CANTO DECIMOSETTIMO

1
Alcun non può saper da chi sia amato
quando felice in su la ruota siede;
perhò c’ha i veri e i finti amici a lato,
che mostran tutti una medesma fede.
Se poi si cangia in tristo il lieto stato,
volta la turba adulatrice il piede;
et quel che di cor ama riman forte,
et ama il suo signor dopo la morte.
2
Se come il viso si mostrasse il core,
tal è grande in la corte et li altri preme,
et tal è in poca gratia al suo signore,
che la lor sorte mutariano insieme:
questo humil diverria presto il maggiore;
staria quel grande infra le turbe estreme.
Ma torniamo a Medor fedele et grato,
che in vita e in morte ha il suo signor amato.
3
Cercando gìa nel più intricato calle
il Giovene infelice di salvarsi;
ma il grave peso c’havea su le spalle
gli facea uscir tutti i partiti scarsi:
non sa il paese, onde convien che falle
et torni fra le spine a inviluparsi.
Lungi da lui tratto al sicuro s’era
l’altro, c’havea la spalla più liggiera.
4
Cloridan s’è ridutto ove non sente
più di chi segue il strepito e il rumore:
ma quando da Medor si vede absente,
gli pare haver lasciato adrieto il core.
– Deh, come fui (dicea) sì negligente,
deh, come fui sì di me stesso fuore,
che senza te, Medor, qui mi ritrassi,
né sappia quando o dove io ti lasciassi! –
5
Così dicendo, in l’intricata via
della fallace selva si ricaccia;
et onde era venuto, si ravia
et torna di sua morte in su la traccia.
Ode i cavalli e i gridi tuttavia,
e la nemica voce che minaccia:
all’ultimo ode il suo Medoro, et vede
che tra molti a cavallo è solo a piede.
6
Cento, et tutti a caval, gli sono intorno:
Zerbin commanda et grida che sia preso.
L’infelice s’aggira come un torno,
et quanto può si tien da lor difeso
hor drieto a quercia, hor olmo, hor faggio, hor orno,
né si discosta mai dal caro peso.
L’havea su l’herba al fin posato quando
regger nol puòte, et gli iva intorno errando,
7
come Orsa, che l’alpestre cacciatore
ne la petrosa tana assalito habbia,
sta sopra i figli con incerto core
et freme in suono di pietade et rabbia:
Ira l’invita et natural furore
mover l’artiglio e ’nsanguinar le labbia;
Amor l’intenerisce et la ritira
mirare i cari figli in mezo l’ira.
8
Cloridan, che non sa come l’aiuti
e ch’esser vuol a morir seco anchora,
ma non ch’in morte prima il viver muti
che via non truovi ove più d’un ne mora;
mette su l’arco un de’ suoi strali acuti
et nascoso con quel sì ben lavora,
che fora a un Scotto il capo e le cervella
et senza vita il fa cader di sella.
9
Volgonsi tutti li altri a quella banda
onde era uscito il calamo homicida.
Intanto un altro il Saracin ne manda
perché il secondo a lato al primo uccida;
che mentre in fretta a questo e a quel dimanda
c’habbia tirato l’arco et forte grida,
arrivò il stral che gli passò la gola
et gli tagliò pel mezo la parola.
10
Hor Zerbin, ch’era il capitaneo loro,
non puòte a questo haver più patïenza;
con ira et con furor venne a Medoro,
dicendo: – Ne farai tu penitenza. –
Stese la mano in quella chioma d’oro
et strassinollo a sé con vïolenza:
ma come gli occhi a quel bel volto mise,
gli ne venne pietade, et non l’uccise.
11
Il giovinetto se rivolse a’ prieghi,
et disse: – Cavallier, per il tuo Dio,
non esser sì crudel che tu mi nieghi
ch’io sepelisca il corpo del Re mio.
Non vuo’ ch’altra pietà per me ti pieghi,
né pensi che di vita habbi disio:
ho tanta di mia vita, e non più, cura,
quanta ch’al mio signor dia sepultura.
12
Et se pur pascer vòi fiere et augelli,
che in te sia il spirto del Theban Creonte,
di me li pasci, ma lascia ch’io avelli
prima il figliuol del glorïoso Aimonte. –
Così dicea Medor con modi belli
et con parole atte a voltar un monte;
et sì commosso già Zerbino havea,
che d’amor tutto et di pietade ardea.
13
In questo mezo un cavallier villano,
havendo al suo signor poco rispetto,
ferì con una lancia sopra mano
al supplicante il delicato petto.
Spiacque a Zerbin l’atto crudele et strano;
tanto più, che del colpo il Giovinetto
vide cader sì sbigottito et smorto,
che in tutto giudicò che fusse morto.
14
E se ne sdegnò in guisa e se ne dolse,
che disse: – Non serà senza vendetta! –
Trasse la spada, et per punir si volse
il cavallier che fe’ la mala incetta:
ma quel prese il vantaggio et via si tolse,
perc’hebbe di Zerbin molto più fretta.
