviso, che a pensarvi, usciti;
che questo è spetïale e proprio dono
fra tanti e tanti lor dal ciel largiti.
Ma può mal quel de li huomini esser buono,
che maturo discorso non aiti
e non vi s’habbia a ruminarvi sopra,
speso alcun tempo e molto studio et opra.
2
Parve, e non fu perhò buono il consiglio
di Malagigi, anchor che, come ho detto,
per questo di grandissimo periglio
liberassi il cugin suo Ricciardetto.
A levare indi Rodomonte e il figlio
del Re Agrican, il spirto havea constretto,
non avertendo che serebbon tratti
dove i Christian ne rimarrian disfatti.
3
Ma se spatio a pensarvi havesse havuto,
creder si può che dato similmente
al suo Cugino havria debito aiuto,
né fatto danno alla Christiana gente:
commandare a quel spirto havria potuto
ch’alla via di Levante o di Ponente
sì dilungata havesse la donzella,
che non ne udisse Francia più novella.
4
Così li amanti suoi l’havrian seguita,
come a Parigi, ancho in ogn’altro luoco;
ma fu questa avertenza inavertita
da Malagigi, per pensarvi poco:
e la Malignità dal ciel bandita,
di sangue avida sempre e ferro e fuoco,
prese la via donde più Carlo afflisse,
poi ch’el Mastro nessuna gli prescrisse.
5
El palafren c’havea il demonio a fianco
portò la spaventata Doralice,
che non la puòte arrestar fiume, e manco
fossa, boscho, palude, erta o pendice;
fin che per mezo il campo Inglese e il Franco,
e l’altra moltitudine fautrice
de l’insegne di Christo, rassegnata
non l’hebbe al padre suo Re di Granata.
6
Rodomonte e il figliuol del Re Agricane
el primo dì la seguitaro un pezzo,
che le vedean le spalle, ma lontane:
poi di vista la persero da sezzo,
e venner per la traccia, come il cane
a ritrovar la lepre o ’l caprio avezzo;
né si fermâr, che furo in parte dove
di lei (ch’era col padre) hebbono nuove.
7
Guàrdati, Carlo, ch’el ti viene adosso
tanto furor, che non ti veggio scampo;
e non pur questi, ma Gradasso è mosso
con Sacripante a danno del tuo campo.
Fortuna, per toccarti sin all’osso,
ti tolle a un tempo l’uno e l’altro lampo
di forza e di saper, che vivea teco;
e tu rimaso in tenebre sei cieco.
8
Io ti dico d’Orlando e di Rinaldo:
che l’uno al tutto furïoso e folle,
al sereno, alla pioggia, al freddo, al caldo,
nudo va discorrendo il piano e il colle;
l’altro, con senno non troppo più saldo,
d’appresso al gran bisogno ti si tolle;
che non trovando Angelica in Parigi,
si parte e va cercandone vestigi.
9
Un fraudolento vecchio incantatore
fatto gli havea (come a principio dissi)
creder per un fantastico suo errore
che con Orlando Angelica venissi:
onde di gelosia tocco nel core,
de la maggior ch’amante mai sentissi,
venne a Parigi, e come apparve in corte
d’ire in Bertagna gli toccò per sorte.
10
Hor fatta la battaglia, onde portonne
egli l’honor d’haver chiuso Agramante,
tornò a Parigi, e monastier di donne
e case e ròcche cercò tutte quante:
se non era murata in le colonne,
l’havria trovata il curïoso amante.
Vedendo al fin ch’ella non v’è né Orlando,
ambi li va con gran disio cercando.
11
Pensò che nel suo Anglante o in la sua Brava
se la godesse Orlando in festa e in giuoco;
e qua e là per ritrovarla andava,
né la trovò né in l’un né in l’altro luoco.
A Parigi di nuovo ritornava,
fra sé dicendo: – Orlando devria poco
tardar homai di capitare al varco;
ch’absente esser non può senza suo incarco. –
12
Un giorno o dui ne la città soggiorna
Rinaldo; e poi che Orlando non arriva,
hor verso Anglante, hor verso Brava torna,
spiando se di lui novella udiva.
Cavalca e quando annotta e quando aggiorna,
in la fredda alba, in l’ardente hora estiva;
e fa a lume hor del Sole, hor de la Luna
ducento volte questa via, non che una.
13
Quel antiquo Aversario, che fece Eva
al divietato pomo alzar la mano,
a Carlo un giorno i lividi occhi lieva,
che ’l buon Rinaldo era da lui lontano;
e vedendo la rotta che poteva
darsi in quel punto al populo Christiano,
quanta excellentia d’arme al mondo fusse
fra tutti i Saracini, ivi condusse.
14
Al Re Gradasso e al buon Re Sacripante,
ch’eran fatti compagni all’uscir fuore
de la piena d’error casa d’Atlante,
di venire in soccorso messe in core
alle genti assediate d’Agramante,
e destruttion di Carlo Imperatore:
et egli per l’incognite contrade
fe’ lor la scorta e agevolò le strade.
15
E diede a un altro de li suoi negotio
d’affrettar Rodomonte e Mandricardo
per le vestigie donde l’altro sotio
a trar non era Doralice tardo.
Mandonne anchora un altro, perché in otio
non stia Marphisa né Ruggier gagliardo;
ma chi guidò l’ultima coppia tenne
la briglia più, né quando li altri venne.
16
La coppia di Marphisa e di Ruggiero
di meza hora più tarda si condusse;
perhò che astutamente l’angel nero,
volendo alli Christian dar de le busse,
provide che la lite del destriero
per impedire il suo desir non fusse,
che rinovata si saria, se giunto
fusse Ruggiero e Rodomonte a un punto.
17
Li quattro primi si trovaro insieme
onde potean veder li alloggiamenti
de l’exercito oppresso e di chi ’l preme,
e le bandiere in che feriano i venti.
Si consigliaro alquanto; e fur l’estreme
conclusïon de’ lor ragionamenti
di dare aiuto, mal grado di Carlo,
al Re Agramante, e de l’assedio trarlo.
18
Stringonsi insieme, e prendono la via
per mezzo le trabacche di Christiani,
gridando: Aphrica e Spagna! tuttavia;
e si scopriro in tutto esser pagani.
