CANTO VIGESIMONONO
1
Che dolce più, che più giocondo stato
serìa di quel d’un amoroso core?
che viver più felice e più beato,
che ritrovarsi in servitù d’Amore?
se non fusse l’huom sempre stimulato
da quel suspetto rio, da quel timore,
da quel martìr, da quella frenesia,
da quella rabbia detta gelosia.
2
Perhò ch’ogni altro amaro che si pone
tra questa suavissima dolcezza
è un augumento, una perfettïone,
et è un condurre amore a più finezza:
l’acque parer fa saporite e buone
la sete, e il cibo pel digiun s’apprezza;
non connosce la pace e non l’estima
chi provato non ha la guerra prima.
3
Se ben non veggion li occhi ciò che vede
ognhor il cor, in pace si sopporta;
perché l’absentia, poi quando si riede,
quanto più lunga fu, più riconforta.
El stare in servitù senza mercede
(pur che non resti la speranza morta)
patir si può: che premio al ben servire
pur viene al fin, se ben tarda venire.
4
Li sdegni, le repulse, e finalmente
tutti i martìr d’Amor, tutte le pene,
fan per lor rimembranza che si sente
con miglior gusto un piacer quando viene.
Ma se l’infernal peste una egra mente
avien che infetti, ammorbi et avelene;
se ben festa e gioir poi le vien drieto,
non può uno amante mai più viver lieto.
5
Questa è la cruda e venenata piaga
a cui non val liquor, non val impiastro,
né murmure, né imagine di saga,
né val lungo osservar di benigno astro,
né quanta experïentia d’arte maga
fece mai l’inventor suo Zoroastro:
piaga crudel, che sopra ogni dolore
conduce l’huom, che disperato more.
6
Oh incurabil piaga che nel petto
d’un amator sì facile s’imprime,
non men per falso che per ver suspetto!
piaga che l’huom sì crudelmente opprime,
che la ragion gli offusca et l’intelletto,
et lo tra’ fuor de le sembianze prime!
Oh iniqua Gelosia, che così a torto
levasti a Bradamante ogni conforto!
7
Io non dico di questo ch’el fratello
le havea nel cor amaramente impresso,
ma d’un annontio più crudele e fello
che le fu dato pochi giorni appresso.
Questo era nulla a paragon di quello
ch’io vi dirò, ma non dirollo adesso.
Di Rinaldo ho da dir primeramente,
che vêr Parigi vien con la sua gente.
8
Scontraro il dì seguente invêr la sera
un cavallier c’havea una donna a fianco,
con scudo e sopravesta tutta nera,
se non che per traverso ha un fregio bianco.
Sfidò alla giostra Ricciardetto, ch’era
dinanzi, e vista havea di guerrier franco:
et quel, che mai nessun recusar vòlse,
girò la briglia, et spatio a correr tolse.
9
Senza dir altro, o più notitia darsi
de l’esser lor, si vengono all’incontro.
Rinaldo et li altri cavallier fermârsi
per veder come seguiria quel scontro.
– Costui per terra presto ha da versarsi,
s’in luoco fermo a mio modo lo ’ncontro –
dicea tra se medesmo Ricciardetto;
ma contrario al pensier seguì l’effetto:
10
perhò che lui sotto la vista offese
di tanto colpo il cavalliero istrano,
che lo levò di sella, et lo distese
più di due lance al suo caval lontano.
Di vendicarlo incontinente prese
l’assunto Alardo, et ritrovossi al piano
stordito et mal acconcio: sì fu crudo
il scontro, che lo giunse a mezo ’l scudo.
11
Pone Guicciardo incontinente in resta
l’hasta, che vede i dui germani in terra,
ben che Rinaldo gridi: – Resta, resta;
che mia convien che sia la terza guerra: –
ma l’elmo anchor non ha allacciato in testa,
sì che Guicciardo al corso se diserra;
né più de li altri si seppe tenere,
e ritrovossi subito a giacere.
12
Vuol Ricciardo, Viviano et Malagigi,
e l’un prima del altro, essere in giostra:
ma Rinaldo pon fin a’ lor litigi;
ch’inanzi a tutti armato si dimostra,
dicendo loro: – È tempo ir a Parigi;
et serìa troppo la tardanza nostra,
s’io volesse aspettar fin che ciascuno
di voi fosse abbattuto ad uno ad uno. –
13
Dissel tra sé, ma non che fusse inteso,
che serìa stato a gli altri ingiuria e scorno.
L’un et l’altro del campo havea già preso,
et si faceano contra aspro ritorno.
Non fu Rinaldo per terra disteso,
che valea tutti li altri c’havea intorno;
le lance si fiaccâr, come di vetro,
né li guerrier si piegâr oncia adietro.
14
L’un et l’altro caval si diede d’urto,
et in terra amendue poser le groppe:
Baiardo immantinente fu risurto,
tanto ch’a pena il correre interroppe;
l’altro rimase, e poi morì di curto
perché sfilossi, et la spalla si roppe.
