CANTO NONO

1
Che non può far d’un cor c’habbia suggetto
questo crudele e traditor Amore,
poi che ad Orlando può levar del petto
la tanta fé che deve al suo signore?
Già savio e pieno fu d’ogni rispetto,
e de la santa Chiesa difensore:
hor né Carlo né sé né cura Christo,
per far d’una pagana un breve acquisto.
2
Ma lo scuso io pur troppo, e mi rallegro
nel mio difetto haver compagno tale;
ch’anch’io son al mio ben languido et egro,
sano e gagliardo a seguitare il male.
Quel si partì tutto vestito a negro,
né a Carlo né agli amici disse: Vale;
e passò dove d’Africa e di Spagna
la gente era attendata alla campagna:
3
anzi non attendata, perché sotto
li alberi l’ha fatta ritrar la pioggia
a dieci, a venti, a quattro, a sette, ad otto;
chi più distante e chi più presso alloggia.
Ciascuno dorme travagliato e rotto,
chi steso in terra e chi sul braccio appoggia:
dormeno, e il conte uccider ponne assai,
né perhò trasse Durindana mai.
4
Di tanto core è il generoso Orlando
che non degna ferir gente che dorma;
hor questo e quando quel luogo cercando
va, per spiar de la sua donna l’orma.
Se trova alcun che vegghi, suspirando
di lei dipinge l’habito e la forma,
e poi lo prega che per cortesia
l’insegni andar in parte ove ella sia.
5
E poi che venne il dì chiaro e lucente,
tutto cercò l’exercito Moresco:
e questo puoté far sicuramente,
havendo indosso l’habito Arabesco;
et aiutollo in questo parimente
che sapeva altro idioma ch’el Francesco,
e l’Africano tanto havea expedito
che parea nato a Tripoli e notrito.
6
Quivi il tutto cercò, dove dimora
fece tre giorni, e non per altro effetto;
poi dentro alle cittadi e a’ borghi fuora
non sol spiò per Francia e suo distretto,
ma per Uvernia e per Guascogna anchora
rivide insino all’ultimo borghetto;
e cercò da Provenza alla Bertagna,
e dai Picardi a’ termini di Spagna.
7
Tra il fin d’Ottobre e il capo di Novembre,
ne la stagion che la frondosa vesta
vede levarsi e discoprir le membre
trepida pianta insin che nuda resta,
e van li augelli a strette schiere insembre,
si pose Orlando in l’amorosa inchesta;
né tutto il verno appresso lasciò quella,
né la lasciò ne la stagion novella.
8
In questo mezo ben puoté far cose
che fôran degne da tenerne conto;
ma fur sin a quel tempo sì nascose,
che non è colpa mia s’hor non le conto:
perché Orlando a far l’opre virtüose,
più che narrarle poi, sempre era pronto;
né mai fu alcun de li suoi fatti expresso,
se non quando hebbe i testimoni apresso.
9
Quella invernata trappassò sì cheto,
che di lui non si seppe cosa vera:
ma poi ch’el Sol, ne l’animal discreto
che portò Phryxo, illuminò la sphera,
e Zephyro tornò suave e lieto
a rimenar la dolce primavera,
d’Orlando usciron le mirabil prove
coi vaghi fiori e con l’herbette nove.
10
Di piano in monte, e di campagna in lido,
pien di travaglio e di dolor ne gìa,
quando all’intrar d’un bosco un lungo grido,
un alto duol l’orecchie gli ferìa.
Spinge il cavallo e piglia il brando fido,
e donde vène il suon, ratto s’invia:
non molto va, che sopra un gran destriero
trottar si vede inanzi un cavalliero,
11
che porta in braccio e su l’arcion dinante
per forza una mestissima donzella.
Piange ella e se dibatte, e fa sembiante
di gran dolore; e di soccorso appella
il valoroso Principe d’Anglante;
che come mira alla giovane bella,
gli pare esser colei che molti giorni
havea cercato invan per quei contorni.
12
Non dico ch’ella fusse, ma parea
Angelica gentil ch’egli tanto ama.
Egli, che la sua donna e la sua dea
vede portar sì dolorosa e grama,
spinto da l’ira e da la furia rea,
con voce horrenda il cavallier richiama;
richiama il cavalliero et lo minaccia,
e Brigliadoro a tutta briglia caccia.
13
Non resta quel fellon, né gli risponde,
all’alta preda, al gran guadagno intento;
e sì ratto ne va per quelle fronde,
che saria tardi a seguitarlo il vento:
l’un fugge, e l’altro caccia; e in le profonde
selve risuona il feminil lamento.
