CANTO DECIMOQUARTO

1
Gravi pene in amor si provan molte,
di che patito io n’ho la maggior parte,
e quelle in danno mio sì ben raccolte,
ch’io ne posso parlar come per arte.
Perhò s’io dico e s’ho detto altre volte,
e quando in voce e quando in vive charte,
ch’un mal sia leve, un altro acerbo e fiero,
date credenza al mio giudicio vero.
2
Io dico e dissi, e dirò fin ch’io viva,
che chi si truova in degno laccio preso,
se ben di sé vede sua donna schiva,
se ’n tutto aversa al suo desir acceso;
se ben Amor d’ogni mercede il priva,
poscia ch’el tempo e la fatica ha speso;
pur ch’altamente habbia locato il core,
pianger non de’, se ben languisce e more.
3
Pianger de’ quel che già sia fatto servo
di dua vaghi occhi e d’una bella treccia,
sotto cui si nasconda un cor protervo,
che poco puro habbia con molta feccia.
Vorria il miser fuggir; e come Cervo
ferito, ovunque va, porta la freccia:
ha da se stesso del suo amor vergogna,
né l’osa dir, e invan sanarsi agogna.
4
In questo caso è il giovene Griphone,
che non se può emendar, e ’l suo error vede,
vede quanto vilmente il suo cor pone
in Horrigille iniqua e senza fede;
pur dal mal uso è vinta la ragione,
e pur l’arbitrio allo appetito cede:
perfida sia quantunque, ingrata e ria,
è sforzato a cercar dov’ella sia.
5
Dico, la bella historia ripigliando,
che uscì de la città secretamente,
né parlarne se ardì col fratel, quando
ripreso invan da lui ne fu sovente.
Verso Rama, a sinistra declinando,
prese la via più piana e più corrente.
Fu in sei giorni a Damasco di Sorìa;
quindi verso Antïochia se ne gìa.
6
Scontrò presso a Damasco il Cavalliero
a chi Horrigille havea donato il core:
e convenian di rei costumi in vero,
come ben si convien l’herba col fiore;
che l’uno e l’altro era di cor liggiero,
perfido l’uno e l’altro e traditore;
e copria l’uno e l’altro il suo difetto,
con danno altrui, sotto cortese aspetto.
7
Come io vi dico, il cavallier venìa
s’un gran destrier con molta pompa armato:
la perfida Horrigille in compagnia,
in un vestir azur d’oro fregiato,
e duo valletti, donde si servia
a portar l’elmo e il scudo, haveva allato;
come quel che volea con bella mostra
comparir in Damasco ad una giostra.
8
Una splendida festa, che bandire
fece il Re di Damasco in quelli giorni,
era cagion di far quivi venire
li cavallier quanto potean più adorni.
Tosto che la puttana comparire
vede Griphon, ne teme oltraggi e scorni:
sa che l’amante suo non è sì forte
che da Griphon l’habbia a campar da morte.
9
Ma sì come audacissima e scaltrita,
anchor che tutta di paura trema,
s’acconcia il viso e sì la voce aita,
che non appare in lei segno di tema.
Col Drudo havendo già l’astutia ordita,
corre, e fingendo una leticia estrema,
verso Griphon l’aperte braccia tende,
lo stringe al collo, e gran pezzo ne pende.
10
Dopo, accordando affettüosi gesti
alla suavità de le parole,
dicea piangendo: – Signor mio, son questi
debiti premi a chi t’adora e cole?
che sola senza te già un anno resti,
e va per l’altro, e anchor non te ne duole?
E s’io stavo aspettar il tuo ritorno,
non so se mai veduto harei quel giorno!
11
Quando aspettavo che di Nicosia,
dove tu te n’andasti alla gran corte,
tornassi a me, che con la febre ria
lasciata havevi in dubbio de la morte,
intesi che passato eri in Sorìa:
il che a patir mi fu sì duro e forte,
che non sapendo come io ti seguissi
quasi il cor di man propria mi traffissi.
