CANTO DUODECIMO

1
Nei molti assalti e nei spessi conflitti
c’havuti havea con Francia Africa e Spagna,
morti erano infiniti, e derelitti
al Lupo, al Corvo, all’Aquila griphagna;
e ben che i Franchi fussero più afflitti,
che tutta havean perduta la campagna,
più si doleano i Saracin, per molti
principi e gran baron ch’eran lor tolti.
2
Hebbon vittorie così sanguinose,
che lor poco avanzò di che allegrarse:
e s’alle antique le moderne cose,
invitto Alphonso, denno assimigliarse,
la gran vittoria, onde alle virtüose
opere vostre può la gloria darse,
di che haver sempre lachrymose ciglia
Ravenna debbe, a queste s’assimiglia,
3
quando, cedendo Morini e Picardi,
l’exercito Normando e l’Aquitano,
voi nel mezo assaliste li stendardi
del quasi vincitor nemico Hispano,
seguendo voi li gioveni gagliardi,
che meritâr con valorosa mano
quel dì da voi, per honorati doni,
cinger le spade e li dorati sproni.
4
Con sì animosi petti, che vi fôro
vicini o poco lungi al gran periglio,
crollaste sì le ricche Giande d’oro,
sì rompeste il baston giallo e vermiglio,
ch’a voi si deve il triomphal alloro,
che non fu guasto né adhuggiato il Giglio.
D’un’altra fronde v’orna ancho la chioma
l’haver servato il suo Fabricio a Roma.
5
La gran Colonna del nome Romano,
che voi prendeste e che servaste intiera,
vi dà più honor che se di vostra mano
havesse uccisa la militia fiera,
quanta ne ingrassa il campo Ravegnano
e quanta se n’andò senza bandiera
d’Aragon, di Castiglia e di Navarra,
veduto non giovar spiedi né carra.
6
Quella vittoria fu più di conforto
che di allegrezza; perché troppo pesa
contra la gioia nostra il veder morto
il capitan di Francia e de l’impresa,
e seco haver una procella absorto
tanti principi illustri, che a difesa
de’ suoi confini e suoi confederati,
di qua da le fredde Alpi eran passati.
7
Nostra salute, nostra vita in questa
vittoria suscitata si connoscie,
che difende che ’l verno e la tempesta
di Giove irato sopra noi non croscie:
ma né goder potemo, né far festa,
sentendo li ramarichi e l’angoscie
ch’in veste bruna e lachrimosa guancia
le vedovelle fan per tutta Francia.
8
Bisogna che proveggia il Re Luigi
di nuovi capitani alle sue squadre,
che per honor de l’aurea Fiordiligi
castighino le man rapaci e ladre
che sore e frati, e bianchi, neri e bigi,
vïolati hanno, e sposa e figlia e madre;
gettato in terra Christo in sacramento
per tôrgli il tabernaculo d’ariento.
9
O misera Ravenna, t’era meglio
che al vincitor non fêssi resistenza;
far che ti fusse inanzi Brescia speglio,
che tu lo fussi a Arimino e a Faenza.
Manda, Luigi, il buon Traulcio veglio,
ch’insegni a questi tuoi più continenza,
e conti lor dil sangue che fu spanto
al vespro ch’intonò l’horribil canto.
10
Come di capitani bisogna hora
ch’el Re di Francia al campo suo proveggia,
così Marsilio et Agramante allhora,
per dar buon reggimento alla sua greggia,
da i luochi dove il verno fe’ dimora
vuol ch’in campagna all’ordine si veggia;
perché, vedendo ove bisogno sia,
guida e governo ad ogni schiera dia.
11
Marsilio prima, e poi fece Agramante
passar la gente sua schiera per schiera.
Li Cathalani a tutti gli altri inante
di Doriphebo van con la bandiera;
dopo vien, senza il suo Re Folvirante
(che per man di Rinaldo già morto era),
la gente di Navarra; et il Re Hispano
halle dato Isolier per capitano.
12
Balugante dil popul di Leone,
Grandonio cura de li Algarbi piglia;
el fratel di Marsilio, Falsirone,
ha seco armata la minor Castiglia.
Seguon di Madarasso il gonfalone
quei che lasciato han Malaga e Siviglia,
dal mar di Gade a Cordova feconda
le verdi ripe ovunque il Bethy inonda.
13
Stordilano e Tesira e Baricondo,
l’un dopo l’altro, mostra la sua gente:
Granata al primo, Ulispona al secondo,
è Maiorica al terzo ubidïente.
Fe’ Portugal, tolto Larbin dal mondo,
suo Re Tesira, di Larbin parente.
Poi vien Gallitia, che sua guida, in vece
di Maricoldo, Serpentino fece.
14
Quei di Tolledo e quei di Calatrava,
di c’hebbe Sinagon già la bandiera,
con tutta quella gente che si lava
in Guadïana e bee de la riviera,
l’audace Matalista governava;
lui seguia Bianzardino, e in una schiera
da Avila havea le genti e di Piagenza,
di Salamanca e Zamora e Palenza.
15
Di quei di Saragosa e de la corte
del Re Marsilio ha Ferraù il governo:
tutta la gente è ben armata e forte.
In questi è Malgarino e Balinverno,
Malzarise e Morgante, ch’una sorte
havea fatto habitar paese externo;
che poi che i regni lor lor furon tolti
Marsilio in Spagna havea tutti raccolti.
16
In questa è di Marsiglio il gran Bastardo,
Follicon d’Almeria, con Doriconte,
Bavarte e l’Argalifa et Analardo,
et Archidante, il Sagontino conte,
e l’Amirante e Langhiran gagliardo,
e Malagur c’havea l’astutie pronte
più che le forze, et altri et altri, ch’ove
tempo serà, vi mostrarò alle prove.
17
Poi che passò lo exercito di Spagna
con bella mostra inanzi il Re Agramante,
con la sua squadra apparve alla campagna
il Re d’Oran, che quasi era gigante.
