CANTO TRIGESIMOQUINTO
1
Un non so che, ch’io non so ben se rio
nominar debbio, o pur honesto e buono,
e se timor d’infamia, o se disio
di gloria il fa, non meno in dubbio sono,
extima alcun che di quel vase uscìo
ch’all’incauto Epimetheo fu mal dono;
e fra le pesti lo racconta e mali,
che turban la quïete de’ mortali.
2
Questo, o rispetto o debito che sia,
ch’io non so a punto ritrovargli il nome,
dal voler proprio spesso l’huom devìa
e al voler d’altri il tira per le chiome:
servo lo fa, che libero serìa;
et io non so bene explicarvi come
ch’in tanti casi, in tanti varii modi
avinge l’huom d’inextricabil nodi.
3
In voi porrò, donne, l’exempio prima,
che vi guastate mille bei piaceri,
che se di questo non facesse stima,
come non fanno molte, havreste intieri.
Se fate bene o male, altri l’exprima:
vi so ben dir che appresso l’Indi neri
le donne, che non han tanti rispetti,
vivon più liete in lor communi letti.
4
Questa, che forse serìa meglio detta
opinïon, che debito o virtute,
per minima cagion fa che negletta
ha l’huom sovente la propria salute;
affinitade et amicitia stretta
ha vïolate e in poco conto havute,
et a servigio e soldo de tyranni
ha fatto a cari amici oltraggi e danni.
5
Lascio li antiqui exempli di soldati
di Cesar, di Pompeo, d’Antonio e Bruto,
ch’a lor patria, a lor sangue erano ingrati,
dando a’ lor capi in le mal’opre aiuto:
quanti n’havete, o glorïosi nati
d’Hercole invitto, a questi dì veduto
che vi son stati e son di cor amici,
e ne li effetti poi come nemici!
6
L’essere o con Vinegia o col Pastore,
o con altra potentia a voi nemica,
par lor, per questo universale errore,
ch’oblighi più che l’amicitia antica.
Di farvi danno a tutti scoppia il core;
e pur lo fanno, ovunque lor lo dica
questo, che far il debito vien detto,
che non si lascia inanzi altro rispetto.
7
Ma voi, c’havete cognition del strano
stilo c’ha ’l mondo, o ben o mal che s’usi,
ben c’havea il luoco il cardinal Thoscano,
che usar mal seppe quel de li Alidusi,
né lui perhò, né il suo fratel Giugliano
da l’amicitia vostra havate exclusi,
li dui rampolli del ben nato lauro
che fe’, mentre fu verde, il secul d’auro.
8
Se fu il Duca d’Urbino ubidïente
al Zio nel guerreggiarvi, non gli tolle
che del mal vostro, come buon parente,
non habbia havuto il cor di pietà molle;
né voi manco l’amate, onde sovente,
con quelle maggior laudi che s’extolle
huom di valor, vi sento l’opre belle
de’ suoi verdi anni alzar fin alle stelle.
9
Io potrei ricordare altri infiniti
che son stati e anchor sono amici vostri,
ben che per tai rispetti habbian seguiti
a’ nostri danni li aversarii nostri.
Discorrendo vi vo per questi riti,
acciò che di Ruggiero io vi dimostri
ch’esser può che Rinaldo honori et ami,
e che a battaglia tuttavolta il chiami.
10
Poi che tra lor fermati hebbeno i patti
che i Re fêr prima e i cavallieri poi,
e giuramenti e cerimonie et atti,
ciascun secondo i modi e riti suoi,
fu dato il segno di venire a’ fatti;
e quinci e quindi i glorïosi Heroi
con lungo passo e maestrevol giro
a far le piastre risuonar veniro.
11
Hora inanzi col calce, hor col martello
accennan quando al capo e quando al piede,
con tal destrezza e con modo sì snello,
ch’ogni credenza il raccontarlo excede.
Ruggier, che combattea contra il fratello
di quella che gli ha tolto e gli possiede
il cor e l’alma, havea tanto riguardo,
che stimato ne fu manco gagliardo.
12
Era a parar, più che a ferir, intento,
e non sapea egli stesso il suo desire:
spenger Rinaldo saria mal contento,
né vorria volentier egli morire.
Ragion non vede o fortuìto evento
che de’ dui casi non debbia un seguire;
et è tra sé sì incerto e d’error pieno,
ch’elegger non sapria che voler meno.
