CANTO VIGESIMOSECONDO
1
Chi mette il piè su l’amorosa pania
cerchi ritrarlo, e non v’inveschi l’ale;
che non è in somma Amor se non insania,
a giudicio de’ savi universale;
e se ben come Orlando ognun non smania,
suo furor mostra a qualche altro segnale:
e quale è di pazzia segno più expresso
che, per cercar altrui, perder se stesso?
2
Varii li effetti son, ma la pazzia
è tutt’una perhò, che li fa uscire.
È come una gran selva, ove la via
conviene a forza, a chi vi va, fallire:
chi ’n su, chi ’n giù, chi qua, chi là travìa.
Per concludere in summa io vuo’ ben dire:
a chi in amor s’invecchia, oltra ogni pena,
ch’il ceppo si conviene e la catena.
3
Ben si mi potria dir: – Frate, tu vai
l’altrui mostrando, e non vedi il tuo fallo. –
Io vi rispondo che comprendo assai,
hor che di mente ho lucido intervallo;
et ho gran cura, e spero farlo hormai,
di riposarmi e lasciar li altri in ballo:
ma come vorrei presto, far nol posso;
ch’el male è penetrato insino al osso.
4
Signori, in l’altro canto io vi dicea
ch’el forsennato e furïoso Orlando
trattese l’arme e sparse al campo havea,
squarciati i panni e via gettato il brando,
svelte le piante, e risonar facea
li cavi sassi e l’alte selve; quando
alcun’ pastori al suon trasse in quel lato
lor stella, o qualche lor grave peccato.
5
Come videro il stolto e le gran prove,
ch’erano indicio di sua forza estrema,
vorrebbeno esser capitati altrove,
che del futuro male haveano tema.
Come vede egli lor, contra si move:
uno ne piglia, e de la testa il scema
con la facilità che torria alcuno
fior dal suo stelo, o dal suo ramo il pruno.
6
Per una gamba il grave tronco prese,
e quello usò per mazza adosso al resto:
un pare in terra addormentato stese,
ch’al novissimo dì forse fia desto.
Li altri sgombraro subito il paese,
c’hebbeno il piede e il buono aviso presto.
Non saria stato il pazzo a seguir lento,
se non ch’era già volto al loro armento.
7
Li agricultori, accorti al’altrui exempli,
lascian ne’ campi aratri e marre e falci:
chi monta su le case, chi su i templi;
che sicuri non hanno Olmi né Salci;
chi su le torri, onde lontan contempli
l’alto furor, ch’a pugni e morsi e calci
cavalli e buoi con l’altro armento strugge;
e ben è corridor chi da lui fugge.
8
Già potreste sentir come ribombe
l’alto rumor ne le propinque ville
d’urli, de corni e rusticane trombe,
e più che d’altro, il spesso suon di squille;
e con spuntoni et archi e spiedi e frombe
veder da’ monti sdrucciolarne mille,
et altritanti andar da basso ad alto,
per fare al pazzo un villanesco assalto.
9
Qual venir suol nel salso lito l’onda
mossa dal Austro ch’a principio scherza,
che maggior de la prima è la seconda,
e con più forza poi segue la terza;
et ogni volta più l’humore abonda,
tanto che li arenosi argini sferza:
tal contra Orlando l’empia turba cresce,
che giù da balze scende e di valli esce.
10
Fece morir diece persone e diece,
che senza ordine alcun gli andaro in mano:
e questo chiaro experimento fece,
ch’era assai più sicur starne lontano.
Trar sangue da quel corpo a nessun lece,
che lo fere e percuote il ferro invano:
al Conte il Re del ciel tal gratia diede
per porlo a guardia di sua santa fede.
11
Era a periglio di morire Orlando,
se fusse di morir stato capace;
potea imparar ch’era a lasciare il brando,
e poi voler senz’arme essere audace.
La turba già s’andava ritirando,
vedendo ogni suo colpo uscir fallace.
Si trasse al fine Orlando sotto un tetto,
ch’a pena il fiato haver potea dal petto.
12
Dentro non vi trovò piccol né grande;
ch’el borgo ognun per tema havea lasciato.
V’erano in copia povere vivande,
convenïenti a un pastorale stato:
senza scernere il pane da le giande,
Orlando in quel che prima hebbe parato,
o cotto o crudo, furïosamente
tutto a un tempo cacciò le mani e il dente.
13
Quindi vagando per tutto il paese,
dava la caccia a gli huomini e alle fiere;
e scorrendo pei boschi talhor prese
li capri snelli e le damme leggiere.
Spesso con orsi e con cingial contese,
e con man nude li pose a giacere:
e d’essi crudi con tutta la spoglia
se n’empì ’l ventre fin che n’hebbe voglia.
14
Di qua di là, di su di giù discorre
per tutta Francia; e un giorno a un ponte arriva,
sotto cui larga e piena d’acqua corre
una rivera, e in su la verde riva
vede ch’edificata era una torre
che d’ognintorno assai lontan scopriva.
Quel che fe’ quivi havete altrove a udire;
che di Zerbin mi convien prima dire.
