CANTO VIGESIMOSETTIMO

1
O de li huomini inferma e instabil mente!
come siàn presti a varïar disegno!
Tutti i pensier mutamo facilmente,
più quei che nascon d’amoroso sdegno.
Io vidi dianzi il Saracin sì ardente
contra le donne, e passar tanto ’l segno,
che non che spegner l’odio, ma pensai
che non devesse intepidirlo mai.
2
Donne gentil, per quel ch’a biasmo vostro
parlò contra ’l dever, sì offeso sono,
che fin che con suo mal non gli dimostro
quanto habbia errato, il sdegno non depono.
I’ farò sì con penna e con inchiostro,
ch’ognun vedrà che gli era utile e buono
haver tacciuto, e mordersi più presto
la lingua, che di voi mai dicer questo.
3
Ma che parlò come ignorante e sciocco
ve lo dimostra chiara experïentia:
trasse de l’ira contra tutte il stocco,
e non vi fece alcuna differentia;
poi d’Issabella un sguardo sì l’ha tocco,
che subito gli fa mutar sententia.
Già in cambio di quell’altra la disia:
l’ha vista a pena, e non sa dir chi sia.
4
E come il nuovo amor lo punge e scalda,
muove alcune ragion di poco frutto
per romper quella mente intiera e salda
ch’ella havea fissa al Creator del tutto.
Ma l’Eremita che l’è scudo e falda,
perché il casto pensier non sia distrutto,
con argumenti più validi e fermi
le fa ripari e insuperabil schermi.
5
Poi che l’empio Pagan molto ha sofferto
con lunga noia quel monacho audace,
e che gli ha detto invan ch’al suo deserto
senza lei può tornar quando gli piace;
e che nuocer si vede a viso aperto,
e che seco non vuol tregua né pace:
la mano al mento con furor gli stese,
e tanto ne pelò quanto ne prese.
6
E sì cresce la furia, che nel collo
con man lo stringe a guisa di tenaglia;
e poi ch’una e due volte raggirollo,
da sé per l’aria e verso il mar lo scaglia.
Che n’avenisse, né dico né sollo:
varia fama è di lui, né si raguaglia.
Dice alcun che sì rotto a un sasso resta,
ch’el piè non si discerne da la testa;
7
et altri, ch’a cadere andò nel mare,
che quindi era lontan più di sei miglia,
e che morì per non saper nuotare,
e il corpo si trovò presso a Marsiglia;
altri, ch’un santo lo venne aiutare,
di cui digiunò sempre la vigiglia.
Di queste, qual si vuol, la vera sia:
di lui non parla più l’historia mia.
8
Rodomonte crudel, poi che levato
s’hebbe da canto il garrulo Eremita,
si ritornò con viso men turbato
verso la donna mesta e sbigottita;
e col parlar ch’è fra li amanti usato
le diceva il suo core e la sua vita,
el suo conforto e la sua cara speme,
et altri nomi tai che vanno insieme.
9
E si mostrò sì costumato allhora,
che non le fece alcun segno di forza.
El sembiante gentil, che l’innamora,
l’usato orgoglio in lui spegne et ammorza:
e ben che il frutto trar ne possa fuora,
passar non perhò volle oltra la scorza;
che non gli par che potesse esser buono
quando da lei non l’accettasse in dono.
10
Et così di disporre a poco a poco
a’ suoi piaceri Issabella credea.
Ella, che in sì solingo et strano luoco
qual sorce in piede al gatto si vedea,
vorria trovarsi inanzi in mezo il fuoco;
et seco tuttavolta rivolgea
s’alcun partito, alcuna via fusse atta
a trarla quindi immaculata e intatta.
11
Fa nel animo suo proponimento
di darsi con sua man prima la morte,
ch’el barbaro crudel n’habbia il suo intento,
et che le sia cagion d’errar sì forte
contra quel cavallier ch’in braccio spento
le havea crudele e dispietata sorte;
a cui fatto have col pensier devoto
de la sua castità perpetuo voto.
12
Vede ella ben che l’appetito cieco
del Saracin non è per star a questo,
et che vorrà venir all’atto bieco
se la provisïon non si fa presto.
Ultimamente rivolgendo seco
di molte cose, vi trovò tal sesto,
che la sua castità fu salva, come
io vi dirò, con lungo e chiaro nome.