Pel campo arme, arme risonar s’udia;
ma menar si sentîr prima le mani:
e già del retroguardo una gran frotta,
non che assalita sia, ma fugge in rotta.
19
L’exercito Christian mosso a tumulto
sozopra va senza sapere il fatto:
extima alcun che sia uno usato insulto
che Svizari o Vasconi habbiano fatto.
Ma perché alla più parte è il caso occulto,
s’aduna insieme ogni nation di fatto,
altri a suon di tamburo, altri di tromba:
grande è il rumore, e sino al ciel ribomba.
20
El magno Imperator, fuor che la testa,
è tutto armato, e i paladini ha presso;
e dimandando vien che cosa è questa
che le squadre in disordine gli ha messo;
e minacciando, hor questi hor quelli arresta;
e vede a molti il viso o ’l petto fesso,
ad altri insanguinare o ’l capo o ’l gozzo,
alcun tornar con mano o braccio mozzo.
21
Giunge più inanzi, e ne ritrova molti
giacer in terra in spaventoso lago
nel proprio sangue horribilmente involti,
ch’uopo non han di medico o di mago;
vede da spalle e busti i capi sciolti
e l’altre membra con crudele imago;
e si trovan per tutto huomini spenti,
da li primi alli estremi alloggiamenti.
22
Dove passato era il piccol drapello,
di chiara fama eternamente degno,
per lunga riga era rimaso quello
al mondo sempre memorabil segno.
Carlo mirando va il crudel macello,
maraviglioso, e pien d’ira e di sdegno
come alcuno, in cui danno il fulgur venne,
cerca per casa ogni sentier che tenne.
23
Non era alli ripari ancho arrivato
del Re Aphrican questo primiero aiuto,
che con Marphisa fu da un altro lato
l’animoso Ruggier sopravenuto.
Poi ch’una volta o due l’occhio aggirato
hebbe la degna coppia, e ben veduto
qual via più breve per soccorrer fosse
l’assediato signor, ratta si mosse.
24
Come, quando si dà fuoco alla Mina,
pel lungo solco de la negra polve
licentïosa fiamma arde e camina
sì che occhio drieto a pena se le volve;
e qual si sente poi l’alta ruina
che ’l duro sasso o ’l grosso muro solve:
così Ruggiero e Marphisa veniro,
e tali in la battaglia si sentiro.
25
Per lungo e per traverso a fender teste
incominciaro, e tagliar braccia e spalle
de le turbe che mal erano preste
ad expedire e lor sgombrare il calle.
C’ha notato il passar de le tempeste,
ch’una parte d’un monte o d’una valle
offende e l’altra lascia, s’appresenti
la via di questi dui fra quelle genti.
26
Molti che dal furor di Rodomonte
e di quell’altri primi eran fuggiti,
Dio ringratiando c’havea lor sì pronte
gambe concesse e piedi sì expediti,
vennero a dar del petto e de la fronte
in Marphisa e in Ruggiero, onde scherniti
vider che né per star né per fuggire
alcuno al suo destin può contradire.
27
Da l’un fugge la turba, e cade in mane
de l’altro, e paga il fio d’ossa e di polpe:
così cader co i figli in bocca al cane
suol, sperando fuggir, timida volpe,
poi che la caccia de l’antique tane
il suo vicin che le dà mille colpe,
e cautamente con fumo e con fuoco
turbata l’ha da non temuto luoco.
28
Ne li ripari intrò de’ Saracini
Marphisa con Ruggiero a salvamento:
quivi tutti con gli occhi al ciel supini
Dio ringratiâr di sì opportuno avento.
Hor non v’è più timor de’ paladini:
el più tristo pagan ne sfida cento;
et è concluso che senza riposo
si torni a fare il campo sanguinoso.
29
Corni, bussoni, timpani moreschi
empieno il ciel di formidabil suoni;
ne l’aria tremolare a’ venti freschi
si veggon le bandiere e i gonfaloni.
Da l’altra parte i capitan Carleschi
stringono insieme Alemanni e Britoni,
Lombardi, Franchi e quelli d’Inghilterra;
e si mesce aspra e sanguinosa guerra.
30
La forza del terribil Rodomonte
e del Tartaro audace e furibondo,
e di Marphisa l’intrepida fronte,
del Re Gradasso, sì famoso al mondo,
di Ruggier, di virtù, d’ogni ben fonte,
di Sacripante a pochi altri secondo,
feron chiamar san Gianni e san Dionygi
al Re di Francia, e ritrovar Parigi.
31
Di questi cavallieri e di Marphisa
l’ardire invitto e la mirabil possa
non fu, signor, di sorte, non fu in guisa
ch’imaginar, non che descriver possa.
Quindi si può stimar che gente uccisa
fusse quel giorno, e che crudel percossa
havesse Carlo; arroge poi con loro
di Spagna e Lybia alcun famoso Moro.
32
Molti per fretta s’affogaro in Senna,
ch’el ponte non potea supplire a tanti,
e desïâr, come Icaro, la penna,
perché la morte havean drieto e dinanti.
Excetto Ugieri e il Marchese di Vienna,
li paladin fur presi tutti quanti;
Olivier ritornò ferito sotto
la spalla destra, Ugier col capo rotto.
33
E se, come Rinaldo e come Orlando,
lasciato Brandimarte havesse il giuoco,
Carlo n’andava di Parigi in bando,
se potea vivo uscir di sì gran fuoco.
Fe’ Brandimarte ciò che puòte, e quando
non puòte più, diede alla furia luoco.
Così Fortuna ad Agramante arrise,
ch’un’altra volta a Carlo assedio mise.
34
De vedovelle i gridi e le querele,
e d’orphani fanciulli e di vecchi orbi,
nel eterno seren nanzi a Michele
saliron fuor di questi aeri torbi;
e lo fecer mirar dove il fedele
populo in preda era de lupi e corbi,
di Francia, d’Inghilterra e di Lamagna,
che tutta havea coperta la campagna.
35
Nel viso s’arroscì l’Angel beato,
parendogli che mal fusse ubidito
al Creatore, e si chiamò ingannato
da la Discordia perfida, e tradito.