Il cavallier ch’el caval morto vede
lascia le staffe, et è subito in piede.
15
Et al figlio d’Amon, che già rivolto
tornava a lui con la man vuota, disse:
– Signor, il buon destrier che tu m’hai tolto,
perché caro mi fu mentre che visse,
me faria uscir del mio debito molto
se così invendicato si morisse:
sì che vientene, e fa’ ciò che tu puoi,
perché battaglia esser convien tra noi. –
16
Disse Rinaldo a lui: – Se ’l caval morto,
et non altro, ne de’ porre a battaglia,
un de’ miei ti darò, piglia conforto,
che men del tuo non crederò che vaglia. –
Colui soggiunse: – O cavallier mal scorto,
se crederai che d’un destrier mi caglia!
Ma poi che non comprendi ciò ch’io voglio,
ti spiegherò più chiaramente il foglio.
17
Vuo’ dir che mi parria commetter fallo
se con la spada non ti provassi ancho,
et non sapessi s’in quest’altro ballo
tu mi sia pare, o se più vali o manco.
Come ti piace, o scendi o sta a cavallo:
pur che le man tu non ti tegna a fianco,
io son contento ogni vantaggio darti,
tanto alla spada bramo di provarti. –
18
Rinaldo molto non lo tenne in lunga,
e disse: – La battaglia ti prometto;
e perché tu sia ardito, et non ti punga
di questi c’ho d’intorno alcun suspetto,
se n’anderanno fin ch’io li raggiunga;
né meco resterà fuor ch’un valletto
che mi tenga il cavallo: – et così disse
alla sua compagnia che se ne gisse.
19
La cortesia del Paladin gagliardo
commendò molto il cavallier extrano.
Smontò Rinaldo, et del destrier Baiardo
diede al valletto le redine in mano;
et poi che più non vide il suo stendardo
(che già di lungo spatio era lontano),
imbracciò ’l scudo et strinse il brando fiero,
et sfidò alla battaglia il cavalliero.
20
Et quivi incominciossi aspra battaglia
di ch’altra mai non fu più fiera in vista.
Non crede l’un che tanto l’altro vaglia,
che troppo lungamente gli resista:
ma poi ch’el paragon ben li raguaglia
e veggon che tra lor non troppo dista,
pongon l’orgoglio et il furor da parte,
et al vantaggio lor usano ogn’arte.
21
S’odon lor colpi dispietati e crudi
intorno ribombar con suono horrendo,
levando hor li canton de’ grossi scudi,
schiodando hor piastre, et hor le maglie aprendo.
Né qui bisogna tanto che si studi
a ben ferir, quanto a parar, volendo
star l’uno a l’altro par; ch’eterno danno
lor può causar il primo error che fanno.
22
Durò l’assalto un’hora et più ch’el mezo
d’un’altra; et era il Sol già sotto l’onde,
et era sparso il tenebroso rezo
de l’orizon fin all’estreme sponde;
né riposato o fatto altro intermezo
haveano alle percosse furibonde
questi guerrier, che non ira o rancore,
ma tratto a l’arme havea disio d’honore.
23
Rivolve tuttavia tra sé Rinaldo
chi sia l’extrano cavallier sì forte,
che non pur gli sta contra ardito et saldo,
ma spesso il mena a risco de la morte;
et già tanto travaglio et tanto caldo
gli ha posto, che del fin dubita forte:
et volentier, se con suo honor potesse,
vorria che quella pugna rimanesse.
24
Da l’altra parte il cavallier extrano,
che parimente havea poca notitia
che fusse il paladin da Montalbano
costui, che per sì poca inimicitia
sì crudelmente seco era alle mano,
dicea tra sé che in tutta la militia
un altro a quel guerrier non potria fare
d’ardir, di forza et d’accortezza pare.
25
Vorrebbe del’impresa esser digiuno,
c’havea di vendicar il suo cavallo;
et se potesse senza biasmo alcuno,
si trarria fuor del periglioso ballo.
Il mondo era già tanto oscuro et bruno,
che tutti i colpi quasi ivano in fallo:
poco ferir et men parar sapeano,
ch’a pena in mano i brandi si vedeano.
26
Fu quel da Montalban il primo a dire
che non volesson far battaglia al scuro,
ma quella indugiar tanto et differire,
c’havesse dato volta il pigro Arcturo;
può intanto al padiglion seco venire,
dove di sé non men serà sicuro,
et vi sarà honorato et ben veduto
quanto in luoco ove mai fosse venuto.
27
Il cortese guerrier tenne l’invito,
che non gli bisognò più d’una prece;
et seguitò Rinaldo dove era ito
il suo stendardo, che gran via non fece,
essendo sopra un buon caval salito,
che Francia non havea tal altri diece;
et Rinaldo di quel gli fece un dono,
tanto più volentier perch’era buono.
