CANTO VIGESIMOTTAVO
1
Deh, come invan si piange e si suspira
drieto all’error, e non gli vale emenda,
se avien ch’el sdegno e l’impeto de l’ira
a cacciar d’alto la ragione ascenda,
quando con forza irreparabil tira
o lingua o man, sì che li amici offenda.
Lasso! io mi doglio e affligo invan di quanto
dissi per ira al fin de l’altro canto.
2
Ma simile son fatto ad uno infermo,
che dopo molta patïentia e molta,
quando contra il dolor non ha più schermo,
cede a la rabbia e a bestemmiar si volta.
Manca il dolor, né l’impeto sta fermo,
che la lingua al dir mal facea sì sciolta;
l’huom si ravede e pente et stassi cheto:
ma non può il detto ritornar più a drieto.
3
Ben spero, donne (vostra cortesia),
haver da voi perdon, poi ch’io vel chieggio;
voi scusarete che per frenesia,
vinto da l’aspra passïon, vaneggio.
Date la colpa alla nemica mia,
che mi fa star ch’io non potrei star peggio,
e mi fa dir quel di ch’io son poi gramo:
sallo Idio s’ella ha il torto, essa s’io l’amo.
4
Non men son fuor di me che fusse Orlando;
non manco son di lui di scusa degno,
c’hor per li monti, hor per le spiagge errando,
scórse in gran parte di Marsiglio il regno,
molti dì la cavalla strassinando
morta come era, senza alcun ritegno;
ma giunto ove un gran fiume entra nel mare,
gli fu forza il cadavero lasciare.
5
E perché sa nuotar come una lontra,
entra nel fiume, et surge all’altra riva.
Ecco un pastor sopra un cavallo incontra,
che per abeverarlo al fiume arriva.
Colui, ben che gli vada Orlando contra,
perché egli è solo e nudo, non lo schiva.
– Vorrei del tuo caval (gli disse il matto)
con la giumenta mia far un baratto.
6
Io te la mostrerò di qui, se vuoi;
che morta là su l’altra ripa giace:
tu la potrai far medicar dapoi;
altro diffetto in lei non mi dispiace.
Senza altra giunta il caval dar mi puoi:
smontane in cortesia, perché mi piace. –
El pastor ride, e senza altra risposta
va verso il guado, e dal pazzo si scosta.
7
– Io voglio il tuo cavallo: oh là, non odi? –
suggiunse Orlando, e con furor si mosse.
Havea un baston con nodi spessi e sodi
quel pastor seco, e il Paladin percosse.
La rabbia e il sdegno passò tutti i modi
del Conte; e parve fier più che mai fosse:
sul capo del pastor un pugno serra,
che spezza l’osso, e morto il lascia in terra.
8
Salta a cavallo, e per diversa strada
va discorrendo, e molti pone a sacco.
Non gusta il caval mai fieno né biada,
tanto ch’in pochi dì ne riman fiacco:
ma non perhò ch’Orlando a piedi vada,
che di vetture vuol vivere a macco;
e quante ne trovò, tante ne mise
in uso, poi che lor patroni uccise.
9
Capitò al fin a Malega, e più danno
vi fece, ch’egli havesse altrove fatto:
che oltra che ponesse a saccomanno
il popul sì, che ne restò disfatto;
né si puoté rifar quel né l’altro anno,
tanti n’uccise il periglioso matto;
vi spianò tante case e tante accese,
che disfe’ più ch’el terzo del paese.
10
Quindi partito, venne ad una terra,
Zizera detta, che siede sul stretto
di Zibeltarro, o vuoi di Zibelterra,
che l’uno e l’altro nome gli vien detto;
dove una barca che sciogliea da terra
vide piena di gente da diletto,
che solazzando al’aura matutina
gìa per la tranquilissima marina.
11
Cominciò il pazzo a gridar forte: – Aspetta! –
che gli venne disio d’andare in barca;
ma vanamente e gridi et urli getta,
che volentier tal merce non si carca.
Per l’acqua il legno va con quella fretta
che va per l’aria hirondine che varca.
Orlando per la briglia il caval stringe,
e con un mazzafrusto all’acqua el spinge.
12
Forza è ch’al fin ne l’acqua il cavallo entre,
ch’invan contrasta, e spende invano ogni opra:
bagna i genocchi, e poi la groppa e il ventre,
indi la testa, e a pena appar di sopra.