Di poner liti intra pagani dato
l’havea l’assunto, e mal era exequito;
anzi tutto il contrario al suo disegno
parea haver fatto, a chi guardava al segno.
36
Come servo fedel, che più d’amore
che di memoria abondi, e che s’aveggia
haver messo in oblio cosa che a core
quanto la vita e l’anima haver deggia,
studia con fretta d’emendar l’errore,
né vuol che prima il suo signor lo veggia;
così l’Angelo a Dio salir non vòlse,
se de l’obligo prima non si sciolse.
37
Al monastier, dove altre volte havea
la Discordia veduta, drizzò l’ali.
Trovolla che in capitulo sedea
a nuova elettïon de li ufficiali;
e di veder diletto si prendea
volar pel capo a’ frati i brevïali.
La man le pose l’Angelo nel crine,
e pugna e calci le diè senza fine.
38
Indi le ruppe un manico di croce
per la testa, pel dosso e per le braccia.
Mercé grida la misera a gran voce,
e le genocchia al divin nontio abbraccia.
Michel non l’abbandona, che veloce
nel campo del Re d’Aphrica la caccia;
e poi le dice: – Aspettati haver peggio,
se fuor di questo campo più ti veggio. –
39
Come che la Discordia havesse rotto
tutto il dosso e le braccia, pur temendo
un’altra volta ritrovarsi sotto
a que’ gran colpi, a quel furor tremendo,
corse a pigliare i mantici di botto,
et alli accesi fuochi esca aggiungendo,
et accendendone altri, fe’ salire
da molti cori un alto incendio d’ire.
40
Questo fuoco arde Rodomonte, e insieme
Mandricardo e Ruggiero, e al signor Moro
li fa venire inanzi, hor che non preme
Carlo i pagani, anzi il vantaggio è il loro.
E quivi de le ingiurie e liti estreme
dette le cause pienamente fôro;
e tutti si rimettono al parere
del Re, chi prima il campo debbia havere.
41
Marphisa del suo caso ancho favella,
e dice che la pugna vuol finire
che cominciò col Tartaro; perch’ella
provocata da lui vi fu a venire:
né vuol, per dar all’altre luoco, quella
di più tre giorni o quattro differire;
ma d’esser prima fa l’instantia grande,
che nel steccato il Tartaro dimande.
42
Non men vuol Rodomonte il primo campo
da terminar col suo rival l’impresa,
che per soccorrer l’Aphricano campo
ha già interrotta e sin a qui suspesa.
Mette Ruggier le sue parole a campo,
e dice che patir troppo gli pesa
che Rodomonte il caval suo gli tegna,
e ch’a pugna con lui prima non vegna.
43
Per più intricarla il Tartaro viene anche,
e nega che Ruggiero ad alcun patto
debbia l’Aquila haver da l’ale bianche;
e d’ira e di furor è così matto,
che vuol (quando da gli altri tre non manche)
tutte combatter le querele a un tratto.
Né più da gli altri anchor saria mancato,
se ’l consenso del Re vi fusse stato.
44
Con prieghi il Re Agramante e buon ricordi
fa quanto può perché la pace segua;
e quando al fin tutti li vede sordi
e non voler udir di pace o tregua,
si pensa come a cedersi li accordi
ch’el primo campo alcun d’essi consegua:
e pel miglior partito al fin gli occorre
ch’ognuno a sorte il campo s’habbia a tôrre.
45
Fe’ poner quattro brevi: un Mandricardo
e Rodomonte insieme scritto havea;
ne l’altro era Ruggiero e Mandricardo;
Rodomonte e Ruggier l’altro dicea;
dice l’altro Marphisa e Mandricardo.
Indi all’arbitrio de la instabil dea
li fece trar: nel primo fu il signore
di Sarza e Mandricardo ch’uscì fuore;
46
Mandricardo e Ruggier fu nel secondo;
nel terzo fu Ruggiero e Rodomonte;
restò Marphisa e Mandricardo in fondo,
di che la donna hebbe turbata fronte.
Né Ruggier più di lei parve giocondo;
che di dui primi connoscea sì pronte
le forze, che potrà poco avanzare
sì che egli haver con lor possa più a fare.
47
Giacea non lungi da Parigi un luoco
che volgea un miglio o poco meno intorno:
lo cingea tutto un argine non poco
sublime, e quasi era un theatro adorno.
Un castel già vi fu, ma a ferro e a fuoco
le mura e i tetti et a ruina andorno:
un simil può vederne in su la strada,
qual volta a Borgo il Parmigiano vada.
48
In questo luoco fu la lizza fatta,
di brevi legni d’ogni intorno chiusa,
per giusto spatio quadra, al bisogno atta,
con due capaci porte, come s’usa.
Giunto il dì ch’al Re par che si combatta
tra li guerrier che non ricercan scusa,
presso alle sbarre fur d’amendui i lati
contra i rastelli i padiglion tirati.
49
Nel padiglion che è più verso Ponente
sta il Re d’Algier, c’ha membra di gigante;
gli pone indosso il scoglio del serpente
l’ardito Ferraù con Sacripante.
El Re Gradasso e Falsiron possente
sono in quell’altro al lato di Levante,
e metton di sua man l’arme Troiane
indosso al successor del Re Agricane.
50
Sedeva in tribunale amplo e sublime
il Re d’Aphrica, e seco era l’Hispano;
poi Stordilano, e l’altre genti prime
che riveria l’exercito Pagano.
Beato a chi pôn dare argini e cime
d’arbori stanza che l’alzi dal piano!
Grande è la calca del populo armato
ch’ondeggia intorno al martïal steccato.
51
Eran con la Reina di Castiglia
reine e principesse e nobil donne
d’Aragon, di Granata e di Siviglia,
e fin di presso al’Atlantee colonne;
tra quali si sedea la bella figlia
di Stordilano, et al pensier le gonne
convenïenti havea quel giorno indosso:
giungea col verde un scolorito rosso.
52
In habito succinta era Marphisa,
qual si convenne a donna et a guerriera:
Thermoodonte forse a quella guisa
vide Hippolyta ornarsi e la sua schiera.
Già, con la cotta d’arme alla divisa
del Re Agramante, in campo venuto era
l’Araldo a divietar con dure leggi
che non sia in fatto o in detto chi parteggi.