13
Al brutto Saracin, che le venìa
già contra con parole e con effetti
privati hormai di quella cortesia
che monstrata le havea ne’ primi detti,
disse: – Signor, se fate che la mia
castità in don da voi libera accetti,
io vi farò all’incontro un don, che molto
più vi varrà c’havermi l’honor tolto.
14
Per un piacer di sì poco momento,
di che n’ha sì abondanza tutto il mondo,
non disprezzate un perpetuo contento,
un vero gaudio a nullo altro secondo.
Potete tuttavia ritrovar cento
et mille donne di viso giocondo;
ma chi dar possa il don ch’io vi propono,
nessuno al mondo, o pochi altri ne sono.
15
Ho notitia d’una herba, e l’ho veduta
venendo, e so dove trovarne appresso,
che bollita con helera e con ruta
ad un fuoco di legna di cypresso,
e fra mano innocenti indi premuta,
manda un liquor, che chi tre volte d’esso
bagna il corpo di fuor, tanto l’indura,
che dal ferro e dal fuoco l’assicura.
16
Io dico, se tre volte se n’immolla,
un mese invulnerabile si truova.
Oprar conviensi ogni mese l’ampolla;
che a sua virtù più termine non giova.
Io so far l’acqua, et hoggi anchor farolla,
et hoggi anchor ne vederete prova:
et vi può (s’io non fallo) esser più grata
che d’haver tutta Europa hoggi acquistata.
17
Da voi dimando, in guiderdon di questo,
che su la fede vostra mi giuriate
che n’in detto n’in opera molesto
mai più sarete alla mia castitate. –
Così dicendo, Rodomonte presto
fece restar; che in tanta voluntate
venne ch’invïolabil si facesse,
che più ch’ella non disse, le promesse:
18
e servaralle fin che veggia fatto
de la mirabil acqua experïentia;
et sforzerasse intanto a non far atto,
a non far segno alcun di vïolentia.
Ma ’l suo pensiero è poi rompere il patto,
perché non ha timor né reverentia
di Dio o di santi; e nel mancar di fede
tutta a lui la bugiarda Aphrica cede.
19
Ad Issabella con mille scongiuri
promisse di non mai darle più noia,
pur ch’ella lavorar l’acqua procuri
che far lo può qual fu già Achille a Troia.
Per campi e selve e luochi aprichi e scuri
cogliendo l’herbe, il Saracino soia,
che le sta appresso e per monte e per valle
sempre, hor dinanzi un poco, hora alle spalle.
20
Poi ch’in più parti quanto era a bastanza
colson de l’herbe e con radici e senza,
tardi si ritornaro alla lor stanza;
dove quel paragon di continenza
tutta la notte spende, che le avanza,
a bollir herbe con molta avertenza:
e a tutta l’opra e a tutti quei mestieri
si truova ognhor presente il Re d’Algieri,
21
che producendo quella notte in giuoco
con quelli pochi servi ch’eran seco,
sentia, per il calor del vicin fuoco
ch’era rinchiuso in quello angusto speco,
tal sete, che bevendo hor molto hor poco,
dui barili vuotâr pieni di greco,
c’haveano tolto uno o dui giorni inanti
gli suoi scudieri a certi vïandanti.
22
Non era Rodomonte usato al vino,
perché la legge sua lo vieta e danna;
e poi che lo gustò, liquor divino
gli par, miglior ch’el nectare o la manna;
e riprendendo il rito saracino,
gran tazze e piene e spesse ne tracanna:
li fiaschi vanno in volta così crebri,
che tutti in summa se ritrovan ebri.
23
La donna in questo mezo la caldaia
dal fuoco tolse, ove quell’herbe cosse;
et disse a Rodomonte: – Acciò che paia
che mia parole al vento non ho mosse,
quella ch’el ver da la bugia dispaia
et può far dotte ancho le genti grosse,
te ne farò l’experïenza adesso,
prima che in altri, nel mio corpo istesso.
24
Io voglio a far il saggio esser la prima
del felice liquor di virtù pieno,
acciò che forse non facessi stima
che ce fusse mortifero veneno.
Di questo bagnerommi da la cima
del capo giù pel collo et per il seno:
tu poi tua forza in me prova e tua spada,
se questo habbia vigor, se quella rada. –
25
Bagnossi come disse, et lieta porse
all’incauto Pagano il collo ignudo,
il qual pel vin che tutta notte sorse
si ritrovava più cotto che crudo.
