CANTO TERTIODECIMO
1
Fu il vincer sempremai laudabil cosa,
vincasi o per fortuna o per ingegno:
è ver che la vittoria sanguinosa
spesso far suole il capitan men degno;
e quella eternamente è glorïosa
e de’ divini honori arriva al segno
quando, servando i suoi senza alcun danno,
si fa che li nemici in rotta vanno.
2
La vostra, signor mio, fu degna loda
quando al Leon in mar tanto feroce,
che havea occupata l’una e l’altra proda
del Po da Francolin sino alla foce,
faceste sì, ch’anchor che ruggir l’oda,
s’io vedrò voi, non tremarò alla voce.
Come vincer si de’, ne dimostraste;
ch’uccideste i nemici, e noi salvaste.
3
Questo il Pagan, troppo in suo danno audace,
non seppe far; che i suoi nel fosso spinse
dove la fiamma sùbita e vorace
non perdonò ad alcun, ma tutti estinse.
A tanti non serìa stato capace
tutto il gran fosso, ma il fuoco restrinse
la carne e l’ossa, e in polve la ridusse,
acciò c’habile a tutti il luoco fusse.
4
Undice mila et otto sopra venti
si ritrovaro in l’affocata buca,
che vi erano discesi mal contenti;
ma così volle il poco saggio duca.
Quivi fra tanto lume hor restan spenti,
e la vorace fiamma li manuca;
e Rodomonte, causa del mal loro,
se ne va exente da tanto martoro;
5
che tra’ nemici in la ripa più interna
era passato d’un mirabil salto.
Se con li altri scendea ne la caverna,
questo era ben il fin d’ogni suo assalto.
Rivolse gli occhi a quella valle inferna,
e quando vide il fuoco andar tanto alto
e di sua gente udì l’horribil strido,
biastemmiò il ciel con spaventoso grido.
6
Intanto il Re Agramante mosso havea
impetüoso assalto ad una porta;
che, mentre la crudel battaglia ardea
qui dove è tanta turba afflitta e morta,
quella sprovvista forse esser credea
di gente che bastasse alla sua scorta.
Seco era il Re d’Arzilla Bambirago,
e Baliverzo, d’ogni vitio vago;
7
e Corineo di Mulga, e Prusïone,
el ricco Re de l’Isole beate;
Malabuferso, che la regïone
tien di Fizan, sotto continua estate;
altri signori, et altre assai persone
experte ne la guerra e bene armate;
e molti anchor senza valore e nudi,
ch’el cor non se armarian con mille scudi.
8
Trovò tutto il contrario al suo pensiero
in questa parte il Re de’ Saracini:
perché in persona il capo de l’Impero
eravi Carlo, e de’ suoi paladini
Re Salamone et il Danese Ugiero,
ambo li Guidi et ambo li Angelini,
e ’l duca di Bavera e Ganelone,
e Berlengiero, Avolio, Avino e Othone;
9
gente infinita poi di minor conto,
de’ Franchi, de’ Tedeschi e de’ Lombardi,
presente il suo signor, ciascuno pronto
a farsi noverar fra li gagliardi.
Di questo altrove io vuo’ rendervi conto;
ch’ad un gran Duca è forza ch’io riguardi,
il qual mi grida, e di lontano accenna,
e priega ch’io nol lasci ne la penna.
10
Signor, è tempo di ridursi hormai
dove rimase il Duca d’Inghilterra,
che stato absente et in exilio, assai
disia di ritornare alla sua terra.
Del partir in procinto lo lasciai;
e colei c’havea rotta Alcina in guerra
mandarlo in Francia s’havea preso cura
per la via più espedita e più sicura.
11
E così una Galea fu apparecchiata,
di che miglior mai non solcò marina;
et perché dubbio s’ha tutta fïata
che non gli turbi il suo vïaggio Alcina,
vuol Logistilla che con forte armata
Andronica ne vada e Sofrosina,
tanto che nel mar d’Arabi o nel golfo
de’ Persi giunga a salvamento Astolfo.