15
Zerbino, poi ch’Orlando fu partito,
dimorò alquanto, e poi prese il sentiero
ch’el Paladino inanzi gli havea trito,
e mosse a passo lento il suo destriero.
Non credo che duo miglia ancho fusse ito,
che trar vide legato un cavalliero
sopra un ronzino, e in l’uno e in l’altro lato
la guardia haver d’un cavallier armato.
16
Zerbin questo prigion connobbe tosto
che gli fu appresso, e così fe’ Issabella:
era Odorico il Biscaglin, che posto
fu come lupo a guardia de l’agnella.
A tutti li altri amici lui preposto
havea Zerbin, credendosi che quella
fede, ch’in lui vide a gran prove inante,
devesse ancho in amor esser constante.
17
Come era a punto quella cosa stata
venìa Issabella raccontando allhotta:
come nel palaschermo fu salvata
prima c’havesse il mar la nave rotta;
la forza che l’havea Odorico usata;
e come tratta poi fusse alla grotta.
Né giunto era ancho al fin questo sermone,
che trarre il malfattor vider prigione.
18
Li dui ch’in mezo havean preso Odorico,
d’Issabella notitia hebbeno vera;
e per lei si avisaron ch’el suo amico
Zerbin fusse colui che appresso l’era,
ma più perché nel scudo il segno antico
dipinto havea de la sua stirpe altiera:
e trovâr poi, che vider meglio il viso,
che s’era al vero apposto il loro aviso.
19
Scesero de’ cavalli, e con le braccia
aperte se n’andâr verso Zerbino,
e l’abbracciâr dove il maggior s’abbraccia,
col capo nudo e col ginocchio chino.
Zerbin, guardando l’uno e l’altro in faccia,
vide esser l’un Corebo il Biscaglino,
Almonio l’altro, ch’egli havea mandato
con Odorico in sul naviglio armato.
20
Almonio disse: – Poi che piace a Dio
(la sua mercé) che sia Issabella teco,
ben mi posso pensar che, signor mio,
nulla di nuovo alle tue orecchie arreco,
s’i’ vuo’ dir la cagion che questo rio
ti fa veder così legato meco;
che da costei, che più sentì l’offesa,
a punto havrai tutta l’historia intesa.
21
Come dal traditor io fui schernito
quando da sé levommi, saper déi;
e come poi Corebo fu ferito
per tôrse la difesa di costei.
Ma quanto al mio ritorno sia seguito,
né veduto né inteso fu da lei,
sì che l’habbia potuto referire:
di questa parte dunque i’ ti vuo’ dire.
22
Da la cittade al mar ratto io veniva
con cavalli ch’in fretta havea trovati,
sempre con gli occhi intenti s’io scopriva
venir costor ch’a drieto eran restati.
Io vengo inanzi, io vengo in su la riva
del mare, al luoco ove io li havea lasciati;
io guardo, né di loro altro ritruovo
che ne l’arena alcun vestigio nuovo.
23
La pésta seguitai, che mi condusse
nel bosco fier; né molto adentro fui,
ch’el gemito l’orecchie mi percusse
di Corebo ferito: io venni a lui;
gli dimandai che de la donna fusse,
che d’Odorico, egli di man di cui
giacea ferito; e poi ch’el tutto seppi,
molto cercando andai per quelli greppi.
24
Molto aggirando vommi, e per quel giorno
altro vestigio ritrovar non posso.
Dove giacea Corebo al fin ritorno,
che fatto appresso havea ’l terren sì rosso,
che poco più che vi facea soggiorno
gli serìa stato di bisogno un fosso
e li becchini più per sotterrarlo,
che li medici e il letto per sanarlo.
25
Al me’ ch’io seppi in la città portallo,
e posi in casa d’uno hostier mio amico,
che fatto sano in poco termine hallo
per cura et arte d’un chirurgo antico.
Poi d’arme proveduti e di cavallo,
Corebo et io cercammo d’Odorico,
e in corte del Re Alfonso di Biscaglia
trovallo; e quivi fui seco a battaglia.
26
La giustitia del Re, che mi diè franco
el luoco de la pugna, la ragione
ch’era per me, la buona Fortuna ancho,
che spesso la vittoria ove vuol pone,
mi giovâr sì, che di me puoté manco
el traditore, onde fu mio prigione.
Il Re, udito il gran fallo, mi concesse
poterlo trarre ovunque mi piacesse.
27
Non l’ho voluto uccider né lasciarlo,
ma, come vedi, trarloti in catena,
perché vuo’ ch’a te stia di giudicarlo,
se de’ morir o de’ tenersi in pena.
L’haver inteso ch’eri appresso a Carlo,
e il desir di trovarti, qui mi mena:
ringratio Dio che mi fa in questa parte,
prima ch’io lo sperassi, ritrovarte.
28
Ringratiolo ancho che la tua Issabella
io veggio (e non so come) che teco hai;
di cui (per opra del fellon) novella
pensai che non havessi ad udir mai. –
Zerbino ascolta Almonio e non favella,
fermando gli occhi in Odorico assai;
non sì per odio, come che gl’incresce
ch’a sì mal fin tanta amicitia gli esce.
29
Finito c’hebbe Almonio il suo sermone,
Zerbin riman gran pezzo sbigottito,
che chi d’ogn’altro men n’havea cagione
sì expressamente il possa haver tradito.