L’altra che vien per Martasin si lagna,
il qual morto le fu da Bradamante;
e le duol ch’una femina si vanti
d’haverle ucciso il Re de’ Garamanti.
18
Seguia la terza schiera di Marmonda,
che Argosto morto abbandonò in Guascogna;
a questa un capo, come alla seconda
e come ancho alla quarta, dar bisogna.
Quantunque il Re Agramante non abonda
di capitani, pur ne finge e sogna:
dunque Buraldo, Ormida, Arganio elesse,
e capo e guida ad ogni stuol ne messe.
19
Diede ad Arganio quei di Libycana,
che piangean morto il negro Dudrinasso.
Guida Brunello i suoi di Tingitana,
con viso nubiloso e ciglio basso;
che, poi che ne la selva non lontana
dal castel c’hebbe Atlante in cima al sasso
gli fu tolto l’annel da Bradamante,
caduto era in disgratia al Re Agramante;
20
e se ’l fratel di Ferraù, Isoliero,
ch’al arbore legato ritrovollo,
non facea fede inanzi il Re del vero,
harebbe dato in su le forche un crollo.
Mutò, a’ prieghi di molti, il Re pensiero,
già havendo fatto porgli il laccio al collo:
gli lo fece levar, ma riserbarlo
pel primo error; che poi giurò impiccarlo:
21
sì che havea causa di venir Brunello
col viso mesto e con la testa china.
Seguia poi Farurante, e drieto a quello
eran cavalli e fanti di Maurina.
Venìa Libanio appresso, il Re novello:
la gente era con lui di Constantina,
perhò che la condutta e il scettro d’oro
gli ha dato il Re, che fu di Pinadoro.
22
Con la gente d’Hesperia Soridano,
e Dorilon ne vien con quei di Setta;
ne vien coi Nasamoni Pulïano.
Quelli d’Amonia il Re Agricalte affretta;
Malabuferso quelli di Fizano.
Da Finadurro è l’altra squadra retta,
che di Canaria viene e di Marocco;
Balastro ha quei che fur del Re Tardocco.
23
Duo squadre, una di Mulga, una d’Arzilla,
seguono: e questa ha ’l suo signor antico;
quella n’è priva, e perhò il Re sortilla
e diella a Corineo suo fido amico.
E così de la gente d’Almansilla,
c’havea Tanfirïon, fe’ Re Caìco;
diè quella di Getulia a Rimedonte.
Poi vien con quei di Cosca Balinfronte.
24
Quella altra schiera è la gente di Bolga:
suo Re è Clarindo, e già fu Mirabaldo.
Vien Baliverzo, il qual vuo’ che tu tolga
di tutto ’l gregge pel maggior ribaldo.
Non credo in tutto ’l campo si disciolga
bandiera c’habbia exercito più saldo
de l’altra con che segue il Re Sobrino,
né più di lui prudente Saracino.
25
Quei di Bellamarina, che Gualciotto
solea guidare, hor guida il Re d’Algieri
Rodomonte, e di Sarza, che condotto
di nuovo havea pedoni e cavallieri;
che mentre il Sol fu nubiloso sotto
el gran Centauro e i corni horridi e fieri,
fu in Africa mandato da Agramante,
onde venuto era tre giorni inante.
26
Non havea il campo d’Africa più forte,
né Saracin più audace di costui;
e più temean le Parigine porte,
et havean più cagion di temer lui,
che Marsilio, Agramante e la gran corte
c’havea seguito in Francia questi dui;
e più d’ogni altro che facesse mostra,
era nemico de la fede nostra.
27
Vien Prusïone, il Re de l’Alvaracchie;
poi quel de la Zumara, Dardinello.
Non so s’habbiano o nottule o cornacchie,
o altro manco et importuno augello
che da li tetti o da li arbori gracchie
futuro mal, predetto e a questo e a quello
che fissa in ciel nel dì seguente è l’hora
che l’uno e l’altro in la battaglia mora.
28
In campo non haveano altri a venire
che quei di Tremisenne e di Noritia;
né si vedea alla mostra comparire
il segno lor, né dar di sé notitia.
Stava Agramante, e non sapea che dire
né che pensar di questa lor pigritia;
fin che del Re di Tremisen condutto
gli fu un scudiero, il qual gli narrò ’l tutto
29
e del Re Alzirdo e del Re Manilardo,
che con molti de’ suoi giaceano al campo:
– Signor (diss’egli), il cavallier gagliardo
ch’ucciso ha i nostri, ucciso haria il tuo campo,
se fosse stato a tôrsi via più tardo
di me, che a pena anchor così ne scampo.
Fa quel di cavallieri e di pedoni
che ’l lupo fa di capre e di montoni. –
30
Era venuto pochi giorni inante
nel campo del Re d’Africa un Signore;
né in Ponente era, né in tutto Levante,
di più forza di lui, né di più core.
Gli facea grande honor il Re Agramante,
per esser costui figlio e successore
in Tartaria del Re Agrican gagliardo:
suo nome era il feroce Mandricardo.
31
Per molti chiari gesti era famoso,
e di sua fama tutto il mondo empìa;
ma lo facea più d’altro glorïoso
ch’al castel de la fata di Sorìa
l’usbergo havea acquistato luminoso
ch’Hettòr Troian portò mille anni pria,
per strana e formidabile aventura
che ’l ragionarne pur mettea paura.
32
Trovandosi costui dunque presente
a quel parlar, alzò l’ardita faccia;
e se dispose andare immantinente,
per trovar quel guerrier, dietro alla traccia.
Ritenne occulto il suo pensier in mente,
o sia perché d’alcun stima non faccia,
o perché tema, se ’l pensier palesa,
ch’un altro inanzi a lui pigli l’impresa.
33
A quel scudier fe’ dimandar come era
la sopravesta di quel cavalliero.
Colui rispose: – Quella è tutta nera,
e nero il scudo, e non ha alcun cimiero. –
E fu, signor, la sua resposta vera,
perché lasciato Orlando havea il quartiero;
che come dentro l’animo era in doglia,
così imbrunir di fuor vòlse la spoglia.