53
La densa turba aspetta disïando
la pugna, e spesso incolpa il venir tardo
di dui famosi cavallieri; quando
s’ode dal padiglion di Mandricardo
alto rumor che vien moltiplicando.
Hor sappiate, signor, ch’el Re gagliardo
di Sericana e il Tartaro possente
fanno il tumulto e il grido che si sente.
54
Havendo armato il Re di Sericana
di sua man tutto il Re di Tartaria,
per porgli al fianco la spada soprana
che già d’Orlando fu, se ne venìa;
quando nel pome scritto Durindana
vide, e il quartier di smalto, che solia
esser l’insegna di quel fiero Aimonte
a cui la tolse Orlando in Aspramonte.
55
Vedendola, fu certo ch’era quella
tanto famosa del signor d’Anglante,
per cui con grande armata, e la più bella
che già mai si partisse di Levante,
soggiogato havea il regno di Castella
e Francia vinta esso poch’anni inante:
ma non può imaginarsi come avegna
c’hor Mandricardo in suo poter la tegna.
56
E dimandògli se per forza o patto
l’havesse tolta al Conte, e dove e quando.
E Mandricardo disse c’havea fatto
gran battaglia per essa con Orlando;
e come finto quel s’era poi matto
sol per paura di morir, cercando
idonea scusa per gettar in terra
Durindana, cagion di far lui guerra;
57
e che imitato in questo havea il Castore,
il qual si strappa i genitali sui
vedendose alle spalle il cacciatore,
che sa che non ricerca altro da lui.
Gradasso non udì tutto ’l tenore,
che disse: – Non darolla a te né altrui:
tanto oro, tanto affanno e tanta gente
ci ho speso, che è ben mia debitamente.
58
Cércati pur fornir d’un’altra spada,
ch’io voglio questa, e non ti paia nuovo;
pazzo o saggio che Orlando se ne vada,
haverla intendo ovunque io la ritrovo.
Tu senza testimoni in su la strada
te l’usurpasti; io qui lite ne muovo:
la mia ragion dirà mia semitarra,
e faremo il giudicio ne la sbarra.
59
Prima, di guadagnarla t’apparecchia,
che tu l’adopri contra Rodomonte:
comperar prima l’arme è usanza vecchia,
ch’in la battaglia il cavallier s’affronte. –
– Più dolce suon non mi viene all’orecchia, –
rispose alzando il Tartaro la fronte,
– di quel ch’alla battaglia mi richieda;
ma, per dio, fa’ ch’el Re d’Algier ti ceda.
60
Fa’ che ceder la prima si contente,
e per sé tolga la pugna seconda;
e non ti dubitar ch’immantinente
a te con tutto il mondo i’ non risponda. –
Grida Ruggier, che è appresso e che li sente:
– Non vuo’ che più la sorte si confonda:
o il primo o il terzo Rodomonte sia,
la seconda battaglia ha d’esser mia.
61
Se di Gradasso la ragion prevale,
prima acquistar che porre in opra l’armi,
né tu l’Aquila mia da le bianche ale
prima usar déi, che non me ne disarmi:
ma poi ch’è stato il mio voler già tale,
di mia sententia non voglio appellarmi,
che sia seconda la battaglia mia,
quando del Re d’Algier la prima sia.
62
Se turbarete voi l’ordine in parte,
io totalmente turbarollo anchora.
Io non intendo il mio scudo lasciarte
se contra me non lo combatti hor hora. –
– Se l’uno e l’altro di voi fosse Marte
(rispose Mandricardo irato allhora),
non serìa l’un né l’altro atto a vietarmi
la buona spada o quelle nobili armi. –
63
E tratto da la chòlera, aventosse
col pugno chiuso al Re di Sericana;
e la man destra in modo gli percosse,
ch’abbandonar gli fece Durindana.
Gradasso, non credendo ch’egli fosse
di così folle audacia e poco sana,
colto improviso fu, che stava a bada,
e tolta si trovò la buona spada.
64
Così scornato, di vergogna e d’ira
nel viso avampa, e par che getti fuoco;
e più l’afflige il caso e lo martira,
poi che l’accade in sì palese luoco.
Bramoso di vendetta, si ritira,
a trar la simitarra, a drieto un poco.
Mandricardo in sé tanto si confida,
che Ruggier ancho alla battaglia sfida.
65
– Venite pur inanzi ambedui insieme,
e vengane pel terzo Rodomonte,
Aphrica e Spagna e tutto l’human seme;
ch’io son per sempremai volger la fronte. –
Così dicendo, quel che nulla teme
mena d’intorno la spada d’Aimonte;
e il scudo imbraccia, disdegnoso e fiero,
contra Gradasso e contra il buon Ruggiero.
66
– Lascia la cura a me (dicea Gradasso),
ch’io guarisca costui de la pazzia. –
– Per dio (dicea Ruggier), non te la lasso,
ch’esser convien questa battaglia mia. –
– Va’ indrieto tu! – Vagli pur tu! – né passo
perhò tornando, gridan tuttavia;
et attaccossi la battaglia in terzo,
et era per uscirne un strano scherzo,
67
se molti non si fussero interposti
a quel furor, con non troppo consiglio;
ch’a spese lor quasi imparâr che costi
voler altri salvar con suo periglio.
Né tutto il mondo mai li havria composti
se non venìa il Re d’Aphrica e Marsiglio,
al cui verendo signoril conspetto
hebbero molto i cavallier rispetto.
68
Fecese tutta il Re Agramante exporre
de’ famosi guerrier la lite ardente;
e molto affaticosse per disporre
che per quella giornata solamente
a Mandricardo la spada d’Hettorre
concedesse Gradasso humanamente,
tanto c’havesse fin l’aspra contesa
c’havea già contra Rodomonte presa.
69
E mentre quivi studia il Re Agramante
se mezo può trovar che li compona,
da l’altro padiglion tra Sacripante
e Rodomonte un’altra lite suona.
Il Re Circasso (come è detto inante)
con Ferraù si stava alla persona
di Rodomonte, e gli havea l’arme indotte
che fur del suo progenitor Nembrotte.
70
Et eran poi venuti ove il destriero
facea, mordendo, il ricco fren spumoso;
i’ dico il buon Frontin, per cui Ruggiero
stava iracondo e più che mai sdegnoso.
