CANTO DECIMO

1
Quantunque debil freno a mezo il corso
animoso caval spesso raccolga,
raro è perhò che di ragione il morso
libidinosa furia a dietro volga
quando il piacere ha in pronto; a guisa d’Orso
che dal mel non di facile si tolga,
poi che gli n’è venuto odore al naso
o qualche stilla ne gustò sul vaso.
2
Qual ragion fia ch’el bon Ruggier raffrene,
sì che non voglia hora pigliar diletto
d’Angelica gentil che nuda tiene
nel solitario e commodo boschetto?
Di Bradamante più non gli soviene,
che tanto haver solea fissa nel petto;
e se gli ne sovien pur come prima,
pazzo è se questa anchor non prezza e stima:
3
con lei non fuôra l’ostinato e crudo
Zenocrate di lui più continente.
Gittato havea Ruggier la lancia e il scudo,
e si trahea l’altre arme impatïente;
quando abbassando pel bel corpo ignudo
la donna gli occhi vergognosamente,
si vide in dito il pretïoso annello
che già le tolse ad Albraca Brunello.
4
Questo è l’annel che ella portò già in Francia
la prima volta che fe’ quel camino
col fratel suo, che v’arrecò la lancia,
la qual fu poi d’Astolfo paladino.
Con questo fe’ l’incanti uscire in ciancia
di Malagigi al petron di Merlino;
con questo Orlando et altri una matina
tolse di servitù di Dragontina;
5
con questo uscì invisibil de la torre
dove l’havea richiusa un vecchio rio:
a che voglio io tutte sue prove acôrre,
se le sapete voi così come io?
Brunel sin nel giron lel venne a tôrre,
che Agramante di haverlo hebbe disio;
da indi in qua tutte le cose averse
furo a costei, tanto che ’l Regno perse.
6
Hor che sel vide, come ho detto, in mano,
fu di stupore et allegrezza piena;
e quasi dubbia di sognarsi invano,
agli occhi, alla man sua credette a pena.
Del dito se lo trasse, e a mano a mano
sel chiuse in bocca: e in men che non balena,
così da gli occhi di Ruggier si cela,
come fa il Sol quando la nube il vela.
7
Ruggier pur d’ognintorno riguardava,
e s’aggirava a cerco come un matto;
ma poi che de l’annel si ricordava,
scornato vi rimase e stupefatto:
e la sua inadvertenza biastemmiava,
e la donna accusava di quello atto.
– Dunque questa mercé mi serà resa
d’haverti dal marin Mostro diffesa?
8
Ingrata damigella, è questo quello
guiderdone (dicea) che tu mi rendi?
che più presto involar vogli l’annello,
che haverlo in don. Perché da me nol prendi?
che non pur quel, ma il scudo e il destrier snello
e me ti dono, e come vuoi mi spendi;
sol che ’l bel viso tuo non mi nascondi.
Io so, crudel, che m’odi e non rispondi. –
9
Così dicendo, intorno alla fontana
brancolando n’andava come cieco.
Oh quante volte abbracciò l’aria vana,
sperando la donzella abbracciar sieco!
Quella, che s’era già fatta lontana,
mai non cessò d’andar, che giunse a un speco
che sotto un monte era capace e grande,
dove al bisogno suo trovò vivande.
10
Quivi un vecchio pastor, che di cavalle
un grande armento havea, facea soggiorno.
Le iumente pascean giù per la valle
le tener herbe a’ freschi rivi intorno;
di qua di là da l’antro erano stalle,
dove fuggìano il Sol del mezo giorno.
Angelica quel dì lunga dimora
là dentro fe’, né fu veduta anchora.
11
E circa il vespro, poi che rifrescossi
e le fu aviso esser posata assai,
in certi drappi rozi aviluppossi,
dissimil troppo a’ portamenti gai,
che verdi, gialli, persi, azurri e rossi
hebbe, e di quante foggie furon mai;
non le può tôr perhò tanto humil gonna,
che bella non rassembri e nobil donna.
12
Taccia chi loda Phyllide o Neera
o Amarylli o Galatea fugace;
che d’esse alcuna sì bella non era,
Tityro e Melibeo, con vostra pace.
La bella donna tol fuor de la schiera
de le iumente una che più le piace;
allhora allhora se le fece inante
un pensier di tornarsene in Levante.