12
Più presto vuol che volteggiando rada
i Scythi e l’Indi e i regni Nabathei,
e torni poi per così lunga strada
a ritrovar i Persi e li Herrythrei;
che per lo Boreal pelago vada,
che turban sempre iniqui venti e rei,
et sì, qualche stagion, pover di sole,
che starne senza alcuni mesi suole.
13
La fata, poi che vide acconcio il tutto,
diede licentia al Duca di partire,
havendol prima ammaestrato e instrutto
di cose assai, che fôra lungo a dire;
e per schivar che non sia più ridutto
per arte maga onde non possa uscire,
un bello et util libro gli havea dato,
che per suo amore havesse ognhora allato.
14
Come l’huom riparar debba all’incanti
mostra il libretto che costei gli diede:
dove ne tratta, e più drieto e più inanti,
per rubrica e per indice si vede.
Un altro don gli fece anchor, che quanti
doni fur mai di gran vantaggio excede:
e questo fu d’horribil suono un corno,
che fa fuggire ognun che l’ode intorno.
15
Dico che ’l corno è di sì horribil suono,
ch’ovunque s’oda fa fuggir la gente;
non può trovarsi al mondo un cor sì buono
che possa non fuggir come lo sente:
rumor di vento, di termuoto e tuono
a par del suon di questo era nïente.
Con molto riferir di gratia, prese
da la fata congedo il buono Inglese.
16
Lasciando il porto e l’onde più tranquille,
con felice aura che in la poppa spira,
sopra le ricche e populose ville
de l’odorifera India il Duca gira,
scoprendo a destra et a sinistra mille
isole sparse; e tanto va, che mira
la terra di Thomasso, onde il nocchiero
più a Tramontana poi prende il sentiero.
17
Quasi radendo l’aurea Chersonesso,
la bella armata il gran pelago frange;
e costeggiando i ricchi liti, spesso
vede come nel mar biancheggi il Gange;
vede le spiaggie, l’una e l’altra appresso,
di Traprobane e Cori, ove il mar s’ange.
Dopo gran via furo a Cochino, e quindi
usciron fuor de’ termini de l’Indi.
18
Da stretta fauce il mar veggon de’ Persi,
come in sì largo spatio se dilaghi.
Dopo non molti dì, vicini fêrsi
al golfo che nomâr li antiqui Maghi:
quivi pigliaro il porto, e fur conversi
con la poppa alla ripa i legni vaghi;
quindi, sicur d’Alcina e di sua guerra,
Astolfo il suo camin prese per terra.
19
Passò per più d’un campo e più d’un bosco,
per più d’un monte e per più d’una valle,
dove hebbe spesso, all’aer chiaro e al fosco,
li ladroni e dinanzi et alle spalle;
vide leoni e draghi pien di tòsco,
et altre fere attraversarsi il calle:
ma non sì presto havea la bocca al corno,
che spaventati gli fuggìan d’intorno.
20
Vien per l’Arabia ch’è detta felice,
ricca di Myrrha, Cinnamo et Incenso,
che per suo albergo l’unica Fenice
eletto s’ha di tutto il mondo immenso;
sin che l’onda trovò vendicatrice
de Israhel, che per divin consenso
Pharaone summerse e tutti i suoi:
e poi venne alla terra de li Heroi.
21
Lungo el fiume Traiano egli cavalca
su quel destrier ch’al mondo è senza pare,
che tanto liggiermente e corre e valca
che ne la arena l’orma non ne appare.
L’herba non pur, non pur la neve calca;
coi piedi asciutti andar potria sul mare;
e sì nel corso si stende et affretta,
che passa e vento e folgore e saetta.
22
Questo è il caval che fu de l’Argalìa,
che di fiamma e di vento era concetto,
e senza fieno e biada si nutria
de l’aria pura, e Rabican fu detto.