12
Ma Fortuna di me con doppio dono
mostra d’haver (quel che non hai tu) cura:
mandommi il fratel mio, col quale io sono
sin qui venuta del mio honor sicura;
et hor mi manda questo incontro buono
di te, ch’io stimo sopra ogni aventura:
e bene a tempo il fa; che più tardando,
morta sarei, te, signor mio, bramando. –
13
E seguitò la Donna fraudolente,
di cui l’opere fur più che di volpe,
la querimonia sua sì astutamente,
che riversò in Griphon tutte le colpe.
Gli fa stimar colui (non che parente),
ma che da un patre seco habbia ossa et polpe:
e con tal modo sa tesser l’inganni,
che men verace par Luca et Giovanni.
14
Non pur di sua perfidia non riprende
Griphon la donna iniqua più che bella;
non pur vendetta di colui non prende
che fatto s’era adultero di quella:
ma gli par far assai se si difende,
che tutto il biasmo in lui non riversi ella;
e come fusse suo cognato vero,
non cessa accarezzar quel cavalliero.
15
E con lui se ne vien verso le porte
di Damasco, e da lui sente tra via
che là dentro devea splendida corte
tener il ricco Re de la Sorìa;
e ch’ognun quivi, di qualunque sorte,
o sia christiano o d’altra legge sia,
dentro e di fuor ha la città sicura
per tutto il tempo che la festa dura.
16
Non son perhò sì di seguir intento
l’historia de la perfida Horrigille,
ch’a’ giorni suoi non pur un tradimento
fatto alli amanti havea, ma mille e mille;
ch’io non ritorni a riveder ducento
mila persone, e più de le scintille
del stuzzicato fuoco, ove alle mura
di Parigi facean danno e paura.
17
Io vi lasciai come assaltato havea
Agramante una porta de la terra,
che trovar senza guardia si credea:
né più riparo altrove il passo serra;
perché in persona Carlo la tenea,
et havea seco i mastri de la guerra,
duo Guidi, duo Angelini, uno Angeliero,
Avino, Avolio, Othone et Belingiero.
18
Nanzi il Re Carlo e nanzi il Re Agramante
l’un stuolo e l’altro si vuol far vedere,
ove gran loda, ove mercé abondante
ponno acquistar facendo il suo devere.
Ma Mori non perhò fêr prove tante
che par ristor al danno habbino havere;
perché ve ne restâr morti parecchi,
che alli altri fur di folle audacia specchi.
19
Grandine sembran le spesse saette
che son dal muro in li nemici sparte;
e forse insino al ciel paura mette
l’alto gridar de l’una e l’altra parte.
Ma Carlo un poco et Agramante aspette;
ch’io vuo’ cantar de l’Africano Marte,
Rodomonte terribile et horrendo,
che per mezo Parigi iva correndo.
20
Non so, signor, se più vi ricordiate
di questo Saracin tanto sicuro,
che sue genti in la fossa havea lasciate
tra ’l secondo ripar e il primo muro
da la rapace fiamma devorate,
che non fu mai spettaculo più oscuro:
dissi ch’entrò d’un salto ne la terra
sopra la fossa che la cinge e serra.
21
Quando fu noto il Saracino atroce
al strano armar de la scagliosa pelle
là dove i vecchi e il popul men feroce
tendean l’orecchie a tutte le novelle,
levossi un pianto, un strido, una alta voce,
con un batter di man ch’andò alle stelle;
e chi puoté fuggir non vi rimase,
per serrarsi ne’ tempii e ne le case.
22
Ma questo a pochi il brando rio conciede,
ch’intorno arruota il Saracin robusto.
Qui fa restar con meza gamba un piede,
là fa un capo sbalzar lungi dal busto;
l’un tagliare a traverso se gli vede,
dal capo all’anche un altro fender giusto:
e de tanti che uccide, fere e caccia,
non se gli vede alcun segnare in faccia.
23
Quel che la Tigre de l’armento imbelle
ne’ campi Hircani o là vicino al Gange,
o ’l Lupo de le capre e de l’agnelle
nel monte che Typheo sotto si frange;
quivi il crudel Pagan facea di quelle
non dirò squadre, non dirò phalange,
n’exercito, ma vulgo voglio dire,
degno, prima che nasca, di morire.
