CANTO QUADRAGESIMO ET ULTIMO
1
Hor, se mi mostra la mia charta il vero,
non è lontano a discoprirsi il porto;
sì che nel lito i voti scioglier spero
a chi nel mar per tanta via m’ha scorto;
dove, o di non tornar col legno intiero,
o sempre errar, già fui timido e smorto.
Ma mi par di veder, ma veggio certo,
veggio la terra, veggio il lito aperto!
2
Sento venir per allegrezza un tuono
che fremer l’aria e ribombar fa l’onde:
odo di squille, odo di trombe un suono
che l’alto popular grido confonde.
Hor comincio a discernere chi sono
questi che empion del porto ambe le sponde;
par che tutti s’allegrino ch’io sia
venuto a fin di così lunga via.
3
Oh di che belle e gentil donne veggio,
oh di che cavallieri il lito adorno!
oh di che amici, a chi in eterno deggio
per la letitia c’han del mio ritorno!
La bella Mamma e l’altre da Coreggio
veggio del molo in su l’estremo corno:
quella che scende con Ginevra al mare
Veronica da Gambara mi pare;
4
Iulia e un’altra Ginevra, pur uscita
del medesimo sangue, mi par seco.
Veggio Hippolyta Sforza, e la notrita
Trivulcia da le Muse al sacro speco:
veggio te, Aemilia Pia; te, Margherita,
ch’Angiola Borgia e Gratïosa hai teco.
Con Ricciarda da Este ecco le belle
Dïana e Bianca, e l’altre sue sorelle;
5
del mio signor di Bozolo la moglie,
la matre, le sorelle e le cugine
Gonzaghe, con Torelle e Bentivoglie,
e le Visconte e le Palavicine.
Oh bella compagnia che mi raccoglie!
Issabette, Lucie, Lucretie, Ursine,
Catherine, Leonore; Alda, Alexandra,
Thadea, Nicola, Hippolyta e Cassandra.
6
Le Ferrarese mie qui sono, e quelle
de la corte d’Urbino; e riconnosco
quelle di Mantua, e quante donne belle
ha Lombardia, quante il paese Tosco.
Il cavallier che tra lor veggio, che elle
honoran sì, mi par, se non è losco
l’occhio del mirar fiso in sì bei volti,
il gran lume Aretin, l’Unico Accolti.
7
Mario Equicolo è quel che gli è più appresso,
che stringe i labri e manda in su le ciglia,
e fa con man, di tutti i detti d’esso,
di stupor segno e d’alta maraviglia.
El mio Valerio è quel che là s’è messo
fuor de le donne; e forse si consiglia
col Barignan c’ha seco, come offeso
sempre da lor, non ne sia sempre acceso.
8
Ecco Alexandro, il mio signor, Farnese:
oh dotta compagnia che seco mena!
Phedro, Capella, Porcio, il Bolognese
Philippo, il Volterano, il Madalena,
Pïerio, Blosio, il Bosso Cremonese,
d’alta facondia inexsiccabil vena,
e Lascari e Mussuro e Navagero,
Andrea Marone, il Monacho Severo.
9
Veggio sublimi e soprahumani ingegni
di sangue e d’amor giunti, il Pico e il Pio.
Colui che con lor viene, e da’ più degni
ha tanto honor, mai più non connobbi io;
ma, se me ne fur dati veri segni,
è l’huom che di veder tanto disio,
Iacopo Sanazar, che alle Camene
lasciar fa i monti et habitar l’arene.
10
Ecco Antonio Furgoso, ecco Latino
Iuvenale, e Pistophilo con lui.
I’ veggio altri Alexandri, uno Guarino,
uno Horologi; e venir veggio dui
Hieronymi con loro, il Cittadino
e quel di Verità, sacri ambidui
a Phebo; e veggio al Leonico al lato
Dresino, Florïano e Panizato.
11
I’ veggio al Sasso, al mio Hannibàl far festa
di rivedermi, et a cento altri e cento.
Veggio le donne e li huomini di questa
mia ritornata ognun parer contento.
Dunque a finir la breve via che resta
non sia più indugio, hor c’ho propicio il vento,
tornando a dir de la compagna bella
c’havea il santo Eremita alla sua cella.
12
Spesso in poveri alberghi et piccol tetti,
ne le calamitadi et ne’ disagi,
meglio si giungon d’amicitia i petti,
ch’in le ricchezze invidïose et agi
de le piene d’insidie et di suspetti
corti regali et splendidi palagi,
dove la charitade è in tutto extinta,
né si vede amicitia, se non finta.
13
Quindi avien che de principi e signori
patti e conventïon sono sì frali.
Fan lega hoggi Re, Papi e Imperatori;
diman seran nemici capitali:
perché, qual l’apparenze exterïori,
non han i cor, non han li animi tali;
che non mirando al torto più ch’al dritto,
attendon solamente al lor profitto.
14
Questi, quantunque d’amicitia poco
sieno capaci, perché non sta quella
ove per cose gravi, ove per giuoco
mai senza fittïon non si favella;
pur, se talhor li ha tratti in humil luoco
insieme una fortuna acerba e fella,
in poco tempo vengono a notitia,
quel che in molto non fêr, de l’amicitia.