Cloridan, che Medor vide per terra,
salì del bosco a discoperta guerra.
15
Et getta l’arco, et tutto pien di rabbia
tra li nemici il ferro intorno gira,
più per morir che per pensier ch’egli habbia
di far vendetta che pareggi l’ira.
Del proprio sangue rosseggiar la sabbia
fra tante spade, e al fin venir se mira;
et tolto che si sente ogni potere,
si lascia a canto al suo Medor cadere.
16
Segueno i Scotti ove la guida loro
per l’alta selva alto disdegno mena,
poi che lasciato ha l’uno et l’altro Moro,
l’un morto in tutto, et l’altro vivo a pena.
Giacque gran pezzo il giovene Medoro,
spicciando il sangue da sì larga vena,
che di sua vita al fin serìa venuto
se non sopravenia chi gli diè aiuto.
17
Gli sopravenne a caso una Donzella
avolta in pastorali et humil veste,
ma di real presentia e viso bella,
d’alte maniere e accortamente honeste.
Tanto è ch’io non ne dissi più novella,
che a pena riconnoscer la devreste:
questa (se nol sapete) Angelica era,
del gran Can del Catai la figlia altiera.
18
Poi ch’el suo annello Angelica rïhebbe,
di che Brunel l’havea tenuta priva,
in tanto fasto, in tanto orgoglio crebbe,
ch’esser parea di tutto il mondo schiva.
Se ne va sola, e non se degnarebbe
compagno haver qual più famoso viva:
si sdegna a rimembrar che già suo amante
habbia Orlando nomato, o Sacripante.
19
Et sopra ogni altro error via più pentita
era del ben che già a Rinaldo vòlse,
troppo parendole essersi avilita
che a riguardar sì basso gli occhi volse.
Tanta arrogantia havendo Amor sentita,
più lungamente comportar non vòlse:
dove giacea Medor si pose al varco,
et quivi l’aspettò col strale all’arco.
20
Quando Angelica vide il giovinetto
languir ferito, assai vicino a morte,
che del suo Re che giacea senza tetto,
più che del proprio mal, si dolea forte;
insolita pietade in mezo il petto
si sentì entrar per disusate porte,
che le fe’ il duro cor tenero e molle,
et più quando il suo caso egli narrolle.
21
E rivocando alla memoria l’arte
che in India imparò già di chirugia,
che nobile et reale in quella parte
par che tal studio et di gran laude sia,
et senza molto rivoltar di charte
ch’el patre a’ figli hereditario il dia;
se dispose operar con succo d’herbe,
che a più matura vita lo riserbe.
22
Et ricordossi che passando havea
veduta una herba in una piaggia amena;
fusse Ditamo o fusse Panacea,
o non so qual di tal effetto piena;
che stagna il sangue et de la piaga rea
lieva ogni spasmo et perigliosa pena:
la riconnobbe al fior simile a l’oro,
et con essa tornò verso Medoro.
23
Nel ritornar se incontra in un pastore
che pel bosco a caval se ne veniva,
cercando una iuvenca che già fuore
duo dì di mandra senza guardia giva.
Seco lo trasse ove perdea il vigore
Medor col sangue che del petto usciva;
et già ne havea di tanto il terren tinto,
ch’era hormai presso a rimaner extinto.
24
Del palafreno Angelica discese,
et scendere il Pastor seco fece anche.
Pestò co sassi l’herba, indi la prese
et succo ne cavò fra le man bianche;
e n’infuse in la piaga, et ne distese
per il petto et pel ventre e sin a l’anche:
et fu di tal virtù questo liquore
che stagnò il sangue et gli tornò il vigore;
25
et lo tornò in tal forza, che salire
sul caval puòte ch’el pastor condusse.
Non perhò vòlse indi Medor partire
prima che in terra il suo signor non fusse:
e Cloridan col Re fe’ sepelire;
et poi dove a lei piacque si ridusse.
Et ella per pietà ne l’humil case
del cortese pastor seco rimase;
26
et fin che nol tornasse in sanitade
di partirsene mai non fece stima,
tanto se intenerì de la pietade
c’hebbe di lui, come lo vide prima.
Poi vistone e’ costumi et la beltade,
roder si sentì il cor d’ascosa lima;
roder si sentì il cor, e a poco a poco
tutto infiammarlo d’amoroso fuoco.
27
Stava il Pastor in assai buona et bella
stanza, nel bosco infra duo monti piatta,
con la moglie et coi figli; et havea quella
tutta di nuovo et poco inanzi fatta.
Quivi a Medoro fu per la Donzella
la piaga in breve a sanità ritratta:
ma in minor tempo si sentì maggiore
piaga di questa haver ella nel core.