28
Tra via connobbe il cavalliero extrano
(come sovente ragionando accade)
che questo era ’l signor di Montalbano,
sì famoso per tutte le contrade:
e perché egli era a lui frate germano,
sentì che la pietà trovò le strade
d’entrar nel petto a intenerirgli il core,
et lachrymò per gaudio et per amore.
29
Questo campion era Guidon Silvaggio,
del qual io vi contai come disceso
era a Marsiglia, et indi qual vïaggio
havea con li altri suoi compagni preso.
Venìa per ritrovare il suo lignaggio,
che ripararsi a Montalbano ha inteso;
ma fu da Pinabel tra via impedito,
come havete, signor, di sopra udito.
30
Guidon, che questo esser Rinaldo udio,
famoso sopra ogni famoso duce,
c’havuto havea più di veder disio
che non ha ’l cieco la perduta luce,
con molto gaudio disse: – O signor mio,
qual fortuna a combatter mi conduce
con voi, che lungamente ho amato et amo,
e sopra tutto ’l mondo honorar bramo?
31
Io son Guidon, che ne le ripe estreme
del freddo Euxino partorì Gostanza
del medesmo, onde usciste, inclyto seme,
che per quanto il sol scopre ha nominanza.
Per voi veder e li altri nostri insieme,
io mi parti’ da la materna stanza;
et dove il mio desir fu d’honorarvi,
mi veggio esser venuto a ingiurïarvi.
32
Ma scusimi apo voi d’un error tanto,
ch’io non ho voi né li altri connosciuto;
et se emendar si può, ditemi quanto
far debbio, ch’in ciò far nulla rifiuto. –
Poi che si fu da l’un et l’altro canto
de’ complessi iterati al fin venuto,
rispose a lui Rinaldo: – Non vi caglia
meco scusarvi più de la battaglia:
33
che per certificarne che voi sète
di nostra antiqua stirpe un vero ramo,
dar miglior testimonio non potete
del gran valor ch’in voi chiaro proviamo.
Se havesse più pacifiche et quïete
altre maniere, mal vi credevamo;
che la damma non genera il leone,
né le colombe l’aquila o ’l falcone. –
34
Non, per andar, di ragionar lasciando,
non di seguir, per ragionar, lor via,
vennero a i padiglioni; ove narrando
il buon Rinaldo alla sua compagnia
che questo era Guidon, che disïando
vedere, havea molt’anni atteso pria,
molto gaudio apportò ne le sue squadre;
e parve a tutti assimigliarsi al padre.
35
Non dirò l’accoglienze che gli fêro
Alardo, Ricciardetto e li altri dui
figli d’Amon, Viviano et Aldigiero,
et Malagigi, frati e cugin sui,
ogni signor in summa e cavalliero;
ciò che egli disse a loro, eglino a lui:
da parenti, d’amici, e finalmente
fu ben veduto da tutta la gente.
36
Caro Guidone alli fratelli stato
credo serebbe in ogni tempo assai;
ma lor fu a sì grande uopo hora più grato
pel suo valor, ch’esser potesse mai.
Poscia che l’altro Sole incoronato
del mar uscì di luminosi rai,
Guidon co i frati et con parenti in schiera
se ne tornò sotto la lor bandiera.
37
Tanto un giorno et un altro se n’andaro,
che alla famosa villa Parigina
a men di diece miglia s’accostaro;
là dove in ripa Senna una matina
Griphon et Aquilante ritrovaro,
li dui guerrier da l’armatura fina:
Griphon il bianco et Aquilante il nero,
che partorì Gismonda d’Oliviero.
38
Con essi ragionava una donzella,
non già di vil conditïon in vista,
che di samito bianco la gonnella
fregiata intorno havea d’aurata lista;
molto liggiadra in apparenza e bella,
fusse quantunque lachrymosa et trista:
e mostrava ne’ gesti e nel sembiante
di cosa ragionar molto importante.
39
Connobbe i cavallier, come essi lui,
Guidon, che fu con lor pochi dì inanzi;
et a Rinaldo disse: – Eccovi dui
a cui van pochi di valor inanzi;
e se per Carlo veniran con nui,
non ne staranno i Saracini inanzi. –
Rinaldo di Guidon conferma il detto,
che l’uno e l’altro era guerrier perfetto,
40
perché li riconnobbe egli non manco;
perhò che quelli sempre erano usati
l’un tutto nero e l’altro tutto bianco
vestir su l’arme, e molto andare ornati.
Et essi il Paladin connobber ancho,
e si son quivi insieme accarezzati;
quelle ire havendo e quelli sdegni obliti
che già tra lor poser discordie e liti.
41
Tosto che la donzella più vicino
vide Rinaldo, e connosciuto l’hebbe,
che havea notitia d’ogni paladino,
gli disse una novella che gl’increbbe;
e cominciò: – Signore, il tuo cugino,
a cui la Chiesa e l’alto Imperio debbe,
quel già sì saggio et sì honorato Orlando,
è fatto stolto, e va pel mondo errando.