Venne, seguendo il Duca la sua via,
dove a quel fiume il Nil dona ricetto;
e vide, come giunse in su la foce,
venire una barchetta a sé veloce.
23
Naviga su la poppa uno Eremita
con bianca barba e lunga a mezo il petto,
che sopra il legno il Paladino invita,
dicendogli: – Figliuol mio benedetto,
se non t’è in odio la tua propria vita,
se non hai di morire hoggi diletto,
venir ti piaccia su quest’altra arena:
ch’a morir quella via dritto ti mena.
24
Tu non andrai più che sei miglia inante,
che troverai la sanguinosa stanza
dove s’alberga un horribil Gigante
che d’otto piedi ogni statura avanza.
Non habbia o cavalliero o vïandante
potersi indi partir vivo speranza;
che ’l Gigante crudel gli tra’ la buccia,
sel mangia crudo, e sorbe il sangue e succia.
25
Piacer, fra tanta crudeltà, si prende
d’una rete ch’egli ha, molto ben fatta;
poco lontana al tetto suo la tende
e ne la trita polve tutta appiatta.
Chi prima non lo sa, non la comprende,
tanto è sottil, tanto egli ben l’adatta:
quivi con fiere grida e con minaccia
li spaventati peregrini caccia.
26
E con gran risa, aviluppati in quella,
se li strasina sotto il suo coperto;
né cavallier riguarda né donzella,
o sia di grande o sia di piccol merto:
o lo scanna o li schiaccia le cervella,
sel mangia, e l’ossa restano al deserto;
e de l’humane pelli intorno intorno
fa il suo palazzo horribilmente adorno.
27
Prendi quest’altra via, prendila, figlio,
che ti fia sin al mar tutta sicura. –
– Io ti rengratio, padre, del consiglio, –
rispose il Cavallier senza paura,
– ma non estimo per l’honor periglio,
di che assai più che de la vita ho cura.
Per far ch’io passi, invan tu parli meco;
anzi vo al dritto a ritrovar quel speco.
28
Fuggendo posso con dishnor salvarmi;
ma tal salute ho più che morte a schivo.
S’i’ vado, al peggio che potria incontrarmi,
fra molti io resterò di vita privo;
ma quando Dio sì mi drizzasse l’armi
che colui morto, et io restassi vivo,
a mille renderei la via sicura:
sì che il guadagno è più che la iattura.
29
Metto all’incontro la morte d’un solo
alla salute di gente infinita. –
– Vattene in pace (rispose), figliuolo:
Dio mandi in defension de la tua vita
l’Archangelo Michel dal summo polo; –
e benedillo il semplice Eremita.
Astolfo lungo il Nil tenne la strada,
sperando più nel suon che ne la spada.
30
Giace tra il fiume e la acquosa palude
una via stretta in l’arenosa riva;
la solitaria casa la richiude,
d’humanitade e d’amicitia priva.
Son fisse intorno teste e membra nude
de la infelice gente che v’arriva;
non v’è finestra, non v’è merlo alcuno
onde penderne almen non si veggia uno.
31
Come in l’alpine ville o ne’ castelli
suol cacciator che gran perigli ha scorsi
su le porte attaccar l’hirsute pelli,
l’horride zampe e i grossi capi d’orsi;
così dimostra il fier Gigante quelli
che di maggior virtù gli erano occorsi.
D’altri infiniti sparse apparon l’ossa;
e d’human sangue è pien più d’una fossa.
32
Stava Caligorante in su la porta
(così havea nome il dispietato mostro),
ch’ornava sua magion di gente morta
come altri d’oro o sete tinte in ostro.
Costui per gaudio a pena si comporta
come il Duca lontan se gli è dimostro;
ch’eran duo mesi, e il terzo ne venìa,
che non fu cavallier per quella via.