13
Ruggiero intanto, poi c’hebbe gran pezzo
indarno atteso se la si scopriva,
e che s’avide del suo error da sezzo,
che non era vicina, e non l’udiva;
dove lasciato havea il cavallo, avezzo
in cielo e in terra, a rimontar veniva:
e ritrovò che s’havea tratto il morso,
e gìa per l’aria a più libero corso.
14
Fu grave e mala giunta all’altro danno
vederse ancho restar senza l’augello.
Questo, non men che ’l feminil inganno,
gli preme al cor; ma più che questo e quello,
gli preme e fa sentir noioso affanno
l’haver perduto il pretïoso annello,
per le virtù non tanto che vi sono,
quanto che fu de la sua donna dono.
15
Oltramodo dolente se ripose
indosso l’arme, e col scudo alle spalle
dal mar slungosse; e per le piaggie herbose
prese el camin verso una larga valle,
dove per mezo all’alte selve ombrose
vide il più lato e più segnato calle.
Non molto va, ch’a destra, ove più folta
è quella selva, un gran strepito ascolta.
16
Strepito ascolta e spaventevol suono
d’arme percosse insieme; onde s’affretta
tra pianta e pianta, e trova dui, che sono
a gran battaglia in poca piazza e stretta.
Non s’hanno alcun riguardo né perdono,
per far (non so di che) dura vendetta:
l’uno è gigante alla sembianza fiero,
e l’altro è ardito e franco cavalliero.
17
Il cavallier col scudo e cola spada,
saltando e quinci e quindi, si difende
perché la mazza sopra non gli cada,
con che il Gigante a duo man sempre offende;
giace del cavallier in su la strada
morto il caval. Ruggier, ch’al fatto attende,
subito inchina l’animo, e disia
che vincitor il cavallier ne sia.
18
Non che per questo gli dia alcuno aiuto;
ma se tira da parte, e sta a vedere.
Ecco col baston grave il più membruto
sopra l’elmo a duo man del minor fere.
De la percossa è il cavallier caduto;
l’altro, ch’el vide attonito giacere,
per darli morte l’elmo gli dislaccia;
e fa sì che Ruggier lo vede in faccia.
19
Vede Ruggier de la sua dolce e bella
e carissima donna Bradamante
scoperto il viso; e lei vede esser quella
a chi dar morte vuol l’empio Gigante:
sì che a battaglia subito l’appella,
e con la spada nuda si fa inante;
ma quel, che nuova pugna non attende,
la donna tramortita in braccio prende,
20
e se l’arreca in spalla, e via la porta
come lupo talhor piccolo agnello,
o l’Aquila portar ne l’ugna torta
suole o Colombo o simile altro augello.
Vede Ruggier quanto il suo aiuto importa,
e vien correndo a più poter; ma quello
con tanta fretta i lunghi passi mena,
che con gli occhi Ruggier lo segue a pena.
21
Così correndo l’uno e seguitando
l’altro, per un sentier ombroso e fosco,
che sempre si venìa più dilatando,
in un gran prato uscîr fuor di quel bosco
verso un palazzo, quel proprio ove Orlando
dianzi arrivò, se ben lo riconnosco.
Dentro alla porta il gran Gigante passa;
dopo arriva Ruggier, né seguir lassa.
22
Tosto che pon dentro alla soglia il piede,
per la gran corte e per le loggie mira;
né più il gigante o più la donna vede,
e gli occhi indarno hor quinci hor quindi aggira.
Di su di giù va molte volte e riede,
né gli succede mai quel che disira;
né si sa imaginar dove sì tosto
con la donna il fellon si sia nascosto.
23
Poi che cercato ha quattro volte e cinque
di su e di giù camere e loggie e sale,
pur di nuovo ritorna, e non relinque
cercar dal tetto fin sotto le scale.
Uscia al fin per veder se in le propinque
selve la trovi: ma una voce, quale
richiamò Orlando, lui chiamò non manco;
e nel palazzo il fe’ ritornare ancho.
24
Una voce medesma, una persona
ch’al buono Orlando Angelica era parsa,
parve a Ruggier la donna di Dordona
che gli ha d’amor l’anima accesa et arsa.
Se con Gradasso o con altrui ragiona
di quei signor di che la stanza è sparsa,
a tutti par che quella cosa sia
che più ciascun per sé brama e disia.
25
Questo era un nuovo e disusato incanto
c’havea composto Atlante di Carena,
perché Ruggier fusse occupato tanto
in quel travaglio, in quella dolce pena,
ch’el mal influsso n’andasse da canto,
l’influsso che a morir giovene il mena.
