CANTO TRIGESIMOSECONDO

1
Chi salirà per me, madonna, in cielo
a riportarne il mio perduto ingegno?
che poi che uscì da’ bei vostri occhi il telo
ch’el cor mi fisse, ognhor perdendo vegno.
Né di tanta iattura mi querelo,
pur che non cresca e stiase a questo segno;
ma dubito, se più se va scemando,
ch’io venirò come ho descritto Orlando.
2
Per rïhaver l’ingegno mio mi è aviso
che non bisogna che per l’aria io poggi
nel cerchio de la Luna o in paradiso;
ch’el mio non credo che tanto alto alloggi:
ne’ bei vostri occhi e nel sereno viso,
nel sen d’avorio e alabastrini poggi
se ne va errando; et io con queste labbia
lo raccôrrò, se par a voi ch’io l’habbia.
3
Per l’ampli tetti andava il Paladino
tutte mirando le future vite,
poi c’hebbe visto sul fatal molino
volgersi quelle ch’erano già ordite:
e scorse un vello che più che d’or fino
splender parea; né sarian gemme trite,
s’in filo si tirassero con arte,
da comparargli alla millesma parte.
4
Mirabilmente il bel vello gli piacque,
che tra infiniti paragon non hebbe;
e di sapere alto disio gli nacque
quando serà tal vita, e a chi si debbe.
L’Evangelista nulla gli ne tacque:
che principio venti anni prima havrebbe
che col .M. e col .D. fusse notato
l’anno corrente dal Verbo incarnato.
5
E come di splendore e di beltade
quel vello non havea simile o pare,
così serìa la fortunata etade
che devea uscirne al mondo singulare;
perché tutte le gratie inclyte e rade
ch’alma Natura o proprio studio dare,
o benigna Fortuna, ad huom mai puote,
havrà in perpetua e infallibil dote.
6
– Del Re de’ fiumi tra l’altiere corna
hor siede humìl (diceagli) e piccol borgo:
dinanzi il Po, dirietro gli soggiorna
d’alta palude un nebuloso gorgo,
che, volgendosi li anni, la più adorna
di tutte le città d’Italia scorgo,
non pur di mura, vie, di tetti regi,
ma d’arti, studi e di costumi egregi.
7
Tanta exaltatïone, e così presta,
non fortuìta o di aventura casca;
ma l’ha ordinata il ciel, perché sia questa
degna in che l’huom di ch’io ti parlo nasca:
che, dove il frutto ha da venir, s’innesta
e con studio si fa crescer la frasca;
e l’artefice l’oro affinar suole
in che legar gemma di pregio vuole.
8
Né sì liggiadra né sì bella veste
unque hebbe altr’alma in quel terrestre regno;
e raro è sceso e scenderà da queste
spere superne un spirito sì degno,
come per farne Hippolyto da Este
ne sta in l’eterna mente alto disegno:
Hippolyto da Este serà detto
l’huomo a chi Dio sì ricco dono ha eletto.
9
Quelli ornamenti, che divisi in molti,
a molti basterian per tutti ornarli,
in suo ornamento havrà tutti raccolti
costui di c’hai voluto ch’io ti parli.
Le virtudi per lui, per lui soffolti
seranno i studi; e s’io vorrò narrar li
meriti suoi, sì son dal fin lontano,
ch’Orlando il senno aspettarebbe invano. –
10
Così venìa l’imitator di Christo
ragionando col Duca; e poi che tutte
le stanze del gran luoco hebbeno visto,
onde l’humane vite eran condutte,
sul fiume usciro, che d’arena misto
con l’onde discorrea turbide e brutte;
e vi trovâr quel Vecchio in su la riva,
che con l’impressi nomi vi veniva.
11
Non so se vi sia a mente, io dico quello
che al fin de l’altro canto vi lasciai,
Vecchio di faccia, e sì di membra snello,
che d’ogni cervo è più veloce assai.
De li altrui nomi egli s’empìa el mantello;
scemava il monte, e non finiva mai:
et in quel fiume che Lethe si noma
scarcava, anzi perdea la ricca soma.
12
Dico che, come arriva in su la sponda
del fiume, quel prodigo Vecchio scuote
il lembo pieno, e ne la turbida onda
tutte lascia cader l’impresse note:
un numer senza fin se ne profonda,
ch’un minimo uso haver non se ne pote;
e di cento migliaia che in l’arena
el fondo involve, un se ne serva a pena.