13
Rinaldo, che non ha simil pensiero
e in tutti i modi alla vittoria aspira,
menando l’Azza dispettoso e fiero,
quando alle braccia e quando ad altro mira.
Volteggiando con l’hasta il buon Ruggiero
ribatte il colpo, e quinci e quindi gira;
e se percuote pur, disegna luoco
dove possa a Rinaldo nuocer poco.
14
Alla più parte de’ signor pagani
parea che disugual fusse la zuffa:
che Ruggier pigro era a menar le mani,
e che Rinaldo lui sì ben rabuffa.
Smarrito in faccia il Re de li Aphricani
mira l’assalto, e ne suspira e sbuffa:
et accusa Sobrin, da cui procede
tutto l’error, ch’el mal consiglio diede.
15
Melissa in questo tempo, che era fonte
di quanto sappia incantatore o mago,
havea cangiata la feminil fronte
e del gran Re d’Algier presa l’imago:
sembrava al viso e ai gesti Rodomonte,
e parea armata di pelle di drago;
e tale il scudo e tal la spada al fianco
havea, qual usava egli, e nulla manco.
16
Nanzi Agramante e nanzi al Re Marsiglio
spinge il demonio in forma di cavallo;
e con gran voce e con turbato ciglio
disse: – Signor, questo è pur troppo fallo
ch’un giovene inexperto a far periglio
contra un sì forte e sì famoso Gallo
habbiate eletto, e in cosa di tal sorte
che ’l regno e l’honor d’Aphrica ne importe.
17
Non si lassi seguir questa battaglia,
che ne sarebbe in troppo detrimento.
Su Rodomonte sia, né ve ne caglia,
l’haver il patto rotto e il giuramento.
Dimostri ognun come sua spada taglia:
inanzi inanzi ognun, diamo lor drento! –
Puoté questo parlar sì in Agramante,
che senza più pensar si cacciò inante.
18
Il ritrovarsi appresso il Re d’Algieri
fece che si curò poco del patto;
e non havria di mille cavallieri
giunti in suo aiuto sì gran stima fatto.
Per ciò lancie abbassar, spronar destrieri
di qua e di là veduto fu in un tratto.
Melissa, poi che con sue finte larve
la battaglia attaccò, subito sparve.
19
Li dui campion, che videro turbarsi
contra ogni accordo, contra ogni promessa,
fuor de la turba subito ritrârsi,
havendosi ogni ingiuria già rimessa
e datosi la fé non impacciarsi
né qua né là, fin che la colpa expressa
non fusse lor, che rotto il patto inante
havesse o il Re di Francia o il Re Agramante.
20
E replicâr con nuovi giuramenti
d’esser nemici a chi mancò di fede.
Sozopra se ne van tutte le genti:
chi nanzi, e chi ritorna a dietro il piede.
Chi sia fra i vili, e chi tra i più valenti
in un atto medesimo si vede:
son tutti parimente al correr presti;
ma quei corrono inanzi, e indrieto questi.
21
Qual levorer che disboscata fera
correre intorno et aggirarsi mira,
né può con li compagni andar in schiera,
ch’el cacciator lo tien; con sdegno et ira
si corruccia, s’afflige e si dispera,
sgiatisce indarno, e se dibatte e tira:
tutto quel giorno in tal modo, in tal guisa
ste’ Bradamante e l’inclyta Marphisa.
22
S’haveano inanzi sin allhor vedute
le genti saracine in sì bel piano;
e che fusser dal patto ritenute
di non poter in esse poner mano,
ramaricate s’erano e dolute,
e n’havean molto suspirato invano:
hor che i patti e le tregue vider rotte,
liete saltaro in l’Aphricane frotte.
23
Marphisa cacciò l’hasta per il petto
al primo che scontrò, due braccia a dietro;
poi trasse ’l brando, e in men che non l’ho detto
spezzò quattro elmi, che sembrâr di vetro.
Bradamante non fe’ minor effetto
con l’hasta d’or, ma con diverso metro:
tutti quei che toccò per terra mise,
che fur duotanti; ma nessuno uccise.
24
Questo sì presso l’una al’altra fêro,
che testimonie se ne fur tra loro;
poi si scostaro, et a ferir si diero,
dove le trasse l’ira, il popul Moro.
Chi potrà conto haver d’ogni guerriero
che a terra mandi quella lancia d’oro?
o d’ogni testa che tronca e divisa
sia dala horribil spada di Marphisa?