Correndo, usciro in un gran prato; e quello
havea nel mezo un grande e ricco hostello.
14
Di vari marmi con sottil lavoro
edificato era il palagio altiero.
Corse dentro alla porta messa d’oro
con la donzella in braccio il cavalliero;
dopo non molto giunse Brigliadoro,
che Orlando porta disdegnoso e fiero:
Orlando, come è dentro, gli occhi aggira,
né più il guerrier, né la donzella mira.
15
Subito smonta, e fulminando passa
dove più adentro il bel tetto s’alloggia:
di qua e di là gir e tornar non lassa
che rivede ogni camera e ogni loggia.
Poi che i secreti d’ogni stanza bassa
ha cerco invan, su per le scale poggia;
e non men perde a ricercar di sopra,
che perdesse di sotto, e il tempo e l’opra.
16
D’oro e di seta i letti ornati vede;
nulla de muri appar né de pareti,
che quelle e il suolo ove si pone il piede
son da coltrine ascose e da tapeti.
Di su e di giù va il conte Orlando e riede;
né può per questo far mai gli occhi lieti
che riveggiano Angelica, o quel ladro
che n’ha portato il bel viso liggiadro.
17
E mentre hor quinci hor quindi invano il passo
movea pien di travaglio e di pensieri,
Ferraù, Brandimarte, il Re Gradasso,
Re Sacripante et altri cavallieri
vi ritrovò ch’andavan d’alto a basso,
né men facean di lui vani sentieri;
e si ramaricavon del malvagio
invisibil signor di quel palagio.
18
Tutti cercando il van, tutti li dànno
colpa di furto alcun che lor fatto habbia:
del caval che gli ha tolto, altri è in affanno;
che perduta habbia altri la donna, arrabbia;
altri d’altro l’accusa: e così stanno,
che non si san partir di quella gabbia;
e vi son molti, a questo inganno presi,
che già stati vi son più di tre mesi.
19
Orlando, poi che quattro volte e sei
tutto cercato hebbe il palazzo istrano,
disse fra sé: – Qui dimorar potrei,
gettare il tempo e la fatica invano,
e questo ladro haver tratta costei
da un’altra uscita, e molto esser lontano. –
Con tal pensiero uscì nel verde prato
da cui tutto il palazzo era aggirato.
20
Mentre circonda la casa silvestra,
tenendo pur a terra il viso chino
per veder s’orma appare, o da man destra
o da sinistra, di nuovo camino,
si sente richiamar da una finestra:
e leva gli occhi; e quel parlar divino
gli pare udir, e par che miri il viso
che l’ha, da quel che fu, tanto diviso.
21
Pargli Angelica udir, che supplicando
e piangendo gli dica: – Aita, aita!
la mia virginità ti raccomando
più che l’anima mia, più che la vita.
Dunque in presenza del mio caro Orlando
da questo ladro mi serà rapita?
Più presto di tua man dammi la morte,
che venir lasci a sì infelice sorte. –
22
Queste parole un’altra e un’altra volta
tornar Orlando fan per ogni stanza
con passïone e con fatica molta,
ma temperata pur d’alta speranza.
Talhor si ferma, e chetamente ascolta
la voce che di Angelica ha sembianza,
e s’egli è da una parte, suona altronde,
che chieggia aiuto, e non sa trovar donde.
23
Restisi Orlando qui mentre io ritorno,
per voler di Ruggier pur dicere ancho,
che nel più intenso ardor del mezo giorno
cavalca il lito, affaticato e stanco.
Percuote il Sol nel colle e fa ritorno;
bolle di sotto il sabbion trito e bianco:
mancava all’arme c’havea indosso poco
ad esser, qual fur già, tratte del foco.
24
Mentre la sete, e de l’andar fatica
per l’alta sabbia, e la solinga via
facea a Ruggier, lungo la spiaggia aprica,
noiosa e dispiacevol compagnia,
trovò che all’ombra d’una torre antica,
che fuor de l’onde appresso il lito uscia,
de la corte d’Alcina eran tre donne,
che le connobbe a’ gesti et alle gonne.
25
Corcate su tapeti Alessandrini
godeansi il fresco rezo in gran diletto,
fra molti vasi di diversi vini
et ogni buona sorte di confetto.
Presso alla spiaggia, con flutti marini
scherzando, attendea lor un suo legnetto
fin che la vela impiesse agevol òra;
ch’un fiato pur non ne spirava allhora.
