CANTO SEXTO

1
Miser chi mal oprando si confida
ch’ognhor star debba il maleficio occulto;
che quando ogn’altro taccia, intorno grida
l’aria et la terra istessa in ch’è sepulto;
e Dio fa spesso ch’el peccato guida
il peccator, poi che alcun dì gli ha indulto,
che se medesmo, senza altrui richiesta,
inavedutamente manifesta.
2
Havea creduto il miser Polinesso
totalmente il delitto suo coprire,
Dalinda consapevole d’apresso
levandosi, che sola il potea dire;
et giungendo il secondo al primo excesso
affrettò il mal che potea differire;
e potea differire, e schivar forse,
ma se stesso spronando, a morir corse.
3
A un tempo e vita e stato e amici perse;
perse l’honor, che fu più grave danno.
Dissi di sopra che assai prieghi fêrse
a quel campion, ch’anchor chi sia non sanno.
Al fin si trasse l’elmo et discoperse
il viso, che più volte veduto hanno:
et dimostrò com’era Arïodante,
per tutta Scotia lachrymato inante,
4
Arïodante, che Ginevra pianto
havea per morto, e ’l fratel pianto havea,
il Re, la corte, il popul tutto quanto;
di tal bontà, di tal valor splendea.
Adunque il peregrin mentir di quanto
dianzi di lui narrò, quivi apparea;
e fu pur ver che dal scoglio marino
gettarsi in mar lo vide a capo chino.
5
Ma come aviene a un disperato spesso,
che da lontan brama et disia la morte
et l’odia poi che se la vede appresso,
tanto gli par il passo acerbo et forte;
Arïodante, poi che in mar fu messo,
si pentì di morir, et come forte
ch’egli era e destro, et più d’ogn’altr’ardito,
si messe a nuoto et ritornòsi al lito.
6
E dispregiando e nominando folle
il desir c’hebbe di lasciar la vita,
si messe a caminar bagnato et molle
et capitò al hostel d’un Eremita;
quivi secretamente indugiar volle
tanto, che la novella havesse udita,
se del caso Ginevra s’allegrasse
o pur mesta e pietosa ne restasse.
7
Intese prima che per gran dolore
ella era stata a rischio di morire;
la fama andò di questo in modo fuore,
che ne fu in tutta l’isola che dire,
contrario effetto a quel che per errore
credea haver visto con suo gran martìre;
intese poi come Lurcanio havea
fatta Ginevra appresso ’l padre rea.
8
Contra il fratel d’ira minor non arse
che per Ginevra già d’amor ardesse;
che troppo empio et crudel atto gli parse,
anchora che per lui fatto l’havesse.
Sentendo poi che per lei non comparse
cavallier che difender la volesse;
che sì Lurcanio forte era et gagliardo,
ch’ognun d’andargli contra havea riguardo,
9
et chi n’havea noticia il reputava
tanto discreto, et sì saggio et accorto,
che se non fusse ver quel che narrava
non si porrebbe a risco d’esser morto;
per questo la più parte dubitava
di non pigliar questa difesa a torto;
Arïodante dopo gran discorsi
pensò all’accusa del fratello opporsi.
10
– Ah lasso! io non potrei (seco dicea)
sentir per mia cagion perir costei:
troppo mia morte fôra acerba e rea,
s’inanzi a me morir vedessi lei.
Ell’è pur la mia donna et la mia dea,
quest’è la luce pur de gli occhi miei:
convien ch’a dritto o torto per suo scampo
pigli l’impresa, et resti morto in campo.
11
So ch’io m’appiglio al torto; e al torto sia,
et ne morrò; né questo mi sconforta,
se non che io so che per la morte mia
sì bella donna ha da restar poi morta.
Un sol conforto nel morir mi fia:
che s’el suo Polinesso amor le porta
chiaramente veder harà possuto,
che non s’è mosso anchor per darle aiuto;
12
et me, che tanto expressamente ha offeso,
vedrà, per lei salvar, a morir giunto.