28
Assai più larga piaga et più profonda
nel cor sentì da non veduto strale,
che da’ begli occhi et da la testa bionda
di Medoro aventò l’Arcier c’ha l’ale.
Arder si sente, et sempre il fuoco abonda;
et più cura l’altrui che ’l proprio male:
di sé non cura, et non è ad altro intenta
che risanar chi lei fere et tormenta.
29
La sua piaga più s’apre et più incrudisce
quanto più l’altra si ristringe et salda.
Il giovene si sana; ella languisce
di nova febre, hor aggiacciata, hor calda.
Di giorno in giorno in lui beltà fiorisce;
la misera si strugge, come falda
strugger di neve intempestiva suole,
che in luoco aprico habbia scoperto il Sole.
30
Se di disio non vuol morir, bisogna
che senza indugia ella se stessa aiti:
et ben le par che di quel ch’essa agogna
non sia tempo aspettar ch’altri la inviti.
Dunque rotto ogni freno di vergogna,
la lingua hebbe non men che li occhi arditi:
et di quel colpo dimandò mercede,
che, forse non sapendo, esso le diede.
31
O conte Orlando, o Re di Circasia,
vostra inclyta virtù, dite, che giova?
Vostro alto honor dite in che prezzo sia,
o che mercé vostro servir ritruova.
Fate che sol veggia una cortesia
che mai costei ve usasse, o vecchia o nuova,
per ricompensa et guidardon et merto
di quanto havete già per lei sofferto.
32
Oh se potessi ritornar mai vivo,
quanto ti parria duro, o Re Agricane!
che, tanto Re, Costei già t’hebbe a schivo,
che poi s’è data ad un vil Moro in mane.
O Ferraù, o mille altri ch’io non scrivo,
che havete fatto mille prove vane
per questa ingrata, quanto aspro vi fôra
s’in braccio di Medor la vedesse hora!
33
Angelica a Medor la prima rosa
coglier lasciò, non anchor tocca inante:
né persona fu mai sì aventurosa
che in quel giardin potesse por le piante.
Per adombrar, per honestar la cosa,
si celebrò con cerimonie sante
il matrimonio, che Auspice hebbe Amore
et Pronuba la moglie del Pastore.
34
Fêrsi le liete nozze in l’humil tetto,
le più solenni che vi potêr farsi;
et più d’un mese poi stero a diletto
li duo tranquilli amanti a recrearsi.
Più lunge non vedea, del Giovinetto,
la Donna, né di lui potea satiarsi;
né per mai sempre penderli dal collo
il suo disir sentia di lui satollo.
35
Se stava all’ombra o se del tetto usciva,
havea dì et notte il bel Giovene a lato:
matina et sera hor questa hor quella riva
cercando andava, o qualche verde prato;
nel mezo giorno un antro li copriva,
forse non men di quel commodo et grato
c’hebber, fuggendo l’acqua, Enea et Dido,
de’ lor secreti testimonio fido.
36
Fra piacer tanti, ovunque un arbor dritto
vedesse ombrar un fonte o un rivo puro,
v’havea spillo o coltel subito fitto;
così se v’era alcun sasso men duro:
et era intorno a mille luochi scritto,
et così in casa in altritanti il muro,
Angelica et Medor, in vari modi
legati insieme di diversi nodi.
37
Poi che le parve haver fatto soggiorno
quivi più che a bastanza, fe’ disegno
di fare in India del Catai ritorno,
et Medor coronar del suo bel regno.
Portava al braccio un cerchio d’oro, adorno
di ricche gemme, in testimonio e segno
del ben ch’el conte Orlando le volea;
et portato gran tempo già l’havea.
38
Quel donò già Morgana a Zilïante
nel tempo che nel lago ascoso il tenne;
et esso (poi ch’al padre Monodante,
per opra et per virtù d’Orlando venne)
lo diede a Orlando: Orlando, ch’era amante,
di porse al braccio il cerchio d’or sostenne,
havendo disegnato di donarlo
alla Reina sua di chi vi parlo.
39
Non per amor del paladino, quanto
perché era ricco e d’artificio egregio,
caro havuto l’havea la Donna tanto,
che più non si può haver cosa di pregio.
Se lo serbò nel’Isola del pianto,
non so già dirvi con che privilegio,
là dove exposta al marin Mostro nuda
fu da la gente inhospitale e cruda.
40
Quivi non si trovando altra mercede
che al buon pastor et alla moglie dessi,
che lor servito havea con sì gran fede
dal dì che nel suo albergo si fur messi,
levò dal braccio il cerchio et gli lo diede,
et vòlse per suo amor che lo tenessi.
Indi saliron verso la montagna
che divide la Francia da la Spagna.
41
Dentro a Siviglia o dentro ad Ulispona
per qualche giorno havean pensato porsi,
fin che accadesse alcuna nave buona
che apparecchiasse inverso l’India sciorsi.