Quel huom bestial, che le credeva, scórse
tanto con l’empia man, ch’el ferro crudo
quel capo, che fu già d’Amore albergo,
spiccò dal petto e dal candido tergo.
26
Quel fe’ tre balzi; e funne udita chiara
voce, ch’uscendo nominò Zerbino,
per cui seguire, astutia strana e rara
s’imaginò a schernire il Saracino.
Alma, c’havesti più la fede cara
e il nome, quasi ignoto e peregrino
al tempo nostro, de la castitade,
che la tua vita e la tua prima etade,
27
vattene in pace, alma beata e bella!
Così potessen li miei versi, come
ben mi affaticherei con tutta quella
arte che tanto il parlar orna et còme,
perché mille et mill’anni, e più, novella
sentisse il mondo del tuo chiaro nome.
Vattene in pace alla superna sede,
et lascia all’altre exempio di tua fede.
28
Al atto incomparabile e stupendo
dal cielo il Creator giù gli occhi volse,
et disse: – Più di quella ti commendo
la cui morte a Tarquino il regno tolse;
et per questo una legge fare intendo
tra quelle mie, che mai tempo non sciolse,
la qual per l’inviolabil acque giuro
che non muterà secolo futuro.
29
Per lo avenir vuo’ che ciascuna c’haggia
il nome tuo sia di sublime ingegno,
e sia bella, gentil, cortese e saggia,
e di vera honestade arrivi al segno:
onde a’ scrittori ampla materia caggia
di celebrare il nome inclyto e degno;
tal che Parnasso, Pindo et Elicone
sempre Issabella, Issabella risuone. –
30
Dio così disse, et serenò d’intorno
l’aria, et fe’ il mar tranquil più che mai fusse.
Fe’ l’alma casta al terzo ciel ritorno,
e in braccio al suo Zerbin si ricondusse.
Rimase in terra con vergogna e scorno
quel fier senza pietà, nuovo Breusse;
che poi ch’el troppo vino hebbe digesto,
biasmò il suo error, et ne restò funesto.
31
Placar o in parte satisfar pensosse
a l’anima beata d’Issabella,
che, poi che a morte il corpo le percosse,
desse almen vita alla memoria d’ella.
Trovò per mezo (acciò che così fosse)
di convertirle quella chiesa, quella
dove habitava e dove ella fu uccisa,
in un sepolchro; et vi dirò in che guisa.
32
Di tutti i luochi intorno fe’ venire
mastri, chi per amor et chi per tema,
e più di se’ mila huomini fe’ unire;
con questi i monti de i gran sassi scema,
et ne fa una gran massa stabilire,
che da la cima era alla parte estrema
novanta braccia; et vi rinchiude dentro
la chiesa, che i dui amanti havea nel centro.
33
Imita quasi la superba mole
che fe’ Adriano all’onda tyberina.
Presso al sepolchro una torre alta vuole;
c’habitarvi alcun tempo si destina.
Un ponte stretto e di due braccia sole
fece su l’acqua che correa vicina:
lungo il ponte, ma largo era sì poco,
che dava a pena a dui cavalli luoco;
34
a dui cavalli che venuti a paro,
o che insieme si fussero scontrati;
et non havea né sponda né riparo,
et si potea cader da tutti i lati.
Il passar quindi vuol che costi caro
a guerrieri o pagani o battezati;
che de le spoglie lor mille trophei
promette al cimiterio di costei.
35
In minor spatio fu, che non ricovra
la nuova Luna el già scemato lume,
finita del sepolchro tutta l’ovra,
la ròcca, il ponticel che passa il fiume.
Star una guardia a la vedetta sovra
la torre il dì et la notte havea costume,
che d’ogni cavallier che venìa al ponte
col corno facea segno a Rodomonte.
36
Et quel si armava, e se gli venìa opporre
hora su l’una, hora su l’altra riva;
che se ’l guerrier venìa di vêr la torre,
su l’altra proda il Re d’Algier veniva.
Il ponticello è il campo ove si corre;
et se ’l caval poco del segno usciva,
cadea nel fiume, ch’alto era e profondo:
ugual periglio a quel non havea il mondo.
37
Haveasi imaginato il Saracino
che, per star sempre a rischo di cadere
del ponte in la riviera a capo chino,
dove li converria molta acqua bere,
del fallo a che l’indusse el troppo vino
devesse netto e mondo rimanere;
pur come l’acqua il vino, così extingua
l’error che fa pel vino o mano o lingua.