15
El santo Vecchio in l’humile sua stanza
giunger li hospiti suoi con nodo forte
ad amor vero meglio hebbe possanza,
ch’altri non havria fatto in real corte.
Fu questo poi di tal perseveranza,
che non si sciolse mai sin alla morte.
Il Vecchio li trovò tutti benigni,
candidi più nel cor, che di fuor Cygni.
16
Trovolli tutti amabili e cortesi,
non de la iniquità ch’io v’ho dipinta
di quei che mai non escono palesi,
ma sempre van con apparenza finta.
Di quanto s’eran per a dietro offesi
ogni memoria fu tra lor extinta;
e se d’un ventre fussero e d’un seme,
non si potriano amar più tutti insieme.
17
Sopra li altri il signor di Montalbano
accarezzava et reveria Ruggiero:
sì perché già l’havea con l’arme in mano
provato quanto era ottimo guerriero,
sì per trovarlo affabile et humano
più che mai fusse al mondo cavalliero;
ma molto più, che da diverse bande
si connoscea d’haverli obligo grande.
18
Sapea che di gravissimo periglio
egli havea liberato Ricciardetto,
quando l’huom che mandato havea Marsiglio
lo ritrovò con Fiordispina in letto;
e c’havea tratto l’un e l’altro figlio
del duca Bovo (com’io v’ho già detto)
de man de’ Saracini e de i malvagi
ch’eran col Maganzese Bertolagi.
19
Questo debito a lui parea di sorte
ch’ad amar lo stringeano e ad honorarlo;
et gli ne dolse e gli ne increbbe forte
che già più dì non fu opportuno a farlo,
quando l’un stava in l’Aphricana corte
e l’altro a gli servigii era di Carlo.
Hor che fatto christian quivi lo truova,
quel che non fece prima, hor far gli giova.
20
Proferte senza fine, honore e festa
fece a Ruggiero il paladin cortese.
Il prudente Eremita, come questa
benivolentia vide, adito prese.
Entrò dicendo: – A far altro non resta
(e lo spero ottener senza contese)
che come l’amicitia è tra voi fatta,
tra voi sia anchora affinità contratta;
21
acciò che de le due progenie illustri,
che non han par di nobiltade al mondo,
nasca un lignaggio che più chiaro lustri
ch’el chiaro Sol per quanto gira a tondo;
e come andran più inanzi et anni e lustri,
serà più bello, e durerà, secondo
che Dio m’inspira, acciò che a voi nol celi,
fin che terran l’usato corso i cieli. –
22
E seguitando il suo parlar più inante,
fa ’l santo Vecchio sì, che persuade
che Rinaldo a Ruggier dia Bradamante,
ben che pregar né l’un né l’altro accade.
Questo Oliviero e ’l principe d’Anglante
commenda assai, e come in lor contrade
tornati sien, speran ch’Amone e Carlo
debbiano e tutta Francia commendarlo.
23
Quel dì e la notte, e del seguente giorno
steron gran parte col Monacho saggio,
quasi oblïando al legno far ritorno,
ben che spirasse il vento al lor vïaggio.
Ma li nocchieri, a cui tanto soggiorno
increscea hormai, mandâr più d’un messaggio,
che sì li stimulâr de la partita,
ch’a forza li spiccâr da l’Eremita.
24
Ruggier, che stato era in exilio tanto
e rilegato in sì stretto confine,
tolse licentia dal maestro santo
che l’havea instrutto in sacre discipline.
La spada Orlando gli rimette a canto
e gli fa dar Frontino e l’arme fine;
sì per mostrar del suo amor segno expresso,
sì per saper che dianzi erano d’esso.
25
E ben c’havesse in la spada incantata
assai miglior ragione il paladino,
che con pena e travaglio già levata
l’havea dal formidabile giardino,
che non havea Ruggier, a cui donata
dal ladro fu che gli diè anchor Frontino;
pur non men volentier che l’altro arnese
alla prima dimanda gli la rese.
26
Fur benedetti dal Vecchio devoto,
e sul naviglio al fin si ritornaro.
Li remi a l’acqua, e dêr le vele al Noto;
e sì gli fu sereno il tempo e chiaro,
che non gli bisognò priego né voto
fin che nel porto di Marsiglia intraro.
Ma qui si stiano tanto, ch’io conduca
a loro Astolfo, il glorïoso Duca.
27
Astolfo, poi che la vittoria intese
ch’Orlando havea de li nemici havuta,
connoscendo hoggimai che da l’offese
d’Aphrica Francia esser potrebbe tuta,
pensò di rimandar in suo paese
la negra gente dietro a lui venuta
per la strada medesima che tenne
quando contra Biserta se ne venne.
28
L’armata ch’Agramante ruppe in l’onde
Dudone havea già rimandata a drieto;
e con miracol grande prore e sponde,
tosto ch’uscito ne fu il popul lieto,
furon vedute riformarsi in fronde
quali ne’ rami lor fur per adrieto:
poi venne il vento, e come cosa lieve
le levò in aria, e fe’ sparire in breve.