26
Queste, che andar per la non ferma sabbia
vider Ruggiero al suo vïaggio dritto,
che sculta havea la sete in su le labbia,
sudorosa la fronte e il viso afflitto,
gli cominciaro a dir che sì non habbia
il cor volontaroso e al camin fitto,
ch’alla fresca e dolce ombra non si pieghi
e ristorare il stanco corpo nieghi.
27
E di loro una s’accostò al cavallo
per la staffa tener, che ne scendesse;
l’altra, con una coppa di crystallo
di vin spumante, più sete gli messe:
ma Ruggiero a quel suon non intrò in ballo;
perché, d’ogni tardar che fatto havesse,
tempo di giunger dato haria ad Alcina,
che venìa dietro et era homai vicina.
28
Non così fin Salnitrio e Solfo puro,
tocco dal fuoco, subito s’avampa;
né così freme il mar quando l’oscuro
turbo discende e in mezo lui s’accampa;
come, vedendo che Ruggier sicuro
al suo dritto camin l’arena stampa
e sprezza lor che se teneano belle,
d’ira arse et di furor la terza d’elle.
29
– Tu non sei né gentil né cavalliero
(dice gridando quanto può più forte),
et hai rubate l’arme; e quel destriero
non serìa tuo per verun’altra sorte;
e così, come ben m’appongo il vero,
ti vedessi punir di degna morte:
che fussi fatto in quarti, arso o impiccato,
brutto ladron, villan, superbo, ingrato. –
30
Oltra queste e molt’altre ingiurïose
parole che gli usò la donna altiera,
anchor che mai Ruggier non le rispose,
che di sì vil tenzon poco honor spera;
con le sorelle presto ella si pose
sul legno in mar, ch’al lor servigio v’era:
et affrettando i remi, lo seguiva,
vedendol tuttavia drieto alla riva.
31
Minaccia sempre, maledice e incarca
(che l’onte sa trovar per ogni punto).
Intanto al piccol fiume, onde si varca
alla fata più bella, è Ruggier giunto.
All’altra ripa una commoda barca,
ad uso di portar nel lito sgiunto,
vede, e grida, e fa cenno; et il nocchiero
presto si scioglie, e vien dritto a Ruggiero.
32
Scioglie il nocchier come venir lo vede,
di trasportarlo a miglior ripa lieto;
che se la faccia può del cor dar fede,
tutto benigno e tutto era discreto.
Pose Ruggier sopra il naviglio il piede,
Dio ringratiando; e per lo mar quïeto
ragionando venìa col Galeotto,
saggio e di lunga esperïenza dotto.
33
Quel lodava Ruggier, che sì s’havesse
saputo a tempo tôr d’Alcina, e inanti
che ’l calice incantato ella gli desse,
che havea al fin dato a tutti li altri amanti;
e poi, che a Logistilla si trahesse,
dove veder potria costumi santi,
bellezza eterna et infinita gratia
ch’el cor notrisce e pasce, e mai non satia.
34
– Costei (dicea) stupore e riverenza
induce all’alma, ove si scopre prima.
Contempla meglio poi l’alta presenza:
ogn’altro ben ti par di poca stima.
El suo amor ha da li altri differenza:
speme o timore in li altri il cor ti lima;
in questo il desiderio più non chiede,
e contento riman come la vede.
35
Ella t’insegnarà studii più grati
che suoni o danze, odori, bagni o cibi;
ma come i spirti tuoi meglio formati
poggin più ad alto che per l’aria i Nibi,
e come de la gloria de’ beati
nel mortal corpo parte se delibi. –
Così parlando il marinar veniva,
lontano anchora alla sicura riva;
36
quando vide scoprire alla marina
molti navigli, e tutti alla sua volta.
Con quei ne vien l’ingiurïata Alcina;
e di sua gente molto v’ha raccolta
per porre il stato e se stessa in ruina,
o racquistar la cara cosa tolta:
e bene è Amor di ciò cagion non leve,
ma l’ingiuria assai più, che ne riceve.
37
Quindi contra Ruggier tal rabbia nacque,
ch’anchor da lunge è chi sel straccia e rode;
tanto de’ remi è l’affrettar per l’acque,
che la spuma ne sparge ambe le prode.
Al gran rumor né mar né ripa tacque,
et Eccho risonar per tutto s’ode.
– Scopri el scudo, Ruggier, ch’el te bisogna;
se non, sei morto o preso con vergogna. –
38
Così disse il nocchier di Logistilla;
et oltra il detto, egli medesmo prese
la coperta del scudo e dipartilla,
e fe’ il lume di quel chiaro e palese.
Il mirabil splendor che ne sfavilla,
gli occhi de li aversari così offese,
che li fe’ restar ciechi allhora allhora,
e cader chi da poppa e chi da prora.