38
Molti fra pochi dì vi capitaro:
altri che la via lor ve li condusse,
ch’a quei che di Provenza in Spagna andaro
non era strada che più trita fusse;
altri, c’havean strane aventure a caro,
disio d’honor a far tal prova indusse.
Tutti del’arme l’honorata salma,
et molti vi lasciaro insieme l’alma.
39
Di quelli ch’abbattea, se eran pagani,
si contentava haver le spoglie e l’armi;
e di chi prima fur, li nomi piani
vi facea sopra, e suspendeale a i marmi:
ma ritenea in pregion tutti i christiani,
e che in Algier poi li mandasse parmi.
Finita anchor non era l’opra, quando
vi venne a capitar il pazzo Orlando.
40
A caso venne il furïoso Conte
a capitar su questa gran riviera,
dove (come io vi dico) Rodomonte
far in fretta facea, né finito era
il sepolchro e la torre e il stretto ponte:
di tutte l’arme, fuor che la visera,
a quell’hora il Pagan si trovò in punto,
ch’Orlando al fiume e al ponte è sopraggiunto.
41
Orlando (come el suo furor lo caccia)
salta la sbarra e sopra il ponte corre.
Ma Rodomonte con turbata faccia,
a piè, come era innanzi a la gran torre,
gli grida di lontano e gli minaccia,
né si gli degna con la spada opporre:
– Ritorna, temerario asino, indrieto,
importuno villan poco discreto!
42
Sol per signori et cavallieri è fatto
il ponte, non per te, bestia balorda. –
Orlando, ch’era in gran pensier distratto,
vien pur inanzi e fa l’orecchia sorda.
– Bisogna ch’io castighi questo matto, –
disse il Pagano; e con la voglia ingorda
se ne venìa per trabboccarlo in l’onda,
non pensando trovar chi gli risponda.
43
In questo tempo una gentil donzella,
per passar sovra il ponte, al fiume arriva,
liggiadramente ornata e in viso bella,
e ne’ sembianti accortamente schiva.
Era (se vi ricorda, signor) quella
ch’in ogni altro sentier cercando giva
di Brandimarte, il suo amator, vestigi,
fuor che dove era, drento da Parigi.
44
Nel arrivar di Fiordiligi al ponte
(che così la donzella nomata era),
Orlando si attaccò con Rodomonte
che venìa per gettarlo in la riviera.
La donna, che havea pratica del Conte,
subito n’hebbe connoscenza vera:
e ne restò di maraviglia piena
de la follia che così ignudo il mena.
45
Fermasi a riguardar che fine havere
habbia il furor de’ dui tanti possenti.
Per far del ponte l’un l’altro cadere
a por tutta lor forza sono intenti.
– Come è che un pazzo debbia sì valere? –
seco il fiero Pagan dice tra’ denti;
e qua e là si volge et si raggira,
pieno di sdegno et di superbia et ira.
46
Con l’una e l’altra man va ricercando
far nuova presa, ove il suo meglio vede;
hor tra le gambe, hor fuor gli pone quando
con arte il destro, et quando il manco piede.
Simiglia Rodomonte intorno a Orlando
il stolido orso che sveller si crede
l’arbor onde è caduto; e come n’habbia
quello ogni colpa, odio gli porta e rabbia.
47
Orlando, che l’ingegno haveva immerso
io non so dove, et sol la forza usava,
l’estreme forze a cui per l’universo
nessuno o raro paragon si dava,
cader del ponte si lasciò riverso
col Pagano abbracciato come stava.
Cadon nel fiume et vanno al fondo insieme:
ne salta in aria l’onda, e il lito geme.
48
Feceli l’acqua distaccare in fretta.
Orlando è nudo, e nuota come un pescie:
di qua le braccia e di là i piedi getta,
e viene a proda; e come di fuor escie,
correndo va, né per mirare aspetta
se ’n biasmo o loda questo gli riescie.
Ma il Pagan, che da l’arme era impedito,
tornò più tardo e con più affanno al lito.
49
Sicuramente Fiordiligi intanto
havea passato el ponte e la riviera;
e guardato il sepolchro in ogni canto
se del suo Brandimarte insegna v’era,
poi che né l’arme sue vede n’il manto,
di ritrovarlo in altra parte spera.
Ma ritorniamo a ragionar del Conte,
che lascia a drieto e torre e fiume e ponte.