Ma poi che d’una lunga ammiratione
fu, sospirando, finalmente uscito,
al prigion dimandò se fusse vero
quel c’havea di lui detto il cavalliero.
30
El disleal con le ginocchia in terra
lasciò cadersi, e disse: – Signor mio,
ognun che vive al mondo pecca et erra;
né differisce in altro il buono e il rio,
che l’uno è vinto ad ogni poca guerra
che gli vien mossa da un piccol disio,
l’altro ricorre all’arme e se difende:
ma se ’l nemico è forte, al fin si rende.
31
Se tu m’havessi posto alla difesa
d’una tua ròcca, e ch’al primiero assalto
alzato havessi senza far contesa
de li nemici le bandiere in alto,
di viltà o tradimento, che più pesa,
mi si potrebbe por su gli occhi un smalto:
ma s’io cedessi a forza, son ben certo
che biasmo non havrei, ma gloria e merto.
32
Quanto ha havuto inimico più possente,
tanto chi perde ha più accettabil scusa.
Mia fé guardar devea non altrimente
ch’una fortezza d’ognintorno chiusa:
così, con quanta forza e quanta mente
è stata in me, con la più guardia ch’usa
buon castellan, guardalla fin che, vinto
da intolerando assalto, ne fui spinto. –
33
Così disse Odorico, e poi suggiunse,
che fôra lungo a ricontarvi il tutto,
mostrando che gran stimolo lo punse,
e non per lieve sferza s’era indutto.
Se mai per prieghi ira di cor s’emunse,
s’humiltà di parlar fece mai frutto,
quivi far lo devea; che ciò che muova
di cor durezza, hora Odorico truova.
34
Pigliar di tanta ingiuria alta vendetta
tra ’l sì Zerbino e il non stassi confuso:
el vedere il demerito lo alletta
a far che sia il fellon di vita excluso;
el ricordarsi l’amicitia stretta,
ch’era stata tra lor per sì lungo uso,
con l’acqua di pietà l’accesa rabbia
nel cor gli spegne, e vuol che mercé ne habbia.
35
Parte era in dubbio, e non sapea risciorse
di liberare o di menar captivo;
o pur il disleal da gli occhi tôrse
per morte, o pur tenerlo in pena vivo.
Quivi rignando il palafreno corse
che Mandricardo havea di briglia privo;
e vi portò la vecchia che vicino
dianzi condotto a morte havea Zerbino.
36
El caval, che sentito di lontano
havea quest’altri, era tra lor venuto
e la vecchia portatavi, ch’invano
venìa piangendo e dimandando aiuto.
Come Zerbin lei vide, alzò la mano
al ciel, che sì benigno gli era suto,
che datogli in arbitrio havea li dui
che soli odiati al mondo eran da lui.
37
Zerbin fa ritener la mala vecchia,
tanto che pensi quel che far ne deve:
tagliar le pensa l’una e l’altra orecchia
col naso, e gli par poi la pena lieve;
gli par meglio s’un pasto n’apparecchia,
se li avoltori e i corvi ne riceve.
Punitïon diversa tra sé volve;
e così finalmente se risolve.
38
Si volse alli compagni, e disse: – Io sono
di lasciar vivo il disleal contento;
che s’in tutto non merita perdono,
non merita ancho sì crudel tormento:
che viva e che slegato sia gli dono,
perhò che esser d’Amor la colpa sento;
e per scusa accettabile se admette
quando in Amor la colpa si reflette.
39
Amor ha volto sottosopra spesso
senno più saldo che non ha costui,
et ha condotto a via maggiore excesso
di questo, ch’oltraggiato ha tutti nui.
Ad Odorico debbe esser rimesso:
punito esser debbo io, che cieco fui
a dargli quella impresa, e non por mente
ch’el fuoco arde la paglia facilmente. –
40
Poi mirando Odorico: – Io vuo’ che sia
(gli disse) del tuo error la penitenza
che la vecchia habbi un anno in compagnia,
né di lasciarla mai ti sia licenza;
ma notte e giorno, o tu ne vada o stia,
un’hora mai non te ne trovi senza;
e sin a morte sia da te difesa
contra ciascun che voglia farle offesa.
41
Vuo’, se da lei ti serà commandato,
che pigli contra ognun contesa e guerra:
vuo’ in questo tempo che tu sia ubligato
tutta Francia cercar di terra in terra. –
Così dicea Zerbin; che pel peccato
meritando Odorico andar sotterra,
questo era inanzi ponerli una fossa,
che fia gran sorte che schivar la possa.
42
Haveva e donne e cavallier traditi
la vecchia, e in mille modi offesi tanti,
che chi serà con lei, non senza liti
potrà passar de’ cavallieri erranti.
Così di par seranno ambo puniti:
ella de’ suoi commessi errori tanti,
egli di tôrne la difesa a torto;
non molto potrà andar che ne fia morto.
43
Di dever servar questo, Zerbin diede
ad Odorico un giuramento forte,
con patto che se mai rompe la fede
e ch’inanzi gli càpiti per sorte,
senza udir prieghi e haverne più mercede,
lo debbia far morir di cruda morte.