39
Un, ch’era alla vedetta in su la ròcca,
de l’armata d’Alcina si fu accorto,
e la campana martellando tocca,
onde il soccorso vien subito al porto.
L’artigliaria (come tempesta) fiocca
contra chi vuole al buon Ruggier far torto:
sì che gli venne e quinci e quindi aita,
tal che salvò la libertà e la vita.
40
Giunte son quattro donne in su la spiaggia,
che subito ha mandato Logistilla:
la valorosa Andronica e la saggia
Phronesia e l’honestissima Dicilla
e Sophrosina casta, che, come haggia
quivi a far più che l’altre, arde e sfavilla.
L’exercito, ch’al mondo è senza pare,
del castello esce, e si distende al mare.
41
Sotto le mura, in la tranquilla foce,
di molti e grossi legni era una armata,
ad un botto di squilla, ad una voce
giorno e notte a battaglia apparecchiata.
E così fu la pugna aspra et atroce,
e per acqua e per terra incomminciata;
per cui fu il stato sottosopra volto,
c’havea già Alcina alla sorella tolto.
42
Oh di quante battaglie il fin successe
diverso a quel che si credette inante!
Non sol che Alcina allhor non rïhavesse
(come stimossi) il fuggitivo amante;
ma de sue navi che pur dianzi spesse
fur sì, che a pena il mar ne capia tante,
fuor de la fiamma, che tutt’altre avampa,
con un legnetto sol misera scampa.
43
Fuggesi Alcina, e sua misera gente
arsa e presa riman, rotta e sommersa.
D’haver Ruggier perduto ella si sente
via più doler che d’altra cosa adversa:
notte e dì per lui geme amaramente,
e lachryme per lui da gli occhi versa;
e per dar fine a tanto aspro martìre
spesso si duol di non poter morire.
44
Morir non puote alcuna fata mai
fin ch’el sol gira, o il ciel non muta stilo.
Se ciò non fosse, era il dolor assai
per mover Cloto ad inasparle il filo;
o qual Didon finia col ferro i guai;
o la Regina splendida del Nilo
havria imitata con mortifer sonno:
ma le fate morir sempre non ponno.
45
Torniamo a quel d’eterna gloria degno
Ruggiero, e stiasi Alcina in la sua pena:
dico di lui, che poi che fuor del legno
si fu condutto in più sicura arena,
Dio ringratiando che tutto il disegno
gli era successo, al mar voltò la schiena;
et affrettando per l’asciutto il piede,
alla ròcca n’andò che quivi siede.
46
Né la più forte mai, né la più bella
veder puòte occhio human prima né dopo:
son di più prezzo le mura di quella
che di Rubin, Diamante o di Piropo.
Di tai gemme qua giù non si favella;
et a chi vuol notitia haverne, è uopo
che vada quivi, che non credo altrove
(se non forse su al ciel) se ne ritrove.
47
Quel che più fa che se l’inclina e cede
ogn’altra gemma, è che, mirando in esse,
l’huom sin in mezo all’anima si vede;
vede suoi vitii e sue virtudi expresse,
sì che a lusinghe poi di sé non crede,
n’a chi a torto dar biasmo gli volesse:
fassi, mirando in quel specchio lucente
se stesso, connoscendose, prudente.
48
Il chiaro lume lor, ch’imita il Sole,
splendor fiammeggia in tanta copia intorno,
che chi l’ha, ovunque sia, sempre che vuole,
Phebo (mal grado tuo), si può far giorno.
Né qui mirabil son le pietre sole;
ma la materia e l’artificio adorno
contendon sì, che mal giudicar possi
qual de le due excellenze maggior fossi.
49
Su li altissimi vòlti, che puntelli
parean che del ciel fussero a vederli,
eran giardin sì spatïosi e belli,
che fôra al basso ancho fatica haverli:
verdeggiar li odoriferi arbuscelli
si puon veder fra i luminosi merli,
che adorni son l’estate e il verno tutti
di vaghi fiori e di maturi frutti.
50
Di così nobili arbori non suole
produrse fuor di questi bei giardini,
né di tai Rose o di simil Vïole,
di Gigli, di Amaranti o di Gesmini.
Altrove appar come a un medesmo Sole
e nasca e viva, e morto il capo inchini,
e come lasci vedovo il suo stelo
el fior suggetto al varïar del cielo:
51
ma quivi era perpetua la verdura,
perpetua la beltà de’ fiori eterni;
non che benignità de la natura
sì temperatamente li governi,
ma Logistilla con gran studio e cura,
senza bisogno de’ moti superni
(quel che a gli altri impossibile parea),
sua primavera ognhor ferma tenea.