29
Chi a piedi e chi a caval, tutte partita
d’Aphrica fêr le Nubïane schiere.
Ma prima Astolfo si chiamò infinita
gratia al Senapo et immortal havere;
che gli venne in persona a dar aita
con ogni sforzo et ogni suo potere.
Diè loro Astolfo in l’uterino Claustro
da portar seco il fiero e turbido Austro.
30
Dico che in l’utri gli diè il vento chiuso
ch’uscir di Mezodì suol con tal rabbia,
che muove a guisa d’onde, e lieva in suso,
e ruota sino al ciel l’àrrida sabbia;
acciò se lo portassero a-llor uso,
che per camin far lor danno non habbia;
il qual poi, giunti in la lor regïone,
havessero a lasciar fuor di pregione.
31
Scrive Turpin, che come furo a i passi
de l’alto Atlante, li cavalli loro
tutti in un tempo diventaron sassi;
sì che pedoni in Nubia ritornoro.
Ma tempo è homai ch’Astolfo in Francia passi;
e così, poi che del paese Moro
hebbe provisto a i luochi principali,
a l’Hippogrypho suo fe’ spiegar l’ali.
32
Vola in Sardigna in un batter di penne,
e di Sardigna andò nel lito Corso;
e quindi sopra ’l mar la strada tenne,
torcendo alquanto a man sinistra il morso.
Ne le maremme a l’ultimo ritenne
de la Greca Marsiglia el leggier corso;
dove exequì del Hippogrypho quanto
gli disse già l’Evangelista santo.
33
Hagli commesso il santo Evangelista
che come torni al lito di Provenza,
poi che lasciata havrà l’Aphrica trista,
all’Hippogrypho suo doni licenza.
Era in l’ultimo ciel, che sempre acquista
de’ nostri danni, già rimaso senza
virtù il suo corno, che divenne roco
tosto che si trovò nel divin luoco.
34
Venne Astolfo a Marsiglia, e venne a punto
il dì che v’era Orlando et Oliviero
e il cavallier da Montalbano giunto
col buon Sobrino e col miglior Ruggiero.
La memoria del Socio lor defunto
vietò che i paladini non potero
insieme così a punto rallegrarsi,
come in tanta vittoria devea farsi.
35
Carlo havea di Sicilia havuto aviso
de’ dui Re morti e di Sobrino preso,
e ch’era stato Brandimarte ucciso;
poi di Ruggiero havea non men inteso:
e ne stava col cor lieto e col viso,
parendogli d’haver gettato un peso
che si sentì su li homeri sì grieve,
che gli par ch’anchor ben non si rilieve.
36
Per honorar costor ch’eran sostegno
del santo Imperio e la maggior colonna,
Carlo mandò la nobiltà del regno
ad incontrarli sin in ripa a Sonna.
E uscì poi lor con lo drapel più degno
de li Re incontra, e con la propria donna,
più d’una lega, in compagnia di belle
e bene ornate e nobili donzelle.
37
L’Imperator con chiara e lieta fronte,
e poi l’Imperatrice e tutto il resto,
del gaudio interno fa vedere al Conte
et a’ compagni segno manifesto:
gridar s’ode Mongrana e Chiaramonte.
Li abbracciamenti non finîr sì presto,
Rinaldo, Orlando insieme et Oliviero
al Signor loro appresentâr Ruggiero;
38
e gli narrâr che di Ruggier di Risa
era figliuol, di virtù ugual al padre:
se sia animoso et forte, et a che guisa
sappia ferir, san dir le nostre squadre.
Con Bradamante in questo vien Marphisa,
le due compagne nobili et leggiadre:
ad abbracciar Ruggier vien la Sorella;
con più rispetto sta l’altra Donzella.
39
L’Imperator Ruggier fa risalire,
ch’era per reverentia sceso a piede,
e lo fa a par a par seco venire,
e di ciò ch’a honorarlo si richiede
un punto sol non lascia preterire.
Ben sapea che tornato era alla Fede;
che immantinente che fu Orlando al sciutto,
certificato Carlo havea del tutto.
40
Con pompa triomphal, con festa grande
tornano insieme dentro alla cittade,
che di fronde verdeggia e di ghirlande:
coperte a panni son tutte le strade;
nembo de lieti fior d’alto si spande
e sopra e intorno a’ vincitori cade,
che da veroni e da finestre amene
donne e donzelle gettano a man piene.
41
Al voltar de li canti in varii luochi
truovan archi e trophei subito fatti,
che di Biserta le ruine e i fuochi
tengon depinti, e li altri degni fatti;
altrove palchi con diversi giuochi
e spettacoli e mimmi e scenici atti;
et è scritto per tutto il titul vero:
Alli liberatori de l’Impero.
42
Fra suon di argute trombe e di canore
piffare e d’ogni musica harmonia,
fra grido e plauso, iubilo e favore
del populo ch’a pena vi capìa,
smontò al palazzo il magno Imperatore,
dove più giorni quella compagnia
con torniamenti e personaggi e farse,
danze e convivi attese a dilettarse.