Dopo il castel d’acciar, che nulla giova,
e dopo Alcina, Atlante anchor fa prova.
26
Non pur costui, ma tutti li altri anchora
che di valor in Francia han maggior fama,
acciò che di lor man Ruggier non mora,
condurre Atlante in questo incanto trama.
E mentre fa lor far quivi dimora,
perché di cibo e nutrimento brama
non habbiano a patire, havea il palagio
fornito sì, che vi si sta con agio.
27
Ma torniamo ad Angelica, che seco
havendo quello annel mirabil tanto,
che quando è chiuso in bocca ognun fa cieco
in veder lei, nel dito tol l’incanto;
e ritrovato nel montano speco
cibo havendo e cavalla e veste e quanto
le fu bisogno, havea fatto disegno
in India ritornarsene al suo regno.
28
Orlando volentier o Sacripante
voluto havrebbe in compagnia: non ch’ella
più caro havesse l’un che l’altro amante;
anzi di par fu a-llor disii ribella.
Ma devendo, per girsene in Levante,
passar tante città, tante castella,
di compagnia l’era bisogno e guida,
né potea haver con altri la più fida.
29
Hor l’uno hor l’altro andò molto cercando,
prima che indicio ne trovasse o spia,
quando in cittadi, e quando in ville, e quando
in alti boschi, e quando in altra via.
Fortuna al fin là dove il conte Orlando,
Ferraù e Sacripante era, l’invia,
con Ruggier, con Gradasso et altri molti
che ve havea Atlante in strano intrico avolti.
30
Quivi ella intrò che non la vide il Mago,
e cercò il tutto (ascosa dal suo annello);
e vide Orlando e Sacripante vago
di lei cercare invan per quello hostello;
e s’accorse che Atlante con l’imago
d’essa gran fraude usava a questo e a quello.
Di questi dua vuole un per guida tôrsi,
ma qual più presto non sapea risciorsi.
31
Non sa per scorta sua qual sia migliore,
o il conte Orlando o il Re de li Circassi.
Orlando la potrà con più valore
meglio salvar nei perigliosi passi:
ma se sua guida il fa, lo fa signore;
né sa veder da poi come l’abbassi,
qualunque volta, di lui satia, farlo
voglia minor, o in Francia rimandarlo.
32
Ma il Circasso depor quando le piaccia
potrà, se ben l’havesse posto in cielo:
questa sola ragion vuol ch’ella il faccia
sua scorta e mostri havergli fede e zelo.
L’annel trasse di bocca, e di sua faccia
levò da gli occhi a Sacripante il velo:
credette a lui sol dimostrarsi, e avenne
ch’Orlando e Ferraù le sopravenne.
33
Le sopravenne Ferraù et Orlando;
che l’uno e l’altro parimente giva
di su di giù, dentro e di fuor cercando
del gran palazzo lei, ch’era lor diva.
Corser di par tutti alla donna, quando
nessuno incantamento l’impediva:
perché l’annel ch’ella si pose in mano
fece d’Atlante ogni disegno vano.
34
L’usbergo indosso haveano e l’elmo in testa
dui di questi guerrier, di chi vi canto;
né notte o dì, dopo ch’intraro in questa
stanza, l’haveano mai messo da canto;
che facile a portar come la vesta
era lor, perché in uso l’havean tanto.
Ferraù il terzo era ancho armato, excetto
che non havea, né volea haver elmetto,
35
fin che quel non havea, ch’el paladino
tolse Orlando al fratel del Re Troiano;
ch’allhora lo giurò, che l’elmo fino
cercò de l’Argalìa nel fiume invano;
e se ben quivi Orlando hebbe vicino,
né fu perhò con lui di ciò alle mano:
avenne che connoscersi tra loro
non si potêr, mentre là dentro fôro.
36
Era così incantato quello albergo,
ch’insieme riconnoscer non poteansi;
né notte mai né dì, spada né usbergo
né scudo pur dal braccio rimoveansi.
Li lor cavalli con la sella al tergo,
pendendo i morsi dal arcion, pasceansi
in una stanza, che presso all’uscita
d’orzo e di paglia sempre era fornita.
37
Non seppe Atlante riparar, né puòte,
che non montasser quei tre cavallieri
per correr dietro alle vermiglie gote,
all’auree chiome et a’ belli occhi neri
de la donzella, ch’in fuga percuote
la sua iumenta, perché volentieri
non vide li tre amanti in compagnia,
che forse tolti un dopo l’altro havria.