Di mio frate, oltra questo, il quale acceso
tanto fuoco ha, vendicarommi a un punto;
ch’io lo farò doler, poi che compreso
il fine harà, del suo crudele assunto:
creduto vendicar harà il germano,
et gli harà dato morte di sua mano. –
13
Concluso c’hebbe questo nel pensiero,
nuove arme ritrovò, nuovo cavallo;
le sopraveste nere e ’l scudo nero
portò, fregiato a color verdegiallo.
Per aventura si trovò un scudiero
ignoto in quel paese, e menato hallo;
e sconnosciuto (come ho già narrato)
s’appresentò contra il fratello armato.
14
Narrato v’ho come il fatto successe,
come fu connosciuto Arïodante.
Non minor gaudio n’hebbe il Re, c’havesse
de la figliuola liberata inante;
seco pensò che mai non si potesse
trovar un più fedele et vero amante,
che dopo tanta ingiuria, ancho in difesa
contra il proprio fratel se l’havea presa.
15
Et per sua inclination (che assai l’amava)
et per li preghi di tutta la corte,
et di Rinaldo che più d’altri instava,
de la bella figliuola il fe’ consorte.
La duchea d’Albania, che al Re tornava
dopo che Polinesso hebbe la morte,
in miglior tempo discader non puòte,
poi che la diede alla sua figlia in dote.
16
Rinaldo per Dalinda impetrò gratia,
che se n’andò di tanto errore exente;
la qual per voto, et perché molto satia
era del mondo, a Dio volse la mente:
monacha s’andò a render sin in Datia,
et si levò di Scotia inmantinente.
Ma tempo è homai di ritrovar Ruggiero,
che scorre il ciel su l’animal liggiero.
17
Ben che Ruggier sia d’animo constante,
né cangiato habbia il solito colore,
io non gli voglio creder che tremante
non habbia dentro più che foglia il core.
Lasciato havea di gran spatio distante
tutta l’Europa, et era uscito fuore
per molto spatio il segno che prescritto
havea già a’ naviganti Hercole invitto.
18
Quello Hippogrypho, grande et strano augello,
lo porta via con tal prestezza d’ale,
che di lungo interval lasciaria quello
celer ministro del fulmineo strale.
Non va per l’aria altro animal sì snello,
che di velocità gli fusse uguale:
credo ch’a pena il tuono e la saetta
venga in terra dal ciel con maggior fretta.
19
Poi che l’augel trascorso hebbe gran spatio
per linea dritta, et senza mai piegarsi,
con larghe ruote (homai de l’aria satio)
cominciò sopra una isola a calarsi,
maggior di quella, u’ dopo lungo stratio
far del suo amante, e lungo a lui celarsi,
la vergine Arethusa passò invano
di sotto ’l mar per camin cieco e strano.
20
Non vide né più bel né più giocondo
da tutta l’aria ove le penne stese;
né se tutto cercato havesse il mondo
veduto harebbe il più gentil paese
di questo, u’ dopo un gran girarsi a tondo
con Ruggier seco, il grande augel discese:
culte pianure et delicati colli,
chiare acque, ombrose ripe et prati molli.
21
Vaghi boschetti di suavi allori,
di Palme et d’amenissime Mortelle,
Cedri et Naranci, c’havean frutti et fiori
contesti in varie forme et tutte belle,
facean riparo a’ fervidi calori
de’ giorni estivi con lor spesse ombrelle;
e tra li rami con sicuri voli,
cantando se ne gìan li Rosignuoli.
22
Tra le purpuree rose e’ bianchi gigli,
che tepida aura freschi ognhora serba,
sicuri se ne gìan Lepri et Conigli,
et Cervi con la fronte alta et superba,
senza temer che alcun li fera o pigli,
pascano o stiansi rominando l’herba;
saltano i Danni e’ Capri isnelli et destri,
che sono in copia in quei luochi campestri.
23
Come sì presso è l’Hippogrypho a terra
che esser ne può men periglioso il salto,
Ruggier con fretta de l’arcion si sferra,
et si ritrova in su l’herboso smalto;
tuttavia in man le redine si serra,
che non vuol ch’el destrier più vada in alto;
poi lo lega nel margine marino
a un verde Mirto, in mezo un lauro e un pino.