13
Lungo e d’intorno quel fiume volando
givano corvi et avidi avoltori,
mulacchie e varii augelli, che gridando
facean discordi strepiti e romori;
et alla preda correan tutti, quando
sparger vedean li amplissimi thesori:
e chi nel becco e chi ne l’ugna torta
ne prende; ma lontan poco li porta.
14
Come vogliono alzar per l’aria i voli,
non han poi forza ch’el peso sostegna;
sì che convien che Lethe pur involi
de’ ricchi nomi la memoria degna.
Fra tanti augelli son dui Cygni soli,
bianchi, Signor, come è la vostra insegna,
che vengon lieti riportando in bocca
sicuramente il nome che lor tocca.
15
Così contra i pensieri empi e maligni
del Vecchio che donar li vorria al fiume,
alcun’ ne salvan li augelli benigni:
tutto l’avanzo oblivïon consume.
Hor se ne van nuotando i sacri Cygni,
et hor per l’aria battendo le piume,
sin che presso alla ripa del fiume empio
trovano un colle, e sopra il colle un tempio.
16
Alla Immortalitade il luoco è sacro,
dove una bella nympha giù del colle
viene alla ripa del letheo lavacro,
e di bocca de’ Cygni i nomi tolle;
e quelli affige intorno al simulacro
che in mezo al tempio una colonna extolle:
quivi li sacra, e ne fa tal governo
che vi si puon veder tutti in eterno.
17
Chi sia quel Vecchio, e perché tutti al rio
senza alcun frutto i bei nomi dispensi,
e de li augelli, e di quel luoco pio
onde la bella nympha al fiume viensi,
haveva Astolfo di saper disio
li gran mysteri e l’incogniti sensi;
e dimandò di tutte queste cose
l’huomo di Dio, che così gli rispose:
18
– Tu déi saper che non se muove fronda
lagiù, che segno qui non se ne faccia:
ogni effetto convien che corrisponda
in terra e in ciel, ma con diversa faccia.
Quel Vecchio, la cui barba il petto inonda,
veloce sì che mai nulla l’impaccia,
li effetti pari e la medesima opra
ch’el Tempo fa lagiù, fa qui di sopra.
19
Volte che son le fila in su la ruota,
lagiù la vita humana arriva al fine.
La fama là, qui ne riman la nota;
ch’immortali seriano ambe e divine,
se non che qui quel da la hirsuta guota,
e lagiù il Tempo, ognhor ne fa rapine:
questo le getta, come vedi, al rio;
e quel l’immerge nel eterno oblio.
20
Come qua su li corvi e li avoltori
e le mulacchie e li altri varii augelli
s’affaticano tutti per trar fuori
de l’acqua i nomi che veggion più belli:
così lagiù ruffiani, adulatori,
buffon, cinedi, accusatori, e quelli
che viveno alle corti e che vi sono
più grati assai ch’el virtüoso e il buono,
21
e son chiamati cortigian gentili,
perché sanno imitar l’asino e ’l ciacco;
de’ lor signor, tratto che n’ha li fili
la giusta Parca, anzi Venere e Baccho,
questi di ch’io ti dico, inerti e vili,
nati solo ad impir de cibo il sacco,
portano in bocca qualche giorno il nome;
poi ne l’oblio lascian cader le some.
22
Ma come i Cygni che cantando lieti
rendeno salve le medaglie al tempio,
così li signor degni da’ poeti
son tolti del oblio, più che morte empio.
Oh bene accorti principi e discreti,
che seguite di Cesare l’exempio
facendovi i scrittori amici, donde
non havete a temer di Lethe l’onde!
23
Son rari i Cygni, e li poeti rari,
poeti che non sian del nome indegni:
sì perché il ciel de li huomini preclari
non pate mai che troppa copia regni,
sì per gran colpa de’ signori avari
che lascian mendicare i sacri ingegni;
e virtù deprimendo, et exaltando
li vitii, caccian le buone arti in bando.
24
Credi che Dio questi ignoranti ha privi
de lo ’ntelletto, e lor offusca i lumi;
che de la poesia li ha fatto schivi,
acciò che Morte il tutto ne consumi.