50
Pazzia serà se le pazzie d’Orlando
prometto raccontarvi ad una ad una;
che tante e tante fur, ch’io non so quando
finir: ma ne anderò scegliendo alcuna
solenne et atta da narrar cantando,
e ch’all’historia mi parrà opportuna;
né quella tacerò miraculosa
che fu nei Pyrenei sopra Tolosa.
51
Trascorso havea molto paese il Conte,
come dal grave suo furor fu spinto;
et al fin capitò sopra quel monte
per cui dal Franco è il Taracon distinto;
tenendo tuttavia volta la fronte
verso là dove el Sol ne viene extinto:
et quivi giunse in uno angusto calle
che pendea sopra una profonda valle.
52
Scontraronsi in costui nel stretto varco
dui boscharecci giovani, che inante
havean di legna un lor asino carco;
et perché ben s’accorsero al sembiante
ch’egli ha di cervel sano il capo scarco,
gli gridano con voce minacciante
o che a drieto o da parte se ne vada,
e che si levi di mezo la strada.
53
Orlando non risponde altro a quel detto,
se non che con furor tira d’un piede,
et giunge a punto l’asino nel petto
con quella forza che tutte altre excede;
et alto il leva sì, ch’uno augelletto
che voli in aria sembra a chi lo vede.
Quel va a cader a la cima d’un colle,
che un miglio oltra la valle il giogo extolle.
54
Indi verso i dui gioveni s’aventa,
de’ quali un, più che senno, hebbe aventura
che da la balza, che due volte trenta
braccia cadea, si gettò per paura.
A mezo il tratto trovò molle e lenta
una macchia di rubi e di verdura,
a cui bastò graffiargli un poco il volto:
del resto lo mandò libero e sciolto.
55
L’altro s’attacca ad un scheggion ch’usciva
fuor de la roccia, per salirvi sopra;
perché si spera, se alla cima arriva,
di trovar via che dal pazzo lo copra.
Ma quel nei piedi, che non vuol che viva,
lo piglia, mentre di salir s’adopra:
e quanto più sbarrar pote le braccia,
le sbarra sì, che in dui pezzi lo straccia,
56
a quella guisa che veggiàn talhora
el falconier far d’aerone o pollo,
quando vuol de le calde interïora
che l’affamato augel resti satollo.
Quanto è bene accaduto che non mora
quel che fu a risco di snodarsi il collo!
ch’ad altri poi questo miracol disse,
sì che l’udì Turpino, e a noi lo scrisse.
57
Et queste et altre assai cose stupende
fece nel traversar de la montagna.
Depois molto cercar, al fin discende
verso Meriggie in la terra di Spagna;
e lungo la marina il camin prende,
che intorno a Taracona il lito bagna:
e come vuol la furia che lo mena,
pensa farsi uno albergo in quella arena,
58
dove dal sole alquanto si ricopra;
e nel sabbion si caccia àrrido e trito.
Stando così, gli venne a caso sopra
Angelica la bella e suo marito,
che eran (sì come io vi narrai di sopra)
scesi dai monti in su l’Hispano lito.
A men d’un braccio ella arrivògli appresso,
perché non s’era accorta anchora d’esso.
59
Che fusse Orlando, nulla le sovenne:
troppo è diverso da quel ch’esser suole.
Da indi in qua ch’in tanto furor venne,
era sempre ito ignudo all’ombra e al sole:
se fusse nato in la aprica Sïenne,
o dove la Phenice apparir suole,
o presso ai monti onde il gran Nilo spiccia,
non devrebbe la carne haver più arsiccia.
60
Quasi ascosi havea gli occhi ne la testa,
la faccia magra, et come un osso asciutta,
la chioma rabuffata, horrida e mesta,
la barba folta, spaventosa e brutta.
Non più a vederlo Angelica fu presta,
che fusse a ritornar fuggendo: e tutta
tremando e empiendo il ciel d’acuti gridi,
al suo Medoro addimandò sussidi.
61
Come di lei si accorse Orlando stolto,
per ritenerla si levò di botto:
così gli piacque il delicato volto,
sì ne divenne immantinente giotto.
D’haverla amata e riverita molto
havea in memoria anchora; ma condotto
dal gran furor, la caccia in la maniera
che si farebbe una selvaggia fiera.
62
El giovene ch’el pazzo seguir vede
la donna sua, gli urta il cavallo adosso,
e tutto a un tempo lo percuote e fiede,
come lo truova che gli volta il dosso.