52
Logistilla mostrò molto haver grato
ch’a lei venisse un sì gentil signore,
e commandò che fusse accarezzato
e che studiasse ognun di fargli honore.
Gran pezzo inanzi Astolfo era arrivato,
che visto da Ruggier fu di buon core;
fra pochi giorni venner li altri tutti,
ch’a l’esser lor Melissa havea ridutti.
53
Poi che si fur posati un giorno e dui,
venne Ruggiero alla fata prudente
col duca Astolfo, che non men di lui
havea desir tornarsene in Ponente.
Melissa le parlò per amendui;
e pregò quella, e supplicò humilmente,
che per sua cortesia desse favore
di tornar l’uno e l’altro al suo signore.
54
Disse la fata tôrsene pensiero,
e che serian per l’altro dì espediti.
Discorre poi tra sé come Ruggiero
e, dopo lui, come quel Duca aiti:
conchiude infin che ’l volator destriero
ritorni il primo in li Aquitani liti;
ma prima vuol che se gli faccia un morso,
con che lo volga et gli raffreni il corso.
55
E mostra a lui come habbia a far, se vuole
che poggi in alto, e come a far che cali;
e come, se vorrà che in giro vole,
o vada presto, o che se stia su l’ali:
e quali effetti il cavallier far suole
di buon destriero in piana terra, tali
facea Ruggier che mastro ne divenne,
per l’aria, del destrier c’havea le penne.
56
Poi che Ruggier fu d’ogni cosa in punto
(havendo già debite gratie rese
a quelle donne, a-ccui sempre congiunto
col cor rimase), uscì di quel paese.
Prima di lui che se n’andò in buon punto,
e poi dirò come il guerriero Inglese
tornasse con più tempo e più fatica
al magno Carlo et alla corte amica.
57
Quindi partì Ruggier, ma non rivenne
per quella via che fe’ già suo mal grado;
ch’el sfrenato destrier sempre lo tenne
sopra il gran mare, e vide terra rado:
ma potendoli hor far batter le penne
di qua e di là dove più andar fu a grado,
vòlse al ritorno far nuovo sentiero,
come, schivando Herode, i Magi fêro.
58
Al venir quivi era, lasciando Spagna,
venuto India a trovar per dritta riga
là dove il mar orïental la bagna,
dove una fata havea con l’altra briga.
Hor veder si dispose altra campagna
che quella ove li venti Eölo instiga,
e finir tutto il comminciato tondo
per haver (come il Sol) girato il mondo.
59
Quinci il Chataio, e quindi Mangïana
sopra il gran Quinsaì vide passando:
volò sopra l’Imavo, e Sericana
lasciò a man destra; e sempre declinando
da l’Hyperborei Scyti a l’onda Hircana,
giunse in l’ulterïor Sarmatia; e quando
fu dove Asia da Europa si divide,
Rossi e Pruteni e la Pomeria vide.
60
Ben che havesse Ruggier prima disire
di ritornarsi a Bradamante presto,
pur, veduto il piacer ch’era di gire
cercando il mondo, non restò per questo
ch’alli Pollacchi e all’Ungari venire
non volesse ancho, e alli Germani, e al resto
di quella boreal horrida terra;
e venne al fine in l’ultima Inghilterra.
61
Non crediate, signor, che perhò stia
per sì lungo camin sempre su l’ale:
ogni sera all’albergo se ne gìa,
schivando a suo poter d’alloggiar male.
E spese giorni e mesi in questa via,
sì di veder la terra e il mar gli cale.
Hor presso a Londra giunto una matina,
sopra Tamigi il volator declina,
62
dove nei prati alla città vicini
vide adunati huomini d’arme e fanti,
ch’altri di trombe, altri di tamburini
condutti al suon, veniano a squadre inanti.
Quivi è Rinaldo, honor de’ paladini,
del qual, se vi racorda, io dissi inanti
che mandato da Carlo era venuto
in queste parti a ricercare aiuto.
63
Giunse a punto Ruggier, che si facea
la bella mostra fuor di quella terra;
e per saper il tutto, ne chiedea
un cavallier, ma scese prima in terra:
e quel, ch’affabil era, gli dicea
che di Scotia e di Irlanda e d’Inghilterra
e de l’Isole intorno eran le schiere
che quivi alzate havean tante bandiere;
64
e finita la mostra che faceano,
alla marina se distenderanno,
dove aspettati per solcar l’Oceano
son dai navigli che nel porto stanno:
li Franceschi assediati si recreano,
sperando in questi che a salvar li vanno.