24
Non ne truova un che veder possa in fronte,
fra tanti che ne taglia, fora e svena.
Per quella strada che vien dritto al ponte
di san Michel, sì populata e piena,
corre il fiero e terribil Rodomonte,
e la sanguigna spada a cerco mena:
non riguarda né al servo né al signore,
né al giusto ha più pietà che al peccatore.
25
Religïon non giova al sacerdote,
né l’innocentia al pargoletto giova;
per sereni occhi o per vermiglie guote
mercé non donna né donzella truova:
la vecchiezza si caccia e si percuote;
né quivi il Saracin fa maggior prova
di gran valor, che di gran crudeltade;
che non discerne sesso, ordine, etade.
26
Non pur nel sangue human l’ira si stende
del empio Re, capo e signor de li empi,
ma contra i tetti anchor, sì che n’incende
le belle case e li sacrati tempî.
Le case eran, per quel che se n’intende,
quasi tutte di legno in quelli tempi:
e ben creder si può; ch’in Parigi hora
de le diece le sei son così anchora.
27
Non par, quantunque il fuoco ogni cosa arda,
che sì grande odio ancho satiar si possa.
Dove s’aggrappi con le mani guarda,
sì che ruini un tetto ad ogni scossa:
signor, havete a creder che bombarda
mai non vedeste a Padoa così grossa
che tanto muro possa far cadere,
quanto fa in una scossa il Re d’Algiere.
28
Mentre quivi con sangue il maledetto,
fuoco e ruina, facea tanta guerra,
se di fuor Agramante havesse astretto,
perduta era quel dì tutta la terra:
ma non v’hebbe agio; che gli fu interdetto
dal Paladin che venìa d’Inghilterra
con l’Inglese alle spalle e popul Scotto,
dal Silentio e da l’Angelo condotto.
29
Dio vòlse che all’intrar che Rodomonte
fe’ ne la terra, e tanta fiamma accese,
che presso a’ muri il fior di Chiaramonte,
Rinaldo, giunse, e seco il campo Inglese.
Tre leghe sopra havea gettato il ponte,
e torte vie da man sinistra prese;
che dissegnando i Barbari assalire,
il fiume non l’havesse ad impedire.
30
Mandato havea sei mila fanti arcieri
sotto l’altiera insegna di Odoardo,
e presso a-llor mille cavai liggieri
drieto la guida d’Ariman gagliardo;
e mandati li havea per i sentieri
che vanno e vengon dritti al mar Picardo,
ch’a porta San Martino o San Dionygi
intrassero a soccorso di Parigi.
31
Li carrïaggi e li altri impedimenti
con lor fece drizzar per questa strada;
egli con tutto il resto de le genti
più sopra andò girando la contrada.
Seco havean navi e ponti et argumenti
di passar Senna, che non ben si guada;
passato ognuno, e rotti i ponti a drieto,
ordinò il campo e lo fe’ mover cheto.
32
Ma prima li baroni e i capitani
Rinaldo intorno havendosi ridutti,
sopra una mota ch’alta era da i piani
sì, che poteano udirlo e veder tutti,
disse: – Signor, ben a levar le mani
havete a Dio, che qui v’habbia condutti
acciò, dopo un brevissimo sudore,
sopra ogni natïon vi doni honore.
33
Per voi saran dui principi salvati
se levate l’assedio a quelle porte:
el vostro Re, che voi sète ubligati
da servitù difendere e da morte;
et uno Imperator de’ più lodati
che mai tenuto al mondo habbiano corte;
e con lor altri Re, Duci e Marchesi,
signor e cavallier di più paesi.
34
Sì che, salvando una città, non soli
Parigini ubligati vi saranno,
che molto più che di lor proprii duoli,
timidi, afflitti e sbigottiti stanno
di lor moglie e lor teneri figliuoli
ch’a un medesmo pericolo seco hanno,
e de le sante vergini richiuse,
che de li voti lor non sien deluse;
35
dico, salvando voi questa cittade,
vi ubligate non soli i Parigini,
ma d’ognintorno tutte le contrade.