42
Onde causato così strano e rio
accidente gli sia, non so narrarte.
La sua spada et l’altre arme ho vedute io,
che per li campi havea gettate e sparte;
e vidi un cavallier cortese e pio
che l’andò raccogliendo d’ogni parte,
e poi di tutte quelle uno arbuscello
fe’, a guisa di tropheo, pomposo e bello.
43
Ma la spada ne fu presto levata
dal superbo figliuol del Re Agricane:
ben pòi considerar quanto sia stata
grave e dannosa perdita, che in mane
a gli nemici nostri è ritornata;
e più fia, se gran tempo vi rimane.
E così Brigliador, che errava sciolto
intorno a l’arme, dal pagan fu tolto.
44
Né sono molti giorni che lui vidi
senza alcuna vergogna correr nudo,
con urli spaventevoli e con gridi:
ch’Orlando è fatto pazzo io ti conchiudo;
e non havrei, fuor che a questi occhi fidi,
creduto mai sì acerbo caso e crudo; –
e seguitò come lo vide al ponte,
che seco trasse in l’acqua Rodomonte.
45
– A qualunque io non creda esser nemico
d’Orlando (suggiungea) di ciò favello,
né per dargli dolor questo gli dico;
ma perché, palesando il caso fello,
molti per l’orme di sì degno amico
porransi, e cercheran di sanar quello.
So ben che Brandimarte, come questa
novella intenda, si porrà in l’inchiesta. –
46
Era costei la bella Fiordiligi,
da Brandimarte unicamente amata,
che per lui ritrovar venìa a Parigi.
Suggiunse anchor, che Durindana stata
causa era di discordie e di litigi;
e sì come ella ben n’era informata,
narrò che poi che Mandricardo casso
di vita fu, la spada hebbe Gradasso.
47
Di così strano e misero accidente
Rinaldo senza fin si lagna e duole;
né il cor intenerir men se ne sente
che soglia intenerirsi il giaccio al sole:
e con disposta et immutabil mente,
ovunque sia, cercando andar lo vuole,
con speme, poi che ritrovato l’habbia,
di farlo risanar di quella rabbia.
48
Ma vedendo c’havea qui fatto unire,
sia volontà del ciel o sia aventura,
quei cavallier, vuol prima far fuggire
li Saracini e liberar le mura;
e consiglia l’assalto differire,
per suo vantaggio, sino a notte scura,
in la seconda o in la terza vigiglia,
l’hora ch’el sonno più grava le ciglia.
49
Tutta la gente alloggiar fece al bosco,
e quivi la posò per tutto il giorno;
ma poi ch’el Sol, lasciando il mondo fosco,
alla nutrice sua fece ritorno,
et orse e capre e serpe senza tòsco
e l’altre fere, onde è sì il ciel adorno,
si videro apparir con chiaro lampo,
mosse Rinaldo il taciturno campo:
50
et venne con Griphon, con Aquilante,
con Vivian, con Alardo e con Guidone,
a tutti li altri più d’un miglio inante,
a cheti passi e senza alcun sermone,
fin che trovò l’ascolta d’Agramante;
e la trovò dormir, e fe’ prigione.
Indi arrivò tra quella gente Mora
con tutti i suoi, che non fu udito anchora.
51
Del campo d’infedeli a prima giunta
la guardia che fu colta all’improviso
lasciò Rinaldo sì rotta e consunta,
ch’un sol non fu che non restasse ucciso.
Spezzata che lor fu la prima punta,
li Saracin non l’havean più da riso;
che sonnolenti, timidi et inermi,
poteano a tal guerrier far pochi schermi.
52
Fece Rinaldo per maggior spavento
de’ Saracini, al mover de lo assalto,
a trombe e corni dar subito vento,
et gridando, il suo nome alzar in alto.
Spinse Baiardo, et quel non parve lento;
che dentro all’alte sbarre entrò d’un salto,
e versò cavallier, pestò pedoni,
et atterrò trabacche e padiglioni.
53
Non fu sì ardito tra ’l popul pagano
a cui non s’arricciassero le chiome,
come sentì: Rinaldo e Montalbano!
suonar per l’aria, il formidato nome.
Fugge col campo d’Aphrica l’Hispano,
né perde tempo a caricar le some;
che quella furia attender più non vuole,
c’haver provata anchor si piagne e duole.
54
Guidon lo segue, e non fa men di lui;
né fanno men li figli d’Oliviero,
Alardo et Ricciardetto, e li altri dui:
col brando nudo s’apreno il sentiero;
fa l’audace Vivian provar altrui
quanto nel’arme è vigoroso e fiero:
così ciascun che segue il bel stendardo
di Montalban fa da guerrier gagliardo.
55
Settecento con lui tenea Rinaldo
in Montalbano e intorno a quelle ville,
usati a portar l’arme al freddo e al caldo,
non già più rei de i Myrmidon d’Achille.