Sacripante, che a por tal cavalliero
in campo havea, mirava curïoso
se ben ferrato e ben guarnito e in punto
era il caval, come deveasi a punto.
71
E venendo a guardargli più a minuto
li segni, le fattezze isnelle et atte,
hebbe, fuor d’ogni error, riconnosciuto
che questo era il destrier suo Frontalatte,
che tanto caro già s’havea tenuto;
che poi che gli fu tolto, oltra le fatte
querele, durò un tempo che andar vòlse
a piedi sempre, in modo gli ne dolse.
72
Dinanzi Albracca gli l’havea Brunello
tolto di sotto, quel medesmo giorno
ch’ad Angelica poi tolse l’annello,
al Conte Orlando Balisarda e il corno,
e la spada a Marphisa: et havea quello,
dopo che fece in Aphrica ritorno,
con Balisarda insieme a Ruggier dato,
il qual l’havea Frontin poi nominato.
73
Quando connobbe non s’apporre in fallo,
disse il Circasso, al Re d’Algier rivolto:
– Sappi, signor, che questo è mio cavallo,
ch’ad Albracca per furto mi fu tolto.
Ben havrei testimoni da provallo;
ma perché son da noi lontani molto,
s’alcun lo niega i’ gli vuo’ sostenere
con l’arme in man le mie parole vere.
74
Ben son contento, per la compagnia
in questi pochi dì stata tra noi,
che prestato il cavallo hoggi ti sia,
che veggio ben che senza far non puoi;
perhò con patto, se per cosa mia
e prestata da me connoscer vuoi:
altrimente d’haverlo non far stima,
o se non lo combatti meco prima. –
75
Rodomonte, di cui né il più orgoglioso
cavallier venne mai né il più iracondo
da indi in qua ch’el fiero e coraggioso
Nino prima insegnò militia al mondo,
rispose: – Qualunqu’altro che fusse oso
(ma con un viso altiero e furibondo)
dirmi così, già si serìa aveduto
che meglio era per lui di nascer muto.
76
– Ma per la compagnia che (come hai detto)
novellamente insieme havemo presa,
ti son contento haver tanto rispetto,
ch’io t’ammonisca a tardar questa impresa
fin che de la battaglia veggi effetto,
che fra il Tartaro e me presto fia accesa;
dove pórti uno exempio inanzi spero
c’havrai di gratia dirmi: Habbi il destriero. –
77
– È teco cortesia l’esser villano, –
disse il Circasso pien d’ira e di sdegno;
– ma più chiaro ti dico hora e più piano
che tu non faccia in quel caval disegno:
che te lo defendo io, tanto ch’in mano
questa vindice mia spada sostegno;
e metteròvi insin a l’ugna e il dente,
se non potrò difenderlo altrimente. –
78
Venner da le parole alle contese,
ai gridi, alle minaccie, alla battaglia,
che per molt’ira in più fretta s’accese
che s’accendesse mai per fuoco paglia.
Rodomonte ha l’usbergo et ogni arnese,
Sacripante non ha piastra né maglia;
ma pare (in modo col schermir s’adopra)
che tutto con la spada si ricopra.
79
Non era la possanza e la fierezza
di Rodomonte (anchor ch’era infinita)
più che la providenza e la destrezza
con che sue forze Sacripante aita.
Non voltò ruota mai con più prestezza
il macigno sovran ch’el grano trita,
che faccia Sacripante hor mano hor piede
di qua e di là, dove il bisogno vede.
80
Ma Ferraù, ma Serpentino arditi
trasson le spade e si cacciâr tra loro,
dal Re Grandonio, da Isolier seguiti
et altri cavallier del popul Moro.
Questi erano i rumor che furo uditi
nel altro padiglione da costoro,
ch’eran per accordar venuti invano
col Tartaro e Ruggiero e il Sericano.
81
Venne chi la novella al Re Agramante
riportò certa, come pel destriero
havea con Rodomonte Sacripante
incomminciato un aspro assalto e fiero.
Il Re, confuso di discordie tante,
disse a Marsiglio: – Habbi tu qui pensiero
che fra questi guerrier non segua peggio,
mentre al altro disordine io proveggio. –
82
El Re d’Algier, ch’el suo signor rimira,
frena l’orgoglio, e torna indrieto il passo;
né con minor rispetto se ritira
al venir d’Agramante il Re Circasso.
Quel dimanda la causa di tanta ira
con real viso e parlar grave e basso:
e cerca, poi che n’ha compreso il tutto,
porli d’accordo; e non vi fa alcun frutto.
83
El Re Circasso al Re d’Algier non vuole
ch’el suo destrier più lungamente resti,
se non s’humilia tanto di parole
che lo venga a pregar che gli lo presti.
Rodomonte, superbo come suole,
gli risponde: – Né tu, né il ciel faresti
che cosa che per forza haver potessi
da altri, che da me, mai connoscessi. –
84
El Re chiede al Circasso che ragione
ha nel cavallo, e come gli fu tolto:
e quel di parte in parte il tutto expone,
et exponendo s’arrossisce in volto
quando gli narra ch’el suttil ladrone,
ch’in un alto pensier l’haveva colto,
la sella su quattro haste gli suffolse,
e di sotto il caval nudo gli tolse.
85
Marphisa, che tra li altri al grido venne,
tosto ch’el furto del cavallo udì,
in viso si turbò, che le sovenne
che la sua spada perse ella quel dì:
e quel caval, che parve haver le penne
a fuggir nanzi a lei, connobbe qui;
e connobbe ancho il buon Re Sacripante,
che connosciuto anchor non havea inante.
86
Li altri ch’eran intorno, e che vantarsi
Brunel di questo haveano udito spesso,
verso lui comminciaro a rivoltarsi
e far palesi cenni che egli era esso;
Marphisa suspettando, ad informarsi
da questo e da quel altro c’havea appresso,
tanto che venne a ritrovar che quello
che le tolse la spada era Brunello:
87
e seppe che pel furto, onde era degno
che gli annodasse il collo un capestro unto,
dal Re Agramante al Tingitano regno
fu, con exempio inusitato, assunto.