34
Marsilio a Mandricardo havea donato
un destrier baio a scorza di castagna,
con gambe e chiome nere; et era nato
di Frisa matre e di caval di Spagna.
Sopra vi salta Mandricardo armato,
e galoppando va per la campagna;
e giura non tornare a quelle schiere
se non trova il campion da l’arme nere.
35
Molti scontrò de la paurosa gente
che da le man d’Orlando era fuggita,
chi del figliuol, chi del fratel dolente,
che nanzi a gli occhi suoi perse la vita.
Anchora la codarda e trista mente
ne la pallida faccia era sculpita;
anchor, per la paura che havuto hanno,
pallidi, muti et insensati vanno.
36
Sprezzando lor, giunse l’altiero dove
crudel spettaculo hebbe et inhumano,
ma testimonio alle mirabil prove
che fur raconte inanzi al Re Africano.
Hor mira questi, hor quelli morti, e move,
e vuol le piaghe misurar con mano,
mosso da strana invidia che egli porta
al cavallier c’havea la gente morta.
37
Come il mastin che tardo al pasto giugne
dal bue lasciato morto da’ villani,
che trova sol le corna, l’ossa e l’ugne,
del resto son sfamati augelli e cani;
riguarda invano il teschio che non ugne:
così fa il crudel Barbaro in que’ piani;
per duol biastemmia e mostra invidia immensa
che tardi è giunto a così lauta mensa.
38
Quel giorno e mezo l’altro segue incerto
il cavallier dal negro, e ne dimanda.
Ecco vede un pratel d’ombre coperto,
che sì d’un alto fiume si ghirlanda,
che lascia a pena un breve spatio aperto
dove l’acqua si torce ad altra banda:
un simil luoco con girevole onda
sotto Ocricoli il Tevere circonda.
39
Dove intrar si potea, coll’arme indosso
stavano molti cavallieri armati.
Chiede il pagan chi li havea in stuol sì grosso
et a che effetto insieme ragunati.
Gli fe’ risposta il Capitano, mosso
dal signoril sembiante e da’ fregiati
d’oro e di gemme arnesi di gran pregio,
che lo mostravan cavalliero egregio.
40
– Dal nostro Re siàn (disse) di Granata
chiamati in compagnia de la figliuola,
la quale al Re di Sarza ha maritata,
ben che di ciò la fama anchor non vola.
Come appresso alla sera racchetata
la cicaletta sia, c’hor s’ode sola,
dinanzi al padre fra l’Hispane torme
la condurremo; intanto ella si dorme. –
41
Colui, che tutto il mondo vilipende,
disegna di veder presto la prova,
se quella gente bene o mal difende
la donna alla cui guardia si ritrova.
Disse: – Costei, per quanto se ne intende,
è bella; e di saperlo hora mi giova:
a-llei mi mena, o falla qui venire;
ch’altrove mi convien subito gire. –
42
– Esser per certo déi pazzo solenne, –
rispose il Granatin, né più gli disse.
Ma il Tartaro a ferir tosto lo venne
con l’hasta bassa, e il petto gli traffisse;
che la corazza il colpo non sostenne,
e forza fu che morto in terra gisse.
L’hasta ricovra il figlio d’Agricane,
perché altro da ferir non gli rimane.
43
Non porta spada né baston; che quando
l’arme acquistò che fur d’Hettòr Troiano,
perché trovò che lor mancava il brando,
gli convenne giurar (né giurò invano)
che sin che non togliea quella d’Orlando,
mai non porrebbe ad altra spada mano:
Durindana, che Aimonte hebbe in gran stima
e Orlando hor porta, Hettòr portava prima.
44
Grande è l’ardir del Tartaro, che vada
con disvantaggio tal contra coloro,
gridando: – Chi mi vuol vietar la strada? –
e con la lancia si cacciò tra loro.
Chi l’hasta abbassa, e chi tra’ fuor la spada;
chi tira l’arco, e d’ognintorno fôro.
Egli ne fece morire una frotta
prima che la sua lancia fusse rotta.
45
Rotta che se la vide, il gran troncone
che resta intiero ad ambe mano afferra;
e fa morir con quel tante persone
che non fu vista mai più crudel guerra.
Come tra’ Philistei l’hebreo Sansone
con la mascella che levò di terra,
scudi spezza, elmi schiaccia, e un colpo spesso
spenge i cavalli ai cavallieri appresso.
46
Correno a morte que’ miseri a gara,
né perché cada l’un, l’altro andar cessa;
che la maniera del morire, amara
lor par più assai che non è morte istessa.
Patir non ponno che la vita cara
tolta lor sia da un pezzo d’hasta fessa,
e siano sotto le picchiate strane
a morir giunti come biscie o rane.
47
Ma poi che a spese lor si furo accorti
che male in ogni guisa era morire,
essendo già presso ai duo terzi morti,
tutto lo avanzo comminciò a fuggire.
Come del proprio haver via se gli porti,
il Saracin crudel non può patire
che alcun di quella turba sbigottita
da lui partir si debbia colla vita.
48
Come in palude asciutta dura poco
stridula canna, o in campo àrrida stoppia
contra il soffio di Borea e contra il fuoco
che ’l cauto agricultor insieme accoppia,
quando la vaga fiamma occùpa il luoco
e scorre per li solchi, e stride e scoppia;
così costor contra la furia accesa
di Mandricardo fan poca difesa.
49
Poscia ch’egli restar vide l’intrata,
che mal guardata fu, senza custode,
per la via che di nuovo era segnata
ne l’herba, e al suon de li ramarchi ch’ode,
viene a veder la Donna di Granata,
se di bellezza è pare alle sue lode:
passa tra i corpi de la gente morta,
dove gli dà, torcendo il fiume, porta.
50
E Doralice in mezo ’l prato vede
(che così nome la Donzella havea),
la qual, suffolta da l’antico piede
d’un frassino silvestre, si dolea.
Il pianto, come un rivo che succede
di viva vena, nel bel sen cadea;
e nel bel viso si vedea ch’insieme
de l’altrui mal si duole, e del suo teme.