Tornare a dietro non si speri, mentre
la verga tra l’orecchie se gli adopra.
Misero! o si convien tra via affogare,
o nel lito Aphrican passare il mare.
13
Non vede Orlando più poppe né sponde
del legno che l’ha in mar tratto dal sciutto,
perch’è troppo lontano, e lo nasconde
a gli occhi bassi l’alto e mobil flutto:
e tuttavia il destrier caccia tra l’onde,
ch’andar di là dal mar dispone in tutto.
El destrier, d’acqua pieno e d’alma vuoto,
finalmente finì la vita e il nuoto.
14
Andò nel fondo; e vi trahea la salma,
se non si tenea il stolto in su le braccia.
Mena le gambe e l’una e l’altra palma,
soffia l’onda e respinge da la faccia.
Era l’aria suave e il mare in calma:
e ben vi bisognò più che bonaccia;
che ogni poco ch’el mar fusse più sorto,
restava il Paladin ne l’acqua morto.
15
Ma la Fortuna, che de’ pazzi ha cura,
del mar lo trasse nel lito di Setta
in una spiaggia, lungi da le mura
quanto serian dui tratti di saetta.
Lungo il mar molti giorni alla ventura
verso Levante andò correndo in fretta;
fin che trovò, dove tendea sul lito,
di nera gente exercito infinito.
16
Lasciàn ch’el pazzo errando se ne vada:
ben di parlar di lui tornerà tempo.
Quanto, signor, ad Angelica accada
dopo ch’uscì di man d’Orlando a tempo;
e come a ritornare in sua contrada
trovasse e buon naviglio e miglior tempo,
e de l’India Medoro havesse il settro,
forse altri canterà con miglior plettro.
17
Io sono a dir tante altre cose intento,
che di seguir più questa non mi cale.
Volger conviemmi il bel ragionamento
al Tartaro, che spinto il suo rivale,
quella bellezza si godea contento,
a cui non resta in quei contorni uguale,
poi che d’Europa Angelica è partita
e la casta Issabella al ciel salita.
18
De la sententia Mandricardo altiero,
ch’in suo favor la bella donna diede,
non può fruir tutto il diletto intiero;
che contra lui son nuove liti in piede.
L’una gli muove il giovene Ruggiero,
perché l’aquila bianca non gli cede;
l’altra il famoso Re di Sericana,
che da lui vuol la spada Durindana.
19
E non potea il Re d’Aphrica accordarli,
de la querela principal non dico,
c’hanno li dui col Tartaro, per trarli
a buona pace, e l’un sia a l’altro amico;
ma che tra lor si diano luoco, e parli
questo e poi quello, e nel steccato aprico
l’uno lasci intrar l’altro, e fuore aspetti
tanto che l’una lite si rassetti.
20
Ruggier non vuol che Mandricardo vada
col scudo suo, né il Re Gradasso vuole
che porti più la glorïosa spada;
e di non esser primo ognun si duole.
– Al fin veggiamo in chi la sorte cada –
disse Agramante, – e non sian più parole:
preposto sia quel ch’el destin prepone;
l’altro stia cheto a quel ch’el ciel dispone.
21
Se compiacere a punto mi volete,
sì che io ve n’habbia haver obligo ognhora,
chi de’ di voi combatter sortirete;
con patto, a quel che prima uscirà fuora,
ch’amendue le querele in man porrete:
sì che, per sé vincendo, vinca anchora
pel compagno; e perdendo l’un di vui,
così perduto habbia per ambidui.
22
Tra Gradasso e Ruggier credo che sia
di valor nulla o poca differenza;
sì che venga qual vuol d’essi fuor pria,
so ch’in arme farà per excellenza.
Poi la vittoria da quel canto stia
che vorrà la divina providenza:
el cavallier non havrà colpa ignuna,
ma il tutto imputerassi alla Fortuna. –
23
Stero taciti al detto d’Agramante
li dui guerrieri; e fêro insieme liga
che quel di lor che sorte porria inante
havesse a tòrsi l’una e l’altra briga.
Così in dui brevi pari, e simigliante
l’uno con l’altro, il nome lor si riga;
e dentro una orna poi li hanno rinchiusi,
versati molto, e sozopra confusi.
24
Un semplice fanciul pose ne l’orna
la sortilega mano; e venne a caso
che fuor col nome di Ruggier ritorna,
e quel del Re Gradasso entro è rimaso.