Non parlo sol de’ populi vicini;
ma non è terra per Christianitade
che non habbia qua dentro cittadini:
sì che, vincendo, havete da tenere
che più che Francia v’habbia obligo havere.
36
Se donavan li antiqui una corona
a chi salvasse a un cittadin la vita,
hor che degna mercede a voi si dona,
salvando multitudine infinita?
Ma se da invidia o da viltà, sì buona
opra, o d’altra cagion, serà impedita,
credetemi, che, prese quelle mura,
né Italia né Lamagna fia sicura,
37
né quella parte tutta, ove s’adora
quel che vòlse per noi pender sul legno.
Né sète voi senza periglio anchora,
ben che pel mar sia forte il vostro regno:
che s’altre volte i Mori, uscendo fuora
di Zibeltaro e del Herculeo segno,
riportâr prede da l’isole vostre,
che faranno hor, s’havran le terre nostre?
38
Ma quando anchor nessuno honor, nessuno
util v’inanimasse a questa impresa,
commun debito è ben soccorrer l’uno
l’altro, che militiàn sotto una Chiesa.
Darvi i nemici rotti senza alcuno
dubbio prometto, e senza gran contesa;
che gente male experta tutta parmi,
senza possanza, senza cor, senza armi. –
39
Puoté con queste e con miglior ragioni,
con parlar expedito e chiara voce
excitar quei magnanimi baroni
Rinaldo, e il lor exercito feroce:
e fu, com’è in proverbio, aggiunger sproni
al buon corsier che già ne va veloce.
Finito el ragionar, nanti alle schiere
fe’ mover passo passo le bandiere.
40
Senza strepito alcun, senza rumore
fa il tripartito exercito venire:
lungo ’l fiume a Zerbin dona l’honore
di voler prima i Barbari assalire;
e fa quelli d’Irlanda con maggiore
volger di via più tra campagna gire;
e il duca di Lencastro in mezo serra
con cavallieri e fanti d’Inghilterra.
41
Drizzati che li ha tutti al lor camino,
cavalca il Paladin lungo la riva,
e passa inanzi al buon duca Zerbino
e a tutto il campo che con lui veniva;
tanto che al Re d’Orano e al Re Sobrino
e lor altri compagni sopra arriva,
che mezo miglio appresso quei di Spagna
guardavan da quel canto la campagna.
42
L’exercito Christian che con sì fida
e sì sicura scorta era venuto,
c’hebbe il Silentio e l’Angelo per guida,
non puote hormai patir più di star muto.
Sentiti li nemici, alzò le grida,
e diè in le trombe e sparse il suono arguto:
e con l’alto rumor ch’arrivò al cielo
mandò ne l’ossa a’ Saracini il gelo.
43
Rinaldo inanzi agli altri il caval punge
e tien la lancia per cacciarla in resta,
e lascia i Scotti un tratto d’arco lunge;
ch’ogni indugio a ferir sì lo molesta.
Come groppo di vento talhor giunge
che traggia drieto un’horrida tempesta,
tal fuor di squadra il cavallier gagliardo
ne vien spronando il corridor Baiardo.
44
Al comparir del paladin di Francia
Mori presenton lor future angosce:
a tutti in man vedi tremar la lancia,
li piedi in staffa, e ne l’arcion le cosce.
Re Pulïano sol non muta guancia,
che questo esser Rinaldo non connosce;
né pensando trovar sì duro intoppo,
gli move il destrier contra di galoppo:
45
e su la lancia nel partir si stringe,
et tutto si raccoglie in la persona;
e poi con ambo e’ sproni il caval spinge,
e le redine inanzi gli abbandona.
Da l’altra parte il suo valor non finge,
et mostra in fatto quel che in nome suona,
quanto habbia nel giostrar e gratia et arte
il figliuolo d’Amone, anzi di Marte.
46
Furo al segnar de li aspri colpi pari;
che si posero i ferri ambi alla testa:
ma furo in arme et in virtù dispàri;
che l’un via passa, et l’altro morto resta.