33
Vêr la palude, ch’era scura e folta
di verdi canne, in gran fretta ne viene;
che disegnato havea correre in volta
e uscir al paladin drieto le schiene;
che ne la rete, che tenea sepolta
sotto la polve, di cacciarlo ha spene,
come havea fatto li altri peregrini
che quivi tratto havean lor rei destini.
34
Come venire il Paladin lo vede,
ferma il destrier, non senza gran sospetto
d’aviluparsi in quelli lacci il piede,
di che il buon Vecchiarel gli havea predetto.
Quivi il soccorso del suo corno chiede,
e quel sonando fa l’usato effetto:
nel cor fere il Gigante che l’ascolta
di tal timor, che a drieto i passi volta.
35
Astolfo suona, e tuttavolta bada;
che gli par sempre che la rete scocchi.
Fugge il fellon, né vede ove si vada;
che, come il cor, havea perduti gli occhi.
Tanta è la tema, che non sa far strada
che ne li proprii aguati non trabbocchi:
va ne la rete; e quella si disserra,
tutto l’annoda e lo distende in terra.
36
Astolfo, ch’andar giù vede il gran peso,
già sicuro per sé, v’accorre in fretta;
e con la spada in man, da caval sceso,
va per far di mill’anime vendetta.
Poi gli par che s’occide un che sia preso,
viltà più che virtù ne serà detta;
che legate le braccia, i piedi e il collo
gli vede sì, che non può dare un crollo.
37
Havea la rete già fatta Vulcano
di sottil fil d’acciar, ma con tal arte,
che serìa stato ogni risforzo vano
per ismagliarne la più debil parte;
et era quella che già piedi e mano
havea legati a Venere et a Marte:
la fe’ il geloso, e non ad altro effetto
che per pigliar quelli duo amanti in letto.
38
Mercurio al fabro poi la rete invola;
che Chloride pigliar con essa vuole,
Chloride bella che per l’aria vola
drieto all’Aurora in l’apparir del Sole,
e dal raccolto lembo de la stola
gigli spargendo va, rose e vïole.
Mercurio tanto questa Nympha attese,
che con la rete in aria un dì la prese.
39
Dove entra in mare il gran fiume Ethïòpo
par che la Dea presa volando fosse.
Poi nel tempio d’Anubide a Canopo
la rete lunghi seculi serbosse.
Caligorante tre mil’anni dopo
di là, dove era sacra, la rimosse:
se ne portò la rete il ladrone empio,
et arse la cittade, e rubò ’l tempio.
40
Quivi adattolla in modo in su l’arena,
che tutti quei c’havean da lui la caccia
vi davan drento; et era tocca a pena,
che lor legava e collo e piedi e braccia.
Di questa levò Astolfo una catena,
e le man drieto a quel fellon n’allaccia;
le braccia e il petto in guisa gli ne fascia
che non può sciorsi: indi levar lo lascia,
41
da l’altri nodi havendol sciolto prima,
ch’era tornato human più che donzella.
Di trarlo seco e mostrar fece stima
per ville e per cittadi e per castella.
Vuol la rete ancho haver, di che né lima
né martel fece mai cosa più bella:
ne fa somer colui che alla catena
con pompa triomphal drieto si mena.
42
E l’elmo e il scudo anche a portar gli diede
come a valletto, e seguitò ’l camino,
di gaudio empiendo, ovunque metta ’l piede,
ch’ir possa hormai sicuro il peregrino.
Astolfo se ne va tanto, che vede
ch’ai sepolchri di Memphi era vicino,
Memphi per le Pyramidi famoso:
vede all’incontro il Chairo populoso.
43
Tutto il popul correndo si trahea
per vedere il Gigante smisurato:
– Com’è possibil – l’un l’altro dicea
– che quel piccolo il grande habbia legato? –
Astolfo a pena inanzi andar potea,
tanto la calca il preme d’ogni lato;
e come cavallier d’alto valore
ognun l’ammira, e gli fa grande honore.