Quindi Ruggiero alla pugna s’adorna,
poi ch’el suo nome è primo a uscir del vaso:
riman Gradasso pien d’ira e di doglia;
ma quel che gli dà il ciel, forza è che toglia.
25
Ogni suo studio, intentïone et opra
a favorire, ad aiutar converte
Ruggier, per farlo rimaner di sopra:
e le cose in suo pro, c’havea già experte,
come hor di spada, hor di scudo si copra,
qual sien botte fallaci e quali certe,
quando tentar, quando schivar fortuna
si de’, tutte l’insegna ad una ad una.
26
El resto di quel dì, che da l’accordo
e dal trar de le sorti sopravanza,
è speso da li amici a dar ricordo,
chi a l’un guerrier, chi a l’altro, come è usanza.
El popul, di veder la pugna ingordo,
s’affretta a gara d’occupar la stanza:
né basta a molti inanzi giorno andarvi,
che voglion tutta notte ancho vegghiarvi.
27
La sciocca turba disïosa attende
che li dui cavallier vengano in prova;
che non mira più lungi o più comprende
di quel ch’inanzi a li occhi si ritrova.
Ma Sobrino e Marsiglio, e chi più intende
e vede ciò che nuoce e ciò che giova,
biasma questa battaglia, et Agramante
che voglia comportar che vada inante.
28
Né cessan racordargli il grave danno
che n’ha d’haver il popul saracino,
mora Ruggier o ’l Tartaro tyranno,
quel d’essi c’ha prefisso il suo destino:
d’un sol di lor via più bisogno havranno
per contrastare al figlio di Pipino,
che di dieci altri mila che ci sono,
tra’ quai fatica è ritrovar un buono.
29
Connosce il Re Aphrican che dicon vero,
ma non può più negar ciò c’ha promesso:
ben priega Mandricardo e il buon Ruggiero
che gli ridonin quel c’ha lor concesso;
et tanto più, che il lor litigio è un Zero,
né degno in prova d’arme esser rimesso;
e s’in ciò pur no ’l vogliono ubidire,
vogliano almen la pugna differire.
30
Cinque o sei mesi il singular certame,
o meno o più, si differisca, tanto
che cacciato habbian Carlo del Reame,
toltogli il scettro, la corona e ’l manto.
Ma l’un e l’altro, anchor che voglia et brame
il Re ubedir, pur sta duro da canto;
che tal accordo obbrobrïoso stima
a chi ’l consenso suo vi darà prima.
31
Ma più del Re, ma più d’ognun che invano
spenda a piegar il Tartaro parole,
la bella figlia del Re Stordilano
supplice il priega, si lamenta et duole:
lo priega che consenta al Re Aphricano
et voglia quel che tutto il campo vuole;
si lamenta et si duol che per lui sia
timida sempre et piena d’angonia.
32
– Lassa! (dicea) che ritrovar poss’io
rimedio mai ch’a riposar mi vaglia,
s’hor contra questo, hor quel, nuovo disio
vi trarrà sempre a vestir piastra e maglia?
C’ha potuto giovare al petto mio
il gaudio che sia spenta la battaglia
che contra Rodomonte havate presa,
s’un’altra non minor se n’è già accesa?
33
Ohimè! che invano io me n’andavo altiera
ch’un Re sì degno, un cavallier sì forte
per me si fusse in perigliosa et fiera
battaglia posto al risco de la morte;
c’hor veggio per cagion tanto liggiera
anchor exporvi alla medesma sorte:
fu natural ferocità di core
che combatter vi fe’, più ch’el mio amore.
34
Ma se gli è ver ch’el vostro amor sia quello
che vi sforzate persuadermi ognhora,
per lui vi priego, et per quel gran flagello
che mi traffige l’alma et che m’accora,
che non vi caglia se ’l candido augello
nel scudo azurro ha quel Ruggiero anchora:
utile o danno a voi non so ch’importi,
che lasci quella insegna o che la porti.
35
Poco guadagno, e perdita uscir molta
de la battaglia può, che per far sète:
quando habbiate a Ruggier l’aquila tolta,
poca mercé d’un gran travaglio havrete;
ma se Fortuna le spalle vi volta,
che non perhò nel crin presa tenete,
causate un danno, ch’a pensarvi solo
mi sento il petto già sparrar di duolo.