43
Rinaldo intanto havea fatto sapere
al padre Amone, a tutto il suo lignaggio,
et prima a Carlo, senza il cui parere
non serìa stato a far tal cosa saggio,
c’havea a Ruggier, se ad essi era piacere,
Bradamante promessa in maritaggio.
Consentì ognuno, ognun laudò la cosa:
così fu Bradamante a Ruggier sposa.
44
Mongrana si rallegra e Chiaramonte,
di nuovo groppo i dui rami raggiunti:
altrotanto s’attrista il fellon Conte
Gan di Maganza, e tutti i suoi congiunti;
ma difingendo van sotto altra fronte
li animi lor di grande invidia punti;
e come volpe che la lepre aspetta,
occasïone aspettan di vendetta.
45
Oltra che già Rinaldo e Orlando ucciso
havea in più volte assai di lor malvagi;
ben che sedate havea con saggio aviso
Carlo l’ingiurie e li commun disagi;
di nuovo loro havea levato il riso
l’ucciso Pinabello e Bertolagi:
ma la lor fellonia tenean coperta,
dissimulando haver la cosa certa.
46
Fansi le nozze splendide e reali,
convenïenti a chi cura ne piglia:
Carlo ne piglia cura, e le fa quali
farebbe maritando una sua figlia.
Li merti de la Donna erano tali,
oltra quelli di tutta sua famiglia,
ch’a quel Signor non parea uscir del segno
spender per lei ciò che perviene al regno.
47
Libera corte fa bandir intorno,
dove sicuro ognun possa venire;
e campo franco sin al nono giorno
conciede a chi contese han da partire.
Fe’ alla campagna l’apparato adorno
di rami intesti e frondi e fiori ordire,
d’oro e di seta poi, tanto giocondo
che più bel luoco mai non fu nel mondo.
48
Dentro a Parigi non seriano state
le innumerabil genti peregrine,
povere e ricche e d’ogni qualitate,
che v’eran, Greche, Barbare et Latine.
Tanti signor e ambasciarie mandate
di tutto il mondo non haveano fine:
erano in padiglion, tende e frascati
con gran commodità tutti alloggiati.
49
Con excellente e singular ornato
la notte inanzi havea Melissa maga
il marital albergo apparecchiato,
di ch’era stata già gran tempo vaga.
Havea gran tempo inanzi ella bramato
giunger questi dui amanti; che presaga
de le cose avenir, sapea di quanta
bontà frutto usciria de la lor pianta.
50
Posto havea il genïal letto fecondo
in mezo un padiglione amplo e capace,
il più ricco, il più ornato, il più giocondo
che già mai fusse o per guerra o per pace,
o prima o dopo, teso in tutto il mondo;
et Melissa l’havea dal lito Thrace
di sopra ’l capo a Constantin levato,
ch’a diporto sul mar s’era attendato.
51
Di sopra a Constantin c’havea l’Impero
di Grecia, lo levò da mezo giorno,
con le chorde e col fusto, e con l’intero
guarnimento c’havea dentro e d’intorno:
se lo portò per l’aria, e di Ruggiero
quivi lo fece alloggiamento adorno.
Poi, finite le nozze, ancho tornollo
miraculosamente onde levollo.
52
Erano de li anni appresso che duomilia
che fu quel ricco padiglion trappunto.
Una donzella de la terra d’Ilia,
c’havea il furor prophetico congiunto,
con studio di gran tempo e con vigilia
lo fece di sua man di tutto punto:
Cassandra fu nomata, et al fratello
inclyto Hettòr fece un bel don di quello.
53
Il più cortese cavallier che mai
devea del ceppo uscir del suo germano,
ben che sapea da la radice assai
che quel per molti rami era lontano,
ritratto havea ne li riccami gai,
d’oro e di varia seta, di sua mano.
L’hebbe, mentre che visse, Hettorre in pregio,
e per chi ’l fece e pel lavoro egregio.
54
Ma poi ch’a tradimento hebbe la morte
e fu il popul Troian da’ Greci afflitto;
che Sinon falso aperse lor le porte,
e peggio seguitò che non è scritto;
Menelao hebbe il padiglione in sorte,
col quale a capitar venne in Egytto,
dove al Re Proteo lo lasciò, se vòlse
la moglie haver, che quel tyran gli tolse.
55
Helena nominata era colei
per cui lo padiglion a Proteo diede;
che poi successe in man de’ Ptolomei,
tanto che Cleopatra ne fu herede.
Da le genti d’Agrippa tolto a lei
nel mar Leucadio fu con altre prede:
in man d’Augusto e di Tyberio venne,
e ’n Roma sin a Constantin si tenne,
56
quel Constantin di cui doler si debbe
la bella Italia fin che giri il cielo.
Constantin, poi ch’el Tevero gl’increbbe,
portò in Byzantio il pretïoso velo:
com’io v’ho detto, indi Melissa l’hebbe.
D’oro le chorde havea, d’avorio il stelo;
tutto trappunto era a figure belle,
più che mai con pennel facesse Apelle.