Oltra che del sepolchro uscirian vivi
anchor che havesser tutti i rei costumi,
pur che sapesson farsi amica Cyrrha,
più grato odore havrian che nardo o myrrha.
25
Non sì pietoso Enea, né forte Achille
fu, come è fama, né sì fiero Hettorre;
e ne son stati e mille e mille e mille
che lor si pôn con verità anteporre:
ma li ampli doni de palazzi e ville
de li nepoti suoi li ha fatto porre
in questi senza fin sublimi honori
da l’honorate penne de’ scrittori.
26
Non fu sì santo e sì benigno Augusto
come la tuba di Virgilio suona:
l’haver havuto in poesia bon gusto
la proscrittion iniqua gli perdona.
Nessun sapria se Neron fusse ingiusto,
né serìa forse sua fama men buona,
havesse havuto e terra e ciel nemici,
se li scrittor sapea tenerse amici.
27
Homero Agamemnón vittorïoso
fece parere, e li Troiani inerti;
e che Penelopea fida al suo sposo
da i Prochi mille oltraggi havea sofferti.
E se tu vuoi ch’el ver non ti sia ascoso,
tutta al contrario l’historia converti:
che i Greci rotti, e fu Troia vittrice,
e che Penelopea fu meretrice.
28
Da l’altra parte odi che fama lascia
Phoenissa, c’hebbe il cor tanto pudico;
che reputata viene una bagascia
solo perché Maron non le fu amico.
Non ti maravigliar ch’io n’habbia ambascia
e se di ciò diffusamente i’ dico:
li scrittori amo, e fo ’l debito mio;
ch’al vostro mondo fui scrittor ancho io.
29
E sopra tutti li altri io feci acquisto
che non mi può levar tempo né morte:
e ben convenne al mio lodato Christo
rendermi guidardon di sì gran sorte.
Duolmi di quei che sono al tempo tristo,
quando la cortesia chiuse ha le porte;
che con pallido viso, asciutto e scarno,
la notte e il giorno vi picchiano indarno.
30
Sì che continuando il primo detto,
sono i poeti e i studïosi pochi;
che dove non han pasco né ricetto,
sino le fere abbandonano i luochi. –
Così dicendo, il Vecchio benedetto
li occhi infiammò, che parveno dui fuochi;
poi volto al Duca con un saggio riso
tornò sereno il conturbato viso.
31
Astolfo col scrittor del Evangelo
restisi hormai, ch’io voglio far un salto
quanto sia in terra a venir fin dal cielo;
ch’io non posso più star su l’ali in alto.
Torno alla Donna a cui con grave telo
mossa havea Gelosia crudele assalto;
io la lasciai da Montalbano scesa,
che di Parigi havea la strada presa.
32
Su l’arme era vestita d’un colore
che imitava la foglia che s’imbianca
quando del ramo è tolta, e che l’humore
che facea vivo l’arbore le manca.
Riccamata a tronconi era, di fuore,
di Cypresso che mai non se rifranca
poi che sentita ha la dura bipenne:
l’habito molto al suo dolor convenne.
33
Tolse il caval che Astolfo haver solea,
e quella lancia d’or, che sol toccando
cader di sella i cavallier facea.
Perché le la diè Astolfo, e dove e quando,
e da chi prima havuto egli l’havea,
non credo che bisogni ir replicando.
Ella la tolse, con intentïone
di far con essa il suo Ruggier prigione.
34
Fece pensiero in campo ire a trovarlo
de’ Saracini, che ancho si credea
che fusse intorno alla città di Carlo;
e chiamar quindi a giostra lo volea,
menar prigione, e a viva forza trarlo
a quel che per amor non lo potea;
e poi che tra camino hebbe scïenza
ove era il campo, andò verso Provenza.
35
Verso Provenza per la via più dritta
cavalcando, scontrosse una donzella,
anchor che fusse lachrymosa e afflitta,
bella di faccia e di maniere bella.
Questa era quella sì d’amor traffitta
per il figliuol di Monodante, quella
donna gentil che havea lasciato al ponte
l’amante suo prigion di Rodomonte.
36
E veniva cercando un cavalliero
ch’a far battaglia usato, come lontra,
in acqua e in terra fusse, e così fiero,
che lo potesse al Pagan poner contra.