25
Come al spirar de’ più benigni venti,
quando Apennin scopre l’herbose spalle,
movonsi a par dui turbidi torrenti
che nel cader fan poi diverso calle;
svellono i sassi e li arbori eminenti
da l’alte ripe, e portan ne la valle
le biade e i campi; e come a gara fanno
a chi far può nel suo camin più danno:
26
così le due magnanime guerriere,
scorrendo il campo per diversa strada,
fanno gran strage in l’Aphricane schiere,
l’una con l’hasta, e l’altra con la spada.
Tiene Agramante a pena alle bandiere
la gente sua, che in fuga non ne vada.
Invan dimanda, invan volge la fronte;
né può saper che sia di Rodomonte.
27
A suasïon di lui rotto havea il patto
(così credea) che fu solennemente,
li dèi chiamando in testimonio, fatto;
poi s’era dileguato sì repente.
Né Sobrin vede anchor: Sobrin ritratto
s’era in la terra, e dettosi innocente
di quel pergiuro, di che aspra vendetta
sopra Agramante il dì medesmo aspetta.
28
Marsiglio anchor fuggito era in la terra,
sì la religïon gli preme al core.
Per ciò male Agramante il passo serra
a quei che mena Carlo Imperatore
d’Italia, di Lamagna et Inghilterra,
che tutte sono genti di valore,
et hanno i paladin sparsi tra loro
come le gemme in un riccamo d’oro;
29
et con li paladini alcun perfetto
quanto esser possa al mondo cavalliero,
Guidon Selvaggio, l’intrepido petto,
i dui famosi figli d’Oliviero.
Io non voglio ridir, ch’io l’ho già detto,
di quel par di donzelle ardito e fiero.
Questi occidean di genti saracine
tanto, che non v’è numero né fine.
30
Ma differendo questa pugna alquanto,
io vuo’ passar senza naviglio il mare:
non ho con quei di Francia da far tanto
ch’io non mi debbia Astolfo ricordare.
La gratia che li diè l’Apostol santo
io v’ho già detto, e detto haver mi pare
ch’el Re Branzardo e il Re de l’Algazera
per irli incontra armasse ogni sua schiera.
31
Furon di quei che haver si puòte in fretta
le schiere di tutta Aphrica raccolte,
così d’inferma età come perfetta,
quasi che anchor le femine fur tolte.
Agramante ostinato alla vendetta
havea già vuota l’Aphrica due volte;
poche genti rimase erano, e quelle
exercito facean timido e imbelle.
32
Ben lo mostrâr; che li nemici a pena
vider lontan, che se n’andaron rotti.
Astolfo come pecore li mena
dinanzi ai suoi di guerreggiar più dotti,
e fe’ restarne la campagna piena:
pochi a Biserta se ne son ridotti.
Prigion rimase Bucifar gagliardo;
salvossi ne la terra il Re Branzardo,
33
via più dolente sol di Bucifaro,
che se tutto perduto havesse il resto.
Biserta è grande, e farle gran riparo
bisogna, e senza lui mal può far questo:
poterlo riscattar molto havria caro.
Mentre vi pensa e ne sta afflitto e mesto,
gli vien in mente come tien prigione
già molti mesi il paladin Dudone.
34
Lo prese sotto a Monacho in rivera
il Re di Sarza nel primo passaggio;
da indi in qua prigion sempre stato era
Dudon, che del Danese fu lignaggio.
Mutar costui col Re de l’Algazera
pensò Branzardo, e ne mandò messaggio
al Capitan de’ Nubi, perché intese
per vera spia ch’egli era Astolfo inglese.
35
Essendo Astolfo paladin, comprende
che haver de’ caro un paladin disciorre.
Il gentil Duca, come il caso intende,
col Re Branzardo in un voler concorre.
Liberato Dudon, gratie ne rende
al Duca, e seco si mette a disporre
le cose che appertengono alla guerra,
così quelle da mar, come da terra.
36
Havendo Astolfo exercito infinito
da non gli far sette Aphriche difesa;
e ramentando come fu ammonito
dal santo Vecchio che gli diè l’impresa
di tôr Provenza e d’Acquamorta il lito
di man di Saracin che l’havean presa;
d’una gran turba fece nuova eletta,
quella che al mar gli parve manco inetta.
37
Et havendosi piene ambe le palme,
quanto potean capir, di varie fronde
di cedri e lauri e myrti, olive e palme,
venne sul mare, e quelle sparse in l’onde.