36
Quando la vita a voi per voi non sia
cara, e più amate una aquila dipinta,
vi sia almen cara per la vita mia:
non serà l’una senza l’altra extinta.
Non già morir con voi grave mi fia:
son di seguirvi in vita e in morte accinta;
ma non vorrei morir sì mal contenta
come io serò, se dopo voi son spenta. –
37
Con tal parole et simili altre assai,
che lachryme accompagnano et suspiri,
pregar non cessa tutta notte mai
perché alla pace il suo amator ritiri;
e quel, suggendo da li humidi rai
quel dolce pianto, et quei dolci martìri
da le vermiglie labra più che rose,
lachrymando egli anchor, così rispose:
38
– Deh, vita mia, non vi mettete affanno,
deh non, per dio, di così lieve cosa;
che se Carlo e il Re d’Aphrica, e ciò c’hanno
qui di gente Moresca et di Franciosa,
spiegasse le bandiere in mio sol danno,
pur non ne devereste esser pensosa.
Ben mi mostrate in poco conto havere,
se per me un Ruggier sol vi fa temere.
39
Et vi devria pur ramentar che, solo
(et spada io non havea né scimitarra),
con un troncon di lancia a un grosso stuolo
d’armati cavallier tolsi la sbarra.
Gradasso, anchor che con vergogna et duolo
lo dica, pur, a chi ’l dimanda, narra
che fu in Sorìa a un castel mio prigionero;
et è pur d’altra fama che Ruggiero.
40
Non niega similmente il Re Gradasso,
et sallo Isolier vostro et Sacripante,
io dico Sacripante, il Re Circasso,
e il famoso Griphone et Aquilante,
cent’altri et più, che pur a questo passo
stati eran presi alcuni giorni inante,
macomettani et gente di batesmo,
che tutti liberai quel dì medesmo.
41
Non cessa anchor la maraviglia loro
de la gran prova ch’io feci quel giorno,
maggior che se l’exercito del Moro
et del Franco inimici havessi intorno.
Et hor potrà Ruggier, giovene soro,
farmi da solo a solo o danno o scorno?
Et hor c’ho Durindana et l’armatura
d’Hettòr, vi de’ Ruggier metter paura?
42
Perché con Rodomonte non venni io
a far di voi, con l’arme in mano, acquisto?
So che v’havrei sì aperto il valor mio,
che havreste il fin già di Ruggier previsto.
Sciugate queste lachryme, et per dio
non mi fate un augurio così tristo;
et siate certa ch’el mio honor m’ha spinto,
et non l’augel ch’è nel scudo dipinto. –
43
Così disse egli; et molto ben risposto
gli fu da la mestissima sua donna,
che non pur lui mutato di proposto,
ma di luoco havria mossa una colonna.
Ella era per dever vincer lui tosto,
anchor ch’armato, e ch’ella fusse in gonna;
e l’havea indutto a dir, che se ’l Re parla
d’accordo più, che volea contentarla.
44
Et lo facea; se non che come al Sole
la vaga Aurora fe’ l’usata scorta,
l’animoso Ruggier, che mostrar vuole
che con ragion la bella Aquila porta,
per non udir più d’atti e di parole
dilatïon, ma far la lite corta,
sonando il corno s’appresenta armato
dove circonda il populo il steccato.
45
Hor come sente il Tartaro superbo
l’altiero suon ch’alla battaglia il sfida,
non vuol più de l’accordo intender verbo,
ma si lancia del letto, et arme grida;
et si dimostra sì nel viso acerbo,
che Doralice istessa non si fida
dirgli né più di pace né di tregua:
et forza è ’nfin che la battaglia segua.
46
Subito s’arma, et a fatica aspetta
da’ suoi scudieri i debiti servigi;
poi monta sopra quel cavallo in fretta,
che del buon difensor fu di Parigi;
et vien correndo invêr la piazza eletta
per terminar con l’arme i gran litigi.
Vi giunse il Re et la corte allhora allhora;
sì che all’assalto fu poca dimora.
47
Posti lor furo et allacciati in testa
li lucidi elmi, et dato lor le lancie.
Segue la tromba a dar il segno presta,
che fece a mille impallidir le guancie.
Posero l’haste i Cavallieri in resta,
e’ corridori punsero alle pancie;
e venner con tal impeto a ferirsi,
che parve il ciel cader, la terra aprirsi.