38
E poi che dilungati dal palagio
li hebbe sì, che temer più non devea
che contra lor l’Incantator malvagio
potesse oprar la sua fallacia rea,
l’annel, che le schivò più d’un disagio,
tra le rosate labra si chiudea:
donde lor sparve subito da gli occhi,
e li lasciò come insensati e sciocchi.
39
Tutto che havesse già fatto disegno
di voler seco Orlando o Sacripante,
ch’a ritornar l’havessero nel regno
di Galaphrone in l’ultimo Levante,
le vennero amendua subito a sdegno,
e si mutò di voglia in uno instante:
e senza più ubligarsi o a questo o a quello,
pensò bastar per amendua el suo annello.
40
Volgon pel bosco hor quinci hor quindi in fretta
quelli scherniti la stupida faccia,
come il cane talhor, se gli è intercetta
Lepore o Volpe a cui dava la caccia,
che d’improviso in qualche tana stretta
o in densa macchia o in un fosso si caccia.
Di lor si ride Angelica proterva,
che non è vista, e lor progresso osserva.
41
Per mezo il bosco appar sola una strada:
credeno i cavallier che la donzella
inanzi a-llor per quella se ne vada;
che non se ne può andar se non per quella.
Orlando corre e Ferraù non bada,
né Sacripante men sprona e puntella.
Angelica la briglia più ritene,
e dietro lor con minor fretta vène.
42
Giunti che fur, correndo, ove i sentieri
a perder si venian ne la foresta,
e cominciâr per l’herba i cavallieri
a riguardar se vi trovavan pésta,
Ferraù, che potea, fra quanti altieri
mai fusser, gir con la corona in testa,
si volse con mal viso agli altri dui
e gridò lor: – Dove venite vui?
43
Tornate a dietro, o pigliate altra via,
se non volete rimaner qui morti:
né in amar né in seguir la donna mia
si creda alcun che compagnia comporti. –
Disse Orlando al Circasso: – Che potria
più dir costui, s’ambi n’havesse scorti
per due più vili e timide puttane
che da connocchie mai trahesser lane? –
44
Poi volto a Ferraù, disse: – Huom bestiale,
s’io non guardassi che senza elmo sei,
di quel c’hai detto, s’hai ben detto o male,
senza altra indugia accorger ti farei. –
Disse il Spagnol: – Di quel ch’a me non cale,
perché pigliarne tu cura ti déi?
Io sol contra ambedui per far son buono
quel che detto ho, senz’elmo come sono. –
45
– Deh (disse Orlando al Re di Circasia),
in mio servigio a costui l’elmo presta,
tanto ch’io gli habbia tratta la pazzia;
ch’altra non vidi mai simile a questa. –
Rispose il Re: – Chi più pazzo saria?
Ma se ti par pur la dimanda honesta,
prestagli il tuo; ch’io non serò men atto,
che tu sia forse, a castigare un matto. –
46
Suggiunse Ferraù: – Sciocchi voi, quasi
che, se mi fusse il portar elmo a-ggrado,
voi senza non ne fuste già rimasi;
che tolti i vostri harei vostro mal grado.
Ma per narrarvi in parte li miei casi,
per voto così senza me ne vado,
et anderò fin ch’io non ho quel fino
che porta in capo Orlando paladino. –
47
– Dunque – rispose sorridendo il Conte –
ti pensi a capo nudo esser bastante
far ad Orlando quel che in Aspramonte
egli già fece al figlio d’Agolante?
Anzi credo io, se tel vedessi a fronte,
che tremaresti dal capo alle piante;
non che volessi l’elmo, ma daresti
l’altre arme a lui di patto, che tu vesti. –
48
El vantator Spagnol disse: – Già molte
fïate e molte ho così Orlando astretto,
che facilmente l’arme gli harei tolte,
quante indosso n’havea, non che l’elmetto;
e s’io nol feci, occorrono alle volte
pensier che prima non s’haveano in petto:
non n’hebbi, già fu, voglia; hor l’haggio, e spero
che mi potrà succeder di liggiero. –
49
Non puòte haver più patïentia Orlando,
e gridò: – Mentitor, brutto Marano,
in che paese ti trovasti, e quando,
a poter più di me con l’arme in mano?