Oh felici e dal ciel ben dilette alme,
gratia che Dio raro a’ mortali infonde!
Oh stupendo miracolo che nacque
di quelle frondi, come furo in l’acque!
38
Crebbero in quantità fuor d’ogni stima;
se feron curve e grosse e lunghe e gravi;
le vene ch’attraverso haveano prima
mutaro in dure spranghe e grossi travi:
e rimanendo acute invêr la cima,
tutte in un tratto diventaro navi
di differenti qualitadi, e tante,
quante raccolte fur da varie piante.
39
Miracol fu veder le fronde sparte
produr fuste, galee, navi da gabbia;
fu miracol anchor che vele e sarte
e remi havean, quanto alcun legno n’habbia.
Non mancò al Duca poi chi havesse l’arte
di governarsi alla ventosa rabbia;
che di Sardi e di Corsi non remoti,
nocchier, padron, pennesi hebbe e piloti.
40
Quelli che intraro in mar contati fôro
ventiseimila, e gente d’ogni sorte.
Dudon andò per capitano loro,
cavallier saggio, e in terra e in acqua forte.
Stava l’armata anchora al lito Moro,
miglior vento aspettando che la porte,
quando un naviglio sorse a quella riva,
che di presi guerrier carco veniva.
41
Portava quei che al periglioso ponte,
dove alle giostre il campo era sì stretto,
pigliato havea l’audace Rodomonte,
come più volte v’ho di sopra detto.
Il cognato tra questi era del Conte
col fedel Brandimarte e Sansonetto,
et altri anchor, che dir non mi bisogna,
d’Alemagna e d’Italia e di Guascogna.
42
Quivi il nocchier, che anchor non s’era accorto
de li inimici, intrò con la galea,
lasciando molte miglia a dietro il porto
d’Algier, dove calar prima volea,
per un vento gagliardo ch’era sorto,
e spinto oltra il dever la poppa havea.
Venir tra’ suoi credette e in luoco fido,
come vien Progne al suo loquace nido.
43
Ma come poi l’Imperïal augello,
i Gigli d’oro e i Pardi vide appresso,
restò pallido in faccia, come quello
ch’el piede incauto d’improviso ha messo
sopra il serpente venenoso e fello,
dal pigro sonno in mezo l’herbe oppresso;
che spaventato e smorto si ritira,
fuggendo quel, ch’è pien di tòsco e d’ira.
44
Quindi fuggir non puòte già il nocchiero,
né tener seppe i prigion suoi di piatto.
Con Brandimarte fu, con Oliviero,
con Sansonetto e con molt’altri tratto
dove il bon Duca e il bon figliol d’Ugiero,
poi che lieta accoglienza hebbeno fatto
a-lloro amici, lui che li condusse
vollon che condennato al remo fusse.
45
Com’io vi dico, dal figliuol d’Othone
li cavallier christian furon ben visti,
e di mensa honorati al padiglione,
d’arme e di ciò che bisognò provisti.
Per amor d’essi differì Dudone
l’andata sua; che non minori acquisti,
con costor ragionando, far si stima,
che se fusse ito uno o dui giorni prima.
46
In che stato, in che termine si trove
la Francia e Carlo, instruttïon vera hebbe;
et informossi, navigando, dove,
per far miglior effetto, calar debbe.
Mentre da lor viene intendendo nuove,
s’udì un rumor che tuttavia più crebbe;
e un dar all’arme ne seguì sì fiero,
che fece a tutti far più d’un pensiero.
47
Il duca Astolfo e la compagna bella,
che ragionando insieme si trovaro,
in un momento armati furo e in sella,
e verso il maggior grido in fretta andaro,
di qua e di là cercando haver novella
di quel alto rumore; e capitaro
dove videro un huom tanto feroce,
che nudo e solo a tutto il campo nuoce.
48
Menava un suo baston di legno in volta,
che era sì duro, sì grave e sì fermo,
che declinando quel, facea ogni volta
cader in terra un huom peggio che infermo.
Già a più di cento havea la vita tolta;
né più se gli facea riparo o schermo,
se non tirando di lontan saette:
d’appresso non è alcun già che l’aspette.
49
Dudone, Astolfo, Brandimarte, essendo
corsi in fretta al rumore, et Oliviero,
de la gran forza e del valor stupendo
stavan maravigliosi di quel fiero;
quando venir s’un palafren correndo
videro una Donzella in vestir nero,
che corse a Brandimarte e salutollo,
e gli alzò a un tempo ambe le braccia al collo.