Marphisa, rifrescando il vecchio sdegno,
disegnò vendicarsene a quel punto,
e punir scherni e scorni che per strada
fatti le havea sopra la tolta spada.
88
Da un suo scudier l’elmo allacciar si fece;
che del resto de l’arme era guarnita.
Senza usbergo io non truovo che mai diece
volte fusse veduta alla sua vita,
dal giorno ch’a portarlo assuefece
la sua persona, oltra il prescritto ardita.
Con l’elmo in capo andò dove fra i primi
Brunel sedea ne li argini sublimi.
89
Gli diede a prima giunta ella di piglio
in mezo il petto, e da terra levollo,
come levar suol col falcato artiglio
talvolta la rapace aquila il pollo;
e là dove la lite inanzi il figlio
era del Re Troian, così portollo.
Brunel, che giunto in male man si vede,
pianger non cessa e dimandar mercede.
90
Sopra tutti i rumor, strepiti e gridi
di ch’el campo era pien quasi ugualmente,
Brunel, c’hora pietade hora sussidi
dimandando venìa, così si sente,
che al suono de’ ramarichi e de’ stridi
si fa d’intorno accor tutta la gente.
Giunta inanzi al Re d’Aphrica, Marphisa
con viso altier gli dice in questa guisa:
91
– Io voglio questo ladro tuo vassallo
con le mie mane impender per la gola,
perché il giorno medesmo ch’el cavallo
a costui tolle, a me la spada invola.
Ma se gli è alcun che voglia dir ch’io fallo,
facciasi inanzi e dica una parola;
ch’in tua presentia gli vuo’ sostenere
che se ne mente, e ch’io fo il mio devere.
92
Ma perché si potria forse imputarme
c’ho atteso a farlo in mezo a tante liti,
mentre che questi più famosi in arme
d’altre querele son tutti impediti,
tre giorni ad impiccarlo i’ vuo’ indugiarme:
intanto o vien, o manda chi l’aiti;
che dopo, se non fia chi me lo vieti,
farò di lui mille uccellacci lieti.
93
Di qui presso a tre leghe a quella torre,
che siede inanzi ad un piccol boschetto,
senza più compagnia mi vado a porre
che d’una mia donzella e d’un valletto.
S’alcuno ardisce di venirmi a tôrre
questo ladron, là venga, ch’io l’aspetto. –
Così disse ella; e dove disse, prese
tosto la via, né più risposta attese.
94
Sul collo inanzi del destrier si pone
Brunel, che tuttavia tien per le chiome.
Piange il misero e grida, e le persone
in che sperar solia chiama per nome.
Resta Agramante in tal confusïone
di questi intrichi, che non vede come
poterli sciorre; e via gli par più greve
che Marphisa Brunel così gli lieve.
95
Non che l’apprezzi o che gli porti amore,
anzi più giorni son che l’odia molto;
e spesso ha d’impiccarlo havuto in core
dopo che gli era stato l’annel tolto.
Ma questo atto gli par contra il suo honore,
sì che n’avampa di vergogna in volto;
e si dispone di seguire in fretta
esso Marphisa, e far di ciò vendetta.
96
Ma il Re Sobrino, il quale era presente,
da questa impresa molto il dissuade,
dicendogli che mal convenïente
era all’altezza di sua maestade:
ch’anchor c’havesse d’esserne vincente
infallibil speranza e sicurtade,
gli fia, più c’honor, biasmo che si dica
c’habbia vinta una femina a fatica.
97
Poco l’honore, e molto era il periglio
d’ogni battaglia che con lei pigliasse;
e che gli dava per miglior consiglio
che Brunello alle forche haver lasciasse;
e se credesse ch’uno alzar di ciglio
a tôrlo dal capestro gli bastasse,
non devea alzarlo, per non contradire
che s’habbia la giustitia ad exequire.
98
– Mandar potrassi un che Marphisa prieghi
ch’in questa causa giudice ti faccia,
con promission che al ladroncel si leghi
il laccio al collo, e a lei si sodisfaccia;
e quando ancho ostinata te lo nieghi,
se l’habbia, e il suo disir tutto compiaccia:
pur che da tua amicitia non si spicchi,
Brunello e li altri ladri tutti impicchi. –
99
El Re Agramante volentier s’attenne
al parer di Sobrin, sempre discreto;
e Marphisa lasciò, che non le venne,
né patì ch’altri le venisse drieto;
né mandarla a pregar ancho sostenne:
e vòlse in questo rimanersi cheto,
per poter acchetar liti maggiori
e del suo campo tôr tanti romori.
100
Di ciò si ride la Discordia pazza,
che Pace o Tregua homai più teme poco;
scorre di qua e di là tutta la piazza,
né può trovar per allegrezza luoco.
La Superbia con lei salta e gavazza,
e legna et esca va aggiungendo al fuoco:
e gridò sì, che fin nel alto regno
diede a Michel de la vittoria segno.
101
Tremò Parigi e turbidossi Senna
alla terribil voce di quella ebra;
ribombò il suon fin alla selva Ardenna,
sì che le fiere uscîr d’ogni latebra.
Udiron l’Alpi e il monte di Gebenna,
e il lago di Costanza e di Genebra;
Rodano e Sonna udì, Garonna e il Rheno:
si strinsero le madri i figli al seno.
102
Son cinque cavallier c’han fisso il chiodo
d’essere i primi a terminar sua lite,
che l’una in l’altra era intricata in modo
che non l’havrebbe Apolline expedite.
Commincia il Re Agramante a sciorre il nodo
de le prime tenzon c’haveva udite,
che per la figlia del Re Stordilano
eran tra il Re di Scythia e un suo Aphricano.
103
El Re Agramante andò per porre accordo
di qua e di là più volte a questo e a quello,
e a questo e a quel più volte diè ricordo
da signor giusto e da fedel fratello:
e quando parimente trova sordo
l’un come l’altro, indomito e rubello
di voler esser quel che resti senza
la donna da cui vien lor differenza;
104
tol finalmente per miglior partito,
di che amendui si contentâr li amanti,
che de la bella donna sia marito
l’un d’essi dui, quel che vuole essa inanti;
e da quanto per lei sia stabilito,
più non si possa andar drieto né inanti.