51
Crebbe il timor, come venir lo vide
di sangue brutto e con faccia empia e oscura,
e ’l grido sin al ciel l’aria divide,
di sé e de la sua gente per paura;
che, oltra i cavallier, v’erano guide
che de la bella Infante haveano cura,
maturi vecchi, e assai donne e donzelle
del regno di Granata, e le più belle.
52
Come il Tartaro vede quel bel viso
che non ha paragone in tutta Spagna,
e c’ha nel pianto (hor ch’esser de’ nel riso?)
tesa d’Amor l’inestricabil ragna,
non sa se vive o in terra o in paradiso;
né de la sua vittoria altro guadagna,
se non che in man de la sua prigionera
si dà prigione, e non sa in qual maniera.
53
A-llei perhò non si concede tanto
che del travaglio suo le doni il frutto:
ben che piangendo ella dimostri, quanto
possa donna mostrar, dolore e lutto,
egli, sperando volgerli quel pianto
in summo gaudio, era disposto al tutto
menarla seco; e sopra un bianco ubino
montar la fece, e tornò al suo camino.
54
Donne e donzelle e vecchi e l’altra gente,
ch’eran con lei venuti di Granata,
tutti licentïò benignamente,
dicendo: – Assai di me fia accompagnata;
io mastro, io balia, io le serò sergente
in tutti i suoi bisogni: a dio, brigata. –
Così, non gli possendo far riparo,
piangendo e suspirando se ne andaro,
55
tra lor dicendo: – Quanto doloroso
ne serà il patre, come il caso intenda!
quanta ira, quanto duol ne havrà il suo sposo!
oh come ne farà vendetta horrenda!
Deh, perché a tempo tanto bisognoso
non è qui presso a far che costui renda
il sangue illustre del Re Stordilano,
prima che se lo porti più lontano? –
56
De la gran preda il Tartaro contento,
che Fortuna e valor gli ha posta inanzi,
di trovar quel dal negro vestimento
non par c’habbia la fretta c’havea dianzi.
Correva dianzi: hor vien adagio e lento;
e pensa tuttavia dove si stanzi,
dove ritrovi alcun commodo luoco
per exhalar tanto amoroso fuoco.
57
Tuttavolta conforta Doralice,
c’havea di pianto e gli occhi e il viso molle:
compone e finge molte cose, e dice
che per fama gran tempo ben le volle;
e che la patria e il suo regno felice,
ch’el nome di grandezza agli altri tolle,
lasciò non per veder Spagna né Francia,
ma sol per contemplar sua bella guancia.
58
– Se per amar l’huom debbe essere amato,
merito il vostro amor, che v’ho amato io;
se per stirpe, di me chi è meglio nato?
ch’el possente Agrican fu il padre mio;
se per ricchezza, quale ha maggior stato?
che di dominio io cedo a pena a Idio;
se per valor, credo hoggi haver experto
ch’essere amato per valore io merto.
59
Queste parole et altre assai, che Amore
a Mandricardo di sua bocca ditta,
van dolcemente a consolare il core
de la Donzella di paura afflitta:
il timor cessa, e poi cessa il dolore
che le havea quasi l’anima trafitta.
Ella commincia con più patïenza
a dar più grata al suo amator udienza;
60
poi con risposte più benigne molto
a mostrarglise affabile e cortese,
e non negargli di fermar nel volto
talhor le luci di pietade accese:
onde l’amante, che dal stral fu colto
altre volte d’Amor, certeza prese,
non che speranza, che la donna bella
non gli serìa sempre ai disir ribella.
61
Con questa compagnia lieto e gioioso,
che sì gli satisfà, sì gli diletta,
essendo presso all’hora ch’a riposo
la fredda notte ogni animal alletta,
vedendo il Sol già basso e mezo ascoso,
comminciò a cavalcar con maggior fretta;
tanto che udì sonar zuffoli e canne,
e vide poi fumar ville e capanne.
62
Erano pastorali alloggiamenti,
miglior stanza e più commoda che bella.
Quivi el guardian cortese de li armenti
honorò il Cavalliero e la Donzella,
tanto che si chiamâr da lui contenti;
che non pur le cittadi e le castella,
ma li tugurii anchora e li fenili
han qualche volta li huomini gentili.
63
Che si facesse poi la notte al scuro
tra Doralice e il figlio d’Agricane,
io non l’ardisco a dir troppo sicuro,
ch’io non li vidi e non vi havea le mane:
ma v’era indicio che d’accordo furo;
che con ridente faccia la dimane
si levò Doralice, e gratie rese
al pastor che le fu tanto cortese.
64
Indi d’uno in un altro luogo errando,
si ritrovaro al fin sopra un bel fiume
che con silentio al mar va declinando,
che se vada o si stia, mal si presume;
limpido e chiaro sì, che in lui mirando,
senza contesa al fondo porta il lume;
e ’n ripa quello, a una fresca ombra e bella,
trovâr dui cavallieri e una donzella.
65
Hor l’alta fantasia, che un sentier solo
non vuol ch’i’ segua ognhor, quindi mi guida,
e mi ritorna ove il Moresco stuolo
assorda Francia di rumor e grida,
d’intorno il padiglione in che il figliuolo
del Re Troiano il santo Imperio sfida,
e Rodomonte audace se gli vanta
arder Parigi e spianar Roma santa.
66
Venuto ad Agramante era all’orecchio
che già l’Inglesi havean passato il mare;
perhò Marsilio e il Re del Garbo vecchio
e li altri capitan fece chiamare:
consiglian tutti a far grande apparecchio,
sì che Parigi possino expugnare;
ponno esser certi che più non se expugna
se nol fa prima che lo aiuto giugna.
67
Già scale innumerabili per questo
da’ luoghi intorno havea fatto raccôrre,
e crate assai di vimine contesto,
che le poteano a diversi usi porre;
e navi e ponti: e più facea ch’el resto
il primo e secondo ordine disporre
a dar l’assalto; et egli vuol venire
tra quei che la città denno assalire.