Ciascun d’essi al bisogno era sì saldo,
che cento insieme non fuggìan per mille;
e se ne potean molti sceglier fuori,
che d’alcun’ più famosi eran migliori.
56
Et se Rinaldo ben non era molto
ricco né di città né di thesoro,
facea sì con parole e con buon volto,
et ciò c’havea partendo ognhor con loro,
ch’un di quel numer mai non gli fu tolto
per offerir ch’altri gli facesse oro.
Questi da Montalban mai non rimuove,
se non lo stringe un gran bisogno altrove.
57
Et hor, perché habbia il magno Carlo aiuto,
lasciò con poca guardia il suo castello.
Tra li Aphrican questo drapel venuto,
questo drapel del cui valor favello,
ne fece quel che del gregge lanuto
sul Phalanteo Galeso il lupo fello,
o quel che suol de lo barbato, appresso
il barbaro Cinyphio, il leon spesso.
58
Carlo, ch’aviso da Rinaldo havuto
havea che presso era a Parigi giunto,
e che la notte il campo sproveduto
volea assalir, stato era in arme e in punto;
e quando bisognò, venne in aiuto
co i paladini; e a i paladini aggiunto
havea il figliuol del ricco Monodante,
di Fiordiligi il fido e saggio amante,
59
ch’ella più giorni per sì lunga via
cercato havea per tutta Francia invano.
Quivi all’insegne che portar solia
fu da lei connosciuto di lontano.
Come lei Brandimarte vide pria,
lasciò la guerra, et tornò tutto humano,
e corse ad abbracciarla; et d’amor pieno,
mille volte baciolla o poco meno.
60
Gran fede ch’in lor donne e lor donzelle
haveano i cavallier di quella etade!
Lasciano andar senza sua scorta quelle
per piani e monti e per strane contrade;
e come tornan, l’han per buone e belle,
né mai tra lor suspitïone accade.
Fiordiligi narrò quivi al suo amante
che fatto stolto era il signor d’Anglante.
61
Non hebbe in vita sua peggior novella
Brandimarte di questa, né potuto
l’havrebbe ad altri credere, ch’a quella
in che fede ha, sì come sempre ha havuto.
Non pur d’haverlo udito gli dice ella,
ma che con li occhi proprii l’ha veduto,
e quanto ogn’altro ella connosce Orlando:
e gli disegna et dove et come et quando.
62
Et gli narrò del ponte periglioso
che Rodomonte a’ cavallier difende,
ove un sepolchro adorna et fa pomposo
di sopraveste et arme di chi prende.
Narrò che vide Orlando furïoso
far quivi cose horribili e stupende;
ch’in l’acqua il Re d’Algier mandò riverso,
con gran periglio di restar summerso.
63
Brandimarte, ch’el Conte amava quanto
si può compagno amar, fratello o figlio,
si dispose cercarlo, et poi far tanto,
non recusando affanno né periglio,
che per opra di medico o d’incanto
gli ritrovassi al mal qualche consiglio.
Così come trovossi armato in sella,
si misse in via con la sua donna bella.
64
Verso la parte ove la donna il Conte
havea veduto, il lor camin drizzaro.
Poi che fur molto andati errando, al ponte
che guarda il Re d’Algier si ritrovaro.
La guardia ne fe’ segno a Rodomonte,
e li scudieri a un tempo gli recaro
l’arme e il cavallo: et quel si trovò in punto
quando fu Brandimarte al passo giunto.
65
Con voce qual conviene al suo furore
il Saracino a Brandimarte grida:
– Qualunque tu ti sia, che per errore
di via o di mente qui tua sorte guida,
spògliati l’arme, e fanne a i marmi honore
di quel sepolchro, inanzi ch’io te uccida
e che vittima all’ombre tu sia offerto:
ch’io ’l farò poi, né te n’havrò alcun merto. –
66
Non vòlse Brandimarte a quel altiero
altra risposta dar, che de la lancia:
sprona Batoldo, el suo gentil destriero,
e verso lui con tanto ardir si lancia,
che mostra che può star d’animo fiero
con qual si voglia al mondo alla bilancia.
El Saracin vien con la lancia in resta,
e il stretto ponte a tutta briglia pesta.
67
El suo caval c’havea continuo uso
corrervi sopra, e far di quel sovente
quando uno e quando un altro cader giuso,
alla giostra venìa sicuramente;
l’altro, del corso insolito confuso,
venìa dubbioso, timido e tremente.
Trema ancho il ponte, e par che cada in l’onda,
oltra che stretto e privo sia di sponda.
68
Li cavallieri, ch’ambi eran maestri
di giostra, et havean lancie come travi,
tali qual furo in lor ceppi silvestri,
si dieron colpi non troppo soavi.
A i lor cavalli esser possenti e destri
poco giovò; che li aspri colpi e gravi
fêr che ugualmente si versâr sul ponte,
e seco i signor lor tutti in un monte.