48
Quinci et quindi venir si vede il bianco
augel che Giove per l’aria sostenne;
come ne la Thessalia si vide ancho
venir più volte, ma con altre penne.
Quanto sia l’uno et l’altro guerrier franco
mostra ’l portar de le massiccie antenne,
et più al ferir; et più, ch’al scontro duro
qual torri a’ venti o scogli a l’onde furo.
49
Li tronchi sin al ciel ne sono ascesi:
scrive Turpin, verace in questo luoco,
che dui o tre giù ne tornaro accesi,
ch’eran saliti alla spera del fuoco.
Li Cavallieri i brandi haveano presi:
et come quei che si temeano poco,
si ritornaro incontra; e a prima giunta
ambi alla vista si ferîr di punta.
50
Ferîrsi alla visera al primo tratto;
et non miraron, per mettersi in terra,
dar a’ cavalli morte, ch’è mal atto,
perch’essi non han colpa de la guerra.
Chi pensa che tra lor fusse tal patto,
non sa l’usanza antiqua, et di molto erra:
senz’altro patto, era vergogna et fallo
et biasmo eterno a chi ferìa il cavallo.
51
Ferîrsi alla visera, ch’era doppia,
et a pena ancho a tanta furia resse.
L’un colpo appresso l’altro si radoppia:
le botte più che grandine son spesse,
grandine che lo gran strugga et la stoppia,
et fraudi altrui de la sperata messe.
Sapete ben se Durindana è fina,
e quanto il brando può di Falerina.
52
Ma degno di sé colpo anchor non fanno,
sì l’un et l’altro ben sta su l’aviso.
Uscì da Mandricardo il primo danno
per cui fu quasi il buon Ruggier ucciso:
d’uno de quei gran colpi che far sanno
gli fu per mezo il bel scudo diviso,
et la corazza apertagli di sotto;
et fin sul vivo il crudel brando ha rotto.
53
L’aspra percossa agiacciò ’l cor nel petto,
per dubbio di Ruggier, a i circonstanti,
nel cui favore inclinava l’affetto
ben de li più, se non di tutti quanti.
Et se Fortuna ponesse ad effetto
quel che la maggior parte vorria inanti,
già Mandricardo serìa morto o preso:
sì ch’el suo colpo ha tutto il campo offeso.
54
Io credo che qualche angel s’interpose
per salvar da quel colpo il Cavalliero.
Ma ben senza più indugia gli rispose,
terribil più che mai fusse, Ruggiero:
la spada in capo a Mandricardo pose;
ma tanto il sdegno fu sùbito et fiero,
et tal fretta gli fe’, ch’io men l’incolpo
se non venne a ferir di taglio il colpo.
55
Se Balisarda lo giungea pel dritto,
l’elmo d’Hettorre era incantato invano.
Fu sì del colpo Mandricardo afflitto,
che si lasciò la briglia uscir di mano;
et per andar tre volte a capo fitto
in terra fu, mentre scorreva il piano
quel Brigliador che connoscete al nome,
dolente anchor de le mutate some.
56
Calcata serpe mai tanto non hebbe,
né ferito leon, sdegno et furore
quanto il Tartaro, poi che si rïhebbe
del spasmo che di sé lo trasse fuore.
Et quanto l’ira et la superbia crebbe,
tanta et più crebbe in lui forza e valore:
fece spiccar a Brigliadoro un salto
verso Ruggiero, e alzò la spada in alto.
57
Levossi in su le staffe, et a l’elmetto
segnolli; et se credette veramente
partirlo a quella volta sin al petto:
ma fu di lui Ruggier più diligente;
che, pria ch’el braccio scenda al duro effetto,
gli caccia sotto la spada pungente,
et gli fa ne la maglia ampla finestra,
ch’era a difesa de l’ascella destra.
58
Et Balisarda al suo ritorno trasse
di fuor il sangue tepido et vermiglio,
e vietò a Durindana che calasse
impetüosa con tanto periglio;
ben che fin su la groppa si piegasse
Ruggier, et per dolor strignesse il ciglio:
et s’elmo in capo havea di peggior tempre,
gli era quel colpo memorabil sempre.
59
Ruggier non cessa, et spigne il suo cavallo,
e Mandricardo al destro fianco truova.
Quivi scelta finezza di metallo
e ben condutta tempra poco giova
contra la spada che non scende in fallo;
che fu incantata e solo a cotal prova
da Fallerina, perché piastra e maglia
che sia incantata contra lei non vaglia.