– E perché pienamente io te ne informe,
ti mostrerò (dicea) tutte le torme.
65
Tu vedi ben quella bandiera grande,
che con la Fiordeligi ha giunto i Pardi:
quella il gran Capitano all’aria spande,
e ne dà segno a tutti altri stendardi.
Il suo nome, famoso in queste bande,
è Leonetto, il fior de li gagliardi,
di consiglio e d’ardire in guerra mastro,
del Re nipote e duca di Lincastro.
66
La prima appresso il gonfalon reale,
ch’el vento tremolar fa verso il monte
e tien nel campo verde tre bianche ale,
porta Ricardo, di Varvecia conte.
Del duca di Glocestra è quel segnale
c’ha duo corna di Cervio e meza fronte.
Del duca di Chiarenza è quella face;
quel arbore è del duca d’Eborace.
67
Vedi in tre pezzi una spezzata lancia:
è ’l gonfalon del Duca di Northfocia.
La fulgure è del buon conte di Cancia;
il Gryphone è del conte di Pembrocia;
il duca di Sufolcia ha la bilancia.
Vedi quel giogo che due Serpi associa:
è del conte d’Exenia; e la ghirlanda
in campo azurro ha quel di Norbelanda.
68
El conte d’Arindelia è quel c’ha messo
in mar quella barchetta che s’affonda.
Vedi il marchese di Barchlei, e apresso
di Marchia il conte e il conte di Rithmonda:
il primo porta in bianco un monte fesso,
l’altro la palma, il terzo un giunco in l’onda.
Quel di Dorsetia è conte, e quel d’Antona,
che l’uno ha il carro, e l’altro la corona.
69
El Falcon che sul nido i vanni inchina
porta Raimondo, il conte di Devonia.
Il giallo e negro ha quel di Vigorina,
il Can quel di Erbia, un Orso quel d’Oxonia.
La croce che là vedi, crystallina,
è del ricco prelato di Battonia.
Vedi nel bigio una spezzata sedia:
è del duca Ariman da Sormosedia.
70
Li huomini d’arme e li arcieri a cavallo
di quarantadua mila numer fanno:
sono duotanti, e di cento non fallo,
quelli ch’a piedi in la battaglia vanno.
Mira que’ segni, un nero, un verde, un giallo,
e di bigio e morel listato un panno:
Gaufredo, Henrigo, Ermante et Odoardo
guidan pedoni, ognun col suo stendardo.
71
Duca di Bocchingamia è quel dinante;
Henrigo ha la contea di Sarisberia;
signoreggia Burgenia il vecchio Ermante;
quel Odoardo è conte di Croisberia.
Questi alloggiati più verso Levante
sono l’Inglesi: hor vòlgeti alla Hesperia,
dove si veggon trenta mila Scotti,
da Zerbin, figlio del lor Re, condotti.
72
Vedi tra duo unicorni il gran Leone,
che la spada d’ariento ha ne la zampa:
quel è del Re di Scotia il gonfalone;
il suo figliol Zerbino ivi s’accampa.
Non è un sì bello in tante altre persone:
Natura il fece, e poi ruppe la stampa.
Non è in cui tal virtù, tal gratia luca
o tal possanza: et è di Roscia duca.
73
Vedi in azurro una dorata sbarra:
del conte d’Ottonlei quel è il stendardo;
l’altra bandiera è del duca di Marra,
che nel travaglio porta il Leopardo.
Di color tanti e tanti augei bizarra
mira l’insegna d’Alcabrun gagliardo,
che non è duca, conte, né marchese,
ma primo nel salvatico paese.
74
Del duca di Trasfordia è quella insegna
dove è l’augel ch’al Sol tien gli occhi franchi.
Lurcanio conte, ch’in Angoscia regna,
porta quel Tauro c’ha duo veltri a i fianchi.
Vede là il duca d’Albania, che segna
il campo di colori azurri e bianchi.
Quel Avoltor, ch’un drago verde lania,
è l’insegna del conte di Boccania.
75
Signoreggia Forbesse il forte Armano,
che di bianco e di nero ha la bandiera;
et ha il conte d’Erelia a destra mano,
che porta in campo verde una lumiera.
Hor guarda l’Hibernesi appresso il piano:
sono duo squadre; e il conte di Childera
mena la prima, e il conte di Desmonda
da feri monti ha tratta la seconda.
76
El primo ha nel stendardo un pino ardente,
l’altro nel bianco una vermiglia banda.