50
Questa era Fiordiligi, che sì acceso
havea d’amor per Brandimarte il core,
che quando al stretto ponte il lasciò preso,
vicina ad impazzar fu di dolore.
Passato havea di là dal mare, inteso
havendo dal Pagan, che ne fu authore,
che mandato con molti cavallieri
era prigion ne la città d’Algieri.
51
Quando fu per passare, havea a Marsiglia
una nave trovata di Levante,
ove era un cavallier de la famiglia
del Re di Damogir, Re Monodante,
ch’era venuto un gran numer di miglia,
quando per mar, quando per terra errante,
cercando Brandimarte, che tra via
udito havea ch’in Francia troveria.
52
Et ella, connosciuto che Bardino
era costui, Bardino che rapito
al padre Brandimarte piccolino,
et a Ròcca Silvana havea notrito,
e intesone la causa del camino,
seco fatto l’havea scioglier dal lito,
havendogli narrato in che maniera
Brandimarte passato in Aphrica era.
53
Tosto che furo a terra, udîr le nuove
ch’assediata d’Astolfo era Biserta:
che seco Brandimarte si ritrove
udito havean, ma non per cosa certa.
Hor Fiordiligi in tal fretta si muove,
come lo vede, che ben mostra aperta
quella allegrezza ch’i precessi guai
le fenno la maggior c’havesse mai.
54
El gentil cavallier, non men giocondo
di veder la diletta e fida moglie
ch’amava più di cosa altra del mondo,
l’abbraccia e bacia e dolcemente accoglie:
né per satiar al primo n’al secondo
n’al terzo bacio era l’accese voglie;
se non ch’alzando li occhi hebbe veduto
Bardin che con la donna era venuto.
55
Porse le mane, et abbracciar lo volle,
e insieme dimandar perché venìa;
ma di poterlo far tempo gli tolle
il campo ch’in disordine fuggìa
dinanzi a quel baston ch’el nudo folle
menava intorno, e gli facea dar via.
Fiordiligi mirò quel nudo in fronte,
e gridò a Brandimarte: – Eccovi il Conte! –
56
Astolfo tutto a un tempo, ch’era quivi,
che questo Orlando fusse, hebbe palese
per alcun’ segni che da i vecchi divi
su nel terreste Paradiso intese;
altrimente restavan tutti privi
di notitia di lui; che tanto offese
Orlando il disprezzarsi e l’esser stolto,
che più di fera havea, che d’hom, il volto.
57
Astolfo, per pietà che gli traffisse
el petto e il cor, si volse lachrymando,
et a Dudon (che gli era appresso) disse,
et indi ad Olivier: – Eccovi Orlando! –
E quelli li occhi e le palpèbre fisse
tenendo in lui, l’andâr raffigurando;
e il ritrovarlo in tal calamitade
li empì di maraviglia e di pietade.
58
Piangean quelli signor per la più parte,
sì lor ne dolse e lor ne ’ncrebbe tanto.
– Tempo è (lor disse Astolfo) trovar arte
di risanarlo, e non da farli il pianto; –
e saltò a piedi, e così Brandimarte,
Sansonetto, Oliviero e Dudon santo:
e s’aventaro al nipote di Carlo
tutti in un tempo; che volean pigliarlo.
59
Orlando, che si vide fare il cerchio,
menò il baston da disperato e folle;
et a Dudon, che si facea coperchio
del scudo al capo e ch’intrar sotto volle,
fe’ sentir ch’era grave di soperchio:
e se non ch’Olivier col brando tolle
parte dil colpo, havria il baston ingiusto
rottogli il scudo, l’elmo, il capo e il busto.
60
Il scudo roppe sol, et su l’elmetto
tempestò sì, che Dudon cadde in terra.
Menò la spada a un tempo Sansonetto;
et del baston più di dua braccia afferra
con valor tal, che tutto il taglia netto.
Brandimarte, ch’adosso se gli serra,
gli cinge i fianchi, quanto può, con ambe
le braccie, e Astolfo il piglia ne le gambe.
61
Scuotesesi Orlando, e lunge dieci passi
da sé l’Inglese fa cader riverso:
non fa perhò che Brandimarte il lassi,
che con più forza l’ha preso a traverso.