A l’uno e a l’altro piace il compromesso,
sperando ch’esser debbia a favor d’esso.
105
El Re di Sarza, che gran tempo prima
che Mandricardo amava Doralice,
et ella l’havea posto in su la cima
d’ogni favor che a donna casta lice,
che debbia in util suo venire extima
la gran sententia ch’el può far felice:
né egli havea questa credenza solo,
ma con lui tutto il Barbaresco stuolo.
106
Ognun sapea ciò ch’egli havea già fatto
per essa in giostre, in torniamenti, in guerra;
e che stia Mandricardo a questo patto,
dicono tutti che vaneggia et erra.
Ma quel che, più fïate e più, di piatto
con lei fu mentre il Sol stava sotterra,
e sapea quanto havea di certo in mano,
ridea del popular giudicio vano.
107
Poi lor conventïon ratificaro
in man del Re li dui prochi famosi,
et indi alla donzella se n’andaro.
Et ella abbassò gli occhi vergognosi,
e disse che più il Tartaro havea caro:
di che tutti restâr maravigliosi;
Rodomonte sì attonito e smarrito,
che di levar non era il viso ardito.
108
Ma poi che l’usata ira cacciò quella
vergogna che gli havea la faccia tinta,
ingiusta e falsa la sententia appella;
et impugnò la spada, c’havea cinta,
dicendo che volea che gli desse ella
perduta in campo questa causa o vinta;
e non l’arbitrio di femina leve,
che sempre inchina a quel che men far deve.
109
Di nuovo Mandricardo era risorto,
dicendo: – Vada pur come ti pare: –
sì che prima ch’el legno intrasse in porto
v’era a solcare un gran spatio di mare;
se non ch’el Re Agramante diede torto
a Rodomonte, che non può chiamare
più Mandricardo per quella querela;
e cader fece al suo furor la vela.
110
Hor Rodomonte, che notar si vede
nanzi a tanti signor di doppio scorno,
dal suo Re, a cui per reverentia cede,
e da la donna sua, tutto in un giorno,
quivi non vòlse più fermare il piede;
e de la molta turba c’havea intorno
seco non tolse più che dui sergenti,
et uscì de’ Moreschi alloggiamenti.
111
Come, partendo, afflitto tauro suole,
che la giuvenca al vincitor cesso habbia,
cercar le selve e le rive più sole
lungi dai paschi, o qualche àrrida sabbia,
dove muggir non cessa all’ombra e al sole,
né perhò scema l’amorosa rabbia:
così sen va di gran dolor confuso
il Re d’Algier da la sua donna excluso.
112
Per rïhavere il suo destrier si mosse
Ruggier, che già per questo s’era armato;
ma poi di Mandricardo ricordosse,
a cui de la battaglia era ubligato;
né seguì Rodomonte, e ritornosse
per intrar col Re Tartaro in steccato
prima ch’intrasse il Re di Sericana,
che l’altra lite havea di Durindana.
113
Veder tôrsi Frontin troppo gli pesa
dinanzi a gli occhi, e non poter vietarlo;
ma dato c’habbia fine a questa impresa,
ha ferma intentïon di ricovrarlo.
Ma Sacripante, che non ha contesa,
come Ruggier, che possa distornarlo,
e che non ha da far altro che questo,
per l’orme vien di Rodomonte presto.
114
E presto l’havria giunto, se non era
un strano caso che trovò tra via,
che lo fe’ dimorar sino alla sera
e perder le vestigie che seguia.
Trovò una donna che ne la rivera
di Senna era caduta, e vi peria
s’a darle tosto aiuto non veniva:
saltò ne l’acqua, e la ritrasse a riva.
115
Poi quando in sella vòlse risalire,
aspettato non fu dal suo destriero,
che fin a sera si fece seguire
e non si lasciò prender di liggiero;
preselo al fin, ma non seppe venire
più donde s’era tolto del sentiero:
ducento miglia errò tra piano e monte
prima che ritrovasse Rodomonte.
116
Dove trovollo, e come fu conteso
con disvantaggio assai di Sacripante,
come perse il cavallo e restò preso,
hor non dirò; c’ho da narrarvi inante
di quanto sdegno e di quant’ira acceso
contra la donna e contra il Re Agramante
del campo Rodomonte si partisse,
e ciò che contra l’uno e l’altro disse.
117
Di cocenti suspir l’aria accendea
dovunque andava il Saracin dolente:
Eccho, per la pietà che gli n’havea,
da’ cavi sassi rispondea sovente.
– Oh feminile ingegno (egli dicea),
come ti volgi e muti facilmente,
contrario oggetto proprio de la fede!
Oh infelice, oh miser chi ti crede!
118
Né lunga servitù, né grande amore
che ti fu a mille prove manifesto
hebbono forza di tenerti il core,
ch’almen non si cangiasse così presto.
Non perché a Mandricardo inferïore
io ti sia parso, di te privo resto;
né so trovar cagion ai casi miei
fuor questa sola, che femina sei.
119
Credo che t’habbia la Natura e Dio
produtto, o scelerato sesso, al mondo
per una soma, per un grave fio
del huom, che senza te serìa giocondo:
come ha produtto ancho il serpente rio
e il lupo e l’orso, e fa l’aer fecondo
e di mosche e di vespe e di tafani,
e mescie avena e loglio tra li grani.
120
Perché fatto non ha l’alma Natura
che senza te potesse nascer l’huomo,
come s’inesta per humana cura
l’un sopra l’altro il pero, il sorbo e il pomo?
Ma quella non può far sempre a misura:
anzi, s’io vuo’ guardar come io la nomo,
veggio che non può far cosa perfetta,
poi che Natura e femina vien detta.
121
Non siate perhò tumide e fastose,
donne, per dir che l’huom sia vostro figlio;
che de le spine anchor nascon le rose,
e d’una fetida herba nasce il giglio:
importune, superbe, dispettose,
prive d’amor, di fede e di consiglio,
temerarie, crudeli, inique, ingrate,
per pestilentia eterna al mondo nate. –
122
Con queste et altre et infinite appresso
querele il Re di Sarza se ne giva,
hor ragionando in un parlar summesso,
quando in un suon che di lontan s’udiva,
in onta e in biasmo del femineo sesso:
e certo da ragion si dippartiva;
che per una o per due che sono ree,
che cento buone sien creder si dee.