Bisognan di valor segni più chiari
che por con liggiadria la lancia in resta:
ma fortuna ancho più bisogna assai;
che senza, val virtù raro o non mai.
47
La buona lancia il paladin ricovera,
et verso il Re d’Oran ratto si spicca,
a cui Natura la persona povera
fece di cor, ma d’ossa et polpe ricca.
Tra’ brutti colpi questo non si annovera,
se ben in fondo al gran scudo l’appicca:
et ognun ch’il sapesse l’havria excuso,
perché non si potea giunger più suso.
48
Non vieta il scudo al colpo che non entre,
ben che fuor sia d’acciar, dentro di palma,
e che da quel gran corpo uscir pel ventre
non faccia l’inuguale e piccola alma.
El caval che portar si credea, mentre
durasse il lungo dì, sì grave salma,
referì in mente sua gratia a Rinaldo,
ch’a quel incontro gli schivò un gran caldo.
49
Rotta l’hasta, Rinaldo il destrier volta
tanto liggier che fa sembiar c’habbia ale;
e dove la più stretta e maggior folta
vide stiparsi, impetüoso assale.
Mena Fusberta sanguinosa in volta,
che fa l’arme parer di vetro frale:
tempra di ferro il suo tagliar non schiva,
che non vada a trovar la carne viva.
50
Ritrovar poche tempre e pochi ferri
può la tagliente spada, ove s’incappi;
ma targhe, altre di coio, altre di cerri,
giuppe, trappunte e attorcigliati drappi.
Giusto è ben dunque che Rinaldo atterri
qualunque arriva, e fori e squarci e affrappi;
che non più si difende da sua spada
c’herba da falce, o da tempesta biada.
51
La prima schiera era già messa in rotta
quando Zerbin con l’antiguardo arriva:
el gentil cavallier nanzi alla frotta
con la lancia arrestata ne veniva;
la gente sotto il suo pennon condotta
con non minor fierezza lo seguiva:
tanti lupi parean, tanti leoni
che andassero assalir capre o montoni.
52
Spinse a un tempo ciascuno il suo cavallo,
poi che fur presso; et tolsero repente
quel breve spatio, quel poco intervallo
che si vedea fra l’una e l’altra gente.
Non fu sentito mai più strano ballo;
che feriano i Scocesi solamente:
solamente i pagani eran destrutti,
come sol per morir fusser condutti.
53
Parve più freddo ogni pagan che giaccio;
parve ogni Scotto più che fiamma caldo.
Mori credean ch’ogni Christian il braccio
devesse haver, c’hebbe in lor mal Rinaldo.
Mosse Sobrino i suoi schierati avaccio
senza aspettar che l’invitasse araldo:
de l’altra squadra questa era migliore
di capitano, d’arme et di valore.
54
D’Africa v’era la men trista gente;
ben che né questa anchor gran prezzo vaglia.
Dardinel la sua mosse incontinente,
non meglio armata o meglio usa in battaglia;
ben ch’egli in capo havea l’elmo lucente
et era tutto armato a piastra e maglia.
Io credo che la quarta miglior fia,
con chi Isoliero appresso lo seguia.
55
Trason intanto, il buon duca di Marra,
che ritrovarsi in l’alta impresa gode,
a’ cavallieri suoi schiude la sbarra
et quelli invita seco alle gran lode,
perché Isolier con quelli di Navarra
intrar ne la battaglia vede et ode.
Poi mosse Arïodante la sua schiera,
che nuovo duca d’Albania fatto era.
56
L’alto rumor de le sonore trombe,
timpani, corni et barbari stromenti,
giunti al continuo suon d’archi e di frombe,
di diserrate machine e tormenti;
et quel di che più par ch’el ciel ribombe,
gridi et tumulti, gemiti et lamenti;
rendeno un alto suon, che a quel s’accorda
con che i vicini il Nil cadendo assorda.
57
Grande ombra d’ognintorno il ciel involve,
nata dal saettar de li duo campi;
il fumo del sudor, alito et polve,
par che ne l’aria oscura nebbia stampi.