60
Taglionne quanto ella ne prese, e insieme
lasciò ferito il Tartaro nel fianco,
ch’el ciel bestemmia, et di tanta ira freme,
ch’el tempestoso mare è horribil manco.
Hor s’apparecchia a por le forze estreme:
il scudo ove in azurro è l’augel bianco,
dal sdegno vinto, si gettò lontano,
e messe al brando e l’una e l’altra mano.
61
– Ah (disse lui Ruggier), senza più basti
a mostrar che non merti quella insegna,
c’hor tu la getti, e dianzi la tagliasti;
né potrai dir mai più che ti convegna. –
Così dicendo, forza è ch’egli attasti
con quanta furia Durindana vegna;
che sì gli grava e sì gli pesa in fronte,
che più liggier potea cadergli un monte.
62
Et per mezo gli aperse la visera:
buon fu che da la faccia era discosta;
poi calò su l’arcion che ferrato era,
né lo difese haverne doppia crosta:
giunse al fin su l’arnese, et come cera
l’aperse con la falda sopraposta;
et ferì gravemente ne la coscia
Ruggier, sì che assai stette a guarir poscia.
63
De l’un come de l’altro fatte rosse
il sangue l’arme havea con doppia riga;
tal che diverso era il parer, chi fosse
de li dui sul vantaggio in quella briga.
Ma Ruggier presto tal dubbio rimosse
con la spada che tanti ne castiga:
mena di punta, et drizza il colpo crudo
donde il Tartaro havea gettato il scudo.
64
Dal lato manco la corazza aperse,
e un palmo vi cacciò dentro la spada:
entrò la punta fra l’ossa traverse,
e il core andò a ferir per quella strada.
Mandricardo così l’aquila perse;
et è forza ch’insieme se ne vada
la vita, che gli fu di più iattura
che spada e scudo e tutta l’armatura.
65
Il miser non morì senza vendetta;
ch’a quel medesmo tempo che fu colto,
la spada poco sua menò di fretta;
et a Ruggier havria partito il volto,
se già Ruggier non gli havesse intercetta
prima la forza, e assai del vigor tolto:
di forza e di vigor troppo gli tolse
dianzi, che sotto il destro braccio il colse.
66
Da Mandricardo fu Ruggier percosso
nel punto ch’egli a lui tolse la vita;
tal ch’el cerchio di ferro, anchor che grosso,
e la cuffia d’acciar ne fu partita.
Durindana tagliò cotenna et osso,
e nel capo a Ruggier entrò dua dita:
Ruggier stordito in terra si riversa,
e di sangue un ruscel dal capo versa.
67
Il primo fu Ruggier ch’andò per terra;
e dapoi stette l’altro a cader tanto,
che quasi crede ognun che de la guerra
riporti Mandricardo il pregio e ’l vanto:
et Doralice sua, che con li altri erra,
et che quel dì più volte ha riso e pianto,
Dio ringratiò con mani al ciel supine
c’havesse havuta la pugna tal fine.
68
Ma poi ch’appar a manifesti segni
vivo chi vive, et senza vita il morto,
nel cor de li fautor mutano regni:
di là mestitia, e di qua vien conforto.
Li Re, li Duci et Principi più degni
con Ruggier, ch’a fatica era risorto,
a rallegrarsi et abbracciarsi vanno,
et senza fin gloria et honor gli dànno.
69
Ognun s’allegra con Ruggiero, et sente
il medesmo nel cor, c’ha ne la bocca.
Sol Gradasso il pensiero ha differente
tutto da quel che fuor la lingua scocca:
mostra gaudio nel viso, e occultamente
del glorïoso acquisto invidia il tocca;
e maledice o sia destino o caso
che inanzi a sé Ruggier trasse del vaso.
70
Che dirò del favor, che de le tante
carezze e tante, affettüose et vere,
che fece a quel Ruggiero il Re Agramante,
senza il qual dar al vento le bandiere,
né vòlse mover d’Aphrica le piante,
né senza lui si fidò in tante schiere?
Hor che del Re Agricane ha spento il seme,
stima più lui che tutto il mondo insieme.
71
Nemeno di tal volontà li huomini soli
eran verso Ruggier, ma le donne ancho
che d’Aphrica et di Spagna fra li stuoli
eran venute al territorio Franco.