Non dà soccorso a Carlo solamente
la terra Inglese e la Scotia e la Irlanda,
ma vien di Svetia e di Norvega gente,
da Tile, e sin da la remota Islanda:
da ogni terra, in somma, che là giace,
nimica naturalmente di pace.
77
Sedice mila sono, o poco manco,
de le spelonche usciti e de le selve;
hanno piloso il viso, il petto e il fianco,
e dossi e braccia e gambe, come belve.
Intorno a quel stendardo tutto bianco
par che quel pian di lor lance s’inselve:
così Moratto il porta, il capo loro,
che vuol pingerlo poi col sangue Moro. –
78
Mentre Ruggier di quella gente bella,
che per soccorrer Francia si prepara,
mira le varie insegne, e ne favella
con quel da cui per ordine l’impara,
uno et un altro a lui, per mirar quella
bestia sopra cui sede, unica o rara,
maraviglioso corre e stupefatto;
e presto un cerchio intorno gli fu fatto.
79
Sì che per dar anchor più maraviglia
e per pigliarne il buon Ruggier più giuoco,
al volante Corsier scuote la briglia
e con li sproni ai fianchi il tocca un poco:
quel verso il ciel per l’aria il camin piglia,
e lascia ognuno attonito in quel luoco.
Quindi Ruggier (poi che di banda in banda
vide l’Inglesi) andò verso l’Irlanda.
80
E vide Hibernia fabulosa, dove
il santo vecchiarel fece la cava
in che tanta mercé par che si trove,
che l’huom vi purga ogni sua colpa prava.
Quindi poi sopra il mar il destrier move
là dove la minor Bertagna lava:
e nel passar vide, mirando a basso,
Angelica legata al nudo sasso.
81
Al nudo sasso, in l’Isola del pianto;
che l’Isola del pianto era nomata
quella che da crudele e fera tanto
et inhumana gente era habitata,
che (come io vi dicea sopra nel canto)
per varii liti sparsa iva in armata
tutte le belle donne depredando,
per farne a un Mostro poi cibo nefando.
82
Vi fu legata pur quella matina,
dove venìa per trangugiarla viva
quel smisurato Mostro, Orca marina,
che d’abhorrevole esca si nutriva.
Dissi di sopra come fu rapina
di quei che la trovaro in su la riva
dormire al vecchio incantatore a canto,
ch’ivi l’havea tirata per incanto.
83
La fiera gente inhospitale e cruda
alla bestia crudel nel lito expose
la bellissima donna, così ignuda
come Natura prima la compose:
un velo non ha pur in che richiuda
i bianchi gigli e le vermiglie rose,
da non cader per Luglio o per Decembre,
di che son sparse le polite membre.
84
Creduto havria che fusse statua finta
o d’Alabastro o marmori più illustri
Ruggiero, e su quel scoglio così avinta
per artificio di Scultori industri,
se non vedea la lachrima distinta
tra fresche rose e candidi ligustri
far rugiadose le crudette poma,
e l’aura sventilar l’aurata chioma.
85
E come ne’ begli occhi gli occhi affisse,
de la sua Bradamante gli sovenne:
Pietade e Amor a un tempo lo traffisse,
e di pianger a pena si ritenne;
e dolcemente alla donzella disse
(poi che del suo caval frenò le penne):
– O donna, degna sol de la catena
con che i suoi servi Amor legati mena,
86
e ben di questa, e d’ogni mal indegna,
chi è quel crudel che con voler perverso
d’importuno livor stringendo segna
di queste belle man l’avorio terso? –
Forza è ch’a quel parlar ella divegna
qual di molto ostro un bianco avorio asperso,
di sé vedendo quelle parti ignude,
ch’anchor che belle sian, vergogna chiude.
87
E coperto con man s’harebbe il volto,
se non eran legate al nudo sasso;
ma del pianto, ch’almen non l’era tolto,
lo sparse, e più che puòte il tenne basso.
E dopo alcun’ signiozzi il parlar sciolto,
incominciò con fioco suono e lasso:
ma non seguì, che dentro il fe’ restare
il gran rumor che si sentì nel mare.
88
Ecco apparire il smisurato Mostro
mezo ascoso nel’onda e mezo sorto.
Come sospinto suol da Borea o d’Ostro
venir lungo naviglio a pigliar porto,
così ne viene al cibo che l’è mostro
la bestia horrenda; e l’intervallo è corto.
La donna è meza morta di paura,
né per conforto altrui si rassicura.
89
Tenea Ruggier la lancia non in resta,
ma sopra mano, e percuoteva l’Orca.