69
Nel volersi levar con quella fretta
ch’el gran spronar de’ fianchi insta e richiede,
l’asse del ponticel lor fu sì stretta
che non trovaro ove fermar il piede;
sì che una sorte ugual ambi li getta
ne l’acqua; et gran ribombo al ciel ne riede,
simile a quel ch’uscì del nostro fiume,
quando ci cadde il mal rettor del lume.
70
Li dui cavalli andâr con tutto il pondo
de li signor, che steron fermi in sella,
a cercar la riviera sino al fondo,
se v’era ascosa alcuna nympha bella.
Questo non era il primo né il secondo
salto che giù del ponte havesse in quella
onda spiccato il Saracino audace;
perhò sa ben come quel fondo giace:
71
sa dove è saldo e sa dove è più molle,
sa dove è l’acqua bassa e dove è l’alta.
La spada e il scudo minacciando extolle,
et Brandimarte a gran vantaggio assalta.
Brandimarte il corrente in giro tolle;
e il destrier nel sabbion ch’el fondo smalta
tutto si ficca, e non può rïhaversi,
e sono a rischio ambi restar summersi.
72
L’onda si lieva e li fa andar sozopra,
e dove è più profonda li trasporta:
va Brandimarte sotto, e il caval sopra.
Fiordiligi dal ponte afflitta e smorta
le lachryme e li voti e i prieghi adopra:
– Ah Rodomonte, per colei che morta
tu riverisci, non esser sì fiero,
che affogar lasci un tanto cavalliero!
73
Deh, cortese signor, s’unque tu amasti,
di me ch’amo costui pietà ti venga.
Di farlo tuo prigion, per dio, ti basti;
che, s’orni il sasso tuo di quella insegna,
di quante spoglie mai tu gli arrecasti
questa fia la più bella e la più degna. –
Così piegar pregando il Pagan puòte,
a cui d’amore eran le fiamme note;
74
e puòte far ch’el suo amator soccorse,
che sotto acqua il caval tenea sepolto,
e venuto era di sua vita in forse,
e senza sete havea bevuto molto.
Ma ’l Saracin non prima aiuto porse
che gli hebbe il brando e dopo l’elmo tolto:
de l’acqua mezo morto il trasse, e porre
lo fece con molti altri in la sua torre.
75
Fu ne la donna ogni allegrezza spenta
quando prigion vide il suo amante gire;
ma di questo pur meglio si contenta
che di vederlo nel fiume perire.
Di se stessa, e non d’altri, si lamenta;
ch’essa gli diè cagion quivi venire,
quando narrògli haver sopra quel ponte
riconnosciuto il furïoso Conte.
76
Quindi si parte, e statuisce in petto
di menarvi Rinaldo paladino,
o il Selvaggio Guidone, o Sansonetto,
od altri de la corte di Pipino,
alcun che in arme sia tanto perfetto
che possa contrastar col Saracino:
e col favor di quel, far ogni prova
perché il suo amante di pregion rimuova.
77
Va molti giorni, prima che s’abbatta
in alcun cavallier c’habbia sembiante
d’esser com’ella el vuol, perché combatta
col Saracino e liberi il suo amante.
Dopo molto cercar di persona atta
al suo bisogno, un le vien pur inante,
che sopravesta havea ricca et ornata,
a tronchi di cypressi riccamata.
78
Chi costui fusse, altrove ho da narrarvi;
che prima ritornar voglio a Parigi,
e la crudel sconfitta seguitarvi
che a’ Mori diè Rinaldo e Malagigi.
Quei che fuggiro io non saprei contarvi,
né quei che fur cacciati ai fiumi stygi:
tolse a Turpin la notturna aria oscura
poter contarli, e pur vi messe cura.
79
Nel primo sonno dentro al padiglione
dormia Agramante; e un camarier lo desta,
dicendogli che fia fatto prigione
se la fuga non è via più che presta.
Guarda il Re intorno, e la confusïone
vede de’ suoi, che van senza far testa
chi qua chi là fuggendo inermi e nudi,
che non han tempo di pur tôrre i scudi.
80
Tutto confuso e privo di consiglio
si facea porre indosso la corazza,
quando con Ferraù giunse Marsiglio,
Falsiron, Balugante e quella razza,
che tutti d’un parer dissero al figlio
di Troian che lasciar devea la piazza:
e che può dir, salvando la persona,
che Fortuna gli sia propitia e buona.
81
Così Re Stordilan, così Sobrino,
e così dicon li altri ad una voce,
che a sua destruttïon tanto è vicino
quanto a Rinaldo, il qual ne vien veloce;
che se sprovisto attende il paladino
con tanta gente, e un huom tanto feroce,
esser può certo ch’egli e li suo’ amici
rimarran morti o in man de li nemici.