Ad Almonio e Corebo poi rivolto,
fece Zerbin che fu Odorico sciolto.
44
Corebo, consentendo Almonio, sciolse
il traditore al fin, ma non in fretta;
ch’all’uno e all’altro esser turbato dolse
da sì desiderata sua vendetta.
Quindi partissi il disleale, e tolse
in compagnia la vecchia maledetta.
Non si legge in Turpin che n’avenisse;
ma vidi già uno author che più ne scrisse.
45
Scrive l’authore, il cui nome mi taccio,
che non furo lontani una giornata,
che per tôrse Odorico quello impaccio,
contra li patti et ogni fede data,
al collo di Gabrina gettò un laccio
e che ad un olmo la lasciò impiccata;
e ch’indi a un anno (ma non dice il luoco)
Almonio a lui fece il medesmo giuoco.
46
Zerbin, che drieto era venuto all’orma
del Paladin, né perder la vorrebbe,
manda a dar di sé nuove alla sua torma,
che non senza gran dubbio esser ne debbe:
Almonio manda, e di più cose informa,
che lungo tutto il ricontar sarebbe;
Almonio manda, e a lui Corebo appresso;
né tien, fuor che Issabella, altri con esso.
47
Tanto era l’amor grande che Zerbino,
e non minor del suo quel che Issabella
portava al virtüoso Paladino;
tanto il disir d’intenderne novella
ch’egli havesse trovato il Saracino
che da caval lo trasse con la sella;
che non voleano uscir di quei contorni
se non dopo il successo di tre giorni,
48
el termine che Orlando aspettar disse
el cavallier ch’anchor non porta spada.
Non è alcun luoco dove il Conte gisse
che Zerbin pel medesimo non vada.
Giunse al fin tra quell’arbori che scrisse
l’ingrata donna, perché de la strada
ch’Orlando fatta havea non si partia,
di giorno in giorno havendo di lui spia.
49
Vede in l’herba non sa che luminoso,
e truova la corazza esser del Conte;
e truova l’elmo poi, non quel famoso
ch’armò già il capo all’Aphricano Aimonte.
El caval ne la selva più nascoso
sente annitrire, e leva al suon la fronte:
e vede Brigliador pascer per l’herba,
che da l’arcion pendente il freno serba.
50
Durindana cercò per la foresta,
e ritrovolla senza il fodro starse;
trovò, ma in pezzi, anchor la sopravesta
ch’in cento luochi il miser Conte sparse.
Issabella e Zerbin con faccia mesta
stanno mirando, e non san che pensarse:
pensar potrian tutte le cose, excetto
che fusse Orlando fuor del intelletto.
51
Se di sangue vedessino una goccia,
creduto havrian che fusse stato morto.
Intanto lungo alla corrente doccia
vider venire un pastorello smorto:
costui pur dianzi havea di su la roccia
l’alto furor de l’infelice scorto,
come l’arme gettò, squarciossi i panni,
pastori uccise, e fe’ mill’altri danni.
52
Costui, richiesto da Zerbin, gli diede
vera informatïon di tutto questo.
Zerbin si maraviglia, e a pena il crede;
e tuttavia n’ha indicio manifesto.
Sia come vuole, egli discende a piede,
pien di pietade e suspiroso e mesto;
e ricogliendo da diversa parte
le reliquie ne va ch’erano sparte.
53
Del palafren discende ancho Issabella,
e va quell’arme riducendo insieme.
Ecco lor sopraviene una donzella
dolente in vista, e di cor spesso geme.
Se mi dimanda alcun chi sia, perché ella
così s’afflige, e che dolor la preme,
io gli risponderò che è Fiordiligi
ch’invan del suo amator cerca vestigi.
54
Da Brandimarte senza farle motto
lasciata fu ne la città di Carlo,
dov’ella l’aspettò sei mesi od otto;
e quando al fin non vide ritornarlo,
da un mar all’altro si mise, fin sotto
Pyrene e l’Alpe, e per tutto a cercarlo:
l’andò cercando in ogni parte, fuore
ch’al palazzo d’Atlante incantatore.
55
Se fusse stata ancho al hostel d’Atlante,
veder l’havria potuto andar errando
con Gradasso, Ruggier e Bradamante,
e con Feraù prima e con Orlando;
disfatta la magion del Negromante,
tornato era a Parigi, disïando
trovare il Conte, che non s’era udito
ch’el miser fosse d’intelletto uscito.
56
Come io vi dico, sopraggiunta a caso
alli duo amanti Fiordiligi bella,
connobbe l’arme e Brigliador rimaso
senza il patrone e col freno alla sella.
Vide con gli occhi il miserabil caso,
e n’hebbe per udita ancho novella;
che per certezza il pastorel narrolle
che veduto havea Orlando correr folle.
57
Quivi Zerbin tutte raguna l’arme,
e ne fa come un bel tropheo s’un pino;
e volendo vietar che non se n’arme
cavallier del paese o peregrino,
scrive nel verde ceppo in breve carme:
Armatura d’Orlando paladino;
come volesse dir: nessun la muova
che star non possa con Orlando a prova.