La sconsolata amica di Ruggiero,
come quest’altra sconsolata scontra,
cortesemente la saluta, e poi
le chiede la cagion de’ dolor suoi.
37
Fiordiligi lei mira, e veder parle
un cavallier ch’al suo bisogno fia;
e comincia del ponte a ricontarle,
dove impedisce il Re d’Algier la via;
e ch’era stato appresso di levarle
l’amante suo: non che più forte sia,
ma sapea darsi il Saracino astuto
col stretto ponte e l’alto fiume aiuto.
38
– Se sei (dicea) sì ardito e sì cortese
come ben mostri l’uno e l’altro in vista,
vendicami, perdio, di chi me prese
il mio signor, e me fa gir sì trista;
o consigliami almeno in che paese
possa trovare un che a colui resista,
e sappia tanto d’arme e di battaglia,
ch’el fiume e il ponte al Pagan poco vaglia.
39
Oltra che tu farai quel che conviensi
a un huom cortese e a cavalliero errante,
in beneficio il tuo valor dispensi
del più fedel d’ogni fedele amante.
De l’altre sue virtù non appertiensi
a me narrar; che sono tante e tante,
che chi non n’ha notitia si può dire
che sia del veder privo e de l’udire. –
40
La magnanima donna, a cui fu grata
sempre ogni impresa che può farla degna
d’esser con laude e gloria nominata,
venir al ponte subito disegna:
et hora tanto più, ch’è disperata,
vien volentier, quando ancho a morir vegna;
che credendosi, misera! esser priva
del suo Ruggier, ha in odio d’esser viva.
41
– Per quel ch’io vaglio, giovane amorosa, –
rispose Bradamante, – io me offerisco
di far l’impresa dura e perigliosa,
per altre cause anchor, ch’io preterisco;
ma più che del tuo amante narri cosa
che narrar di pochi huomini avertisco:
che sia in amor fedel; che a fé ti giuro
che in ciò pensai che ognun fusse pergiuro. –
42
Con un suspir queste ultime parole
finì, con un suspir che uscì dal core;
poi disse: – Andiamo; – e nel seguente Sole
giunsero al fiume, al passo pien d’horrore.
Scoperte de la guardia che vi suole
farne segno col corno al suo signore,
il Pagan s’arma, e quale è il suo costume,
su al ponte s’appresenta in ripa al fiume;
43
e come vi compar quella guerriera,
di porla a morte subito minaccia,
quando de l’arme e del caval su ch’era
al gran sepolchro oblatïon non faccia.
Bradamante che sa l’historia vera,
come per lui morta Issabella giaccia,
che Fiordiligi detto le l’havea,
al Saracin superbo rispondea:
44
– Perché vuoi tu, bestial, che li innocenti
facciano penitentia del tuo fallo?
Del sangue tuo placar costei convienti:
tu la uccidesti, e tutto il mondo sallo.
Più di tutte l’altre arme e guarnimenti
di tanti che gettati hai da cavallo,
oblatïone e vittima havrà accetta
ch’io te le uccida inanzi in sua vendetta.
45
E di mia man le fia più grato il dono,
quanto, come ella fu, son donna anche io;
né qui venuta ad altro effetto sono
che a vendicarla, e questo sol disio.
Ma tra noi far prima alcun patto è buono,
ch’el tuo valor si compari col mio:
s’abbattuta serò, di me farai
quel che de li altri toi prigion fatto hai;
46
ma s’io te abbatto (come io credo e spero),
guadagnar voglio il tuo cavallo e l’armi,
e quelle offerir sole al cimitero,
e tutte l’altre distaccar da’ marmi;
e voglio che tu lasci ogni guerriero. –
Rispose Rodomonte: – Giusto parmi;
ma li prigion non posso darti adesso,
che non son più qui dentro né qui appresso.
47
Io li ho al mio regno in Aphrica mandati;
ma ti prometto, e ti do ben la fede,
che se me avien per casi inopinati
che tu stia in sella e ch’io rimanga a piede,
farò che seran tutti liberati
in tanto tempo, quanto si richiede
di dare a un messo ch’in fretta si mandi
a far quel che, s’io perdo, mi commandi.