Videro il mar scoprir sotto a Girona
nel calar giù de li montani dorsi;
e costeggiando a man sinistra il lito,
a Barcelona andâr pel camin trito.
42
Ma non vi giunser prima, ch’un huom pazzo
giacer trovaro in su l’estreme arene,
che come porco havea di loto et guazzo
el viso brutto e braccio e petto e schiene.
Costui si scagliò lor come cagnazzo
che assalir forestier subito viene;
e diè lor noia, e fu per far gran scorno:
ma di Marphisa a ricontarvi torno.
43
Di Marphisa, d’Astolfo, d’Aquilante,
di Griphon e de li altri io vi vuo’ dire,
che travagliati e con la morte inante
mal si poteano incontra il mar scremire:
che sempre più superba et arrogante
crescea fortuna le minaccie e l’ire;
e già tre giorni era durato il sdegno,
né di placarsi anchor mostrava segno.
44
Castello e ballador spezza e fraccassa
l’onda nemica e il vento ognhor più fiero:
se parte ritta il verno pur ne lassa,
la taglia e dona al mar presto il nocchiero.
Chi sta col capo chino in una cassa
su la charta appuntando il suo sentiero
a lume di lanterna piccolina,
e chi col torchio acceso in la sentina.
45
Un sotto poppe, un altro sotto prora
si tiene inanzi l’horiuol da polve;
e torna a rivedere ogni mezhora
quanto è già corso, et a che via si volve:
indi ciascun con la sua charta fuora
a meza nave il suo parer risolve,
là dove a un tempo i marinari tutti
sono a consiglio dal padron ridutti.
46
Chi dice: – Sopra Limissò venuti
semo (per quel ch’io trovo) alle seccagne; –
chi: – di Tripoli appresso a’ scogli acuti,
dove il mar le più volte i legni fragne; –
chi dice: – Semo in Satalìa perduti,
per cui più d’un nocchier sospira et piagne. –
Ciascun secondo il parer suo argomenta,
ma tutti ugual timor preme e sgomenta.
47
El terzo giorno con maggior dispetto
li assale il vento, e il mar più irato freme;
e l’un ne spezza e portane il Trinchetto,
el Temón l’altro, e chi lo volge insieme.
Ben è di forte e di marmoreo petto
e più duro ch’acciar, c’hora non teme.
Marphisa, che già fu tanto sicura,
non negò che quel giorno hebbe paura.
48
Al monte Sinaì fu peregrino,
a Gallicia promesso, a Cypro, a Roma,
al Sepolchro, alla Vergine d’Hettino,
e se celebre luoco altro si noma.
Sul mare intanto, e spesso al ciel vicino,
l’afflitto e conquassato legno toma,
di cui per men travaglio havea il padrone
fatto l’arbor tagliar de l’Artimone.
49
E colli e casse e ciò che havea di grave
facea gettar da prore e poppe e sponde;
facea vuotar le camare e le giave
e dar le ricche merci all’avide onde.
Altri attende alle trombe, e a tôr di nave
l’acque importune, e il mar nel mar refonde;
soccorre altri in sentina ovunque appare
legno da legno haver sdruscito il mare.
50
Stero in questo travaglio, in questa pena
ben quattro giorni, e non havean più schermo;
e n’havria havuto il mar vittoria piena
poco più ch’el furor teneva fermo:
ma diede speme lor d’aria serena
la disïata luce di santo Hermo,
ch’in prua s’una cochina a por si venne;
che più non v’erano arbori né antenne.
51
Veduto fiammeggiar la bella face,
s’inginocchiaro tutti i naviganti,
e dimandaro il mar tranquillo e pace
con humidi occhi e con voci tremanti.
La tempesta crudel, che pertinace
fu sino allhora, non andò più inanti:
Maestro e Traversia più non molesta,
e sol del mar tyran Libecchio resta.
52
Questo resta sul mar tanto possente,
e da la negra bocca in modo exhala,
et è con lui sì il rapido corrente
del agitato mar ch’in fretta cala,
che porta il legno più velocemente
che peregrin Falcon mai facesse ala,
con timor del nocchier ch’al fin del mondo
non lo trasporti, o rompa o cacci al fondo.
53
Rimedio a questo il buon nocchier ritruova,
che comanda gettar per poppa spere;
e caluma la gomona, e fa pruova
di duo terzi del corso ritenere.
Questo consiglio, e più l’augurio giova
di chi havea acceso in proda le lumiere:
questo il legno salvò, che peria forse,
e fe’ ch’in alto mar sicuro corse.
54
Nel golfo di Laiazzo invêr Sorìa
sopra una gran città si trovò sorto,
e sì vicino al lito, che scopria
l’uno e l’altro castel che serra il porto.
Come il padron s’accorse de la via
che fatto havea, ritornò in viso smorto;
che né porto pigliar quivi volea,
né star in alto, né fuggir potea.