58
Finito c’hebbe la lodevol opra,
tornava a rimontar il suo destriero;
et ecco Mandricardo arrivar sopra,
che visto ha el pin di quelle spoglie altiero:
lo priega che la cosa gli discopra;
e quel gli narra come ha inteso il vero.
Allhora il Re pagan lieto non bada,
che venne al pino e se ne tol la spada,
59
dicendo: – Alcun non me ne può riprendere;
non è pur hoggi ch’io l’ho fatta mia,
e lo possesso giustamente prendere
ne posso in ogni parte ovunque sia.
Orlando per timor di la difendere
s’ha finto pazzo, e l’ha gettata via;
ma quando sua viltà pur così excusi,
non potrà far che mie ragion non usi. –
60
Zerbino a lui gridava: – Non la tôrre,
o pensa non la haver senza questione.
Se togliesti così l’arme di Hettorre,
tu le hai di furto, più che di ragione. –
Senza altro dir l’un sopra l’altro corre,
d’animo e di virtù gran paragone:
di cento colpi già ribomba il suono,
e a pena in la battaglia intrati sono.
61
Di prestezza Zerbin pare una fiamma
a tôrsi ovunque Durindana cada:
di qua e di là saltar come una damma
fa il suo destrier dove è miglior la strada.
E ben convien che non ne perda dramma;
ch’un colpo sol che lui con quella spada
il Pagan giunge, il può mandar fra i spirti
ch’empion la selva de li ombrosi myrti.
62
Come il veloce can che il porco assalta
che fuor del gregge errar veggia ne’ campi,
il va aggirando, e quinci e quindi salta;
e quello attende ch’una volta inciampi:
così Zerbino, che se bassa od alta
venga la spada, e per qual via ne scampi;
come la vita e l’honor salvi a un tempo
tien sempre l’occhio, e fere e fugge a tempo.
63
Da l’altra parte, ovunque il Saracino
la fera spada vibra o piena o vuota,
sembra fra due montagne un vento alpino
ch’una frondosa selva il marzo scuota;
c’hora la caccia a terra e a capo chino,
hora i spezzati rami in aria ruota.
Ben che Zerbin più colpi e fùggia e schivi,
non può schivar al fin ch’un non gli arrivi.
64
Al fin schivar non puote un gran fendente
che tra la spada e il scudo intrò sul petto.
Grosso l’usbergo, e grossa parimente
era la piastra, e il panciron perfetto;
pur non gli steron contra, et ugualmente
alla spada crudel dieron ricetto:
quella tagliò, calando, ciò che prese,
la corazza e l’arcion fin su l’arnese.
65
E se non che fu scarso il colpo alquanto,
pel mezo lo fendea come una canna;
ma penetra nel vivo a pena tanto,
che poco più che la pelle gli danna:
la non profunda piaga è lunga quanto
non si misureria con una spanna.
Le lucide arme il caldo sangue irriga
per sino al piè di rubiconda riga.
66
Così talhor d’un bel purpureo nastro
ho veduto partir tela d’argento
da quella bianca man più ch’alabastro,
da cui partir il cor spesso mi sento.
Quivi poco a Zerbin val esser mastro
di guerra, haver gran forza e più ardimento;
che di finezza d’arme e di possanza,
di troppo il Re de’ Tartari l’avanza.
67
Fu questo colpo del Pagan maggiore
in apparenza, che fusse in effetto;
tal che Issabella se ne sente il core
fender per mezo in l’aggiacciato petto.
Zerbin pien d’ardimento e di valore
tutto se infiamma d’ira e di dispetto;
e quanto più ferire a due man pote,
in mezo l’elmo el Tartaro percuote.
68
Quasi sul collo del caval piegosse
per l’aspra botta il Saracin superbo;
e quando l’elmo senza incanto fosse,
partito il capo gli havria il colpo acerbo.
Con poco differir ben vendicosse,
né disse: A un’altra volta io te la serbo;
e la spada gli alzò verso l’elmetto,
sperandosi tagliarlo insino al petto.
69
Zerbin, che tenea l’occhio ove la mente,
presto il caval alla man destra volse;
ma non puoté fuggir così repente,
che Mandricardo in sul scudo gli colse.
Dal summo ad imo lo partì ugualmente,
e di sotto il braccial ruppe e disciolse;
e lo ferì nel braccio, e poi l’arnese
spezzolli, e ne la coscia gli discese.
70
Zerbin di qua e di là cerca ogni via,
né mai, di quel che vuol, cosa gli aviene;
che l’armatura dove egli ferìa
un piccol segno pur non ne ritiene.
Da l’altra parte il Re di Tartaria
sopra Zerbino a tal vantaggio viene,
che l’ha ferito in sette parti o in otto,
toltogli il scudo e mezo l’elmo rotto.
71
Quel tuttavia più va perdendo il sangue;
manca la forza, e anchor par che nol senta:
el vigoroso cor che nulla langue
val sì, che ’l debil corpo ne sustenta.
Sua donna intanto, pallida et exangue,
piangendo a Doralice s’appresenta,
e la priega e la supplica per Dio
che partir voglia il fero assalto e rio.
72
Cortese come bella, Doralice,
né ben sicura come il fatto segua,
fa volentier quel che Issabella dice,
e dispone il suo amante a pace e triegua.