Ad Olivier, che troppo inanzi fassi,
menò un pugno sì duro e sì perverso,
che lo fe’ cader pallido et exangue,
e dal naso e da li occhi uscir il sangue.
62
E se non era l’elmo più che buono,
c’havea Olivier, l’havria quel pugno occiso:
cadde perhò, come se fatto dono
havesse già del spirto al paradiso.
Dudone e Astolfo, che levati sono,
ben che Dudon habbia gonfiato il viso,
e Sansonetto, ch’el bel colpo ha fatto,
adosso a Orlando son tutti in un tratto.
63
Dudon con gran vigor drieto l’abbraccia,
pur tentando col piè farlo cadere;
Astolfo e l’altri gli han prese le braccia,
né lo puon tutti insieme ancho tenere.
C’ha visto Toro a cui si dia la caccia,
e che all’orecchie habbia le Zanne fiere,
correre muggendo, e trarre ovunque corre
li cani seco, e non potersi sciorre;
64
imagini ch’Orlando fusse tale,
che tutti quei guerrier si trahea drieto.
In quel tempo Olivier di terra sale,
dove lo stese il pugno mal discreto;
e connoscendo che i compagni male
potranno far che stia quel pazzo cheto,
si pensò un modo, et ad effetto il messe,
di far cader Orlando, e gli successe.
65
Si fe’ quivi arrecar più d’una fune,
e con nodi correnti adattar presto;
et alle gambe et alle braccia alcune
fe’ porre a Orlando, et a traverso il resto;
la turba intorno poi non lasciò immune,
che diede i capi in mano a quello e a questo.
Per quella via che maniscalco atterra
cavallo o bue, fu tratto Orlando in terra.
66
Come egli è in terra, gli son tutti adosso,
e legangli più forte e piedi e mani.
Assai di qua e di là s’è Orlando scosso,
ma li risforzi suoi tutti son vani.
Commanda Astolfo che sia quindi mosso,
che dice voler far che se risani.
Dudon, ch’è grande, il lieva in su le schiene,
e porta al mar sopra l’estreme arene.
67
Lo fa lavar Astolfo sette volte,
e sette volte sotto acqua l’attuffa;
sì che dal viso e da le membra stolte
lieva la brutta rugine e la muffa:
poi con certe herbe, a questo effetto colte,
la bocca chiuder fa, che soffia e buffa;
che non volea che havesse altro meato
donde spirar, che per il naso, il fiato.
68
Haveasi Astolfo apparecchiato il vaso
in che il senno d’Orlando era rinchiuso;
e quel in modo appropinquolli al naso,
che nel tirar che fece il fiato in suso,
tutto il vuotò: maraviglioso caso!
che ritornò la mente al primier uso
et ai suoi bei discorsi; e l’intelletto
rivenne più che mai lucido e netto.
69
Come chi da noioso e grave sonno,
dove o vedere abominevol forme
de mostri che non son, né ch’esser ponno,
o gli par cosa far strana et enorme,
anchor se maraviglia, poi che donno
è fatto de’ suoi sensi, e che non dorme;
così, poi che fu Orlando di error tratto,
restò maraviglioso e stupefatto.
70
E Brandimarte, e il fratel d’Aldabella,
e quel ch’el senno in capo gli redusse,
pur pensando riguarda, e non favella,
come e quando con lor qui si condusse.
Girava li occhi in questa parte e in quella,
né sapea imaginar dove si fusse.
Si maraviglia che nudo si vede,
e tante funi ha da le spalle al piede.
71
Poi disse, come già disse Sileno
a quei che lo legâr nel cavo speco:
– Solvite me, – con viso sì sereno,
con sguardo sì men del usato bieco,
che fu slegato; e di panni c’havièno
fatti arrecar participaram seco,
consolandolo tutti del dolore
che lo premea de lo passato errore.
72
Poi che fu all’esser primo ritornato
Orlando, più che mai saggio e virile,
d’amor si trovò insieme liberato;
sì che colei, che sì bella e gentile
gli parve dianzi, e che havea tanto amato,
non stima più se non per cosa vile.
Ogni suo studio, ogni disio converse
per racquistar quanto in amor già perse.
73
Narrò Bardino intanto a Brandimarte
che morto era il suo padre Monodante;
e ch’a chiamarlo al regno egli da parte
prima venìa del frate suo Gigliante,
poi de le genti c’habitan le sparte
isole in mare et ultime in Levante;
di che non era un altro regno al mondo
sì ricco, populoso, o sì giocondo.