Quel paladin di che ti vai vantando
sono io, che ti pensavi esser lontano:
hor vedi se tu pòi l’elmo levarme,
o s’io son buon per tôrre a te l’altre arme;
50
né da te voglio un minimo vantaggio. –
Così dicendo, l’elmo si disciolse
e lo suspese a un ramuscel di faggio;
e quasi a un tempo Durindana tolse.
Di ciò non perse Ferraù il coraggio:
trasse la spada, e in atto si raccolse,
onde con essa e col levato scudo
potesse ricoprirsi il capo nudo.
51
Così li duo guerrieri incominciaro,
lor cavalli aggirando, a volteggiarsi,
e dove l’arme si giungeano, e raro
era più il ferro, col ferro tentarsi.
Non era in tutto il mondo un altro paro
che più di questo havessi ad accoppiarsi:
pari eran di vigor, pari d’ardire;
né l’un né l’altro si potea ferire.
52
C’habbiate, signor mio, già inteso estimo
che Ferraù per tutto era fatato,
fuor che là dove l’alimento primo
piglia il fanciul nel ventre anchor serrato:
e fin che del sepolchro il tetro limo
la faccia gli coprì, quel luogo armato
usò portar, dov’era il dubbio, sempre
di sette piastre fatte a buone tempre.
53
Era ugualmente il principe d’Anglante
tutto fatato, fuor che in una parte:
ferito esser potea sotto le piante,
ma le guardò con ogni studio et arte.
Duro era il resto lor più di diamante
(se la fama dal ver non si dipparte);
e l’uno e l’altro gìa più per ornato,
che per bisogno, in le sue imprese armato.
54
S’incrudelisce e inaspra la battaglia,
d’horrore in vista e di spavento piena:
Ferraù quando punge e quando taglia,
né mena botta che non vada piena;
ogni colpo d’Orlando o piastra o maglia
dischioda, rompe et apre e a straccio mena.
Angelica invisibil lor pon mente,
che sola a tal spettacolo è presente.
55
Intanto il Re di Circasia, stimando
che Angelica dinanzi gli corresse,
poi che attaccati Ferraù et Orlando
vide restar, per quella via si messe
che si credea che la donzella, quando
da lor disparve, seguitata havesse:
sì che a quella battaglia la figliuola
di Galafron fu testimonia sola.
56
Poi che, horribil come era e spaventosa,
l’hebbe da parte ella mirata alquanto,
e che le parve assai pericolosa
così da l’un come da l’altro canto;
di veder novità volontarosa,
disegnò l’elmo tôr, per mirar quanto
fariano i duo guerrier, vistosel tolto;
ben con pensier di non tenerlo molto.
57
Havea di darlo al Conte intentïone,
ma di lui prima volea tôrse giuoco.
Viene e tol l’elmo, e in gremio se lo pone,
e sta a mirar i cavallieri un poco;
indi si parte, e non fa lor sermone;
e lontana era un pezzo da quel luoco
prima che i cavallier v’havesser mente:
sì l’uno e l’altro era ne l’ira ardente.
58
Ma Ferraù, che prima v’hebbe gli occhi,
si ritrasse da Orlando, e disse a lui:
– Deh come n’ha da male accorti e sciocchi
trattati il cavallier che era con nui!
Che premio fia ch’al vincitor più tocchi,
se ’l bel elmo involato n’ha costui? –
Ritrassi Orlando, e gli occhi al ramo gira:
non vede l’elmo, e tutto avampa in ira.
59
E nel parer di Ferraù concorse,
ch’el cavallier che dianzi era con loro
se lo portasse; onde la briglia torse
e fe’ sentire i sproni a Brigliadoro.
Ferraù, che del campo il vide tôrse,
gli venne dietro; e poi che giunti fôro
dove in l’herba apparea l’orma novella
c’havea fatto il Circasso e la donzella,
60
el sentier prese alla sinistra il Conte
verso una valle, ove il Circasso era ito;
si tenne Ferraù più presso al monte,
dove il sentiero Angelica havea trito.
Angelica in quel mezo ad una fonte
giunt’era, ombrosa e di giocondo sito,
ch’ognun che passa alle fresche ombre invita,
né senza ber mai lascia far partita.
61
Angelica si ferma alle chiare onde,
non pensando ch’alcun le sopravegna;
e per il sacro annel che la nasconde
non può temer che caso rio le avegna.
A prima giunta in su l’herbose sponde
del rivo, l’elmo a un ramuscel consegna;
poi cerca, ove nel bosco è miglior frasca,
la iumenta legar, sì che si pasca.