57
Quivi le Gratie in habito giocondo
una Regina aiutavano al parto:
sì bello infante n’apparia, ch’el mondo
non hebbe un tal dal secol primo al quarto.
Vedeasi Iove e Mercurio facondo,
Venere e Marte, che l’haveano sparto
a man piene e spargean d’eterei fiori,
di dolce Ambrosia e di celesti odori.
58
Hippolyto, diceva una scrittura
sopra le fasce in lettere minute.
In età poi più ferma la Ventura
l’havea per mano, e nanzi era Virtute.
Indi ritratte eran con molta cura
l’ambasciarie de l’Ungaro, venute
a dimandar da parte di Corvino
al padre Hercole il tenero bambino.
59
Da Hercole partirsi reverente
si vede, et da la matre Leonora;
si vede passar l’Alpe, et che la gente
corre a vederlo, e come un dio l’adora.
Vedesi il Re de li Ungari prudente,
ch’el maturo sapere ammira e honora
in immatura età tenera e molle,
e degnamente a grande imprese extolle.
60
V’è che ne l’infantili e teneri anni
il scettro di Strigonia in man gli pone;
il fanciul sempre se gli vede a’ panni,
sia nel palagio, sia nel padiglione:
o contra Turchi o contra l’Alemanni
quel Re possente faccia expeditione,
Hippolyto gli è appresso, e fiso attende
a’ magnanimi gesti, et virtù apprende.
61
Quivi si vede come il fior dispensi
de li primi anni in disciplina et arte.
Fusco gli è appresso, che li occulti sensi
chiari gli expone de l’antiche charte.
– Questo schivar, questo seguir conviensi,
s’immortal brami e glorïoso farte, –
par che gli dica: così havea ben finti
li gesti lor chi già li havea dipinti.
62
Poi Cardinal appar, ma giovinetto,
seder in Vaticano a consistoro,
e con facondia aprir l’alto intelletto
e far di sé stupir tutto quel choro.
– Qual fia dunque costui d’età perfetto?
parean con maraviglia dir tra loro).
Oh se di Petro mai gli tocca il manto,
che fortunata età! che secol santo! –
63
In altra parte i liberali spassi
erano e i giuochi del giovene illustre:
hor li orsi affronta su li alpini sassi,
hor e’ cingiali in valle ima e palustre;
hor s’un ginetto par ch’el vento passi,
seguendo o caprio o cerva moltilustre
che, giunta, par che bipartita cada
in parti uguali a un sol colpo di spada.
64
Qua con molt’arte e con più forza lotta,
e con robusti gioveni s’afferra:
par ch’abbattuti già n’habbia una frotta,
e s’apparecchi a poner l’altri in terra.
Là par ch’egli habbia più d’un’hasta rotta,
armato in simulacro d’aspra guerra,
a piè e a cavallo, con ogni arma destro,
di tutti li altri e principe e maestro.
65
Altrove di philosophi et poeti
si vede in mezo una honorata squadra:
quel gli dipinge il corso de’ pianeti,
questo la terra, quel il ciel gli squadra;
questo meste elegie, quel versi lieti,
quel canta heroici, o qualche oda liggiadra.
Musici ascolta, et varii suoni altrove;
né senza summa gratia un passo muove.
66
In questa prima parte era dipinta
del sublime garzon la pueritia.
Cassandra l’altra havea tutta distinta
de gesti di prudentia e di iustitia,
di modestia e fortezza, e de la quinta
che da lor nasce e tien seco amicitia,
dico de la virtù che dona e spende;
che parimente in tutti irraggia e splende.
67
In questa parte il giovene si vede
col sfortunato Duca de l’Insubri:
hora in pace a consiglio con lui siede,
hora armato con lui spiega i colubri,
e sempre par d’una medesma fede,
o ne’ felici tempi o ne’ lugùbri;
gli è compagno in la fuga e ne l’exiglio,
nel duol conforto, e scorta nel periglio.
68
Si vede altrove, a gran pensier intento
per salute d’Alfonso e di Ferrara,
che va rimando per strano argumento,
e truova, e fa veder per cosa chiara
al giustissimo frate il tradimento
che gli usa la famiglia sua più cara:
e per questo si fa del nome herede
che Roma a Ciceron libera diede.
69
Vedesi altrove in arme relucente,
ch’ad aiutar la Chiesa in fretta corre;
e con tumultuaria e poca gente
a un exercito instrutto si va opporre;
e solo il ritrovarsi egli presente
tanto alli ecclesïastici soccorre,
che prima il fuoco tol, ch’arder comince:
sì che può dir che vène et vede et vince.
70
Vedesi altrove da la patria riva
pugnar incontra la più forte armata
che contra Turchi o contra gente Argiva
da’ Venetiani mai fusse mandata:
la rompe et vince, et al fratel captiva
la dà con ogni preda; né servata
si vede ch’altra cosa habbia per lui,
che l’honor sol, che non può darlo altrui.
71
Vedesi altrove che non pur conserva
Ferrara, ma ’l dominio le proròga,
absente Alfonso; e quando la proterva
barbarie intorno ogni città soggiuoga,
franca la tien fra tutta Italia serva.