55
Né potea stare in alto né fuggire,
che l’arbori e l’antenne havea perdute;
eran tavole e travi, pel ferire
del mar, sdruscite, macere e sbattute.
El pigliar porto era un voler morire,
o perpetuo legarsi in servitute;
che riman serva ogni persona o morta,
che quivi errore o rea fortuna porta.
56
E ’l star in dubbio era con gran periglio
che non salisser genti de la terra,
che, sempre armate, havean qualche naviglio
con che tenean tutto quel mar in guerra.
Mentre il padron non sa pigliar consiglio,
fu dimandato da quel d’Inghilterra
chi gli tenea sì l’animo suspeso,
e perché già non havea il porto preso.
57
El padron narrò lui che quella riva
tutta tenean le femine homicide,
di cui l’antiqua legge ognun che arriva
in perpetuo tien servo, o che l’uccide;
e questa sorte solamente schiva
chi nel campo dieci huomini conquide,
e poi la notte può assaggiar nel letto
diece donzelle di carnal diletto.
58
E se la prima prova gli vien fatta
e non fornisca la seconda poi,
egli vien morto, e chi è con lui si tratta
da zappatore o da guardian di buoi.
Se di far l’uno e l’altro è persona atta,
impetra libertade a tutti i suoi;
a sé non già, c’ha da restar marito
di diece donne elette al suo appetito.
59
Non puòte udire Astolfo senza risa
de la vicina terra il rito strano.
Sopravien Sansonetto, e poi Marphisa,
indi Aquilante, et seco il suo germano.
El padrone ugualmente lor divisa
la causa che dal porto il tien lontano:
– Voglio (dicea) che nanzi il mar m’affoghi,
ch’io senta mai di servitude i gioghi. –
60
Del parer del padrone i marinari
e tutti li altri naviganti furo.
Marphisa e li compagni eran contrari,
che, più che l’acque, il lito havean sicuro:
via più vedersi intorno irati mari,
che cento mila spade, era lor duro;
e questo e ogn’altro luoco era lor tuto
dove con l’arme poteano darsi aiuto.
61
Bramavano i guerrier venire a proda,
ma con maggior baldanza il duca Inglese;
che sa come del corno il rumor s’oda,
sgombrar d’intorno si farà il paese.
Pigliar il porto l’una parte loda,
l’altra lo biasma, e sono alle contese;
ma la più forte in guisa il padron stringe,
ch’al porto (suo mal grado) il legno spinge.
61bis
Già, quando prima s’erano alla vista
de la città crudel sul mar scoperti,
veduto haveano una galea provista
di molta zurma et di nochieri experti
venire al dritto e ritrovar la trista
nave, confusa di consigli incerti;
che, l’alta prora alle sue poppe basse
legando, fuor de l’empio mar gli trasse.›
62
Intrò nel porto remorchiando, e a forza
de remi più che per favor di vele;
perhò che l’alternar di poggia e d’orza
havea levato il vento lor crudele.
Intanto ripigliâr la dura scorza
li cavallieri e il brando lor fedele;
et al padron et a ciascun che teme
non cessan dar con lor conforti speme.
63
Fatto è il porto a sembianza d’una Luna,
e gira più di quattro miglia intorno:
seicento passi è in bocca, et in ciascuna
parte una ròcca ha nel finir del corno;
non teme alcuno assalto di fortuna,
se non quando gli vien dal mezogiorno.
A guisa di theatro se gli stende
la città a cerco, e verso il poggio ascende.
64
Non fu quivi sì presto il legno sorto
ch’andò l’aviso per tutta la terra,
e fur sei mila femine sul porto
con l’archi in mano in habito di guerra;
e per tôr de la fuga ogni conforto
tra l’una ròcca e l’altra il mar si serra:
da navi e da catene fu rinchiuso,
che tenean sempre instrutte a cotal uso.
65
Una, che d’anni la Cumea d’Apollo
puòte uguagliar e la matre d’Hettorre,
fe’ chiamare il padrone, e dimandollo
se si volean lasciar la vita tôrre
o se voleano pur al giogho il collo,
secondo la costuma, sottoporre.
De li duo l’uno haveano a tôrre: o quivi
tutti morire, o rimaner captivi.
66
– Gli è ver (dicea) che s’huom si ritrovasse
tra voi così animoso e così forte
che contra dieci nostri huomini osasse
prender battaglia, e desse lor la morte,
e far con diece femine bastasse
per una notte ufficio di consorte;
egli si rimarrà principe nostro,
e gir voi ne potrete al camin vostro.
67
E serà in vostro arbitrio restar ancho,
vogliate o tutti o parte; ma con patto
che chi vorrà restare, e restar franco,
marito sia per diece femine atto.