24
Et quivi appresso ove surgea una fonte
cinta di Cedri et di feconde Palme,
di braccio il scudo, et l’elmo da la fronte
si trasse, et disarmossi ambe le palme;
et hora alla marina et hora al monte,
volgea la faccia all’aure fresche et alme
che l’alte cime, con mormorii lieti,
fan tremolar dei Faggi et de li Abeti.
25
E talhor bagna in la chiara onda frescha
l’asciutte labbia, et con le man diguazza
acciò che de le vene il calor esca
che gl’ha acceso il portar de la corazza;
né maraviglia è già ch’ella gli ’ncresca,
che non è stato un far vedersi in piazza,
ma senza mai posarsi, tutto armato
tre mila miglia ognhor correndo è andato.
26
Quivi stando, il destrier c’havea lasciato
tra le più dense frasche alla fresca ombra,
per fuggir si rivolta, spaventato
di non so che, che dentro il bosco adombra;
e fa crollar sì il Mirto, ove è legato,
che de le frondi intorno il piè gli ingombra:
crollar fa ’l Mirto, e fa cader la foglia;
né succede perhò che se ne scioglia.
27
Come ceppo talhor, che le medolle
rare et vuote habbia et posto al fuoco sia,
poi che per gran calor quell’aria molle
resta consunta ch’in mezo l’empìa,
dentro risuona, et con strepito bolle
tanto che quel furor trovi la via,
così mormora et stride et si coruccia
quel Mirto offeso, e al fin apre la buccia.
28
Onde con mesta et flebil voce uscìo
expedita et chiarissima favella,
e disse: – Se tu sei cortese et pio,
come dimostri alla presenza bella,
leva questo animal da l’arbor mio:
basti ch’el mio mal proprio mi flagella
senza altra pena, senz’altro dolore
che a tormentarmi anchor venga di fuore. –
29
Al primo suon di quella voce torse
Ruggiero il viso, et subito rizzosse;
et poi che uscir de l’arbore s’accorse,
stupefatto restò più che mai fosse.
A levarne ’l destrier subito corse,
et in sua excusa assai parole mosse:
– Qual che tu sia, perdonami (dicea),
o spirto humano, o boscareccia Dea.
30
Il non pensar che in l’arbori s’asconda
sotto ruvida scorza affabil spirto
m’ha lasciato turbar la bella fronda,
et far ingiuria al tuo vivace Mirto:
ma non restar perhò che non responda
chi tu ti sia, che in corpo horrido et hirto
con voce e rational anima vivi;
se da grandine il ciel sempre ti schivi.
31
Et s’io potrò con qualche util effetto
hor questo danno, o mai, ricompensarte,
per quella bella donna ti prometto,
quella che di me tien la miglior parte,
ch’io farò (pur che ’l modo mi sia detto)
che con ragion potrai di me lodarte. –
Come Ruggier al suo parlar fin diede,
tremò quel Mirto da la cima al piede.
32
Poi si vide sudar su per la scorza
come legno dal bosco allhora tratto,
che del fuoco venir sente la forza
poscia ch’invano ogni ripar gli ha fatto;
et cominciò: – Tua cortesia mi sforza
a discoprirti in un medesmo tratto
ch’io fussi prima, et chi converso m’haggia
in questo Mirto in su l’amena spiaggia.
33
Il nome mio fu Astolfo, et paladino
ero di Francia, assai temuto in guerra;
d’Orlando et di Rinaldo ero cugino,
la cui fama alcun termine non serra;
e si spettava a me tutto ’l domìno,
dopo ’l mio padre Othon, de l’Inghilterra:
liggiadro et bel fui sì, che accesi et cocqui
più d’una donna, e al fin sol a me nocqui.
34
Ritornand’io da quelle isole estreme
che da Levante il mar Indico lava,
u’ con Rinaldo et con Dudon insieme
più dì fui chiuso in parte oscura et cava,
et onde liberate le supreme
forze n’havean del cavallier di Brava,
vêr Ponente venìa, lungo la sabbia
che del Settentrïon sente la rabbia.
35
Et come la via nostra e ’l duro et fello
destin ne trasse, uscimmo una matina
sopra la bella spiaggia, ove un castello
siede sul mar de la possente Alcina.