Ma quante armato, e quante volte in toga
Hippolyto si veggia a fatti degni,
lungo fôra a cercar per tutti i segni.
72
Le donne e’ cavallier mirano fisi,
senza trarne construtto, le figure;
perché appresso non han chi loro avisi
che tutte quelle sien cose future.
Prendon piacere a riguardar i visi
belli e ben fatti, e legger le scritture.
Sol Bradamante, da Melissa instrutta,
gode tra sé; che sa l’historia tutta.
73
Ruggier, anchor ch’a par di Bradamante
non ne sia dotto, pur gli torna a mente
che fra i nipoti suoi gli solea Atlante
commendar questo Hippolyto sovente.
Chi potrà in versi a pieno dir le tante
cortesie che fa Carlo ad ogni gente?
Di varii giuochi è sempre festa grande,
e la mensa ognhor piena di vivande.
74
Vedesi quivi chi è buon cavalliero;
che vi son mille lancie il giorno rotte:
fansi battaglie a piedi et a destriero,
altre accoppiate, altre confuse in frotte.
Più de li altri valor mostra Ruggiero,
che vince sempre, e giostra el dì e la notte;
e così in danza, in lotta et in ogni opra
sempre con molto honor resta di sopra.
75
L’ultimo dì, ne l’hora ch’el solenne
convivio era a gran festa incominciato;
che Carlo a man sinistra Ruggier tenne,
et Bradamante havea dal destro lato;
di verso la campagna in fretta venne
nanzi alle mense un cavallier armato,
tutto coperto egli e il caval a nero,
di gran persona, e di sembiante altiero.
76
Senza smontar, senza chinar la testa,
e senza segno alcun di reverentia,
mostrò Carlo sprezzar con la sua gesta
e de tanti Signor l’alta presentia.
Maraviglioso e attonito ognun resta
che si pigli costui tanta licentia.
Lasciano i cibi e lascian le parole
per ascoltar ciò ch’el guerrier dir vuole.
77
Poi che fu a Carlo et a Ruggier a fronte,
con alta voce et orgoglioso grido:
– Son – disse – il Re di Sarza, Rodomonte,
che te, Ruggiero, alla battaglia sfido;
et vuo’ provarti, prima che tramonte
questo sol d’hoggi, che rebelle e infìdo
al tuo Signor sei stato, e traditore;
né questo merti, né alcun altro honore.
78
Ben che tua fellonia si veggia aperta,
ch’essendo hor tu christian non pòi negarla;
acciò si possa ancho saper più certa,
in questo campo vengoti a provarla:
e se persona hai qui che faccia offerta
di combatter per te, voglio accettarla.
S’una non basta, accetto quattro e sei,
provando lor che traditor tu sei. –
79
Ruggier a quel parlar ritto levosse,
e con licentia rispose di Carlo
che mentiva egli, et qualunqu’altro fosse,
che traditor volesse nominarlo;
e che col Signor suo sempre portosse
in modo ch’a ragion non può biasmarlo;
e ch’era apparecchiato sostenere
d’haver in questo fatto il suo devere:
80
e ch’a difender la sua causa era atto,
senza tôrre in aiuto suo veruno;
e che sperava di mostrargli in fatto
che assai n’havrebbe e forse troppo d’uno.
Quivi Rinaldo, e quivi Orlando tratto
s’era, e Marphisa, et Oliviero, e alcuno
altro guerrier, che contra il Pagan fiero
volean tôr la difesa di Ruggiero,
81
mostrando ch’essendo egli nuovo sposo
non devea conturbar le proprie nozze.
Ruggier rispose lor: – State in riposo;
che per me fôran queste scuse sozze. –
L’arme che tolse al Tartaro famoso
vennero, e fur tutte l’indugie mozze.
Rinaldo e Orlando i sproni a Ruggier strinse,
e Carlo al fianco la spada gli cinse.
82
Bradamante e Marphisa la corazza
posta gli haveano, e tutto l’altro arnese.
Tenne Astolfo il caval di buona razza,
tenne la staffa il figlio del Danese.
Fece d’intorno far subito piazza
il duca Namo et Olivier Marchese:
cacciaro in fretta ognun fuor del steccato
a tal bisogni sempre apparecchiato.
83
Donne e donzelle con pallida faccia
timide a guisa di colombe stanno,
che da’ granosi paschi a i nidi caccia
rabbia de’ venti che per l’aria vanno
con tuoni e lampi, e ’l scur aer minaccia
grandine e pioggia, e a’ campi strage e danno:
timide stanno per Ruggier; che male
a quel fiero Pagan lor parea uguale.
84
Così a tutta la plebe e alla più parte
de’ cavallieri e principi parea;
che di memoria anchor lor non si parte
quel che in Parigi il Pagan fatto havea;
che, sol, a ferro e a fuoco una gran parte
n’havea distrutta, e anchor vi rimanea,
e rimarrà per molti giorni il segno;
né maggior danno altronde hebbe quel regno.
85
Tremava, più ch’a tutti li altri, il core
a Bradamante; non ch’ella credesse
ch’el Saracin di forza, e del valore
che vien dal cor, più di Ruggier potesse;
né che ragion, che spesso dà l’honore
a chi l’ha seco, Rodomonte havesse:
pur star non puote senza gran suspetto;
che di temere, amando, ha degno effetto.