Et Doralice istessa, che con duoli
piangea l’amante suo pallido et bianco,
forse con l’altre ita sarebbe in schiera,
se di vergogna un duro fren non era.
72
Io dico forse, non ch’io ve l’accerti;
ma potrebbe esser stato di liggiero:
tal la bellezza e tal erano i merti,
i costumi e i sembianti di Ruggiero.
Ella, per quel che già ne semo experti,
sì facile era a varïar pensiero,
che per non si veder priva d’amore
potuto havria porre in Ruggiero il core.
73
Per lei buono era vivo Mandricardo:
ma che ne volea far dopo la morte?
Proveder le convien d’un che gagliardo
sia notte e dì ne’ suoi bisogni, e forte.
Non era stato intanto a venir tardo
el più perito medico di corte,
che di Ruggier veduta ogni ferita,
l’haveva assicurato de la vita.
74
Con molta diligentia il Re Agramante
fece colcar Ruggier ne le sue tende;
che notte e dì veder sel vuole inante:
sì l’ama, sì di lui cura si prende.
Al letto il scudo e l’arme tutte quante,
che fur di Mandricardo, il Re gli appende;
tutte le appende, excetto Durindana,
che fu lasciata al Re di Sericana.
75
Con l’arme l’altre spoglie a Ruggier sono
date di Mandricardo, e insieme dato
gli è Brigliador, quel destrier bello e buono
che per furor Orlando havea lasciato;
poi quello al Re diede Ruggier in dono,
che s’avide ch’assai gli serìa grato.
Non più di questo; che tornar bisogna
a chi Ruggiero invan suspira e agogna.
76
L’amorosi tormenti che sostenne
Bradamante aspettando, io v’ho da dire.
A Montalbano Hippalca a lei rivenne,
e nuova le arrecò del suo desire:
prima, di quanto di Frontin le avenne
con Rodomonte l’hebbe a referire;
poi di Ruggier, che ritrovò alla fonte
con Ricciardetto e’ frati da Agrismonte,
77
e che con essolei s’era partito
con speme di trovare il Saracino,
e punirlo di quanto havea fallito
d’haver tolto a una donna il suo Frontino;
e ch’el disegno poi non gli era uscito,
perché diverso havea fatto il camino.
La cagione ancho, perché non venisse
a Montalban Ruggier, tutta le disse;
78
e riferille le parole a pieno
ch’in sua scusa Ruggier l’havea commesse;
e si trasse la lettera di seno
c’hebbe da lui perché a costei la desse.
Con viso più turbato che sereno
prese la charta Bradamante e lesse,
che, se non fusse la credenza stata
già di veder Ruggier, fôra più grata.
79
L’haver Ruggiero ella aspettato, e invece
di lui vedersi hora appagar d’un scritto,
del bel viso turbar l’aria le fece
di timor, di cordoglio e di dispitto.
Baciò la charta diece volte e diece,
havendo a chi la scrisse il cor diritto;
le lachryme vietâr, che su vi sparse,
che con suspiri ardenti ella non l’arse.
80
Lesse la charta quattro volte e sei,
e vòlse ch’altretante l’ambasciata
replicata le fusse da colei
che l’una e l’altra havea quivi arrecata;
e piangea tuttavolta: e crederei
che mai non si serìa più racchetata,
se non havesse havuto pur conforto
di rivedere il suo Ruggier di corto.
81
Termine a ritornar quindici o venti
giorni havea Ruggier tolto, et affermato
l’havea ad Hippalca poi con giuramenti
da non temer che mai fusse mancato.
– Chi m’assicura, ohimè! de li accidenti
(ella dicea), c’han forza in ogni lato,
ma ne le guerre più, che non distorni
alcun tanto Ruggier, che più non torni?
82
Ohimè! Ruggiero, ohimè! c’havria creduto
c’havendote amato io più di me stessa,
tu più di me, non ch’altri, ma potuto
habbi amar gente tua inimica expressa?
A chi opprimer devresti, doni aiuto;
chi tu devresti aitar, è da te oppressa:
non so se biasmo o laude esser ti credi,
ch’al premiar e al punir sì poco vedi.
83
Fu morto da Troian (non so se ’l sai)
el padre tuo; ma fin a’ sassi il sanno:
e tu del figlio di Troian cura hai
che non riceva alcun dishnor né danno.
È questa la vendetta che ne fai?