74
Disse molte ragion che devea farlo:
che dolce cosa era la patria; e quando
si disponesse di voler gustarlo,
havria poi sempre in odio andare errando.
Brandimarte rispose voler Carlo
servir per tutta questa guerra e Orlando;
e se potea vederne il fin, che poi
penseria meglio sopra i casi suoi.
75
Orlando con Astolfo si ristrinse,
e poi ch’el stato de la guerra intese,
verso Provenza con l’armata spinse
(come ordine era) il figlio del Danese.
Tutta Biserta poi d’assedio cinse,
dando perhò l’honore al duca Inglese
d’ogni vittoria; ma quel Duca il tutto
facea come dal Conte venìa instrutto.
76
Ch’ordine habbian tra lor, come se assaglia
la gran Biserta, e da che lato e quando,
come sia presa alla prima battaglia,
e chi habbia in l’honor parte con Orlando,
s’io non vi séguito hora, non vi caglia;
ch’io non me ne vo molto dilungando.
In questo mezo di saper vi piaccia
come da i Franchi i Mori hanno la caccia.
77
Fu quasi il Re Agramante abbandonato
nel pericol maggior di quella guerra;
che con molti pagani era tornato
Marsiglio e il Re Sobrin dentro alla terra;
poi su l’armata è questo e quel montato,
che dubbio havean di non salvarsi in terra;
e duci e cavallier del popul Moro
molti seguito havean l’exempio loro.
78
Agramante, che fuor la pugna tenne
con troppo ardir fin che tener la puòte,
con li altri in fuga al ultimo ne venne
verso le porte non troppo remote.
Rabican drieto par c’habbia le penne,
che Bradamante il stimola e percuote:
era occider quel Re cupida molto;
che tante volte il suo Ruggier l’ha tolto.
79
Il medesmo desir Marphisa havea,
per far del padre suo tarda vendetta;
e con li sproni, quanto più potea,
facea al caval sentir ch’ella havea fretta.
Ma né l’una né l’altra vi giungea
perhò sì a tempo che fusse intercetta
al Re la fuga, e che non si salvasse
dietro alli altri nel mar, dove si trasse.
80
Come due belle e generose parde
che de le lasse sien di pari uscite,
poi che o li cervi o le capre gagliarde
indarno haver si veggiono seguite,
vergognandosi quasi che fur tarde,
sdegnose se ne tornano e pentite;
così tornâr le due Donzelle, quando
videro il Pagan salvo, suspirando.
81
Non perhò si fermâr; ma ne la frotta
de li altri che fuggivano cacciârsi,
facendo quinci e quindi ad ogni botta
molti cader senza mai più levarsi.
A mal partito era la gente rotta,
che per fuggir non potea anchor salvarsi;
che Agramante havea fatto per suo scampo
chiuder la porta che uscia verso il campo,
82
e fatto sopra il Rodano tagliare
tutti li ponti. Ah sfortunata plebe,
che dove del tyranno utile appare,
fu sempre in conto di pecore e zebe!
Chi s’affoga nel fiume e chi nel mare,
chi sanguinose fa di sé le glebe:
molti perîr, pochi restâr prigioni;
che pochi (a farsi taglia) erano buoni.
83
De la gran moltitudine che occisa
fu da ogni parte in questa ultima guerra,
ben che la cosa non fu ugual divisa,
ch’assai più andaro Saracin sotterra
per man di Bradamante e di Marphisa,
se ne vede anchor segno in quella terra;
che presso ad Arli, ove il Rodano stagna,
pien di sepolchri è tutta la campagna.
84
Fatto havea intanto il Re Agramante sciorre
e ritirar in alto i legni gravi,
lasciando alcuni, e i più liggieri, a tôrre
quei che potean fuggir fin alle navi.
Vi stette dui dì sorto, per raccôrre
le sue reliquie, e perché venti pravi
spiravano e contrarii al suo ritorno:
slegossi e fe’ far vela il terzo giorno.
85
Il Re Marsiglio, che sta in gran paura
ch’alla sua Spagna il fio pagar non tocche,
e la tempesta horribilmente oscura
ne li suoi campi all’ultimo non scocche,
si fe’ porre a Valenza, e con gran cura
cominciò a riparar castella e ròcche,
e preparar la guerra che fu poi
la sua ruina e de’ sudditi suoi.