L’un campo et l’altro hor qua hor là si volve:
vedresti hor come un segua, hor come scampi;
et ivi alcuno, o non troppo diviso,
rimaner morto ove ha il nemico ucciso.
58
Dove una squadra per stanchezza è mossa,
un’altra presto fassi andare inanti.
Di qua e di là la gente d’arme ingrossa:
là cavallieri, et qua si metton fanti.
La terra che sostien l’assalto è rossa:
mutato ha il verde ne’ sanguigni manti;
et dove erano i fiori azurri et gialli
giaceno uccisi li huomini e i cavalli.
59
Zerbin facea le più mirabil prove
che mai facesse di sua età garzone:
lo exercito pagan, che intorno piove,
taglia et uccide e mena a destruttione.
Arïodante alle sue genti nuove
mostra di sua virtù gran paragone;
e dà di sé timore e maraviglia
a quelli di Navarra e di Castiglia.
60
Chelindo e Mosco, i duo figliuol bastardi
del morto Calabrun, Re d’Aragona,
et un che reputato fra’ gagliardi
era, Calamidor da Barcelona,
lasciâr da lungi adrieto i-llor stendardi;
et credendo acquistar gloria et corona
per uccider Zerbin, gli furo adosso;
et ne’ fianchi il caval gli hanno percosso.
61
Passato da tre lance il destrier morto
cade; ma il buon Zerbin subito è in piede;
che a quei che al suo caval han fatto torto,
per vendicarlo va dove li vede:
et prima a Mosco, al giovene mal scorto,
che gli sta sopra et di pigliar s’el crede,
menò di punta et lo passò nel fianco,
et fuor di sella il cacciò freddo e bianco.
62
Poi che Chelindo vide il viver curto
del fratel suo, di pietosa ira pieno
venne a Zerbino, e pensò dargli d’urto;
ma gli prese egli il corridor pel freno:
trasselo in terra, onde non è mai surto
e non mangiò mai più biada né fieno;
che Zerbin sì gran forza a un colpo mise,
che lui col suo signor d’un taglio uccise.
63
Come Calamidor quel colpo mira,
volta la briglia per levarsi in fretta;
ma Zerbin dietro un gran fendente tira,
dicendo: – Traditor, aspetta! aspetta! –
Non va la botta ove n’andò la mira,
non che perhò lontana vi si metta;
lui non puoté arrivar, ma il caval prese
sopra la groppa destra, e ’n terra il stese.
64
Colui lascia il cavallo, et via carpone
va per campar, ma poco gli successe;
che venne caso ch’el duca Trasone
gli passò sopra e col peso l’oppresse.
Arïodante et Lurcanio si pone
dove Zerbino è fra le genti spesse;
et seco hanno altri cavallieri e conti,
che fanno ogn’opra che Zerbin rimonti.
65
Menava Arïodante il brando in giro,
et ben lo seppe Artalico et Margano;
ma più sentillo Etarco et Casimiro,
che tutti a un tempo fur seco alle mano:
li primi dui feriti se ne giro,
rimaser li altri dui morti sul piano.
Lurcanio fa veder quanto sia forte;
che fere, urta, riversa et mette a morte.
66
Non crediate, signor, che fra campagna
pugna minor che presso al fiume sia,
e che a drieto l’exercito rimagna
che di Lincastro il buon duca seguia.
Le bandiere assalì questo di Spagna,
e molto ben di par la cosa gìa;
che fanti, cavallieri e capitani
di qua e di là sapean menar le mani.
67
Dinanzi vien Oldrado e Fieramonte,
un duca di Glocestra, un di Eborace;
con lor Ricardo, di Varvecia conte,
e di Chiarenza il duca, Henrigo audace.
Han Matalista e Follicone a fronte,
e Baricondo et ogni lor seguace:
tiene il primo Almeria, tien il secondo
Granata, tien Maiorca Baricondo.
68
La fiera pugna un pezzo andò di pare;
che vi si discernea poco vantaggio.