48
Ma se a te tocca star di sotto, come
più si conviene, e certo so che fia,
non vuo’ che lasci l’arme, e ch’el tuo nome,
come di vinta, sottoscritto sia:
al tuo bel viso, a’ belli occhi, alle chiome,
che spiran tutti amore e liggiadria,
voglio donar la mia vittoria; e basti
che te disponi amarmi, ove me odiasti.
49
Io son di tal valor, son di tal nerbo,
che haver non déi d’andar di sotto a sdegno. –
Sorrise alquanto, ma d’un riso acerbo
che fece d’ira, più che d’altro, segno,
la Donna, né rispose a quel superbo;
ma tornò in capo al ponticel di legno,
spronò il cavallo, e con la lancia d’oro
venne a trovar quel orgoglioso Moro.
50
Rodomonte alla giostra s’apparecchia:
viene a gran corso; e tal strepito e suono
dal ponte s’ode, ch’intronar l’orecchia
a molti può, che assai lontan ne sono.
La lancia d’or fece l’usanza vecchia;
che quel Pagan, sì dianzi in giostra buono,
levò di sella, e in aria lo suspese,
indi sul ponte a capo in giù lo stese.
51
Nel trapassar ritrovò a pena luoco
dove intrar col caval quella guerriera;
e fu a gran risco, e ben le mancò poco,
che non andò del ponte in la rivera:
ma Rabican, che fu di vento e fuoco
concetto, così destro et agil era,
che nel margine estremo trovò strada;
e serebbe ito ancho su un fil di spada.
52
Ella si volta, e contra l’abbattuto
Pagan ritorna; e con liggiadro motto:
– Hor pòi (disse) veder c’habbia perduto,
et a chi tocchi di noi star di sotto. –
Di maraviglia il Pagan resta muto,
ch’una donna a cader l’habbia condotto;
e far risposta non puoté o non volle,
e fu come huom pien di stupore e folle.
53
Di terra se levò tacito e mesto;
e poi che andato fu quattro o sei passi,
el scudo e l’elmo, e de l’altre arme il resto
tutto si trasse, e gettò contra i sassi;
e solo e a piè si deleguò via presto:
non che commissïon prima non lassi
a un suo scudier, che vada a far l’effetto
de li prigion, secondo che fu detto.
54
Partissi; e d’esso poi nulla se intese,
se non che stava in una grotta scura.
Intanto Bradamante havea suspese
di costui l’arme all’alta sepultura,
e fattone levar tutto l’arnese
che de li cavallieri, alla scrittura,
connobbe de la corte esser di Carlo;
non levò il resto, e non lasciò levarlo.
55
Oltra quel del figliuol di Monodante,
fu quel di Sansonetto e d’Oliviero,
che per trovare il principe d’Anglante
quivi condusse il più dritto sentiero:
quivi fur presi, e furo il giorno inante
mandati via dal Saracino altiero.
Di questi l’arme fe’ la donna tôrre
da l’alta mole, e chiuder ne la torre.
56
Tutte l’altre lasciò pender da i sassi,
che fur spogliate a’ cavallier pagani.
V’eran l’arme d’un Re, di cui li passi
per Frontalatte mal fur spesi e vani:
l’arme dico del Re de li Circassi,
che dopo lungo errar per colli e piani
venne quivi a lasciar l’altro destriero;
e poi senza arme andarsene liggiero.
57
S’era partito disarmato e a piede
quel Re pagan dal periglioso ponte,
sì come li altri ch’eran di sua fede
partir da sé lasciava Rodomonte.
Ma di tornar più al campo non gli diede
el cor; ch’ivi apparir non havria fronte:
che per quel che vantossi, troppo scorno
gli serìa farvi in tal guisa ritorno.
58
Di pur cercar nuovo desir lo prese
la donna c’havea ognhor fissa nel core.
Fu l’aventura sua, che presto intese
(io non vi saprei dir chi fu l’authore)
ch’ella tornava verso il suo paese:
onde esso, come il sprona e punge Amore,
dietro alla pésta subito si pone.
Ma tornar voglio alla figlia d’Amone.
59
Poi che narrato hebbe con altro scritto
come da lei fu liberato il passo,
a Fiordiligi, c’havea il cor afflitto
e tenea il viso lachrymoso e basso,
dimandò humanamente dove dritto
volea che fusse, indi partendo, il passo.