Spiccar dal busto il capo se gli crede:
ma la pelle trovò dura come osso,
anzi via più ch’acciar; ch’Orlando nato
impenetrabile era et affatato.
63
Come Orlando sentì battersi rietro,
girossi, et nel girar il pugno strinse,
e con la forza che passa ogni metro
ferì il caval ch’el Saracino spinse.
Feril su ’l capo, e come fusse vetro
tutto il spezzò, sì che il destrier extinse:
e rivoltosse in un medesmo instante
drieto a colei che li fuggiva inante.
64
Caccia Angelica in fretta la giumenta,
e con sferza e con spron tocca e ritocca;
che le parrebbe a quel bisogno lenta
se ben volasse più che stral da cocca.
Del annel c’ha nel dito si ramenta,
che può salvarla, e se lo getta in bocca:
e l’annel, che non perde il suo costume,
la fa sparir come ad un soffio il lume.
65
O fusse la paura, o che pigliasse
tanto disconcio nel mutar l’annello,
o pur che la giumenta trabbocasse,
che non posso affermar questo né quello;
nel medesmo momento che si trasse
l’annel in bocca e celò il viso bello,
levò le gambe et uscì del arcione,
et si trovò riversa in sul sabbione.
66
Duo dita che quel salto era più curto,
aviluppata rimanea col matto,
che uccider la potea solo con l’urto;
ma gran ventura l’aiutò a quel tratto.
Provedasi ella pur con nuovo furto
d’un’altra bestia, come prima ha fatto;
che più non è per rïhaver mai questa
che inanzi al Paladin l’arena pesta.
67
Non dubitate già ch’ella non s’habbia
a proveder; e seguitiamo Orlando,
in cui non cessa l’impeto e la rabbia
perché si vada Angelica celando.
Segue la bestia per la nuda sabbia,
e se le vien più sempre approssimando:
già già la tocca, et ecco l’ha nel crine,
indi nel freno, et la ritiene al fine.
68
Con quella festa il Paladin la piglia
che un altro havrebbe fatto una donzella:
le rassetta le redine et la briglia,
e spicca un salto et entra ne la sella;
e correndo la caccia molte miglia,
senza riposo, in questa parte e in quella:
mai non le leva né sella né freno,
né le lascia gustar herba né fieno.
69
Volendosi cacciar oltra una fossa,
sozopra se ne va con la cavalla:
non nocque a lui, né sentì la percossa;
ma nel fondo la misera si spalla.
Non vede Orlando come trar la possa;
e finalmente se l’arreca in spalla,
e su torna, e ne va con tutto il carco
quanto in tre volte non trarrebbe un arco.
70
Sentendo poi che gli gravava troppo,
la pose in terra, et volea trarla a mano.
Ella il seguia con passo lento e zoppo;
dicea Orlando: – Camina! – e dicea invano.
Se l’havesse seguito di galoppo,
assai non era al desiderio insano.
Al fin dal capo le levò il capestro,
e drieto la legò sopra ’l piè destro;
71
et così la strassina, e la conforta
che lo potrà seguir con maggior agio.
Qual leva il pelo et quale il coio porta
de’ sassi ch’eran nel camin malvagio:
la mal condutta bestia restò morta
finalmente di stratio e di disagio.
Orlando non le pensa e non la guarda,
e via correndo il suo camin non tarda.
72
Trassela seco più di sette giorni,
continoando il corso ad Occidente;
predando tuttavia per quei contorni
ciò che trovava in che adoprar il dente;
e frutte e carne e pan, pur che egli inforni,
togliea ogni cosa, e sforzava ogni gente:
et uccideva et stroppiava con busse
chi per vietarlo temerario fusse.
73
Havrebbe così fatto, o poco manco,
de la sua donna, se non s’ascondea;
perché non discernea il nero dal bianco,
e di giovar, nocendo, si credea.
Deh maledetto sia l’annello, et ancho
il cavallier che dato le l’havea!
che se non era, havrebbe Orlando fatto
di sé vendetta e di mille altri a un tratto.
74
Né sola questa, ma fusser pur state
in man d’Orlando quante hoggi ne sono;
che ad ogni modo tutte sono ingrate,
né si truova tra lor oncia di buono.
Ma prima che le chorde rallentate
al canto disugual rendano il suono,
fia meglio differirlo a un’altra volta,
acciò men sia noioso a chi l’ascolta.