86
Oh quanto volentier sopra sé tolta
la cura havria di quella pugna incerta,
anchor che rimaner di vita sciolta
per quella fusse stata più che certa!
Havria eletto a morir più d’una volta,
se può più d’una morte esser sofferta,
più presto che patir ch’el suo consorte
si ponesse al pericol de la morte.
87
Ma non sa ritrovar priego che vaglia,
perché Ruggiero a lei l’impresa lassi:
a riguardar adunque la battaglia
con mesto viso e cor trepido stassi.
Quinci Ruggier, quindi il Pagan si scaglia,
et vengonsi a trovar coi ferri bassi:
le lancie al scontro parvero di gelo;
li tronchi, augelli a salir verso il cielo.
88
La lancia del Pagan, che venne a côrre
a mezo il scudo, fe’ debile effetto,
perch’era il scudo del famoso Hettorre,
c’havea fatto Vulcan, tanto perfetto.
Ruggier la lancia parimente a porre
gli venne al scudo, e gli lo passò netto;
tutto che fusse appresso un palmo grosso,
dentro e di fuor d’acciaro, e in mezo d’osso.
89
E se non che la lancia non sostenne
l’horribil scontro, e mancò al primo assalto,
e rotta in scheggie e tronchi haver le penne
parve per l’aria, tanto volò in alto;
l’usbergo havria (sì furïosa venne),
se fusse stato adamantino smalto,
passato anchor; ma nel più bel si roppe:
posero in terra ambi i destrier le groppe.
90
Con briglia e sproni i cavallier instando,
risalir feron subito i destrieri;
e donde gettâr l’haste, preso il brando,
si tornaro a ferir crudel’ e fieri:
di qua e di là con maestria girando
li animosi cavalli atti e liggieri,
con le pungenti spade incominciaro
a tentar dove il ferro era più raro.
91
Non si trovava il scoglio di serpente
(che fu sì duro) al petto Rodomonte,
né di Nembrotte la spada tagliente,
né ’l solito elmo havea quel dì alla fronte;
che l’usate arme, quando fu perdente
contra la donna di Dordona al ponte,
lasciato havea suspeso a i sacri marmi,
come di sopra udiste in questi carmi.
92
Egli havea un’altra assai buona armatura,
non come quella a gran pezzo perfetta:
ma né questa né quella, né più dura
a Balisarda si sarebbe retta;
a cui non osta incanto né fatura,
né finezza d’acciar né tempra eletta.
Ruggier di qua e di là sì ben lavora,
ch’al Pagan l’arme in più d’un luoco fora.
93
Quando si vide in tante parti rosse
il Pagan l’arme, e non poter schivare
che la più parte di quelle percosse
non gli andasse la carne a ritrovare;
a maggior rabbia, a più furor si mosse,
ch’a mezo il verno il tempestoso mare:
via getta il scudo, e a tutto suo potere
su l’elmo di Ruggier a due man fere.
94
Con quella forza che su i grossi travi
ch’en fondo al Po si cacciano, percuote
la machina che posta in su due navi
mover veggiàn con uomo e con ruote;
con ambedue le man valide e gravi
ferì il Pagan Ruggier quanto più puòte:
giovò l’elmo incantato; che senza esso
lui col cavallo havria in un colpo fesso.
95
Ruggier andò due volte a testa china,
e per cader, e braccia e gambe aperse.
Di nuovo il colpo il Saracin declina,
che non vuol c’habbia tempo a rïhaverse:
poi vien col terzo; ma la spada fina
sì lungo martellar più non sofferse;
che volò in pezzi, et al crudel Pagano
disarmata lasciò di sé la mano.
96
Rodomonte per questo non s’arresta,
ma s’aventa a Ruggier che nulla sente;
in tal modo intornata havea la testa,
in tal modo offuscata havea la mente.
Ma ben dal sonno il Saracin lo desta:
nel collo il prende il Saracin possente;
lo prende in guisa, e con tal nodo afferra,
che de l’arcion lo svelle, e caccia in terra.
97
Non fu sì presto in terra che risorse,
via più che d’ira, di vergogna pieno;
perhò ch’a Bradamante li occhi torse,
e turbar vide il bel viso sereno.
Ella al cader di lui rimase in forse
de la sua vita, e fu per venir meno.
Ruggier, per emendar presto quell’onta,
stringe la spada, e col Pagan s’affronta.
98
Quel gli urta il caval contra, ma Ruggiero
lo cansa accortamente, e se ritira,
e nel passar, al fren piglia il destriero
con la man manca, e intorno lo raggira;
e con la destra intanto al cavalliero
ferire il fianco o il ventre o il petto mira;
e di due punte fe’ sentirgli angoscia,
l’una nel fianco, e l’altra ne la coscia.
99
Rodomonte, che in mano anchor tenea
il pome e l’elsa de la spada rotta,
Ruggier su l’elmo in guisa percotea
che lo potea stordir a l’altra botta.