86
Verso Aphrica Agramante alzò le vele
de’ legni mal armati, e vuoti quasi:
d’huomini vuoti, e pieni di querele;
ch’in Francia li tre quarti eran rimasi.
Chi chiama il Re superbo, chi crudele,
chi stolto; e come aviene in simil casi,
tutti gli voglion mal ne’ lor secreti,
ma timor n’hanno, e stan per forza cheti.
87
Pur dui talhora o tre schiudon le labbia,
che amici sono, e che tra lor s’han fede,
e sfuogano la chòlera e la rabbia;
e il misero Agramante extima e crede
ch’ognun gli porti amor e pietà gli habbia:
e questo gl’intervien perché non vede
mai visi se non finti, e mai non ode
fuor che adulatïon, menzogne e frode.
88
Erasi consigliato il Re Aphricano
non venire a smontar nanzi a Biserta,
perhò c’havea del popul Nubïano,
che quel lito tenea, novella certa;
ma tenersi di sopra sì lontano,
che non gli fusse difficile et erta
la scesa in terra, e tornar quindi al dritto
a dar soccorso al suo popul afflitto.
89
Ma suo fiero destin, che non risponde
a quella intentïon provida e saggia,
vuol che l’armata che nacque di fronde
miracolosamente ne la spiaggia,
e vien solcando inverso Francia l’onde,
con questa ad incontrar di notte s’haggia
a nubiloso tempo, oscuro e tristo,
perché sia in più disordine e sprovisto.
90
Non ha havuto Agramante anchora spia
che Astolfo mandi una armata sì grossa;
né creduto ancho (a chi ’l dicesse) havria
che cento navi un ramuscel far possa:
e vien senza temer che intorno sia
che contra lui s’ardisca di far mossa;
né pone guardie né vedetta in gabbia,
che di ciò che si scuopre avisar habbia.
91
Sì che i navigli che da Astolfo havuto
havea Dudon, di buona gente armati,
e che havean questi la sera veduto
et alla volta lor s’eran drizzati,
trovaron l’inimico sproveduto
e l’assalîr gettando i ferri hamati,
poi ch’al parlar certificati fôro
ch’erano Mori e li nemici loro.
92
Nel arrivar che i gran navigli fenno
(spirando il vento a’ lor desir secondo),
ne i Saracin con tal impeto dénno,
che molti legni ne cacciaro al fondo.
Poi cominciaro oprar le mani e il senno,
e ferro e fuoco e sassi di gran pondo
tirar con tanta e sì fiera tempesta,
che mai non hebbe il mar simile a questa.
93
Quei di Dudone, a cui possanza e ardire
più del solito è lor dato di sopra
(che venuto era il tempo di punire
li Saracin di più d’una mal’opra),
sanno appresso e lontan sì ben ferire,
che non truova Agramante ove si copra.
Gli cade sopra un nembo di saette;
da lato ha spade e graffi e pichi e cette.
94
D’alto cader sente gran sassi e gravi
da machine cacciati e da tormenti,
e prore e poppe fraccassar de navi
et aprir usci al mar larghi e patenti;
e ’l maggior danno è de l’incendii pravi,
a nascer presti, ad amorzarsi lenti.
La sfortunata ciurma si vuol tôrre
del gran periglio, e via più ognhor vi corre.
95
Altri, ch’el ferro e l’inimico caccia,
nel mar si getta, e vi s’affoga e resta;
altri, che muove a tempo piedi e braccia,
va per salvarsi o in quella barca o in questa;
ma quella, grave oltra il dever, lo scaccia,
e la man, per salir troppo molesta,
fa restar attaccata ne la sponda:
ritorna il resto a far sanguigna l’onda.
96
Altri, che spera in mar salvar la vita
o perderlavi almen con minor pena,
poi che nuotando non ritruova aita
e mancar sente l’animo e la lena,
alla vorace fiamma, c’ha fuggita,
la tema d’annegarsi ancho rimena:
s’abbraccia a un legno ch’arde, e per timore
c’ha di due morti, in l’una e in l’altra muore.
97
Altri, per tema di spiedo o di cetta
che vede appresso, al mar ricorre invano,
perché drieto gli vien pietra o saetta
che non lo lascia andar troppo lontano.
Ma serìa forse, mentre che diletta
il mio cantar, consiglio utile e sano
finirlo qui, più presto che seguire
tanto, che v’annoiasse il troppo dire.