Trovammo lei che uscita era di quello,
et stava sola in ripa alla marina;
et senza rete et senza hamo trahea
tutti li pesci al lito che volea.
36
Corron veloci i scrignuti Delphini,
a bocca aperta segue il grosso Tonno;
li Capidogli e li Vécchi marini
vengon turbati dal lor pigro sonno;
Muli, Salpe, Salmoni e Coracini
vengono a schiere in più fretta che ponno;
Pistrici, Phisiteri, Orche et Balene
escon del mar con monstrüose schiene.
37
Vedemo una Balena, la maggiore
che mai per tutto ’l mar veduta fosse:
undece passi e più dimostra fuore
de l’onde salse le spallaccie grosse.
Mi fa pigliar con li compagni errore
vederla ferma et che mai non si scosse:
ch’ella sia una isoletta si credemo,
così distante ha l’un da l’altro estremo.
38
Alcina i pesci uscir facea de l’acque
con semplici parole et puri incanti.
Con la fata Morgana Alcina nacque,
io non so dir s’a un parto o dopo o inanti.
Guardommi Alcina, et subito le piacque
l’aspetto mio, come mostrò a’ sembianti;
et pensò con astutia et con ingegno
tôrme a’ compagni, et riuscì ’l disegno.
39
Ne venne incontra con allegra faccia,
con modi gratïosi et reverenti,
et disse: «Cavallier, quando vi piaccia
far hoggi meco i vostri alloggiamenti,
io vi farò veder ne la mia caccia
di tutti i pesci sorti differenti:
chi scaglioso, chi molle et chi col pelo;
et saran più che non ha stelle il cielo.
40
Et se veder volesse una Sirena
che col suo dolce canto accheta ’l mare,
passiàn di qui fin su quell’altra arena,
dove a quest’hora suol sempre tornare»;
et ne mostrò quella maggior Balena
(che come io dissi) una isoletta pare.
Io che sempre fui troppo (et me n’incresce)
volontaroso, andai sopra quel pesce.
41
Rinaldo mi cennava, et similmente
Dudon, ch’io non ve andassi, et poco valse:
la fata Alcina con faccia ridente,
lasciando l’altri dua, drieto mi salse;
la Balena, all’ufficio diligente,
nuotando se n’andò per l’onde salse.
Di mia sciochezza fui presto pentito,
ma troppo mi trovai lungi dal lito.
42
Rinaldo si cacciò ne l’acqua a nuoto
per aiutarmi, et la fatica perse,
perché levossi un furïoso Noto
che d’ombra il cielo e ’l pelago coperse:
quel che di lui seguisse poi, m’è ignoto.
Alcina a confortarmi si converse;
et quel dì tutto et la notte che venne
sopra quel Mostro in mezo ’l mar mi tenne;
43
fin che venimmo a questa isola bella,
di cui gran parte Alcina ne possiede,
et l’ha usurpata ad una sua sorella
ch’el padre lor lasciò del tutto herede,
perché sola legitima havea quella;
e come alcuno information mi diede,
che pienamente instrutto era di questo,
sono quest’altre due nate di incesto.
44
E come sono inique e scelerate
et piene d’ogni vitio infame et brutto,
così quella, vivendo in castitate,
ha posto in le virtuti il suo cor tutto.
Contra lei queste dua son congiurate,
et già più d’uno exercito hanno instrutto
per cacciarla de l’isola, e ’n più volte
più di cento castella l’hanno tolte;
45
né già vi teneria spanna di terra
colei che Logistilla è nominata,
se non che quinci un fiume il passo serra
et quindi una montagna inhabitata,
sì come tien la Scotia et l’Inghilterra
il monte et la riviera separata;
né perhò Alcina né Morgana resta
che non le voglia tôr ciò che le resta.
46
Perché di vitii è questa coppia rea,
odia colei, perché è pudica et santa.
Ma per tornarti a quel ch’io ti dicea
et seguir poi com’io divenni pianta,
Alcina in gran delitie mi tenea
et del mio amor ardeva tutta quanta;
né minor fiamma nel mio cor accese
il veder lei sì bella et sì cortese.