Rendi tu questo premio a quei che l’hanno
poi vendicato, che del sangue loro
me fai morir di stratio e di martoro? –
84
Dicea la donna al suo Ruggiero absente
queste parole et altre, lachrymando,
non una sola volta, ma sovente.
Hippalca la venìa pur confortando,
che Ruggier servarebbe intieramente
sua fede, e ch’ella l’aspettasse, quando
altro far non potea, sin a quel giorno
c’havea Ruggier prescritto al suo ritorno.
85
Li conforti d’Hippalca, e la speranza
che de li amanti suole esser compagna,
alla tema e al dolor tolgon possanza
di far che Bradamante ognhora piagna;
in Montalban senza mutar mai stanza
voglion che sin al termine rimagna:
sin al promesso termine e giurato,
che poi fu da Ruggier mal osservato.
86
Ma ch’egli alla promessa sua mancasse
non perhò debbe haver la colpa affatto;
ch’una causa et un’altra sì lo trasse,
che gli fu forza preterire il patto.
Convenne che nel letto si colcasse,
e più d’un mese si stesse di piatto
in dubbio di morir, sì il dolor crebbe
dopo la pugna che col Tartaro hebbe.
87
L’innamorata giovane l’attese
tutto quel tempo e disïollo invano,
né mai ne seppe, fuor quanto n’intese
hora da Hippalca, e poi dal suo germano,
che le narrò che Ruggier lui difese,
e Malagigi liberò e Viviano.
Questa novella, anchor c’havesse grata,
pur di qualche amarezza era turbata:
88
che di Marphisa in quel discorso udito
l’alto valore e le bellezze havea;
udì come Ruggier s’era partito
con essolei, e che d’andar dicea
là dove con disagio in debil sito
mal sicuro Agramante si tenea.
Sì degna compagnia la donna lauda,
ma non che se n’allegri o che ne applauda.
89
Né piccolo è il sospetto che la preme;
che se Marphisa è bella come ha fama,
et che sin a quel dì siano iti insieme,
è maraviglia se Ruggier non l’ama.
Pur non vuol creder ancho, e spera e teme;
e quel dì, che la può far lieta et grama,
misera attende; e suspirando stassi,
da Montalban mai non movendo i passi.
90
Stando ella quivi, il principe, il signore
del bel castello, il primo de’ suoi frati,
io non dico di etade, ma d’honore,
che di lui prima dui n’erano nati;
Rinaldo, che di gloria e di splendore
li ha, come il Sol le stelle, illuminati,
giunse al castello un giorno in su la nona;
né, fuor ch’un servo, era con lui persona.
91
Del suo venir fu causa, che da Brava
ritornandosi un dì verso Parigi,
come v’ho detto che sovente andava
per ritrovar d’Angelica vestigi,
havea sentita la novella prava
del suo Viviano et del suo Malagigi,
ch’eran per esser dati al Maganzese;
e per ciò ad Agrismonte la via prese.
92
Dove intendendo poi ch’eran salvati,
e li aversarii lor morti e destrutti,
e Marphisa e Ruggier erano stati
che li haveano a quei termini ridutti;
et suoi fratelli et suoi cugin tornati
a Montalbano insieme erano tutti;
gli parve un’hora un anno di trovarsi
con essolor là dentro ad abbracciarsi.
93
Venne Rinaldo a Montalbano, e quivi
madre, moglie abbracciò, figli e fratelli,
e i cugini che dianzi eran captivi;
e parve, quando egli arrivò tra quelli,
dopo gran fame hirondine che arrivi
col cibo in bocca a’ pargoletti augelli.
E poi ch’un giorno vi fu stato o dui,
partisse, e fe’ partir altri con lui.
94
Ricciardo, Alardo e Ricciardetto, e d’essi
figli d’Amone il più vecchio Guicciardo,
Malagigi et Vivian, si furon messi
in arme dietro al Paladin gagliardo.
Bradamante aspettando che s’appressi
il tempo ch’al disio suo ne vien tardo,
inferma disse a gli fratelli ch’era,
et non vòlse venir con loro in schiera.
95
Et ben lor disse ’l ver, ch’ella era inferma;
ma non di febre o corporal dolore:
era ’l disio che l’alma dentro inferma,
et fa alteratïon patir d’amore.
Rinaldo in Montalban più non si ferma,
et seco mena di sua gente il fiore:
come a Parigi ne venisse, e quanto
Carlo aiutasse, io dirò in l’altro canto.