44
Non era grande il Chairo così allhora
come se ne ragiona a nostra etade:
ch’el populo capir, che ve dimora,
non pôn diciotto mila gran contrade;
e che le case hanno tre palchi, e anchora
ne dormono infiniti in su le strade;
e che ’l Soldano v’habita un castello
mirabil di grandezza, e ricco e bello;
45
e che quindice mila suoi vasalli,
che son christiani rinegati tutti,
con moglie, con famigli e con cavalli
ha sotto un tetto sol quivi ridutti.
Astolfo veder vuole ove s’avalli,
e quanto il Nilo entri in li amari flutti
a Damïata; c’havea quivi inteso
qualunque passa restar morto o preso.
46
Perhò ch’in ripa al Nilo in su la foce
si ripara un ladron dentro una torre,
ch’a paesani e peregrini nuoce,
e sin al Chairo, ognun rubando, scorre,
né se gli può resistere; et ha voce
che non se gli può mai la vita tôrre:
cento mila ferite egli ha già havuto,
né ucciderlo perhò mai s’ha potuto.
47
Per veder se può far rompere il filo
alla Parca di lui, sì che non viva,
Astolfo viene a ritrovare Horrilo
(così havea nome), e a Damïata arriva;
et indi passa ove entra in mare il Nilo,
e vede la gran torre in su la riva,
dove s’alberga l’anima incantata
che d’un folletto nacque e d’una fata.
48
Quivi ritruova che crudel battaglia
era tra Horrilo e dui guerrieri accesa.
Egli era solo, et ambi sì travaglia
ch’a gran fatica gli pôn far difesa;
e quanto in arme l’uno e l’altro vaglia,
la Fama a tutto il mondo lo palesa:
questi erano i dui figli d’Olivero,
Griphone il bianco et Aquilante il nero.
49
Gli è ver ch’el Negromante venuto era
alla battaglia con vantaggio grande;
che seco tratto in campo havea una fera,
la qual si trova solo in quelle bande:
vive sul lito e dentro alla rivera;
e i corpi humani son le sue vivande,
de le persone misere et incaute
de vïandanti e peregrini naute.
50
La bestia ne l’arena appresso il porto
per man de i duo fratei morta giacea;
e per questo ad Horril non si fa torto
s’a un tempo l’uno e l’altro gli nocea.
Più volte l’han smembrato, e non mai morto,
né per smembrarlo uccider si potea;
che se tagliato o mano o gamba gli era,
la rapiccava che parea di cera.
51
Hor sin a’ denti il capo gli divide
Griphone, hor Aquilante sin al petto:
egli de’ colpi lor sempre si ride;
s’adirano essi, che non hanno effetto.
Chi mai d’alto cadendo il metal vide
che li Alchimisti hanno Mercurio detto,
sparger e poi raccôr tutti i suo’ membri,
sentendo di costui se ne rimembri.
52
Se gli spiccano il capo, Horrilo scende,
né cessa brancolar fin che lo truovi;
o per le chiome o pel naso lo prende,
lo salda al collo, e non so con che chiovi.
Piglial talhor Griphon, e ’l braccio stende,
nel fiume il getta, e non par ch’ancho giovi;
che nuota Horrilo al fondo come un pesce,
e col suo capo salvo alla ripa esce.
53
Due belle donne honestamente ornate,
l’una vestita a bianco e l’altra a nero,
che de la pugna causa erano state,
stavano a riguardar l’assalto fiero.
Queste eran quelle due benigne fate
che havean notriti i figli d’Oliviero,
poi che trassero lor ch’eran citelli
da i curvi artigli di duo grandi augelli,
54
che rapiti li havevano a Gismonda
e portati lontan dal suo paese.
Ma non bisogna in ciò ch’io mi diffonda,
ch’a tutto il mondo è l’historia palese;
ben che il scrittor nel padre si confonda,
ch’un per un altro (io non so come) prese.