Rispose Fiordiligi: – Il mio camino
vuo’ che sia in Arli al campo saracino,
60
dove naviglio e buona compagnia
spero trovar da gire in l’altro lito;
ch’io non mi fermerò fin ch’io non sia
venuta al mio signore e mio marito.
Voglio tentar, perché in prigion non stia,
più modi e più; che se mi vien fallito
questo che Rodomonte t’ha promesso,
ne voglio haver et uno et altro appresso. –
61
– Io me offerisco (disse Bradamante)
d’accompagnarti un pezzo de la strada,
tanto che tu ti veggia Arli dinante,
dove per amor mio vuo’ che tu vada
a trovar quel Ruggier del Re Agramante,
che del suo nome ha piena ogni contrada;
e che gli rendi questo buon destriero
donde abbattuto ho il Saracino altiero.
62
Voglio che a punto tu gli dica questo:
«Un cavallier che di provar si crede
e far a tutto il mondo manifesto
che contra lui sei mancator di fede;
acciò ti truovi apparecchiato e presto,
ch’io ti rendessi il tuo Frontin, mi diede
commissïone, e dice che ti metti
per far battaglia in punto, e che l’aspetti».
63
Digli questo, e non altro; e se quel vuole
saper da te ch’io son, di’ che nol sai. –
Fiordiligi, benigna come suole,
rispose: – E questa e maggior cosa assai
farò per te, che fatti e non parole
a’ prieghi miei (la tua mercé) fatt’hai. –
Gratie le rende Bradamante, e piglia
Frontino e le lo porge per la briglia.
64
Lungo il fiume le belle e pellegrine
giovane vanno a gran giornate insieme,
tanto che veggono Arli, e in le vicine
rive il rumor odon del mar che freme.
Bradamante si ferma alle confine
quasi de’ borghi et alle sbarre estreme,
per dare a Fiordiligi atto intervallo
che condurre a Ruggier possa il cavallo.
65
Vien Fiordiligi, et entra nel castello,
nel ponte e ne la porta; e seco prende
chi le fa compagnia fin a l’hostello
dove habita Ruggiero, e quivi scende;
e secondo il mandato, al damigello
fa l’ambasciata, e il buon Frontin gli rende:
indi va, che risposta non aspetta,
ad exequir il suo bisogno in fretta.
66
Ruggier riman confuso e in pensier grande,
e non sa ritrovar capo né via
di saper chi lo sfidi, e chi gli mande
a dire oltraggio e fargli cortesia.
Che costui senza fede lo dimande,
o possa dimandar huomo che sia,
non sa vedere; e ben d’ogn’altro, prima
che de la donna sua, potria far stima.
67
Che fusse Rodomonte havea più presto,
ma non troppo fondata, opinïone;
e perché anchor da lui debbia udir questo
pensa, né imaginar può la cagione.
Fuor che con lui, non sa di tutto ’l resto
del mondo con chi lite habbia e tenzone.
Intanto la donzella di Dordona
chiede battaglia, e forte il corno suona.
68
Vien la nuova a Marsiglio e ad Agramante
ch’un cavallier di fuor chiede battaglia.
A caso Serpentin loro era inante,
et impetrò di vestir piastra e maglia,
e promesse pigliar questo arrogante.
El popul venne sopra la muraglia;
e non rimase né fanciul né veglio
che non fusse a veder chi fêsse meglio.
69
Con ricca sopravesta e bello arnese
Serpentin da la Stella in giostra venne.
Al primo scontro in terra si distese:
parve havere il destriero a fuggir penne.
Drieto gli corse la donna cortese,
e per la briglia al Saracin lo tenne,
e disse: – Monta, e fa’ ch’el tuo signore
mi mandi un cavallier di te migliore. –
70
El Re Aphrican, che con sua gran famiglia
era su i muri alla giostra vicino,
del cortese atto assai si maraviglia
ch’usato ha la donzella a Serpentino.
– Di ragion può pigliarlo, e non lo piglia, –
diceva, udendo il popul saracino.
Serpentin giunge, e come ella commanda,
un miglior da sua parte al Re dimanda.
71
Grandonio di Volterna furibondo,
el più superbo cavallier di Spagna,
pregando fece sì, che fu il secondo,
et uscì con minaccie alla campagna.