Ma quando il guerrier vostro possa manco
de li dieci c’havrà nemici a un tratto,
o la seconda prova non fornisca,
vogliàn voi siate schiavi, egli perisca. –
68
Dove la vecchia ritrovar timore
credea nei cavallier, trovò baldanza;
che ciascun si tenea tal feritore
che fornir l’uno et l’altro havea speranza:
et a Marphisa non mancava il core
(ben che male atta alla seconda danza);
ma dove non l’aitasse la natura,
con la spada supplir stava sicura.
69
Al padron fu commessa la risposta,
prima conclusa per commun consiglio:
c’havean tra lor chi le faria a sua posta
in piazza, e in letto poi, di sé periglio.
Levan l’offese, et il nocchiero accosta
quanto al lito accostar si può il naviglio;
e fa gettar il ponte, onde i guerrieri
escono armati e tranno i lor destrieri.
70
E quindi van per mezo la cittade,
e vi ritrovan le donzelle altiere
succinte cavalcar per le contrade
e in le piazze armeggiar come guerriere.
Quivi né calciar spron, né cinger spade,
né cosa d’arme puon li huomini havere
se non dieci alla volta, per rispetto
de l’antiqua costuma ch’io v’ho detto.
71
Tutti li altri alla spola, all’aco, al fuso,
al pettine, alla naspa sono intenti,
con vesti feminil che vanno giuso
insin al piè, che li fa molli e lenti;
si tengono altri in la catena, ad uso
d’arar la terra o di guardar li armenti.
Son pochi i maschi, e non son ben, per mille
femine, cento, fra cittadi e ville.
72
Volendo tôrre i cavallieri a sorte
chi devesse di lor pel commun scampo
l’una decina in piazza porre a morte
e poi l’altra ferire in altro campo,
non designavan di Marphisa forte;
che lor parea che a ritrovare inciampo
ella havesse in la giostra de la sera,
perché uscirne con laude habil non era.
73
Ma con li altri esser vòlse ella sortita:
hor sopra lei la sorte in summa cade.
– Prima v’ho a por (diceva ella) la vita,
che v’habbiate a por voi la libertade:
ma questa spada (e lor la spada addita
che cinta havea) vi dò per segurtade
ch’io vi sciorrò tutti l’intrichi al modo
che fe’ Alexandro il Gordïano nodo.
74
Non vuo’ mai più che forestier si lagni
di questa terra sin che ’l mondo dura. –
Così disse; e non pòtero i compagni
tôrle quel che le dava sua aventura:
dunque, o ch’in tutto lor perda o guadagni
la libertà, le lasciano la cura.
Ella di piastre già guarnita e maglia
s’appresentò nel campo alla battaglia.
75
Gira una piazza in l’alto de la terra,
di gradi a seder atti intorno chiusa;
che solamente a giostre, a simil guerra,
a caccie, a lotte, e non ad altro s’usa:
con quattro porte di metal si serra.
Quivi la moltitudine confusa
de le armigere femine si trasse;
e poi fu detto a Marphisa ch’intrasse.
76
Intrò Marphisa s’un destrier leardo
tutto sparso di macchie e di rotelle,
di piccol capo e d’animoso sguardo,
d’andar superbo e di fattezze belle:
pel maggior e più vago e più gagliardo,
di mille che n’havea con brighe e selle,
scelse in Damasco, e realmente ornollo,
et a Marphisa Norandin donollo.
77
Da mezogiorno, da la porta d’Austro
intrò Marphisa; e non vi stette guari
che appropinquare e risuonar pel claustro
udì di trombe acuti suoni e chiari;
e vide poi di verso il freddo plaustro
entrar nel campo dieci suoi contrari:
il primo cavallier ch’apparea inante
di valer tutto il resto havea sembiante.
78
Quel venne in piazza sopra un gran destriero,
che fuor ch’in fronte e al piè dirieto manco
era più che mai corbo oscuro e nero:
nel piè e nel capo havea alcun pelo bianco.
Del color del cavallo il cavalliero
vestito, volea dir che, come manco
era il chiaro che ’l scuro, era altrotanto
il riso in lui verso l’oscuro pianto.
79
Dato che fu de la battaglia il segno,
nove guerrier l’haste chinaro a un tratto;
ma quel dal nero hebbe il vantaggio a sdegno:
si ritirò, né di giostrar fece atto.
Vuol che alle leggi inanzi di quel regno,
che alla sua cortesia, sia contrafatto;
si tra’ da parte e sta a veder le prove
che una sola hasta farà contra nove.
80
El destrier, c’havea andar trito e suave,
portò all’incontro la Donzella in fretta,
che nel corso arrestò lancia sì grave
che quattro huomini hariano a pena retta;
l’havea pur dianzi al dismontar di nave
per la più salda in molte antenne eletta.
El fier sembiante con ch’ella si mosse
mille faccie imbiancò, mille cor scosse.
81
Aperse al primo che trovò sì il petto,
che fôra assai che fusse stato nudo:
gli passò la corazza e il soprapetto
e prima un ben ferrato e grosso scudo;
dietro alle spalle un braccio il ferro netto
si vide uscir, tanto fu il colpo crudo.