Hor la battaglia i duo gioveni fanno,
che le due donne ambi pregati n’hanno.
55
Era in quel clima già sparito il giorno,
all’Isole anchor alto di Fortuna;
l’ombre havean tolto ogni vedere atorno
sotto l’incerta e mal compresa Luna,
quando in la ròcca Horril fece ritorno,
poi che alla bianca e alla sorella bruna
piacque di differir l’aspra battaglia
fin che altro Sol nel orizonte saglia.
56
Astolfo, che Griphone et Aquilante
a sopraveste et al ferir gagliardo
riconnosciuto havea gran pezzo inante,
lor non fu altiero a salutar né tardo.
Essi vedendo che quel che ’l Gigante
trahea legato era il baron dal Pardo
(che così in corte era quel Duca detto),
raccolser lui con non minor affetto.
57
Le donne a riposare i cavallieri
menaro a un lor palagio indi vicino.
Donzelle incontra venero e scudieri
con torchi accesi, a mezo del camino.
Diero a chi n’hebbe cura i lor destrieri,
trarronsi l’arme; e dentro un bel giardino
trovâr che apparecchiata era la cena
ad una fonte limpida et amena.
58
Fan legare il Gigante alla verdura
con un’altra catena molto grossa
ad una quercia di molt’anni dura,
che non si romperà per una scossa;
e da diece sergenti haverne cura,
che la notte discior non se ne possa
et assalirli, e forse far lor danno,
mentre sicuri e senza guardia stanno.
59
All’abondante e sontüosa mensa,
dove il manco piacer fur le vivande,
del ragionar gran parte si dispensa
di quel Horrilo e del miracol grande,
che quasi par un sogno a chi vi pensa,
c’hor capo hor braccio a terra se gli mande,
et egli lo raccoglia e lo raggiugna,
e più feroce ognhor torni alla pugna.
60
Astolfo nel suo libro havea già letto
(quel ch’all’incanti riparar insegna)
ch’ad Horril non trarrà l’alma del petto
fin che un crine fatal nel capo tegna;
ma se lo svelle o tronca, fia constretto
che suo mal grado il spirto fuor ne venga.
Questo ne dice il libro, ma non come
connosca il crine in così folte chiome.
61
Così de la vittoria si godea,
come n’havesse il paladin la palma;
che certa speme in pochi colpi havea
svellere il crine al Negromante e l’alma.
Perhò di quella impresa promettea
tôr su li homeri suoi tutta la salma:
Horril farà morir, quando non spiaccia
a’ duo fratei ch’esso l’impresa faccia.
62
Essi gli dànno volentier l’impresa,
certi che debbia affaticarsi invano.
Era già l’altra Aurora in cielo ascesa,
quando calò da’ muri Horrilo al piano.
Tra ’l Duca e lui fu la battaglia accesa:
la mazza l’un, l’altro ha la spada in mano;
di mille attende Astolfo un colpo trarne
ch’el spirto al Mago scioglia da la carne.
63
Hor fa cadergli il pugno con la mazza,
hor questo et hor quel braccio con la mano;
quando taglia a traverso la corazza,
e quando il va troncando a brano a brano:
ma sempre Horril dismonta ne la piazza,
ritolsi il membro, e presto torna sano.
Se ’n cento pezzi ben l’havesse fatto,
redintegrarsi il vedea Astolfo a un tratto.
64
Al fin di mille colpi un gli ne colse
sopra le spalle a’ termini del mento:
la testa e l’elmo dal capo gli tolse,
né fu d’Horrilo a dismontar più lento.
La sanguinosa chioma in man s’avolse,
e risalse a cavallo in un momento;
e la portò correndo incontra il Nilo,
che rïhaver non la potesse Horrilo.