123
E se ben, di quantunque io n’habbia amate,
mai non ne ritrovassi una fedele,
perfide tutte io non vuo’ dir né ingrate,
ma darne colpa al mio destin crudele.
Molte hor ne sono, e più già ne son state,
che non dàn causa ad huom che si querele;
ma mia fortuna vuol che s’una ria
ne sia tra cento, io di lei preda sia.
124
El Saracino havea non minor sdegno
contra il suo Re, che contra la donzella;
e così di ragion passava il segno
biasmando lui, come biasmando quella.
Desidera veder che sopra il regno
gli cada tanto mal, tanta procella,
ch’in Aphrica ogni casa se funesti,
né pietra salda sopra pietra resti;
125
e che spinto del Regno, in duolo e in lutto
viva Agramante, misero e mendico;
e che esso sia che poi gli renda il tutto,
e lo riponga in l’alto seggio antico,
e de la fede sua produca il frutto:
e gli faccia veder ch’un vero amico
a dritto e a torto esser devea preposto,
se tutto il mondo se gli fusse opposto.
126
E così quando al Re, quando alla donna
volgendo il cor turbato, il Saracino
cavalca a gran giornate e non assonna,
e puoco riposar lascia Frontino.
El dì seguente o l’altro in su la Sonna
si ritrovò, c’havea dritto il camino
verso il mar di Provenza, con disegno
di navigare in Aphrica al suo regno.
127
Era di barche e sottil legni tutto
fra l’una ripa e l’altra il fiume pieno,
ch’ad uso del exercito condutto
d’Aphrica e Spagna vittuaglie havièno;
perché in poter de’ Mori era ridutto,
venendo da Parigi al lito ameno
d’Acquamorta e voltando invêr la Spagna,
ciò che v’è da man destra di campagna.
128
Le vittuaglie in carra et in iumenti,
tolte fuor de le navi, erano carche
e tratte con la scorta de le genti
ove venir non si potea con barche.
Havean piene le ripe i grassi armenti
quivi condotti da diverse marche;
e conduttori intorno alla rivera
per varii tetti albergo havean la sera.
129
El Re d’Algier, perché gli sopravenne
quivi la notte e l’aer nero e cieco,
d’un hostier paesan l’invito tenne,
che lo pregò che rimanesse seco.
Adagiato il destrier, la mensa venne
di varii cibi, e con buon Corso e Greco;
ch’el Saracin nel resto alla Moresca,
ma vòlse far nel bere alla Francesca.
130
L’hoste con buona mensa e miglior viso
studiò di fare a Rodomonte honore;
che la presentia gli diè certo aviso
ch’era hom illustre e pien d’alto valore:
ma quel che da se stesso era diviso,
né quella sera havea ben seco il core
(che mal suo grado s’era ricondotto
alla donna già sua), non facea motto.
131
El buono hostier, che fu de’ diligenti
che mai si sian per Francia ricordati,
quando tra le nemiche e strane genti
l’albergo e’ beni suoi s’havea salvati;
per servir quivi, alcuni suoi parenti,
a tal servigio pronti, havea chiamati;
di quai non era alcun di parlar oso,
vedendo il Saracin muto e pensoso.
132
Di pensier in pensier andò vagando
da se stesso lontano il Pagan molto,
col viso a terra chino, né levando
sì gli occhi mai, ch’alcun guardasse in volto.
Dopo un lungo star cheto, suspirando,
sì come d’un gran sonno allhora sciolto,
tutto si scosse e insieme alzò le ciglia,
e voltò gli occhi al hoste e alla famiglia.
133
Indi ruppe il silentio, e con sembianti
più dolci un poco, e viso men turbato,
dimandò l’hoste e li altri circonstanti
se d’essi alcuno havea femina a lato.
Che l’hoste e che quelli altri tutti quanti
l’haveano, per risposta gli fu dato.
Dimanda lor quel che ciascun si crede
de la sua donna nel servargli fede.
134
Excetto l’hoste, fêr tutti risposta
che si credeano haverle caste e buone.
Disse l’hoste: – Credete a vostra posta;
ch’io so c’havete falsa opinïone.
El vostro sciocco credere vi costa
ch’io stimi ognun di voi senza ragione;
e così far questo signor deve ancho,
se non vi vuol mostrar nero per bianco.
135
Perché, sì come è sola la Phenice,
né mai più d’una in tutto ’l mondo vive,
così né mai più d’uno esser si dice
che de la moglie i tradimenti schive.
Ognun si crede d’esser quel felice,
d’esser quel sol ch’a questa palma arrive.
Come è possibil che v’arrivi ognuno,
se non ne può nel mondo esser più d’uno?
136
Io fui già nel error che sète voi,
che donna casta ancho più d’una fusse.
Un gentilhuomo di Vinegia poi,
che qui mia buona sorte già condusse,
seppe far sì, con veri exempi suoi,
che fuor del’ignoranza mi ridusse:
Gianfrancesco Valerio era nomato;
ch’el nome suo non mi s’è mai scordato.
137
Le fraudi che le mogli e che l’amiche
sogliano usar sapea tutte per conto:
e sopra ciò moderne historie e antiche,
e proprie experïenze havea sì in pronto,
che mi mostrò che mai donne pudiche
non si trovaro, o povere o di conto;
e s’una parea casta più de l’altra,
venìa perché a celarsi era più scaltra.
138
E fra l’altre, che tante me ne disse
che non ne posso il terzo ricordarmi,
sì nel capo una historia mi si scrisse,
che non si scrisse mai più saldo in marmi:
e ben parria a ciascuno che l’udisse,
di queste rie, quel ch’a me parve e parmi.
E se, Signor, a voi non spiace udire,
a lor confusïon la vi vuo’ dire. –
139
Rispose il Saracin: – Che puoi tu farmi
che più al presente mi diletti e piaccia,
che dirmi historia e qualche exempio darmi
che con l’opinïon mia si confaccia?
Perché i’ possa udir meglio, e tu narrarmi,
siedemi incontra, ch’io ti veggia in faccia. –
Ma nel canto che segue io v’ho da dire
quel che fe’ l’hoste a Rodomonte udire.