62
Il cavallier di Spagna, che venuto
era per l’orme, alla fontana giunge.
Non l’ha sì presto Angelica veduto,
che gli dispare, e la cavalla punge:
l’elmo, che sopra l’herba era caduto,
ritor non può, che troppo resta lunge.
Come il Pagan d’Angelica s’accorse,
tosto vêr lei pien di leticia corse.
63
Gli sparve (come io dico) ella dinante,
come fantasma al dipartir del sonno.
Cercando egli la va per quelle piante,
né i miseri occhi più veder la ponno.
Biastemmiando Machone e Trivigante,
e di sua legge ogni maestro e donno,
ritornò Ferraù verso la fonte,
dove in l’herba giacea l’elmo del Conte.
64
Lo riconnobbe, tosto che mirollo,
per letere che havea scritte nel orlo,
che dicean dove Orlando guadagnollo,
e come e quando, et a chi fe’ deporlo.
Armossene il Pagano il capo e il collo;
che non lasciò, pel duol c’havea, di tôrlo,
pel duol c’havea di quella che gli sparve
come sparir soglion notturne larve.
65
Poi che allacciato s’ha il buon elmo in testa,
aviso gli è che a contentarsi a pieno
sol ritrovare Angelica gli resta,
che gli appar e dispar come baleno.
Per lei tutta cercò l’alta foresta:
e poi ch’ogni speranza venne a meno
di più poterne ritrovar vestigi,
tornò al campo spagnol presso a Parigi,
66
temperando il dolor che gli ardea il petto,
di non haver sì gran disir sfogato,
col refrigerio di portar l’elmetto
che fu d’Orlando, come havea giurato.
Dal Conte (poi che ’l certo gli fu detto)
fu lungamente Ferraù cercato;
né fin quel dì dal capo gli lo sciolse,
che fra duo ponti la vita gli tolse.
67
Angelica invisibile e soletta
via se ne va, ma con turbata fronte;
che de l’elmo le dòl, che troppa fretta
le havea fatto lasciar presso alla fonte.
– Per voler far quel ch’a me far non spetta
(tra sé dicea), levato ho l’elmo al Conte:
questo, pel primo merito, è assai buono
di quanto a lui pur ubligata sono.
68
Con buona intentïone (e sallo Idio),
(ben che diverso e tristo effetto segua)
io levai l’elmo: e solo il pensier mio
fu di ridur quella battaglia a triegua;
e non che per mio mezo il suo disio
questo brutto Spagnolo hoggi consegua. –
Così di sé s’andava lamentando
d’haver de l’elmo suo privato Orlando.
69
Sdegnata e mal contenta, la via prese
che le parea miglior verso Orïente.
Più volte ascosa andò, talhor palese,
secondo era opportuno, infra la gente.
Dopo molto veder molto paese,
giunse in un bosco, dove iniquamente
fra duo compagni morti un giovinetto
trovò, che era ferito in mezo ’l petto.
70
Ma non dirò d’Angelica più inante,
che molte cose ho da narrarvi prima;
né sono a Ferraù né a Sacripante
sin a gran pezzo per donar più rima.
Mi tol da tutti il principe d’Anglante,
che di sé vuol che nanzi alli altri exprima
le fatiche e li affanni che sostenne
nel gran disio, di che a fin mai non venne.
71
Alla prima città ch’egli ritrova
(perché d’andare occulto havea gran cura)
si pone in capo una barbuta nuova
senza mirar s’ha debil tempra o dura:
sia qual si vol, poco gli nuoce o giova;
tanto in la fatagion si rassicura.
Così coperto, séguita l’inchiesta;
né notte o dì, né pioggia o sol l’arresta.
72
Era ne l’hora che trahea i cavalli
Phebo del mar con rugiadoso pelo,
e l’Aurora di fior vermigli e gialli
iva spargendo d’ognintorno il cielo;
e lasciato le stelle haveano i balli,
e per celarsi postosi già il velo;
quando appresso a Parigi, un dì passando,
mostrò di sua virtù gran segno Orlando.
73
Vi s’incontrò due squadre: e Manilardo
ne reggea l’una, il Saracin canuto,
Re di Noricia, già fero e gagliardo,
hor miglior di consiglio che d’aiuto;
guidava l’altra sotto il suo stendardo
el Re di Tremisen, ch’era tenuto
tra li Africani cavallier perfetto:
Alzirdo fu (da chi ’l connobbe) detto.