Quel fitto ne la lancia adrieto lassa,
e sopra li altri a tutta briglia passa.
82
Diede al secondo che trovò d’un urto
sì fiero incontro, sì terribil botta,
ch’a mezo il ruppe e fe’ morir di curto;
e tanto stretta insieme era la frotta,
ch’in terra (onde mai più non fu risurto)
cader fe’ il terzo con la spalla rotta:
ho veduto bombarde a quella guisa
le squadre aprir, ch’aperse il stuol Marphisa.
83
Tre lancie e più sopra lei rotte furo;
ma di lor colpi tanto ella si mosse,
quanto nel giuoco de le caccie un muro
si muova a’ colpi de le palle grosse.
L’usbergo suo di tempra era sì duro
che non gli potean contra le percosse;
e per incanto, al fuoco del inferno
cotto, e temprato all’acque fu d’Averno.
84
Al fin del campo il caval tenne e volse,
e fermò alquanto; e poi con fretta spinse
contra li sette, e sbarragliolli e sciolse,
e di lor sangue insino a l’elsa tinse:
ad uno il capo, a un altro il braccio tolse;
e un altro in guisa con la spada cinse
ch’el petto in terra andò col capo et ambe
le braccia, e in sella il ventre era e le gambe.
85
Lo partì, dico, per dritta misura
in confine di l’anche e de le coste,
e lo fe’ rimaner meza figura
qual son d’argento, e più di cera, poste
d’intorno a qualche Virginal pittura,
che le genti vicine e le discoste,
che lor giuste dimande ottenute hanno,
a rengratiare e sciorle il voto vanno.
86
Ad uno che fuggìa drieto si mise,
né fu a mezo la piazza, che lo giunse;
e il capo e il collo in modo gli divise
che medico mai più non lo raggiunse.
In summa tutti un dopo l’altro uccise
o ferì sì, ch’ogni vigor ne emunse;
e fu sicura che levar di terra
mai più non si potrian per farle guerra.
87
Stato era il cavallier sempre in un canto
che la decina in piazza havea condutta,
perhò che contra un solo andar con tanto
vantaggio opra gli parve iniqua e brutta.
Hor che per una man tôrse da canto
vide sì presto la compagna tutta,
per dimostrar che la tardanza fosse
per virtù stata, e non timor, si mosse.
88
Cennò con mano di volere, inanti
che facesse altro, alcuna cosa dire;
e non pensando in sì viril sembianti
che s’havesse una vergine a coprire,
le disse: – Cavalliero, homai di tanti
esser déi stanco, c’hai fatto morire;
e s’io volessi, più di quel che sei,
stancarti anchor, discortesia farei.
89
Che ti riposi insino al giorno nuovo
e diman torni in campo, ti concedo.
Non mi fia honor se teco hoggi mi provo,
che travagliato e lasso esser ti credo. –
– Il travagliare in arme non m’è nuovo,
né per sì poco alla fatica cedo, –
disse Marphisa; – e ti farò di questo
con chiaro experimento aveder presto.
90
De la cortese offerta te ringratio,
ma riposare anchor non mi bisogna;
e n’avanza del giorno sì gran spatio
ch’a porlo tutto in otio è pur vergogna. –
Rispose il cavallier: – Fuss’io sì satio
d’ogn’altra cosa ch’el mio cor agogna,
come t’ho in questo da satiar; ma vedi
che non ti manchi il dì più che non credi. –
91
Così disse egli, e fe’ portare in fretta
due grosse lance, anzi due gravi antenne;
et a Marphisa dar ne fe’ l’eletta:
tolse l’altra per sé, che indrieto venne.
Già sono in punto, et altro non s’aspetta
che un alto suon che lor la giostra accenne.
Ecco la terra e l’aria e il mar ribomba
nel mover lor al primo suon di tromba.
92
Trar fiato, bocca aprir o battere occhi
non si vedea de’ riguardanti alcuno,
tanto a mirare a chi la palma tocchi
de’ dui campioni attento era ciascuno.
Marphisa, acciò che del caval trabbocchi,
sì che mai non si lievi il Guerrier bruno,
drizza la lancia; il Guerrier bruno forte
studia non men poner Marphisa a morte.
93
Le lancie ambe sembrâr di secco salce
e non di verde frassino superbo,
così n’andaro in tronchi sin al calce;
e fu l’incontro sì a’ cavalli acerbo,
che parimente parve da una falce
de le gambe esser lor tronco ogni nerbo:
cadero ambi ugualmente; ma i campioni
fur presti a disbrigarsi da li arcioni.
94
A mille cavallieri alla sua vita
al primo incontro havea la sella tolta
Marphisa, et ella mai non n’era uscita;
e n’uscì (come udite) a questa volta:
del strano caso non pur sbigottita,
ma quasi fu per rimanerne stolta.