Vedeasi hor l’uno hor l’altro ire e tornare
come le biade al ventolin di maggio,
o come sopra il lito un mobil mare
hor vien hor va, né mai tien un vïaggio.
Poi che Fortuna hebbe scherzato un pezzo,
dannosa a’ Mori ritornò da sezzo.
69
Tutto in un tempo il duca di Glocestra
a Matalista fa vuotar l’arcione;
ferito a un tempo ne la spalla destra
Fieramonte riversa Follicone:
e l’un pagan e l’altro si sequestra
e tra l’Inglesi se ne va prigione;
e Baricondo a un tempo riman senza
vita al scontrar del duca di Chiarenza.
70
Indi li Mori tanto a spaventarsi,
indi i Fedeli a pigliar tanto ardire,
che quei non facean altro che ritrarsi
e partirse da l’ordine e fuggire,
e questi andar inanzi et avanzarsi
sempre terreno, e spinger e seguire:
e se non vi giungea chi lor diè aiuto,
lor campo da quel lato era perduto.
71
Ma Ferraù, che sin qui mai non s’era
dal Re Marsilio suo troppo disgiunto,
quando vide fuggir quella bandiera
et l’exercito suo mezo consunto,
spronò el cavallo, e dove ardea più fiera
la battaglia lo spinse; e arrivò a punto
che vide dal destrier cader in terra
col capo fesso Olimpio da la Serra,
72
un giovinetto che col dolce canto,
concorde al suon de la cornuta cetra,
di intenerir un cor si dava vanto,
anchor che fusse più duro che pietra.
Felice lui, se contentar di tanto
honor sapeasi, et scudo, arco e pharetra
haver in odio, et scimitarra e lancia,
che lo trarro a morir giovene in Francia!
73
Quando lo vide Ferraù cadere,
ch’el solea amar e haver in prezzo e stima,
si sente di lui sol via più dolere
che di mille altri che periro prima:
et sopra chi l’uccise in modo fere,
che gli divide l’elmo da la cima
per la fronte, per li occhi et per la faccia,
per mezo il petto, et morto a terra il caccia.
74
Né qui s’indugia; e il brando intorno ruota
ch’ogni elmo rompe, ogni lorica smaglia:
a chi segna la fronte, a chi la guota,
ad altri il capo, ad altri il braccio taglia;
hor questo hor quel di sangue e d’alma vuota
per lo petto et pel fianco; et la battaglia
ferma dal canto ove l’ignobil frotta
senza ordine fuggìa spezzata e rotta.
75
Cacciossi in la battaglia il Re Agramante,
d’uccider gente et far gran prove vago;
et seco ha Baliverzo et Farurante,
Prusïon, Soridano et Bambirago;
poi son le genti senza nome tante
che del suo sangue hoggi faranno un lago,
che meglio a conto harei ciascuna foglia
quando l’autonno li arbori ne spoglia.
76
Intanto il Re Agramante una gran banda
di fanti e cavallier, dal muro tolta,
col Re di Setta e Re di Feza manda,
che drieto ai padiglion piglin la volta
e vadano ad opporsi a quei d’Irlanda,
le cui squadre vedea con fretta molta,
dopo gran giri e larghi avolgimenti,
venir per levar lui li alloggiamenti.
77
Quei se ne andaro, e bisognò ben presto;
ch’ogni tardar troppo nocciuto haria.
Raguna intanto il Re Agramante il resto;
parte le squadre e alla battaglia invia.
Egli va al fiume; che gli par ch’in questo
luoco del suo venir bisogno sia;
e da quel canto un messo era venuto
del Re Sobrin che dimandava aiuto.
78
Menava in una squadra più di mezo
l’Africa drieto; e sol del gran rumore
tremaro i Scotti, e tanto fu il ribrezo,
ch’abbandonavan l’ordine e l’honore.
Zerbin, Lurcanio e Arïodante in mezo
lì restâr soli contra a quel furore;
e Zerbin, ch’era a piè, vi peria forse,
ma ’l buon Rinaldo a tempo se n’accorse.