74
Questi con l’altro exercito pagano
quella invernata havean fatto soggiorno,
chi presso alla città, chi più lontano,
tutti in le ville o in le castella intorno:
c’havendo speso il Re Agramante invano
(per expugnar Parigi) più d’un giorno,
vòlse tentar l’assedio finalmente,
poi che pigliar non lo potea altrimente.
75
E per far questo havea gente infinita;
che oltra quella che con lui giunta era,
e quella che di Spagna havea seguita
del Re Marsilio la real bandiera,
molta di Francia n’havea al soldo unita;
che da Parigi insino alla rivera
d’Arli, con parte di Guascogna (excetto
alcune ròcche), havea tutto suggetto.
76
Hor cominciando i trepidi ruscelli
a sciorre il freddo giaccio in tepide onde,
e prati di nuove herbe, e li arbuscelli
a rivestirsi di tenera fronde,
ragunò il Re Agramante tutti quelli
che seguian le fortune sue seconde,
per farse rassegnar tutta la torma;
indi alle cose sue dar miglior forma.
77
A questo effetto il Re di Tremisenne
con quel de la Noritia ne venìa,
per là giungere a tempo, ove si tenne
poi conto d’ogni squadra o buona o ria.
Orlando a caso ad incontrar si venne
(come io v’ho detto) in questa compagnia,
cercando pur colei, come egli era uso,
ch’in la pregion d’Amor lo tenea chiuso.
78
Come Alzirdo appressar vide quel Conte
che di valor non havea par al mondo,
in tal sembiante, in sì superba fronte
ch’el Dio de l’arme a lui parea secondo,
restò stupito alle fattezze conte,
al fiero sguardo, al viso furibondo,
e lo stimò guerrier d’alta prodezza:
ma hebbe del provar troppa vaghezza.
79
Era giovene Alzirdo, et arrogante
per molta forza, e per gran cor pregiato.
Per giostrar spinse il suo cavallo inante:
meglio per lui se fusse in schiera stato;
perché nel scontro il principe d’Anglante
lo fe’ cader, per mezo ’l cor passato.
Giva in fuga il destrier di timor pieno;
che su non v’era chi reggesse il freno.
80
Levasi un grido sùbito et horrendo,
che d’ognintorno n’ha l’aria ripiena,
come si vede il giovene, cadendo,
spicciar il sangue di sì larga vena.
La turba verso il Conte vien fremendo
disordinata, e tagli e punte mena;
ma quella è più, che con pennuti dardi
da lungi infesta il fior de li gagliardi.
81
Con quel rumor che la setosa frotta
correr da monti suole o da campagne,
s’el Lupo uscito di nascosa grotta
o l’Orso sceso alle minor montagne
un tener porco preso habbia talhotta,
che con alto grugnir molto si lagne;
il barbarico stuolo erasi mosso
verso il Conte, gridando: – Adosso, adosso! –
82
Saette, lance e mazze hebbe in l’usbergo
mille ad un tempo, e nel scudo altretante:
chi gli percuote con la spada il tergo,
chi minaccia da lato, e chi davante.
Ma quel, ch’al timor mai non diede albergo,
estima la vil turba e l’arme tante
quel ch’in la grassa mandra, al aer cupo,
il numer de l’agnelle faccia il Lupo.
83
Nuda havea in man quella fulminea spada
che posti ha tanti Saracini a morte:
dunque chi vuol di quanta turba cada
tenere il conto, ha impresa dura e forte.
Rossa di sangue già correa la strada,
capace a pena a tante genti morte;
perché né targa né capèl difende
la fatal Durindana, ove discende,
84
né vesta piena di cottone, o tele
che circondino il capo in mille vòlti.
Non pur per l’aria gemiti e querele,
ma volan braccia e spalle e capi sciolti.
Pel campo errando va Morte crudele
in molti varii, e tutti horribil volti;
e tra sé dice: – In man d’Orlando valci
Durindana per cento de mie falci. –
85
Una percossa a pena l’altra aspetta.
Al fin gli cominciâr nanzi a fuggire;
e quando prima ne veniano in fretta,
perché era sol, credeanselo ingiottire,
non è chi per levarsi de la stretta
l’amico attenda, e cerchi insieme gire:
chi fugge a piedi qua, chi colà sprona;
nessun dimanda se la strada è buona.
86
Virtude andava intorno con un speglio
che fa veder nel’anima ogni ruga:
nessun vi si mirò, se non un veglio
a cui ’l sangue l’età, non l’ardir, sciuga.