Così a’ prieghi de l’altra l’ira ultrice
di cor fugge a Zerbino e si dilegua:
et egli, ove a lei par, piglia la strada,
senza finir l’impresa de la spada.
73
Fiordiligi, che mal vede difesa
la buona spada del misero Conte,
tacita duolse, e tanto le ne pesa
che d’ira piange e battesi la fronte.
Vorria haver Brandimarte a quella impresa;
e se mai lo ritruova e gli lo conte,
non crede poi che Mandricardo vada
lunga stagion altier di quella spada.
74
Fiordiligi cercando pure invano
va Brandimarte suo matino e sera;
e fa camin da lui molto lontano,
da lui che già tornato a Parigi era.
Ella tanto vagò per monte e piano
che giunse ove, al passar d’una rivera,
vide e connobbe il stolto Paladino;
ma diciàn quel che avenne di Zerbino:
75
ch’el lasciar Durindana sì gran fallo
gli par, che più d’ogni altro mal gl’incresce,
quantunque a pena star possa a cavallo
pel molto sangue che gli è uscito et esce.
Hor poi che dopo non troppo intervallo
cessa con l’ira il caldo, il dolor cresce:
cresce il dolor sì impetüosamente,
che mancarsi la vita se ne sente.
76
Per debolezza più non potea gire;
sì che fermossi appresso una fontana.
Non sa che farsi o che si debbia dire
per aiutarlo la donzella humana:
sol di disagio lo vede morire;
che quindi è troppo ogni città lontana,
dove in tanto uopo al medico ricorra
che per pietade o premio gli soccorra.
77
Ella non sa se non invan dolersi,
chiamar fortuna e il ciel empio e crudele:
– Perché, ahi lassa! (dicea) non mi summersi
quando levai nel Oceàn le vele? –
Zerbin, che i languidi occhi ha in lei conversi,
sente più doglia ch’essa si querele,
che de la passïon tenace e forte
che l’ha condutto hormai vicino a morte.
78
– Così, cor mio, vogliate – le diceva –
dopo ch’io sarò morto amarmi anchora,
come solo il lasciarvi è che m’aggreva
qui senza guida, e non già perch’io mora:
che se in sicura parte m’accadeva
finir de la mia vita l’ultima hora,
lieto e contento e fortunato a pieno
morto sarei, poi ch’io vi moro in seno.
79
Ma poi ch’el mio destino iniquo e duro
vol ch’io ve lasci, e non so in man di cui;
per questa bocca e per questi occhi giuro,
per queste chiome onde allacciato fui,
che disperato in lo profondo oscuro
vo de lo inferno, ove il pensar di vui,
che habbia così lasciata, assai più ria
serà d’ogn’altra pena che vi sia. –
80
A questo la mestissima Issabella,
declinando la faccia lachrymosa
e congiungendo la sua bocca a quella
di Zerbin, languidetta come rosa,
rosa non colta in sua stagion, sì ch’ella
impallidisca in la siepe spinosa,
disse: – Non vi pensate già, mia vita,
far senza me quest’ultima partita.
81
Di ciò, cor mio, nessun timor vi tocchi;
ch’io vuo’ seguirvi o ’n cielo o ne lo inferno:
convien ch’un spirto e l’altro insieme scocchi,
insieme vada e insieme stia in eterno.
Non sì presto vedrò chiudervi gli occhi,
o che me ucciderà il dolor interno,
o se quel non può tanto, io vi prometto
con questa spada hoggi passarmi il petto.
82
De’ corpi nostri ho anchor non poca speme
che me’ morti che vivi habbian ventura.
Quivi alcun forse venirà ch’insieme,
mosso a pietà, li porrà in sepultura. –
Così dicendo, le reliquie estreme
del vital spirto che morte le fura
ne va cogliendo con le labra meste,
fin che una minima aura ve ne reste.
83
Zerbin, la debil voce riforzando,
disse: – Io vi priego e supplico, mia diva,
per quel amor che mi mostraste quando
per me lasciaste la paterna riva;
e se commandar posso, io vel commando,
che fin che piaccia a Dio restiate viva;
né mai per caso poniate in oblio
che quanto amar si può v’habbia amato io.
84
Dio vi provederà d’aiuto forse
per liberarvi da ogni atto villano,
come fe’ quando alla spelonca torse,
per indi trarve, il Senator Romano.
Così (la sua mercé) già vi soccorse
nel mare e contra il Biscaglin profano:
e se pur averrà che poi si deggia
morir, allhora il minor mal si eleggia. –
85
Non credo che queste ultime parole
potesse exprimer sì, che fusse inteso;
e finì come il debil lume suole,
cui cera manchi od altro in che sia acceso.
Chi potrà dir a pien come si duole,
poi che si vede pallido e disteso,
la giovanetta, e freddo come giaccio
il suo caro Zerbin restare in braccio?
86
Sopra il sanguigno corpo s’abbandona,
e di copiose lachryme lo bagna;
e stride sì, ch’intorno ne risuona
a molte miglia il bosco e la campagna.
Né alle guancie né al petto si perdona,
che l’uno e l’altro non percuota e fragna;
e straccia a torto l’auree crespe chiome,
chiamando sempre invan l’amato nome.