79
Altrove intanto il paladin s’havea
fatto inanzi fuggir cento bandiere.
Hor che l’orecchie la novella rea
del gran periglio di Zerbin gli fere,
ch’a piedi fra la gente Cyrenea
lasciato sol havean tutte sue schiere,
volta il caval, e dove il popul Scotto
vede fuggir, prende la via di botto.
80
Là dove i Scotti ritornar fuggendo
vede, s’appara e grida: – Hor dove andate?
perché tanta viltade in voi comprendo,
che a sì vil gente il campo abbandonate?
Son queste forse le spoglie ch’io intendo
che a’ vostri templi già promesso havate?
Oh che laude, oh che gloria, ch’el figliuolo
del vostro Re si lasci a piedi e solo! –
81
Da un suo scudier una grossa hasta afferra,
et vede Prusïon poco lontano,
Re d’Alvaracchie, e adosso se gli serra,
et de l’arcion il porta morto al piano.
Morto Agricalte, et Bambirago atterra;
dopo fere aspramente Soridano:
et come li altri l’havria messo a morte
se nel ferir la lancia era più forte.
82
Stringe Fusberta, poi che l’hasta è rotta,
et tocca Serpentin, quel da la Stella:
fatate l’arme havea, ma quella botta
pur tramortito il manda fuor di sella.
Al capitano de la gente Scotta
fa piazza intorno; Arïodante in quella
arriva col caval di Serpentino,
che havea pigliato, e fa montar Zerbino.
83
Zerbin non potea meglio accôrre il tempo,
che forse nol facea se più tardava;
perché Agramante et Dardinello a un tempo,
Sobrin col Re Balastro vi arrivava.
Ma egli, che montato era per tempo,
di qua e di là col brando se aggirava,
mandando hor questo hor quel giù nel inferno
a dar notitia del stato moderno.
84
Rinaldo, che havea mente a porre in terra
hor questo hor quel che più vedea gagliardo,
la spada contra il Re Agramante afferra,
ch’un pezzo egli mirò con fiero sguardo,
che sol più che mille altri facea guerra;
e se gli spinse adosso con Baiardo:
lo fere a un tempo et urta di traverso,
sì che lui col destrier manda riverso.
85
Mentre di fuor con sì crudel battaglia,
odio, rabbia, furor l’un l’altro offende,
Rodomonte in Parigi il popul taglia,
le belle case e i sacri tempii accende.
Carlo, ch’in altra parte si travaglia,
questo non vede, e nulla anchor n’intende:
con gaudio e festa entrar fa ne la terra
Arimanno e Odoardo d’Inghilterra.
86
A-llui venne un scudier pallido in volto,
che a pena trar potea dal petto il fiato.
– Ahimè! signor, ahimè! – replìca molto,
prima c’habbia a dir altro incominciato:
– Hoggi il Romano Imperio, hoggi è sepolto;
hoggi ha il suo popul Christo abbandonato:
il Demonio dal ciel è piovuto hoggi
perché in questa città più non s’alloggi.
87
Satanasso (perché altri esser non puote)
strugge e ruina la città infelice.
Volgiti e mira le fumose ruote
de la rovente fiamma predatrice;
ascolta il pianto che nel ciel percuote;
et faccian fede a quel che ’l servo dice.
Un solo è quel che a ferro e fuoco strugge
la bella terra, e inanzi ognun gli fugge. –
88
Qual è colui che prima oda il tumulto
et de vicine squille il batter spesso,
che veggia il fuoco a nessun altro occulto
ch’a sé, che più gli tocca e gli è più presso;
tal è il Re Carlo, udendo il nuovo insulto
et connoscendol poi con l’occhio istesso:
onde col sforzo di sua miglior gente
si drizza dove il maggior grido sente.
89
De’ paladini et cavallier più degni
Carlo si chiama drieto una gran parte,
e vêr la piazza fa drizzare i segni;
che s’era il Pagan tratto in quella parte.
Ode il rumor, vede l’horribil segni
di crudeltà, l’humane membra sparte.
Hora non più: ritorni un’altra volta
chi volentier la bella historia ascolta.