47
Io mi godea le delicate membra:
pareami haver qui tutto il ben raccolto
che fra’ mortali in più parti si smembra,
a chi più et a chi meno e a nessun molto,
né di Francia né di altro mi rimembra;
stavami sempre a contemplar quel volto:
ogni pensiero, ogni mio bel disegno
venìa sin qui, né giva oltra quel segno.
48
Io da lei altrotanto o più amato ero:
Alcina più non si curava d’altri;
havea lasciato ogni amator primiero,
che nanzi a me ben ve ne fur de li altri.
Me suo compagno, et me suo consigliero,
et me fe’ quel che commandava a gli altri;
a me credeva, a me si riportava,
né notte o dì con altri mai parlava.
49
Deh! perché vo le mie piaghe toccando
senza speranza poi di medicina?
perché l’havuto ben vo rimembrando
quando io patisco estrema disciplina?
Quando credetti esser felice, e quando
sperai che amar più me devesse Alcina,
el cor che m’havea dato si ritolse,
e ad altro nuovo amor tutta si volse.
50
Connobbi tardi il suo mobil ingegno,
usato amar et disamar a un punto.
Non ero stato oltra duo mesi in regno
che un nuovo amante al luoco mio fu assunto.
Da sé cacciommi la fata con sdegno,
et da la gratia sua m’hebbe disgiunto:
et seppi poi che tratti a simil porto
havea mill’altri amanti, et tutti a torto.
51
Et perché essi non vadano pel mondo
di lei narrando la vita lasciva,
chi qua chi là, per lo terren fecondo
li muta, altri in Abete, altri in Oliva,
altri in Palma, altri in Cedro, altri (secondo
che vedi me) su questa verde riva,
altri in liquido fonte, alcuni in fera,
come più aggrada a quella fata altiera.
52
Hor tu che sei per non usata via,
signor, venuto al’Isola fatale,
acciò che alcun amante per te sia
converso in pietra o in onda, o fatto tale;
tu harai d’Alcina scettro et signoria,
et serai lieto sopra ogni mortale:
ma pensa et certo sii giungere al passo
d’entrar in fera o in fonte o in legno o in sasso.
53
Io te n’ho dato volentieri aviso;
non ch’io mi creda che debbia giovarte;
pur meglio fia che non vadi improviso
et de’ costumi suoi tu sappia parte;
che forse, come è differente il viso,
è differente anchor l’ingegno et l’arte.
Tu saprai forse riparar al danno,
quel che saputo mill’altri non hanno. –
54
Ruggier, che connosciuto havea per fama
il duca Astolfo, et che sapea com’era
cugin di quella donna che tant’ama,
si dolve assai vedendo in che maniera
mutato havesse in steril pianta et grama,
per gran malìa, l’humana forma vera;
et dato aiuto volentier gli harebbe
se sapea come, tanto gli ne ’ncrebbe.
55
Gli rese molte gratie, et dimandolli
se strada v’era ch’al regno guidassi
di Logistilla, o per piano o per colli,
sì che per quel d’Alcina non andassi.
Che ve n’era una, da quel Mirto folli
risposto, lunga et piena d’aspri sassi,
s’andando un poco inanzi alla man destra,
salisse il poggio invêr la cima alpestra;
56
ma che non pensi già che seguir possa
il suo camin per quella strada troppo:
incontro havrà di gente ardita, grossa
et fiera compagnia, con duro intoppo;
Alcina ve li tien per muro et fossa
a chi volesse uscir fuor del suo groppo.
Ruggier quel Mirto ringratiò del tutto,
poi da lui si partì dotto et instrutto.
57
Venne al cavallo, et lo disciolse et prese
per le redine, et drieto se lo trasse;
né come fece prima più l’ascese,
perché mal grado suo non lo portasse.
Seco pensava come nel paese
di Logistilla a salvamento andasse;
era disposto et fermo usar ogni opra
che non gli havesse imperio Alcina sopra.
58
Pensò di rimontar su ’l suo cavallo
et per l’aria spronarlo a nuovo corso;
ma dubitò di far poi maggior fallo,
che troppo mal quel gli ubidiva al morso.
– Io passarò per forza, s’io non fallo
(dicea tra sé), – ma vano era il discorso.
Non fu duo miglia lungi alla marina,
che la bella città vide d’Alcina.