87
In tanta rabbia, in tal furor summersa
l’havea la doglia sua, che facilmente
havria la spada in se stessa conversa,
poco al suo amante in questo ubidïente;
s’uno Eremita, ch’alla fresca e tersa
fonte havea usanza di tornar sovente
da la sua quindi non lontana cella,
non s’opponea (venendo) al voler d’ella.
88
Il venerabil huom, ch’alta bontade
havea congiunta a natural prudentia,
et era tutto pien di charitade,
di buoni exempi ornato e d’eloquentia,
alla dolente giovane suade
con ragioni efficaci patïentia;
e quivi pon di molte inanti il specchio,
volvendo il nuovo Testamento e il vecchio.
89
Poi le fece veder come non fusse
alcun, se non in Dio, vero contento,
e ch’eran l’altre transitorie e flusse
speranze humane, e di poco momento;
e tanto seppe dir, che la ridusse
da quel crudel et ostinato intento,
che sua vita sequente hebbe disio
tutta dicar al servigio di Dio.
90
Non che lasciar del suo signor voglia unque
né il grande amor, né le reliquie morte:
convien che l’habbia ovunque stia et ovunque
vada, che seco e notte e dì le porte.
Quindi aiutando l’Eremita adunque,
ch’era de la sua età valido e forte,
sul mesto caval suo Zerbin tornaro,
e molti dì per quelle selve andaro.
91
Non vòlse il cauto vecchio ridur seco,
sola con solo, la giovane bella
là dove ascosa in un selvaggio speco
non lungi havea la solitaria cella,
fra sé dicendo: Con periglio arreco
in una man la paglia e la facella.
Né si fida in sua età né in sua prudentia,
che di sé faccia tanta experïentia.
92
Di condurla in Provenza hebbe pensiero,
non lontano a Marsilia in un castello,
dove di sante donne un monastiero
ricchissimo era, e d’edificii bello:
e per portarne il morto cavalliero,
composto in una cassa haveano quello,
che in un castel (ch’era tra via) si fece
lunga e capace, e ben chiusa di pece.
93
Più e più giorni gran spatio di terra
cercaro, e sempre per luochi più inculti;
che pieno essendo ogni cosa di guerra,
voleano gir più che poteano occulti.
M’al fine un cavallier la via lor serra,
che lor fe’ oltraggi e dishonesti insulti,
di cui dirò quando il suo luoco fia:
adesso torno al Re di Tartaria.
94
Havuto c’hebbe la battaglia fine
ch’io vi narrai di sopra, si raccolse
alle fresche ombre e a l’onde crystalline;
et al destrier la sella e il freno tolse,
e lo lasciò per l’herbe tenerine
del prato andar pascendo ove egli vòlse:
ma non ste’ guari che vide lontano
calar dal monte un cavallier al piano.
95
Connobel, come prima alzò la fronte,
Doralice, e mostrollo a Mandricardo,
dicendo: – Ecco il superbo Rodomonte,
se non m’inganna di lontano il sguardo.
Per far teco battaglia cala il monte:
hor ti farà mestier l’esser gagliardo.
Perduta havermi a grande ingiuria tiene,
ch’ero sua sposa, e a vendicar si viene. –
96
Qual buon astor che l’anitra o la aceggia,
starna o colombo o simil altro augello
venirsi incontro di lontano veggia,
leva la testa e si fa lieto e bello;
tal Mandricardo, come certo deggia
di Rodomonte far strage e macello,
con letitia e baldanza il destrier piglia,
le staffe a i piedi, e dà alla man la briglia.
97
Quando vicini fur, sì che udir chiare
tra lor poteansi le parole altiere,
con le mane e col capo a minacciare
incominciò gridando il Re d’Algere,
ch’a penitenza gli faria tornare
che per un temerario suo piacere
non havesse rispetto provocarsi
lui ch’altamente era per vendicarsi.
98
Rispose Mandricardo: – Indarno tenta
chi mi vuol impaurir per minacciarmi:
così fanciulli o femine spaventa,
o altri che non sappia che sieno armi;
me non, cui la battaglia più talenta
d’ogni riposo; e son per adoprarmi
a piè, a cavallo, in squadra e nel steccato,
così senza armatura come armato. –
99
Ecco sono alli oltraggi, al grido, al’ire,
al trar de’ brandi, al crudel suon de’ ferri;
come vento che prima agevol spire,
poi cominci a crollar frassini e cerri,
et indi oscura polve in cielo aggire,
indi li arbori svella e case atterri,
summerga in mar, e porti ria tempesta
ch’el sparso armento uccida alla foresta.
100
De’ dui pagani, sanza pare in terra,
li audacissimi cori e forze estreme
parturiscono colpi et una guerra
convenïente a sì feroce seme.
Del grande e horribil suon trema la terra
quando le spade son percosse insieme:
gettano l’arme insino al ciel scintille,
anzi lampadi accese a mille a mille.
101
Sanza mai riposarsi o pigliar fiato
dura fra li dui Regi aspra battaglia,
tentando hora da questo, hor da quel lato
aprir le piastre e penetrar la maglia.