65
Quel sciocco, che del fatto non s’accorse,
per la polve cercando iva la testa:
ma come intese il corridor via tôrse,
portare il capo suo per la foresta,
immantinente al suo caval ricorse;
sopra vi sale, e di seguir non resta.
Volea gridare: – Aspetta, volta, volta! –
ma il Duca già gli havea la bocca tolta.
66
Ma pur, che non gli ha tolto le calcagna
si riconforta, e segue a tutta briglia.
Drieto il lascia gran spatio di campagna
quel Rabican che corre a maraviglia.
Astolfo intanto per la cuticagna
cercava, e drieto e sopra de le ciglia,
se connosceva quel crine fatale
che forza Horrilo havea far immortale.
67
Fra tanti e innumerabili capelli,
un più de l’altro non si stende o torce;
qual dunque Astolfo sceglierà di quelli
che per dar morte al rio ladron racorce?
– Meglio è (disse) che tutti io tagli o svelli: –
né si trovando haver rasoi né force,
ricorse immantinente alla sua spada,
che taglia sì, che si può dir che rada.
68
E tenendo quel capo per il naso,
drieto e dinanzi lo dischioma tutto.
Troncò fra li altri quel fatale a caso:
si fece il viso allhor pallido e brutto,
travolse gli occhi, e dimostrò all’occaso
per manifesti segni esser condutto.
El busto, che seguia troncato al collo,
da caval cade e dà l’ultimo crollo.
69
Astolfo, ove le donne e i cavallieri
lasciato havea, tornò col capo in mano,
che tutti havea di morte i segni veri,
e mostrò il tronco ove giacea lontano.
Non so ben se lo vider volentieri,
anchor che gli mostrasser viso humano;
che l’intercetta lor vittoria forse
d’invidia ai duo germani il petto morse.
70
Né che tal fin quella battaglia havesse
credo più fusse alle due donne grato:
queste, perché più in lungo si trahesse
de’ duo fratelli il doloroso fato
ch’in Francia par ch’in breve esser devesse,
con essi Horrilo havean quivi acciuffato,
con speme di tenerli tanto a bada
che la trista influentia se ne vada.
71
Tosto che ’l castellan di Damïata
certificossi ch’era morto Horrilo,
la colomba lasciò, c’havea legata
sotto l’ala la lettera col filo.
Quella andò al Chairo, et indi fu lasciata
un’altra altrove, come quivi è stilo:
sì che in pochissime hore andò l’aviso
per tutto Egytto ch’era Horrilo ucciso.
72
Il Duca, come al fin trasse l’impresa,
confortò molto i nobili Garzoni,
ben che da sé v’havean la voglia intesa,
né bisognavan stimuli né sproni,
che per difender de la santa Chiesa
e del Romano Imperio le ragioni,
lasciasser le battaglie d’Orïente,
cercando miglior fama in la lor gente.
73
Così Griphone et Aquilante tolse
da le benigne sue donne licentia;
esse (quantunque lor ne ’ncrebbe e dolse)
non perhò far lor seppon resistentia.
Con essi Astolfo a man destra si volse;
che si deliberâr far reverentia
ai santi luochi, ove Dio in carne visse,
prima che verso Francia si venisse.
74
Potuto haria pigliar la via mancina,
ch’era più dilettevole e più piana,
e mai non si scostar da la marina;
ma per la destra andâr horrida e strana,
perché l’alta città di Palestina
per questa sei giornate è men lontana.
Acqua si truova et herba in questa via:
di tutti li altri ben s’ha carastia.
75
Sì che prima ch’intrassero in vïaggio,
ciò che lor bisognò fecion raccôrre
e cargar su ’l Gigante il carrïaggio,
c’havria portato in collo ancho una torre.
Al finir del camino aspro e silvaggio,
da l’alto monte alla lor vista occorre
la santa terra, ove il superno Amore
lavò col proprio sangue il nostro errore.