68
L’Imperatore, il dì che ’l dì precesse
de la battaglia, fe’ dentro a Parigi
per tutto celebrare uffici e messe
a preti, a frati e bianchi, neri e bigi;
e le genti che dianzi eran confesse,
e di man tolte all’inimici stygi,
tutti communicâr, non altrimente
c’havessero a morire il dì seguente.
69
Et egli, tra baroni e paladini,
principi et oratori, al maggior tempio
con gran religïone alli divini
atti intervenne, e ne diè a li altri exempio.
Con le man giunte e gli occhi al ciel supini,
disse: – Signor, ben che io sia iniquo et empio,
non voglia tua bontà, pel mio fallire,
ch’el tuo popul fedele habbia a patire.
70
E se gli è tuo voler ch’egli patisca
e c’habbia il nostro error degni supplìci,
almen la punition si differisca,
sì che per man non sia de’ tuoi nemici;
che quando lor d’uccider noi sortisca,
che nome havemo pur d’esser tuoi amici,
li pagani diran che nulla puoi,
che perir lasci i partigiani tuoi.
71
E per un che ti sia fatto ribelle,
cento ti si faran per tutto il mondo;
tal che la legge falsa di Babelle
cacciarà la tua fede e porrà al fondo.
Difende queste genti, che son quelle
ch’el tuo sepulchro hanno purgato e mondo
da’ brutti cani, e la tua santa Chiesa
con li vicarii tuoi spesso difesa.
72
So che i meriti nostri atti non sono
a satisfare il debito d’una oncia;
né devemo sperar da te perdono
se riguardamo a nostra vita sconcia:
ma se vi giungi di tua gratia il dono,
nostra ragion fia raguagliata e concia;
né il tuo soccorso disperar possiamo,
qualhor di tua pietà ci ricordiamo. –
73
Così dicea l’Imperator devoto,
con humiltade e contrition di core.
Giunse altri prieghi e convenevol voto
a sì grande uopo, all’alto suo splendore.
Non fu ’l caldo pregar d’effetto vuoto;
perhò ch’el Genio suo, l’Angel migliore,
tolse li prieghi e spiegò al ciel le penne,
et a narrarli al Salvator li venne.
74
E furo altri infiniti in quello instante
da tali messaggier portati a Dio;
che come l’ascoltâr l’anime sante,
dipinte di pietà nel viso pio,
tutti miraro il sempiterno Amante
e gli mostraro il commun lor disio,
che la giusta oration fusse exaudita
del populo christian che chiedea aita.
75
E la Bontà ineffabile, ch’invano
non fu pregata mai da cor fedele,
leva gli occhi pietosi, e fa con mano
cenno che venga a sé l’Angel Michele.
– Va’ (gli disse) all’exercito Christiano
che dianzi in Picardia calò le vele,
et al mur di Parigi l’appresenta,
ch’el campo saracin non se ne senta.
76
Trova prima il Silentio, e da mia parte
gli di’ che teco a questa impresa venga;
ch’egli ben vi saprà con ottima arte
proveder ciò che proveder convegna.
Fornito questo, subito va’ in parte
dove il suo seggio la Discordia tegna:
dille che l’esca e il fucil seco prenda,
e nel campo de’ Mori il fuoco accenda;
77
e tra quei che vi son detti più forti
sparga tante zizanie e tante liti
che combattano insieme; et altri morti,
altri ne siano presi, altri feriti,
e fuor del campo alcuni il sdegno porti,
sì che il suo Re poco al bisogno aiti. –
Non replica a tal detto altra parola
el benedetto Augel, ma dal ciel vola.
78
Dovunque drizza Michel Angel l’ale,
fuggon le nubi e torna il ciel sereno;
gli gira intorno un aureo cerchio, quale
veggiàn di notte lampeggiar baleno.
Seco pensa tra via dove si cale
el celeste Corrier per fallir meno
a trovar quel nemico di parole,
a cui la prima commission far vuole.
79
Vien scorrendo ov’egli habiti, ove egli usi;
e s’accordaro infin tutti i pensieri,
che de frati e de monachi rinchiusi
lo può trovare in chiese e monasteri,
dove sono i parlari in modo exclusi,
che ’l Silentio, ove cantano i salteri,
ove dormano, ove hanno la piatanza,
e finalmente è scritto in ogni stanza.
80
Credendo quivi ritrovarlo, mosse
con maggior fretta le dorate penne;
e di veder ch’anchor Pace vi fosse,
Quïete e Charità, sicuro tenne.
Ma da la opinïon sua ritrovosse
tosto ingannato che nel chiostro venne:
non è Silentio quivi; e gli fu ditto
che habitar non vi suol, se non in scritto.
81
Né Pietà, né Quïete, né Humiltade,
né quivi Amor, né quivi Pace mira.
Ben vi fur già, ma ne l’antiqua etade;
che le cacciâr Gola, Avaritia et Ira,
Superbia, Invidia, Inertia e Crudeltade.
Di tanta novità l’Angel s’ammira:
nel volersi partir guardò in la schiera,
e vide ch’ancho la Discordia v’era,
82
quella che gli havea detta il Patre eterno,
dopo il Silentio, che trovar devesse.
Pensato havea di far la via d’Averno,
che si credea che tra’ dannati stesse;
e ritrovolla in questo nuovo inferno
(chi ’l crederia?) tra santi ufficii e messe.
Non piace già a Michel ch’ella vi sia,
se ben gli tol di cercar lei gran via.
83
La connobbe al vestir di color cento,
fatto a liste inequali et infinite,
c’hor la coprono hor non; che i passi e il vento
qua le volgono e là, ch’eran sdruscite.
Li crini havea chi d’oro e chi d’ariento,
chi negro, e insieme haver pareano lite;
e chi ’n treccia, chi ’n nastro havea raccolti,
altri alle spalle, altri nel petto sciolti.
84
Havea di citationi e di libelli
piene le mani e di rescritti, quali
dianzi con disfattion de’ poverelli
mandava un capo torto a’ tribunali;
che credo, se nasciuto fusse a quelli
tempi come poi fece a’ nostri mali,
stato serìa tra li compagni brutti
de la Discordia, et il peggior di tutti.