Disse l’altier: – Vàgliate nulla al mondo
tua cortesia, che quando tu rimagna
vinto da me, prigion menar ti voglio;
ma qui morrai, s’io posso come soglio. –
72
La donna disse a lui: – Tua villania
non vuo’ che men cortese far mi possa,
ch’io non ti dica che tu torni pria
che del duro terren ti doglian l’ossa.
Ritorna, e di’ al tuo Re da parte mia
che per simili a te non mi son mossa;
ma per trovar guerrier ch’el pregio vaglia
son qui venuta a dimandar battaglia. –
73
Il mordace parlar, acre et acerbo,
gran fuoco al cor del Saracino attizza;
sì che senza poter replicar verbo
volta il caval con chòlera e con stizza.
Volta la donna, e contra quel superbo
la lancia d’oro et Rabicano drizza:
come l’hasta fatal nel scudo tocca,
coi piedi al ciel di sella lo trabbocca.
74
Il caval la magnanima guerriera
gli prese, e disse: – Pur t’el predissi io
che far la mia ambasciata meglio t’era,
che de la giostra haver tanto disio.
Di’ al Re, ti prego, che fuor de la schiera
elegga un cavallier che sia par mio;
né voglia con voi altri affaticarmi,
che havete poca experïentia d’armi. –
75
Quelli da i merli, che stimar non sanno
chi sia il guerriero in su l’arcion sì saldo,
quei più famosi nominando vanno
che tremar li fan spesso al maggior caldo:
che Brandimarte sia, molti detto hanno;
la più parte s’accorda esser Rinaldo;
molti su Orlando havrian fatto disegno,
ma il suo caso sapean di pietà degno.
76
La terza giostra il figlio di Lanfusa
chiedendo, disse: – Non che vincer speri,
ma perché di cader più degna scusa
habbian, cadendo anch’io, questi guerrieri. –
E poi di tutto quel che in giostra s’usa
si messe in punto; e di cento destrieri
che tenea in stalla, d’un tolse l’eletta,
c’havea il correre acconcio, e di gran fretta.
77
Contra la donna per giostrar si fece;
ma prima salutolla, et ella lui.
Disse la donna: – Se saper mi lece,
ditemi in cortesia chi sète vui. –
Di questo Ferraù le satisfece,
che rado usò voler celarsi altrui.
Ella suggiunse: – Voi già non rifiuto,
ma havria più volentier altri voluto. –
78
– E chi? – Ferraù disse. Ella rispose:
– Ruggiero… – e a pena il puòte proferire;
e sparse d’un color come di rose
la bellissima faccia in questo dire;
suggiunse al detto poi: – …le cui famose
lode a tal prova m’han fatto venire;
altro non bramo, e d’altro non mi cale,
che di provar come egli in giostra vale. –
79
Semplicemente disse le parole
che forse alcuno ha già prese a malitia.
Rispose Ferraù: – Prima si vuole
provar tra noi chi sa più di militia.
Se di me avien quel che de molti suole,
poi verrà ad emendar la mia tristitia
quel gentil cavallier che tu dimostri
haver tanto desir che teco giostri. –
80
Parlando tuttavolta la donzella
teneva la visera alta dal viso.
Mirando Ferraù la faccia bella,
si sente rimaner mezo conquiso,
e taciturno dentro a sé favella:
– Questo un angel mi par del paradiso;
et anchor che con lancia non mi tocchi,
abbattuto son già da’ suoi belli occhi. –
81
Preson del campo; e come agli altri avenne,
Ferraù se n’uscì di sella netto.
Bradamante il caval suo gli ritenne,
e disse: – Torna, e serva quel c’hai detto. –
Ferraù vergognoso se ne venne,
e ritrovò Ruggier ch’era al conspetto
del Re Agramante; e gli fece sapere
ch’alla battaglia il cavallier lo chere.
82
Ruggier non connoscendo anchor chi fosse
chi a sfidar lo mandava alla battaglia,
quasi certo di vincere, allegrosse,
e le piastre arrecar fece e la maglia;
né l’haver visto alle gravi percosse
che li altri sian caduti il cor gli smaglia:
come s’armasse, e come uscisse, e quanto
poi ne seguì, lo serbo a l’altro canto.