59
Lontan si vide una muraglia lunga
che gira intorno, et gran paese serra;
et par che la sua altezza al ciel s’aggiunga
e d’oro sia da l’alta cima a terra.
Alcun dal mio parer qui si dilunga
et dice che gli è alchimia; et forse ch’erra,
et ancho forse meglio di me intende:
a me par oro, poi che sì risplende.
60
Come fu presso alle sì ricche mura,
che ’l mondo altre non ha de la lor sorte,
lasciò la strada che per la pianura
ampla e diritta andava alle gran porte;
et a man destra, a quella più sicura
ch’al monte gìa, piegossi il guerrier forte:
ma presto ritrovò l’iniqua frotta,
dal cui furor gli fu turbata et rotta.
61
Non fu veduta mai più strana torma,
più monstrüosi volti et peggio fatti:
alcun’ dal collo in giù d’huomini han forma
col viso poi di can, di simie o gatti;
stampano alcun’ co piè caprigni l’orma,
alcuni son centauri agili et atti;
son gioveni impudenti et vecchi stolti,
chi nudi et chi di strane pelli involti.
62
Chi senza freno s’un caval galoppa,
chi lento va con l’asino o col bue;
altri salisce ad un centauro in groppa,
molti hanno sotto aquile, struzzi et grue;
ponsi altri a bocca il corno, altri la coppa;
chi femina è, chi maschio, e chi amendue;
chi porta uncino, chi scala di corda,
chi pal di ferro et chi una lima sorda.
63
Di questi il capitano si vedea
c’havea gonfiato il ventre, e ’l viso grasso;
et sopra una testugine sedea
che con gran tardità mutava il passo.
Havea di qua e di là chi lo reggea,
perché egli era ebro et tenea ’l ciglio basso;
altri la fronte gli sciugava e ’l mento,
altri i panni scuotea per fargli vento.
64
Un, c’havea come noi da’ piedi al ventre
et tutto ’l resto simile ad un cane,
contra Ruggier abaia, acciò che egli entre
ne la città che a dietro gli rimane.
Rispose il cavallier: – Nol farò, mentre
ch’io possa sostener la spada in mane! –
et usò ’l brando a un tempo e le parole
contra colui ch’oltraggio far gli vuole.
65
Quel Monstro lui ferir vuol d’una lancia,
ma Ruggier presto se gli aventa adosso:
una stoccata gli trasse alla pancia
et fe’ la punta riuscir pel dosso.
Il scudo imbraccia, et qua et là si lancia,
ma troppo è il stuol de li aversarii grosso:
l’un quinci il punge, et l’altro quindi afferra;
egli s’arrosta, et fa lor aspra guerra.
66
L’un sin a’ denti, et l’altro sin al petto
partendo va di quella iniqua razza;
ch’alla sua spada non s’oppone elmetto
né scudo, né panciera, né corazza:
ma da tutte le parti è così astretto
ch’uopo sarebbe, a voler farsi piazza
et tener da sé largo il popul reo,
haver più braccia et man che Brïareo.
67
Se di scoprir havesse havuto aviso
il scudo che già fu del Negromante,
io dico quel che abbarbagliava il viso,
quel che all’arcione havea lasciato Atlante,
subito haria quel brutto stuol conquiso
et fattosel cader cieco dinante;
et forse ben, che desprezzò quel modo,
perché virtude usar vòlse, et non frodo.
68
Sia quel che può, più presto vuol morire
che rendersi prigion a sì vil gente.
Eccoti intanto dala porta uscire
del muro, ch’io dicea d’oro lucente,
due giovane ch’a’ gesti et al vestire
non eran da stimar nate humilmente,
né da pastor nodrite con disagi,
ma in le delitie di real palagi.
69
L’una et l’altra sedea s’un Lïocorno
candido più che candido Armelino;
l’una et l’altra era bella et di sì adorno
habito, et modo tanto pellegrino,
che riguardando et contemplando intorno
bisognariase havere occhio divino
a far tra lor giudicio; et tal saria
Beltà, s’havesse forma, et Liggiadria.
70
L’una et l’altra n’andò dove nel prato
Ruggier oppresso era dal stuol villano.