85
La chiama a sé Michele, e le commanda
che tra i più forti Saracini scenda;
trovi cagion che lor, con memoranda
strage e ruina, insieme a lite accenda.
Poi del Silentio nuova le dimanda:
facilmente esser può ch’essa ne intenda,
sì come quella che accendendo fuochi
di qua e di là, va per diversi luochi.
86
Rispose la Discordia: – Io non ho a mente
in alcun luoco haverlo mai veduto;
udito l’ho ben nominar sovente
e molto commendarlo per astuto.
Ma la Fraude, una qui di nostra gente
che compagnia talvolta gli ha tenuto,
penso che dir te ne saprà novella; –
e verso una alzò il dito, e disse: – È quella. –
87
Havea piacevol viso, habito honesto,
un humil volger d’occhi, un andar grave,
un parlar sì benigno e sì modesto
che parea Gabriel che dicesse: Ave.
Era brutta e deforme in tutto il resto:
ma nascondea queste fattezze prave
con lungo habito e largo; e sotto quello
attosicato havea sempre il coltello.
88
Dimanda a costei l’Angelo che via
debbia tener, sì che ’l Silentio trove.
Disse la Fraude: – Già costui solia
fra virtudi habitare, e non altrove,
con quei di Benedetto e quei d’Helia
ne le abbadie, quando erano anchor nuove:
fece in le scole assai de la sua vita
al tempo di Pythagora e d’Archyta.
89
Mancati quei philosophi e quei santi
che lo solean tener pel camin ritto,
da li buoni costumi c’havea inanti
fece alle sceleraggini traghitto:
comminciò andar la notte con li amanti,
indi coi ladri, e fare ogni delitto.
Molto col Tradimento egli dimora;
veduto l’ho con l’Homicidio anchora.
90
Con quei che falsan le monete ha usanza
di ripararsi in qualche buca scura.
Muta sì spesso egli compagni e stanza,
che ’l ritrovarlo ti serìa ventura;
ma pur ho d’insegnartelo speranza:
se di arrivare a meza notte hai cura
alla casa del Sonno, senza fallo
potrai (che quivi dorme) ritrovallo. –
91
Ben che soglia la Fraude esser bugiarda,
pur è tanto il suo dir simil al vero
che l’Angelo le crede; indi non tarda
a volarsene fuor del monastero.
Tempra il batter de l’ale, e studia e guarda
giungere in tempo al fin del suo sentiero,
ch’alla casa del Sonno (che ben dove
era sapea) questo Silentio trove.
92
Giace in Arabia una valletta amena,
lontana da cittadi e da villaggi,
ch’all’ombra di duo monti è tutta piena
d’antiqui Abeti e di robusti Faggi.
Il Sole indarno il chiaro dì vi mena;
che non vi può mai penetrar coi raggi,
sì gli è la via da spessi rami tronca:
e quivi entra sotterra una spelonca.
93
Sotto la negra selva una capace
e spatïosa grotta entra nel sasso,
di cui la fronte l’Hedera seguace
tutta aggirando va con storto passo.
In questo albergo il grave Sonno giace;
l’Ocio da un canto corpulento e grasso,
da l’altro la Pigritia in terra siede,
che non può andare, e mal reggersi in piede.
94
El smemorato Oblio sta su la porta:
non lascia intrar, né riconnosce alcuno;
non ascolta ambasciata, né riporta;
e parimente tien cacciato ognuno.
El Silentio va intorno, e fa la scorta:
ha le scarpe di feltro, il mantel bruno;
et a quanti n’incontra, di lontano,
che non debbia venir, cenna con mano.
95
Se gli accosta all’orecchio, e pianamente
l’Angel gli disse: – Dio vuol che tu guidi
a Parigi Rinaldo con la gente
che per dar, mena, al suo signor sussidi:
ma che lo facci tanto chetamente
ch’alcun de’ Saracin non oda i gridi;
sì che più presto che ritrovi il calle
la Fama d’avisar, l’habbia alle spalle. –
96
Altrimente il Silentio non rispose
che del capo accennando che faria,
e drieto ubidïente se gli pose:
e furo al primo volo in Picardia.
Michel mosse le squadre coraggiose,
e fe’ lor breve un gran tratto di via;
sì che in un dì a Parigi le condusse,
né alcun s’avide che miracol fusse.
97
Discorreva il Silentio tuttavolta,
e dinanzi alle squadre e d’ognintorno
facea girare un’alta nebbia in volta,
et era bello in l’altre parti il giorno;
e non lasciava questa nebbia folta
che s’udisse di fuor tromba né corno:
poi n’andò tra’ pagani, e menò seco
un non so che, ch’ognun fe’ sordo e cieco.
98
Mentre Rinaldo in tal fretta venìa,
che ben parea da l’Angelo condotto,
e con silentio tal, che non s’udia
nel campo saracin farsene motto;
el Re Agramante havea la fantaria
messo ne’ borghi di Parigi, sotto
le minacciate mura in su la fossa,
per far quel dì l’estremo di sua possa.
99
Chi può contar l’exercito che mosso
questo dì contra Carlo ha il Re Agramante,
conterà anchora in su l’ombroso dosso
del silvoso Apennin tutte le piante;
dirà quante onde, quando è il mar più grosso,
bagnano i piedi al mauritano Atlante;
e per quant’occhi il ciel le furtive opre
de li amatori a meza notte scopre.
100
Dentro la terra suonano a martello
con spaventevol fretta le campane;
nanzi alli altari, in questo tempio e in quello,
donne e fanciulli alzano al ciel le mane.
Se ’l thesoro paresse a Dio sì bello
come lo stiman le sciocchezze humane,
questo era il dì che ’l santo Consistoro
fatto havria in terra ogni sua statua d’oro.
101
S’odon ramaricare i vecchi giusti
che s’erano serbati in quelli affanni,
e nominar felici i sacri busti
composti in terra già molti e molt’anni.