Né perde l’un, né l’altro tol del prato;
ma come intorno sian fosse o muraglia,
o troppo costi ogni oncia di quel luoco,
non si parton d’un cerchio angusto e poco.
102
Fra mille colpi il Tartaro una volta
colse a duo mani in fronte al Re d’Algere;
che gli fece veder girar in volta
quante mai furon fiacole e lumiere.
Come ogni forza al Aphrican sia tolta,
le groppe del destrier col capo fere:
perde la staffa et è, presente quella
che cotanto ama, a risco uscir di sella.
103
Ma come ben composto e valido arco
di fino acciar in buona summa greve,
quanto s’inchina più, quanto è più carco,
e più lo sforzan martinelli e leve;
con tanto più furor, quanto è poi scarco,
ritorna, e fa più mal che non riceve:
così quel Aphrican tosto risorge,
e doppio il colpo allo inimico porge.
104
Colse il nemico ove da lui fu colto,
proprio a quel segno in fronte, et a due mane:
la finezza de l’elmo tenne il volto
difeso al successor del Re Agricane;
ma sì stordito ne restò, che molto
non sapea s’era vespero o dimane.
L’irato Rodomonte non s’arresta,
che mena l’altro, e pur segna alla testa.
105
El destriero del Tartaro, che abhorre
la spada che fischiando cala d’alto,
al suo signor con suo gran mal soccorre,
perché se arretra, per fuggir, d’un salto;
e il brando in mezo il capo gli trascorre,
ch’al signor, non a lui, movea l’assalto:
el miser non havea l’elmo di Troia,
come il patron; onde è ragion che muoia.
106
Quel cade, e Mandricardo in piedi guizza,
non più stordito, e Durindana aggira:
vedere il caval morto entro gli attizza,
e fuor divampa un grave incendio d’ira.
L’Aphrican per urtarlo il caval drizza;
ma non più Mandricardo si ritira
che soglia far da l’onde il scoglio: e avenne
ch’el destrier cadde, et egli in piè si tenne.
107
L’Aphrican, che mancarsi il caval sente,
lascia le staffe e su li arcion si ponta,
e resta in piedi e sciolto agevolmente:
così l’un l’altro poi di pare affronta.
La pugna più che mai ribolle ardente,
e l’odio e l’ira e la superbia monta:
et era per seguir; ma quivi giunse
in fretta un messaggier che li disgiunse.
108
Vi giunse un messaggier del popul Moro,
di molti che per Francia eran mandati
a richiamare alli stendardi loro
e’ capitani e’ cavallier privati;
perché l’Imperator dai gigli d’oro
gli havea li alloggiamenti assedïati;
e non venendo chi l’aiuti, e presto,
connosceva il suo excidio manifesto.
109
Riconnobbe il messaggio i cavallieri,
e non pur all’insegne e sopraveste,
m’al girar de le spade, e a’ colpi fieri
ch’altre man non farebbeno che queste.
Tra lor perhò non osa intrar, che speri
che fra tanta ira sicurtà gli preste
esser messo del Re; né si conforta
per dir ch’ambasciator pena non porta.
110
Ma viene a Doralice, et a lei narra
ch’Agramante, Marsiglio e Stordilano
con pochi dentro a mal sicura sbarra
sono assediati dal popul christiano.
Narrato il caso, con prieghi ne inarra
che farà il tutto ai dui guerrieri piano:
accorderalli insieme, e per lo scampo
del exercito suo condurrà in campo.
111
Tra i cavallier la donna di gran core
si messe, e disse lor: – Io vi commando,
per quanto so che me portate amore,
che riserbiate a miglior uso il brando,
e ne veniate subito in favore
del nostro campo saracino, quando
si truova hora assediato ne le tende,
e presto o aiuto o gran ruina attende. –
112
Indi il messo soggiunse il gran periglio
de’ Saracini, e narrò il fatto a pieno;
e pose d’Agramante e di Marsiglio
lettere in mano al figlio d’Ulïeno.
Si piglia finalmente per consiglio
che i dui guerrier, deposto ogni veneno,
facciano insieme tregua sin al giorno
che sia tolto l’assedio a’ Mori intorno;
113
e senza più dimora, come pria
liberato d’assedio habbian lor gente,
non s’intendano haver più compagnia,
ma crudel guerra e inimicitia ardente,
fin che con l’arme difinito sia
chi de’ la donna haver meritamente.
E quella, in le cui man giurato fue,
fece la sicurtà per amendue.
114
A questo è la Discordia impatïente,
inimica di pace e d’ogni tregua;
e così la Superbia, e non consente
né vuol patir che tale accordo segua.
Ma più di lor può Amor quivi presente,
di cui l’alto valor nessun adegua;
e fe’ ch’indrieto, a colpi di saette,
e la Discordia e la Superbia stette.
115
Fu conclusa la tregua fra costoro,
sì come piacque a chi di lor potea.
Mancavali uno de’ cavalli loro;
che morto quel del Tartaro giacea:
perhò vi venne a tempo Brigliadoro,
che le fresche herbe lungo el rio pascea.
M’al fin del canto io mi truovo esser giunto;
sì ch’io farò, con vostra gratia, punto.