Tutta la turba si levò da lato;
et quelle al cavallier porser la mano,
che tinto in viso di color rosato
le donne ringratiò de l’atto humano:
et fu contento (compiacendo loro)
di ritornarsi a quella porta d’oro.
71
L’adornamento che s’aggira sopra
la bella porta, et sporge un poco inante,
parte non ha che tutta non si copra
de le più rare gemme di Levante.
Da quattro parti si riposa sopra
grosse colonne d’integro Diamante:
o vero o falso ch’all’occhio risponda,
non è cosa più bella o più gioconda.
72
Su per la soglia et fuor per le colonne
correan scherzando lascive Donzelle
che, se i rispetti debiti alle donne
servassen più, sarian forse più belle.
Tutte vestite eran di verdi gonne
et coronate di frondi novelle:
queste, con molte offerte et con buon viso,
Ruggier fecero intrar nel paradiso:
73
che si può ben così nomar quel luoco
ove mi credo che nascesse Amore.
Non vi si sta se non in danza e ’n giuoco,
e tutte in festa vi si spendon l’hore:
pensier canuto né molto né poco
si può quivi albergare in alcun core;
non entra quivi disagio né inopia,
ma vi sta ognhor col corno pien la Copia.
74
Qui, dove con serena et lieta fronte
par ch’ognhor rida il gratïoso Aprile,
gioveni et donne son: qual presso a fonte
canta con dolce e dilettevol stile;
qual d’un arbor all’ombra e qual d’un monte
o giuoca o danza o fa cosa non vile;
et qual, lungi da li altri, a un suo fedele
discopre l’amorose sue querele.
75
Per le cime de i Pini e de li Allori,
de l’alti Faggi e de l’hirsuti Abeti,
volan scherzando i pargoletti Amori,
de lor vittorie altri godendo lieti,
altri pigliando, a saettare i cori,
la mira quindi, altri tendendo reti;
chi tempra i strali ad un ruscel più basso
e chi li agguzza ad un volubil sasso.
76
Quivi a Ruggier un gran corsier fu dato,
forte et gagliardo, et tutto di pel sauro,
c’havea ’l bel guarnimento riccamato
di pretïose gemme et lucido auro;
et fu lasciato in guardia quel alato,
quel che solea ubidire al vecchio Mauro,
a un giovene che drieto lo menassi
al buon Ruggier con men frettosi passi.
77
Quelle due belle giovane amorose
c’havean Ruggier da l’empio stuol diffeso,
da l’empio stuol che dianzi se gli oppose
su quel camin c’havea a man destra preso,
gli dissero: – Signor, le virtüose
opere vostre che già habbiamo inteso
ne fanno ardite, che l’aiuto vostro
vi chiederemo a beneficio nostro.
78
Noi trovaren tra via presto una lama,
che fa due parti di questa pianura.
Una crudel, che Eriphilla si chiama,
difende il ponte, et sforza e inganna et fura
chiunque andar ne l’altra ripa brama;
et ella è gigantessa di statura,
li denti ha lunghi et venenoso il morso,
acute l’ugne, et graffia come un Orso.
79
Oltra che sempre ne turbi il camino,
che libero serìa se non fusse ella,
spesso, scorrendo per tutto il giardino,
va disturbando hor questa cosa hor quella.
Sappiate che del populo assassino
che v’assalì inanzi alla porta bella
molti suoi figli son, tutti seguaci,
empii, com’ella, inhospiti et rapaci. –
80
Ruggier rispose: – Non ch’una battaglia,
ma per voi serò pronto a farne cento:
di mia persona (in tutto quel che vaglia)
fatene voi secondo il vostro intento;
che la cagion ch’io vesto piastre e maglia
non è per guadagnar terre né ariento,
ma sol per farne beneficio altrui,
tanto più a belle donne come vui. –
81
Le gentil donne gratie referiro
degne d’un cavallier, come quell’era:
et così ragionando ne veniro
dove videro il ponte et la rivera;
et di Smiraldo ornata et di Zafiro
su l’arme d’or, vider la donna altiera.
Ma dirvi in l’altro canto differisco
come Ruggier con lei si pose al risco.