Ma li animosi gioveni robusti,
che miran poco i lor propinqui danni,
sprezzando le ragion de’ più maturi,
di qua e di là vanno correndo a’ muri.
102
Quivi erano baroni e paladini,
Re, duci, cavallier, marchesi e conti,
soldati forestieri e cittadini,
per Christo e pel suo honor a morir pronti;
che per uscire adosso ai Saracini
pregan l’Imperator ch’abbassi i ponti.
Gode egli di veder l’animo audace,
ma di lasciarli uscir non li compiace.
103
E li dispone in opportuni luochi
per divietare a i Barbari la via:
là si contenta che ne vadan pochi,
qua non basta una grossa compagnia;
alcuni han cura maneggiar li fuochi,
le machine altri, ove bisogno sia.
Carlo di qua e di là non sta mai fermo:
va soccorrendo, e fa per tutto schermo.
104
Siede Parigi in una gran pianura,
di Francia in l’ombilico, anzi nel core;
da mezogiorno un fiume entra le mura,
e corre, et esce a tramontana fuore;
ma fa una isola prima, e v’assicura
de la città una parte, e la migliore:
l’altre due (ch’in tre parti è la gran terra)
di fuor la fossa e dentro il fiume serra.
105
Alla città, che molte miglia gira,
da molte parti si può dar battaglia;
ma sol da un canto il Re Agramante mira,
ch’el campo suo mal volentier sbarraglia:
tutto di là dal fiume lo ritira
verso Ponente, e vuol che quindi assaglia;
perhò che né cittade né campagna
ha dietro (se non sua) fin alla Spagna.
106
Dovunque intorno il gran muro circonda,
gran munitioni havea già Carlo fatte,
fortificato d’argine ogni sponda
con scannafossi dentro e case matte;
onde entra ne la terra, onde esce l’onda,
grossissime catene haveva tratte:
ma fece più ch’altrove provedere
là dove havea più causa di temere.
107
Con occhi d’Argo il figlio di Pipino
previde ove assalir devea Agramante;
e non fece dissegno il Saracino
a cui non fusse riparato inante.
Con Ferraù, Isoliero e Serpentino,
con Falsiron, Grandonio e Balugante,
e con ciò che di Spagna havea menato,
restò Marsiglio in la campagna armato.
108
Sobrin gli era a man manca in ripa a Senna,
con Pulïan, con Dardinel d’Aimonte,
col Re d’Oran, ch’esser gigante accenna,
lungo sei braccia dai piedi alla fronte.
Deh, perché a mover men sono io la penna
che quelle genti a mover l’arme pronte?
ch’el Re di Sarza, pien d’ira e di sdegno,
grida e biastemmia, e non può star più a segno.
109
Come assalire o vasi pastorali
o le dolci reliquie de’ convivi
soglion con rauco suon di stridule ali
l’audaci mosche a’ caldi giorni estivi;
o come vanno a’ rosseggianti pali
di mature uve i storni: così quivi,
empiendo il ciel di grida e di rumori,
se ne veniano a dar l’assalto i Mori.
110
L’exercito Christian sopra le mura
con spade e lancie e scure e pietre e fuoco
difende la città senza paura,
e ’l Barbarico orgoglio estima poco;
e dove Morte uno et un altro fura,
non è chi per viltà ricusi il luoco:
tornano i Saracin giù ne le fosse
a furia di ferite e di percosse.
111
Non ferro solamente vi s’adopra,
ma grossi massi, e merli integri e saldi,
e li muri spiccati con molt’opra,
tetti di torre, e gran pezzi di spaldi.
L’acque bollenti che vengon di sopra
portano a’ Mori insupportabil caldi;
e male a questa pioggia si resiste,
ch’entra per l’elmi e fa acciecar le viste;
112
e questa più nocea ch’el ferro quasi.
Hor che de’ far la nebbia de calcine?
hor che deveano far li ardenti vasi
pieni di solfi, peci e trementine?
Li cerchi in munition non son rimasi,
che d’ogni intorno hanno di fiamma il crine:
questi, scagliati per diverse bande,
metteano a’ Saracini aspre ghirlande.
113
Intanto il Re di Sarza havea cacciato
sotto le mura la schiera seconda,
da Buraldo, da Ormida accompagnato,
quel Garamante, e questo da Marmonda.
Clarindo e Soridan gli sono allato,
né par ch’el Re di Setta si nasconda;
segue il Re di Marocco e quel di Cosca,
ciascun perché il valor suo si connosca.
114
Ne la bandiera, ch’è tutta vermiglia,
Rodomonte di Sarza il Leon spiega,
che la feroce bocca ad una briglia
che gli pon la sua donna aprir non niega:
al Leon se medesimo assimiglia;
e per la donna che lo frena e lega
la bella Doralice ha figurata,
figlia di Stordilan Re di Granata,
115
quella che tolto havea (come io narrava)
Re Mandricardo (e dissi e dove e a cui).
Era costei che Rodomonte amava
più che il suo regno e più che gli occhi sui;
e cortesia e valor per lei mostrava,
non già sapendo ch’era in forza altrui:
se saputo l’havesse, allhora allhora
fatto haria quel che fe’ quel giorno anchora.
116
Sono appoggiate a un tempo mille scale,
che non han men di dua per ogni grado.
Spinge il secondo quel ch’inanzi sale;
ch’el terzo lui montar fa suo mal grado.
Chi per virtù, chi per paura vale:
convien ch’ognun per forza entri nel guado;
che qualunque s’adagia, il Re d’Algere
Rodomonte crudele uccide o fere.
117
Ognun dunque si sforza di salire
tra il fuoco e le ruine in su le mura;
ma tutti li altri guardano s’aprire
veggiano passo ove sia poca cura.
Sol Rodomonte sprezza di venire
se non dove la via meno è sicura:
dove nel caso desperato e rio
li altri fan voti, egli biestemmia Idio.
118
Armato era d’un forte e duro usbergo,
che fu di drago una scagliosa pelle.