Parve ancho strano al cavallier dal nero,
che non solea cader già di liggiero.
95
Tocca havean nel cader la terra a pena,
che furo in piedi e rinovâr l’assalto.
Tagli e punte a furor quivi si mena,
quivi ripara hor scudo, hor lama, hor salto.
Vada la botta vuota o vada piena,
l’aria ne stride e ne risuona in alto.
Quelli elmi, quelli usberghi, quelli scudi
mostrâr ch’erano saldi più che incudi.
96
Se de l’aspra Donzella il braccio pesa,
né quel del Cavallier nemico è leve;
ugual misura all’uno e l’altro è resa:
quanto a punto l’un dà, tanto riceve.
Chi vuol trovar duo pari a una contesa,
cercar più là di questi dui non deve:
di destrezza, d’ardire e di possanza
l’un l’altro una sol dramma non avanza.
97
Le donne, che gran pezzo mirato hanno
continuar tante percosse horrende,
e che nei cavallier segno d’affanno
e di stanchezza anchor non si comprende,
de i dui miglior guerrier lode lor dànno
che sian tra quanto il mar sua braccia extende:
par lor che, se non fusser più che forti,
esser devrian sol del travaglio morti.
98
Ragionando tra sé, dicea Marphisa:
– Buon fu per me che Costui non si mosse;
ch’andavo a risco di restarne uccisa
se dianzi stato co i compagni fosse,
quando io mi truovo a pena a questa guisa
di potergli star contra alle percosse. –
Così dicea Marphisa; e tuttavolta
non restava menar la spada in volta.
99
– Buon fu per me (dicea quell’altro anchora)
che riposar Costui non ho lasciato.
Difender me ne posso a fatica hora
che de la pugna dianzi è travagliato.
Se sin al nuovo giorno havea dimora
a ripigliar vigor, che serìa stato?
Ventura hebbi io, quanto più possa haversi,
che non volesse tôr quel ch’io gli offersi. –
100
La battaglia durò fin alla sera,
né c’havesse ancho il meglio era palese;
né l’un né l’altro più senza lumiera
saputo havria come schivar l’offese.
Giunta la notte, alla inclyta Guerriera
fu primo a dir il Cavallier cortese:
– Che faren, poi che con ugual fortuna
n’ha sopraggiunti la notte importuna? –
101
Meglio mi par che ’l viver tuo prolunghi
almeno insino a tanto che s’aggiorni.
Io non posso concederti che aggiunghi
se non sola una notte alli tuoi giorni;
e di ciò che non li habbi haver più lunghi
la colpa sopra me non vuo’ che torni:
tornala sopra la spietata legge
del sesso feminil ch’el luogo regge.
102
Se di te duolmi e di quest’altri tuoi,
lo sa colui che nulla cosa ha oscura.
Con tuoi compagni star meco ti puoi:
con altri non havrai stanza sicura;
perché la turba, a chi i mariti suoi
hoggi uccisi hai, già contra te congiura.
Ciascun di questi a cui dato hai la morte
era di diece femine consorte.
103
Del danno c’han da te ricevuto hoggi
disian novanta femine vendetta:
sì che, se meco ad albergar non poggi,
questa notte assalito esser t’aspetta. –
Disse Marphisa: – Accetto che m’alloggi,
con sicurtà che non sia men perfetta
in te la fede e la bontà del core
che sia l’ardire e il corporal valore.
104
Ma che t’incresca che m’habbi ad uccidere,
ben ti può increscier ancho del contrario:
sin qui non credo che l’habbi da ridere
perch’io sia men di te duro aversario.
O la pugna seguir vogli o dividere,
o farla a l’uno o al altro luminario,
ad ogni cenno pronta m’haverai,
et come et ogni volta che vorrai. –
105
Così fu differita la tenzone
fin che di Gange uscisse il nuovo albóre,
e si restò senza conclusïone
chi de li dui guerrier fusse il migliore.
Ad Aquilante venne et a Griphone
e a gli altri dui quel liberal Signore,
e li pregò che sin al nuovo giorno
piacesse lor di far seco soggiorno.
106
Téner l’invito senza alcun suspetto:
indi al splendor de’ bianchi torchi ardenti
tutti saliro ove era un real tetto,
distinto in molti adorni alloggiamenti.
Stupefatti al levarsi de l’elmetto,
mirandosi, restaro i combattenti;
ch’el Cavallier (per quanto apparea fuora)
non excedea li deciott’anni anchora.
107
Si maraviglia la Donzella come
in arme tanto un giovinetto vaglia;
si maraviglia l’altro, che alle chiome
s’avede con chi havea fatto battaglia:
et si dimandan l’un con l’altro il nome,
et tal debito presto si raguaglia.
Ma come si nomasse il giovinetto,
ne l’altro canto ad ascoltar v’aspetto.