82
Ma dentro ad Arli o sia dentro a Narbona
si può ridur con questi che ha d’intorno;
che l’una e l’altra terra è forte e buona
da mantener la guerra più d’un giorno:
e quando salva sia la sua persona,
si potrà vendicar di questo scorno;
che rifarà l’exercito in un tratto,
onde al fin Carlo ne serà disfatto.
83
Il Re Agramante al lor parer s’attenne,
ben ch’el partito fusse acerbo e duro;
e notte e dì verso Acquamorta venne
per quel camin che più trovò sicuro.
Oltra le guide, l’aiutò et sovenne
che sua partita fu per l’aer scuro:
ventimila tra d’Aphrica e di Spagna
fur che a Rinaldo uscîr fuor de la ragna.
84
Quei ch’egli uccise e quei che li fratelli,
quelli che i figli del signor di Vienna,
quei che provaro empi nemici e felli
li settecento a cui Rinaldo accenna,
quelli che spense il buon Guidon, e quelli
che ne la fuga s’affogaro in Senna,
chi potesse contar, conteria anchora
ciò che sparge d’April Favonio e Flora.
85
Estima alcun che Malagigi parte
havesse in la vittoria quella notte:
non che di sangue le campagne sparte
fusser per lui, né per lui teste rotte;
ma che li dannati angeli per arte
facesse uscir da le tartaree grotte,
e con tante bandiere e tante lancie,
ch’insieme più non ne porrian due Francie;
86
e che facesse udir tanti metalli,
tanti tamburi e tanti varii suoni,
tanti annitriri in voce de cavalli,
tanti gridi e tumulti di pedoni,
che risonare e piani e monti e valli
devessen di longinque regïoni;
e che a’ Mori con questo un timor diede,
che li fece voltare in fuga il piede.
87
Non si scordò il Re d’Aphrica Ruggiero,
ch’era ferito e stava anchora grave;
e più che puòte acconcio s’un destriero
lo fece por, c’havea l’andar soave;
e poi che l’hebbe tratto ove il sentiero
fu più sicuro, il fe’ posar in nave,
e verso Arlì portar commodamente,
dove s’havea a raccôr tutta la gente.
88
Quei che a Rinaldo e a Carlo dier le spalle;
fur, credo, centomila o poco manco;
per campagne, per boschi e monte e valle
cercaro uscir di man del popul Franco;
ma la più parte trovò chiuso il calle,
e fece rosso ove era verde e bianco.
Così non fece il Re di Sericana,
c’havea da lor la tenda più lontana:
89
anzi, come egli sente ch’el signore
di Montalbano è questo che li assalta,
gioisce di tal iubilo nel core,
che qua e là per allegrezza salta.
Loda e ringratia il suo sommo Fattore
che quella notte gli occorrea tanta alta
e sì rara aventura d’acquistare
Baiardo, quel destrier che non ha pare.
90
Havea quel Re gran tempo disïato
(credo che altrove voi l’habbiate letto)
portar la buona Durindana a lato
e cavalcar quel corridor perfetto.
E già con più di centomila armato
era venuto in Francia a questo effetto;
e con Rinaldo già sfidato s’era
per quel cavallo alla battaglia fiera;
91
e nel lito del mar s’era condutto,
e vi devea la pugna diffinire;
ma Malagigi a turbar venne il tutto,
e fe’ il cugin (mal grado suo) partire,
havendol sopra un legno in mar ridutto:
lungo serìa tutta l’historia dire.
Da indi in qua stimato ignavo e vile
Gradasso havea quel Paladin gentile.
92
Hor che Gradasso esser Rinaldo intende
costui che assale il campo, se n’allegra.
Vestesi l’arme, e la sua alfana prende,
e cercando lo va per l’aria negra;
e quanti ne riscontra, a terra stende,
et in confuso lascia afflitta et egra
la gente, o sia di Lybia o sia di Francia:
tutti li mena a un par la buona lancia.
93
Lo va di qua di là tanto cercando,
chiamandol spesso et quanto può più forte,
e sempre a quella parte declinando
dove più spesse son le genti morte,
ch’al fin s’incontra in lui brando per brando,
poi che le lancie loro ad una sorte
eran salite in mille scheggie rotte
sin al carro stellato de la Notte.
94
Come Gradasso il Paladin gagliardo
connosce, e non perché ne veggia insegna,
ma per li horrendi colpi e per Baiardo,
che par che sol tutto quel campo tegna;
non è (gridando) a improverarli tardo
la prova che di lui fece non degna:
ch’al dato campo il giorno non comparse,
che tra lor la battaglia devea farse.
95
Suggiunse poi: – Tu forse havevi speme,
se potevi nasconderti quel punto,
che non mai più per raccozzarsi insieme
fussimo al mondo: hor vedi ch’io t’ho giunto.
Sie certo, anchor che s’in le fosse estreme
vai del inferno, o sie nel cielo assunto,
ti seguirò, quando habbi il caval teco,
nel splendor summo et giù nel aer cieco.