Ma Ruggier, ch’a ragion vincer devea,
gli prese il braccio, e tirò tanto allhotta,
aggiungendo alla destra l’altra mano,
che fuor di sella al fin trasse il Pagano.
100
Sua sorte o sua destrezza vuol che cada
in guisa ch’a Ruggier rimanga al paro:
vuo’ dir che cadde in piè; che per la spada
Ruggier haverne il meglio giudicaro.
Ruggier cerca il Pagan tenere a bada
lungi da sé, né d’accostarsi ha caro:
per lui non fa lasciar venirse adosso
un corpo così grande e così grosso.
101
E tuttavolta sanguinargli il fianco
vede e la coscia, e l’altre sue ferite:
spera che venga a poco a poco manco,
sì che al fin gli habba a dar vinta la lite.
L’elsa e il pome havea in mano il Pagan ancho,
e con tutte le forze insieme unite
da sé scagliollo, e sì Ruggier percosse,
che stordito ne fu più che mai fosse.
102
Ne la guancia de l’elmo e ne la spalla
fu Ruggier colto, e sì quel colpo sente,
che tutto ne vacilla e ne traballa,
e ritto se sostien difficilmente.
El Pagan vuol intrar, ma il piè gli falla,
che per la coscia offesa era impotente:
e il volersi affrettar più del potere,
con un genocchio in terra il fe’ cadere.
103
Ruggier non perde il tempo, e di grande urto
lo percuote nel petto e ne la faccia;
e sopra gli martella, e sì tien curto,
che con la mano in terra ancho lo caccia.
Ma tanto fa il Pagan, che gli è risurto;
si stringe con Ruggier, sì che l’abbraccia:
l’uno e l’altro s’aggira e scuote e preme,
arte aggiungendo alle lor forze estreme.
104
Di forza a Rodomonte una gran parte
la coscia e il fianco aperto haveano tolto.
Ruggier havea destrezza, havea grande arte,
era alla lotta exercitato molto;
vede il vantaggio suo, né se ne parte:
mette più da quel lato ove più sciolto
di Rodomonte il sangue correr vede
le braccia, il petto, e l’uno e l’altro piede.
105
Rodomonte pien d’ira e di dispetto
Ruggier nel collo e ne le spalle prende:
hor lo tira, hor lo spinge, hor sopra il petto
sullevato da terra lo suspende,
quinci e quindi lo ruota e lo tien stretto,
e per farlo cader molto contende.
Ruggier sta in sé raccolto, e mette in opra
senno e valor per rimaner di sopra.
106
Tanto le prese andò mutando il franco
e buon Ruggier, che Rodomonte cinse:
calcògli il petto sul sinistro fianco,
e con tutta sua forza a mezo il strinse.
La gamba destra a un tempo inanzi al manco
ginocchio e l’altro attraversolli e spinse;
e da la terra in alto sulevollo,
e con la testa in giù steso tornollo.
107
Del capo e de le schiene Rodomonte
la terra impresse; e tal fu la percossa,
che da le piaghe sue, come da fonte,
lungi andò il sangue a far la terra rossa.
Ruggier, c’ha la Fortuna per la fronte,
perché levarsi il Saracin non possa,
l’una man col pugnal gli ha sopra li occhi,
l’altra alla gola, al ventre gli ha i genocchi.
108
Come talvolta, ove si cava l’oro
là tra’ Pannoni o ’n le fodine Hibere,
se improvisa ruina, su coloro
che vi condusse empia avaritia, fere,
ne restano sì oppressi, che può il loro
spirto a pena, onde uscire, adito havere:
così non men fu ’l Saracino oppresso
dal vincitor, tosto ch’in terra messo.
109
Alla vista de l’elmo gli appresenta
la punta del pugnal c’havea già tratto;
et che si renda, minacciando, tenta,
e di lasciarlo vivo gli fa patto.
Ma quel, che di morir manco paventa
che mostrar di viltade un minimo atto,
si torce e scuote, et per por lui di sotto
mette ogni suo vigor, né gli fa motto.
110
Come lupo o mastin ch’el fier alano
ne la ringiosa canna azannato habbia,
molto s’affanna e si dibbatte invano
con occhi ardenti e con spumose labbia,
e non può uscir al predator di mano,
che vince di vigor, non già di rabbia:
così falla al Pagano ogni pensiero
d’uscir di sotto al vincitor Ruggiero.
111
Pur si torce e dibbatte sì, che viene
ad expedirsi col braccio migliore;
e con la destra man ch’el pugnal tiene,
che trasse anch’egli in quel contrasto fuore,
tenta ferir Ruggier sotto le rene:
ma il giovene s’accorse de l’errore
in che potea cader, per differire
di far quel empio Saracin morire.
112
E due e tre volte in la terribil fronte
(alzando quanto alzar più puote il braccio)
il ferro del pugnale a Rodomonte
tutto nascose, e si levò d’impaccio.
Alle squalide ripe d’Acheronte,
lasciando il corpo più freddo che giaccio,
biastemmiando fuggì l’alma sdegnosa,
che fu sì altiera al mondo e sì orgogliosa.