Di questo già si cinse il petto e il tergo
quello Avo suo che edificò Babelle,
e si pensò cacciar de l’aureo albergo
e tôrre a Dio ’l governo de le stelle:
la spada, il scudo e fe’ l’elmo perfetto
far tutto a un tempo, e solo a questo effetto.
119
Rodomonte, non già men di Nembrotte
indomito, superbo e furibondo,
che d’ire al ciel non tardarebbe a notte
quando la strada si trovasse al mondo,
quivi non mira dove intiere o rotte
siano le mura, o s’habbia l’acqua fondo:
passa la fossa, anzi la corre e vola,
nel’acqua e nel pantan sin alla gola.
120
Di fango brutto e molle d’acqua vanne
tra ’l fuoco e i sassi e li archi e le balestre,
come andar suol tra le palustri canne
de la acquosa Mallea porco silvestre,
che col petto, col ceffo e con le zanne
fa, dovunque si volga, ample finestre:
col scudo in capo il Saracin sicuro
ne vien sprezzando il ciel, non che quel muro.
121
Non fu sì presto al sciutto Rodomonte,
che giunto si sentì su le baltresche
che dentro alla muraglia facean ponte
capace e largo alle squadre Francesche.
Hor si vede spezzar più d’una fronte
e far chierce maggior de le fratesche,
braccia e capi volare, e ne la fossa
cader da’ muri una fiumana rossa.
122
Getta il Pagano il scudo, e a duo man prende
la crudel spada, e giunge il duca Arnolfo;
costui venìa di là dove discende
l’acqua del Rheno nel salato golfo:
quel miser contra lui non se difende
meglio che faccia contra il fuoco il solfo;
e cade in terra, e dà l’ultimo crollo,
dal capo fesso un palmo sotto il collo.
123
Uccise di roverso in una volta
Anselmo, Oldrado, Spineloccio e Prando:
il luoco stretto e la gran turba folta
fece girar sì pienamente il brando.
Fu la prima metade a Fiandra tolta,
l’altra scemata al populo Normando;
divise appresso da la fronte al petto,
et indi al ventre, il Maganzese Orghetto.
124
Getta da’ merli Andropono e Moschino
giù ne la fossa: il primo è sacerdote;
non adora il secondo altro ch’el vino,
e le bigonce a un sorso ha spesso vuote.
Come arsenico o sangue viperino,
vivendo, fuggì l’acque più che puòte:
more in la fossa; e quel che più l’annoia
è di veder che in l’acqua se ne muoia.
125
Tagliò in due parti il Provenzal Luigi,
e passò ’l petto al Tolosano Arnaldo.
Di Torse Oberto, Claudio, Ugo e Dionigi
mandaro il spirto fuor col sangue caldo;
e presso a questi, quattro da Parigi,
Gualtiero, Satallone, Odo et Ambaldo,
et altri molti: et io non saprei come
di tutti nominar la patria e il nome.
126
La turba dietro a Rodomonte presta
le scale appoggia, e monta in più d’un luoco.
Quivi non fanno i Parigin più testa;
che la prima difesa lor val poco:
san ben che alli nemici assai più resta
dentro da fare, e non l’havran da giuoco;
perché tra il muro e l’argine secondo
discende il fosso horribile e profondo.
127
Oltra che i nostri facciano difesa
dal basso all’alto, e mostrino valore,
nuova gente succede alla contesa
sopra l’erta pendice interïore,
che fa con lancie e con saette offesa
alla gran moltitudine di fuore,
che credo ben che serìa stata manco
se non le fusse il Re di Sarza al fianco.
128
Egli questi conforta e quei riprende,
e con voce e con man nanzi li caccia;
ad altri il petto, ad altri il capo fende,
che per fuggir veggia voltar la faccia.
Molti ne spinge et urta; alcuni prende
pe’ capelli, pel collo e per le braccia:
e sosopra là giù tanti ne getta,
che quella fossa a capir tutti è stretta.
129
Mentre il stuolo de’ Barbari se cala,
anzi trabbocca al periglioso fondo
et indi cerca per diversa scala
di salir sopra l’argine secondo,
il Re di Sarza (come havesse una ala
per ciascun de’ suoi membri) levò il pondo
di sì gran corpo e con tante arme indosso,
e netto si lanciò di là dal fosso.
130
Poco era men di trenta piedi, o tanto,
et egli il passò destro come un veltro,
e fece nel cader strepito quanto
sotto li piedi havesse havuto il feltro:
et a questo et a quello affrappa il manto,
come sian l’arme di tenero peltro
e non di ferro, anzi pur sian di scorza:
tal la sua spada, e tanta è la sua forza!
131
In questo tempo i nostri, da chi tese
sono l’insidie in la cava profonda,
che v’hanno secche vimini distese
intorno cui di molta pece abonda,
né perhò alcuna si vede palese,
ben che n’è piena l’una e l’altra sponda
dal fondo cupo insino al orlo quasi;
e senza fin v’hanno appiattati vasi,
132
qual con salnitrio, qual con oglio, quale
con solfo, qual con altra simile esca;
i nostri in questo tempo, perché male
a’ Saracini il folle ardir riesca,
ch’eran nel fosso e per diverse scale
credean montar su l’ultima baltresca;
udito ’l segno da opportuni luochi,
di qua e di là fenno avampare i fuochi.
133
Tornò la fiamma sparsa tutta in una,
che tra una ripa e l’altra ha il fosso pieno;
e tanto ascende in alto, che alla Luna
da presso può sciugar l’humido seno.
Sopra si volve oscura nebbia e bruna,
ch’el Sole adombra, e spegne ogni sereno.
Sentesi un scoppio in un perpetuo suono,
simile a un grande e spaventoso tuono.
134
Aspro concento, horribile harmonia
d’alte querele, d’ululi e de strida
de la misera gente che peria
nel fondo per cagion de la sua guida,
estranamente concordar s’udia
col fiero suon de la fiamma homicida.
Non più, signor, non più di questo canto;
ch’io son già rauco, e vuo’ posarmi alquanto.