96
Se d’haver meco a far non ti dà il core,
e vedi già non poter starmi a paro
e più stimi la vita che l’honore,
senza periglio ci puoi far riparo
quando mi lasci in pace il corridore;
e viver puoi, se sì t’è il viver caro:
ma vivi a piè, che non merti cavallo,
s’alla cavalleria fai sì gran fallo. –
97
A quel parlar si ritrovò presente
con Ricciardetto il cavallier Selvaggio;
e le spade ambi trassero ugualmente
per far parer il Serican mal saggio.
Ma Rinaldo si oppose immantinente,
e non patì che se gli fêsse oltraggio,
dicendo: – Senza voi dunque non sono
a chi mi oltraggia per risponder buono? –
98
Poi se ne ritornò verso il Pagano,
e disse: – Odi, Gradasso; io voglio farte,
se tu m’ascolti, manifesto e piano
ch’io venni alla marina a ritrovarte:
poi te sostenerò con l’arme in mano
che t’havrò detto il vero in ogni parte,
e che menti ogni volta che dirai
ch’alla cavalleria mancassi mai.
99
Ma ben ti priego che prima che sia
pugna tra noi, che pianamente intenda
la giustissima et vera scusa mia,
acciò che a torto più non mi riprenda;
e poi Baiardo al termine di pria
tra noi vorrò che a piedi si contenda
da solo a solo in solitario lato,
sì come a punto fu da te ordinato. –
100
Era cortese il Re di Sericana,
come ogni cor magnanimo esser suole;
et è contento udir la cosa piana
che dir per scusa il paladin gli vuole.
Con lui ne viene in ripa alla fiumana,
dove Rinaldo in semplici parole
alla sua vera historia trasse il velo,
e chiamò in testimonio tutto il cielo.
101
Fece chiamar poi lo figliuol di Bovo,
l’huom che di questo era informato a pieno,
che a parte a parte replicò di nuovo
l’incanto suo, né disse più né meno.
Suggiunse poi Rinaldo: – Ciò ch’io provo
col testimonio, io vuo’ che l’arme sièno,
che adesso e in ogni tempo che ti piace
te n’habbiano a far prova più verace. –
102
Il Re Gradasso, che lasciar non volle
per la seconda la querela prima,
le scuse di Rinaldo in pace tolle,
ma se son vere o false in dubbio stima.
Non tolgon campo più sul lito molle
di Barcelona, ove lo tolser prima;
ma s’accordaro per l’altra matina
trovarsi a una fontana indi vicina,
103
dove Rinaldo seco habbia il cavallo,
che posto sia communamente in mezo:
se ’l Re uccide Rinaldo o fa vassallo,
se ne pigli il caval senza altro mezo;
ma se Gradasso è quel che faccia fallo,
che sia condutto al ultimo ribrezo
o, per più non poter, che gli si renda,
da lui Rinaldo Durindana prenda.
104
Con maraviglia molta et più dolore
(come v’ho detto) havea Rinaldo udito
da Fiordiligi bella ch’era fuore
del intelletto il suo cugino uscito.
Havea de l’arme inteso ancho il tenore,
e del litigio che n’era seguito;
e che in summa Gradasso havea quel brando
ch’ornò di mille e mille palme Orlando.
105
Poi che furon d’accordo, ritornossi
il Re Gradasso a li sergenti sui,
ben che dal Paladin pregato fossi
che ne venisse ad alloggiar con lui.
Come fu giorno, il Re pagano armossi;
così Rinaldo: e giunsero ambedui
ove devea non lungi alla fontana
combattersi Baiardo e Durindana.
106
De la battaglia che Rinaldo havere
con Gradasso devea da solo a solo
parean li amici suoi tutti temere,
e nanzi il caso ne faceano il duolo.
Molto ardir, molta forza, et più sapere
havea Gradasso; et hor che del figliuolo
del gran Milone havea la spada al fianco,
di timor per Rinaldo era ognun bianco.
107
E più de li altri il frate di Viviano
stava di questa pugna in dubbio e ’n tema,
e v’havria posto volentieri mano
per farla rimaner di effetto scema:
ma non vorria che quel da Montalbano
seco venisse a inimicitia estrema;
ch’ancho havea di quell’altra seco sdegno,
che gli turbò quando il levò sul legno.
108
Ma stiano li altri in dubbio, in tema, in doglia:
Rinaldo va sicuro, ardito e lieto,
sperando c’hor il biasmo se gli toglia
ch’al partir che fe’ già gli venne drieto;
sì che quei da Pontier e d’Altafoglia
et ogni Maganzese habbia a star cheto.
Va con baldanza et sicurtà di core
di riportarne il triomphal honore.
109
Poi che l’un quinci e l’altro quindi giunto
fu quasi a un tempo in su la chiara fonte,
si accarezzaro, et si fecero a punto
così serena et amichevol fronte,
come di sangue et amistà congiunto
fusse Gradasso a quel di Chiaramonte.
Ma come poi s’andassero a ferire
vi voglio a un’altra volta differire.