76
Trovano in su l’entrar de la cittade
un giovene gentil lor connoscente,
Sansonetto da Mecca, oltra l’etade
(ch’era nel primo fior) molto prudente;
d’alta cavalleria, d’alta bontade
famoso, e reverito fra la gente.
Orlando lo converse a nostra fede,
e di sua man battesmo ancho gli diede.
77
Quivi lo trovan che disegna a fronte
del Soldano d’Egytto una fortezza;
e circondar vuol il Calvario monte
di muro di duo miglia di lunghezza.
Da lui raccolti fur con quella fronte
che può d’interno amor dar più chiarezza,
e dentro accompagnati, e con grande agio
fatti alloggiar nel suo real palagio.
78
Havea in governo egli la terra, e in vece
di Carlo vi reggea l’imperio giusto.
A costui dono il duca Astolfo fece
del prigioner dal smisurato busto,
ch’a portar pesi gli varrà per diece
asini o muli, tanto era robusto.
Diegli Astolfo il Gigante, e diegli appresso
la rete ch’in sua forza l’havea messo.
79
Sansonetto all’incontro al Duca diede
per la spada una cinta ricca e bella;
e diede spron per l’uno e l’altro piede,
che d’oro havean la fibbia e la girella;
ch’esser del Cavallier stati si crede
che liberò dal Drago la Donzella:
al Zaffo havuti con molt’altro arnese
Sansonetto li havea, quando lo prese.
80
Purgati de lor colpe a un monasterio
che dava di sé odor di buoni exempi,
la passïon di Christo e ogni mysterio
contemplando n’andâr per tutti i tempî
c’hor con eterno obbrobrio e vituperio
a’ Christïani usurpano i Mori empi.
L’Europa è in arme, e di far guerra agogna
in ogni parte, fuor ch’ove bisogna.
81
Mentre havean quivi l’animo devoto,
a perdonanze e cerimonie intenti,
un peregrin di Grecia a Griphon noto
gli arrecò del suo amor nuove recenti,
dal suo fermo disegno e lungo voto
troppo diverse e troppo differenti;
e quelle il petto gl’infiammaron tanto,
che gli scacciâr l’oratïon da canto.
82
Amava il cavallier, per sua sciagura,
una donna c’havea nome Horrigille:
di più bel volto e di miglior statura
non se ne sceglierebbe una fra mille;
ma disleale e di sì rea natura,
che potresti cercar cittadi e ville,
la terra ferma e l’isole del mare,
né credo ch’una le trovassi pare.
83
Ne la città di Constantin lasciata
grave l’havea di febre acuta e fiera.
Hor quando rivederla alla tornata
più che mai bella, e di goderla spera,
ode il mischin ch’in Antïochia andata
drieto un nuovo amator perfida n’era,
non le parendo hormai di più patire
c’habbia in sì fresca età sola a dormire.
84
Da indi in qua c’hebbe la trista nuova,
suspirava Griphon notte e dì sempre.
Ogni piacer ch’agli altri aggrada e giova,
par che a costui più l’animo distempre:
pensil colui, ne li cui danni prova
Amor, se li suoi strali han buone tempre.
Et era grave sopra ogni martìre
ch’el mal c’havea si vergognava a dire.
85
Questo perché mille fïate inante
già ripreso l’havea di quello amore,
di lui più saggio, il fratello Aquilante,
e cercato Horrigil trargli del core,
come colei che connoscea, di quante
femine ree si truovino, peggiore.
Griphon l’excusa, se ’l fratel la danna;
e le più volte il parer proprio inganna.
86
Perhò fece pensier, senza parlarne
con Aquilante, girsene soletto
sin dentro d’Antïochia, e quindi trarne
colei che tratto ’l cor gli havea del petto;
trovar colui che gli l’ha tolta, e farne
vendetta tal, che ne sia sempre detto.
Dirò come ad effetto il pensier messe
nell'altro canto, e ciò che ne successe.