Vide costui quanto il morir sia meglio,
che con suo dishonor mettersi in fuga:
dico il Re di Noricia, onde la lancia
arrestò contra il paladin di Francia.
87
L’hasta si ruppe alla penna del scudo
del fiero Conte, che nulla si mosse.
Egli che havea alla posta il brando nudo,
Re Manilardo al trappassar percosse.
Fortuna l’aiutò; ch’el ferro crudo
in man d’Orlando al venir giù voltosse:
tirar i colpi a filo ognhor non lece;
ma pur di sella tramazzare il fece.
88
Stordito de l’arcion quel Re tramazza:
non si rivolge Orlando a rivederlo;
che li altri taglia, tronca, fende, amazza:
a tutti pare in su le spalle haverlo.
Come stornelli in arïosa piazza
fuggeno nanzi da Falcone o Smerlo,
così di quella squadra homai disfatta
altri cade, altri fugge, altri s’appiatta.
89
Non cessò pria la sanguinosa spada
che fu di viva gente il campo vuoto.
Orlando è in dubbio a ripigliar la strada,
ben che gli sia tutto il paese noto.
O da man destra o da sinistra vada,
el pensier da l’andar sempre è remoto:
teme che la sua donna in quella parte
si resti, onde esso errando più si parte.
90
El suo camin (di lei chiedendo spesso)
hor per li campi, hor per le selve tenne:
e (sì come era uscito di se stesso)
uscì di strada; e a piè d’un monte venne,
dove la notte fuor d’un sasso fesso
vide un piccol splendor batter le penne.
El Conte presto a quel sasso s’accosta,
sperando in esso Angelica reposta.
91
Come nel bosco del humìl Ginepre,
o ne la stoppia alla campagna aperta,
quando si cerca la paurosa Lepre
per traversati solchi e per via incerta,
vassi ad ogni cespuglio, ad ogni vepre,
se per ventura vi fusse coperta;
così cercava Orlando con gran pena
la donna sua, dove speranza il mena.
92
Verso quel raggio andò con fretta il Conte,
e giunse onde in la selva se diffonde
dal angusto spiraglio di quel monte,
ch’una capace grotta in sé nasconde;
e trova nanzi, ne la prima fronte,
spini e virgulti, come mura e sponde
per celar quei ch’in la spelonca stanno
da chi cercasse lor, per lor far danno.
93
Di giorno ritrovata non sarebbe,
ma la facea di notte il lume aperta.
Orlando pensa ben quel ch’esser debbe;
pur vuol saper la cosa ancho più certa.
Poi che legato fuor Brigliadoro hebbe,
tacito viene alla grotta coperta;
e fra li spessi rami intra in la buca,
senza chiamar di fuor chi l’introduca.
94
Scende la tomba molti gradi al basso,
in che la viva gente sta sepolta:
era non poco spatïoso il sasso
tagliato a punte di scarpelli in volta;
né di luce dïurna in tutto casso,
ben che l’intrata non ne dava molta;
ma ve ne venìa assai da una finestra
che sporgea in un pertugio da man destra.
95
In mezo la spelonca, presso a un fuoco,
era una donna di giocondo viso:
quindece anni passar devea di poco,
quanto fu al Conte, al primo sguardo, aviso;
et era bella sì, che facea il luoco
salvatico parere un paradiso,
ben che havea gli occhi di lachrime pregni,
del cor dolente manifesti segni.
96
V’era una vecchia; e facean gran contese
(come uso feminil spesso esser suole),
ma come il Conte ne la grotta scese,
finiron le dispùte e le parole.
Orlando a salutarle fu cortese
(come con donne sempre esser si vuole),
et elle si levaro immantinente,
e lui risalutâr benignamente.
97
È ver che si smarriro in faccia alquanto
come improviso udiron quella voce,
et ad un tempo armato tutto quanto
videro intrar un huom tanto feroce.
Orlando dimandò qual fusse tanto
scortese, ingiusto, barbaro et atroce,
ch’in la caverna tenesse sepolto
un sì gentile et amoroso volto.
98
La vergine a fatica gli rispose,
interrotta da fervidi signiozzi,
che da coralli e perle pretïose
faceano i dolci accenti venir mozzi.
Le lachrime scendean tra gigli e rose,
là dove avien ch’alcuna se n’ingozzi.
Piacciave in l’altro canto udire il resto,
signor, ch’è tempo homai di finir questo.