Altro non so che s’assimigli a questa,
ch’una gran massa che s’aggiri e torca;
né forma ha d’animal fuor che la testa,
c’ha gli occhi e i denti fuor, come di porca.
Ruggier in fronte la fere tra gli occhi,
ma par che un ferro o un duro sasso tocchi.
90
Poi che la prima botta poco vale,
ritorna per far meglio la seconda.
L’Orca, che vede sotto le grandi ale
l’ombra di qua e di là correr su l’onda,
lascia la preda certa litorale,
e quella vana segue furibonda;
drieto quella si volve e si raggira:
Ruggier giù cala, e spessi colpi tira.
91
Come d’alto venendo Aquila suole,
c’habbia veduto in l’herbe errar la biscia
o starsi sopra un nudo sasso al sole,
dove le spoglie d’oro abbella e liscia;
non assalir da quel lato la vuole
onde la velenosa e soffia e striscia,
ma da tergo la adugna, e batte i vanni
onde essa non si volga e non la azanni:
92
così Ruggier con l’hasta e con la spada,
non dove era de denti armato il muso,
ma vuol ch’el colpo hor tra l’orecchie cada,
hor su le schiene, hor ne la coda giuso.
Se la fera si volta, ei muta strada,
et a tempo giù cala, e poggia in suso:
ma come sempre giunga in un dïaspro,
non può tagliar il scoglio duro et aspro.
93
Simil battaglia fa la mosca audace
contra il mastin nel polveroso Agosto,
o nel mese dinanzi o nel seguace,
l’uno di spiche e l’altro pien di mosto:
lo punge in gli occhi o nel grifo mordace;
volagli intorno e gli sta sempre accosto;
e quel suonar fa spesso i denti a sciutto:
ma un tratto che l’arrivi appaga il tutto.
94
Sì forte ella nel mar batte la coda,
che fa vicino al ciel l’acqua inalzare;
tal che non sa se l’ale in aria snoda
il suo cavallo, o pur nuota nel mare.
È spesso che disia trovarsi a proda;
c’havendo il sprazzo in tal modo a durare,
teme sì l’ale inaffi al Hippogrypho,
che brami invano haver la ciucca o il schifo.
95
Prese nuovo consiglio, e fu il migliore,
di vincer con altr’arme il mostro crudo:
d’abbarbagliarlo col mortal splendore
ch’era incantato nel coperto scudo.
Vola nel lito, e per non fare errore,
alla donna legata al scoglio nudo
lascia nel minor dito de la mano
l’annel che solea far l’incanto vano:
96
dico l’annel che Bradamante havea,
per liberar Ruggier, tolto a Brunello,
poi, per trarlo di man d’Alcina rea,
mandato in India per Melissa a quello.
Melissa (come dianzi io vi dicea)
in ben di molti adoperò l’annello;
ma poi l’havea a Ruggier restituito,
che sempre poi l’havea portato in dito.
97
Lo dà ad Angelica hora, perché teme
che del suo scudo il folgorar non viete,
e perché a lei ne sian diffesi insieme
gli occhi, che già l’havean preso alla rete.
Hor viene al lito, e sotto il ventre preme
ben mezo ’l mar la smisurata Cete:
sta Ruggiero alla posta e lieva il velo;
e par che giunga un altro Sol al cielo.
98
Ferì ne gli occhi l’incantato lume
di quella fera, e fece al modo usato:
come Trota boccheggia in piccol fiume
c’habbia con calce il montanar turbato,
così vedeasi in le marine schiume
el Mostro horribilmente riversciato.
Di qua di là Ruggier percuote assai,
ma di ferirlo via non trova mai.
99
La bella Donna tuttavolta prega
ch’invan la dura squamma oltra non pesti.
– Torna, per dio, Signor: prima mi slega
(dicea piangendo) che l’Orca si desti;
portami teco, e in mezo ’l mar me annega:
non far ch’in ventre al brutto pesce io resti. –
Ruggier, commosso dunque al giusto grido,
slegò la Donna e la levò dal lido.
100
Il destrier, punto, ponta i piè in l’arena
e sbalza in aria, e per il ciel galoppa;
e porta il cavalliero in su la schiena,
e la donzella drieto in su la groppa.
Così privò la fiera de la cena
per lei suave e delicata troppa.
Ruggier si va volgendo, e mille baci
figge nel petto e ne gli occhi vivaci.
101
Non più tenne la via, come propose
prima tra sé, di circundar la Spagna;
ma nel propinquo lito il caval pose,
dove entra in mar più la minor Bertagna.
Sul lito un bosco era di querce ombrose,
dove ognhor par che Philomena piagna;
c’havea in mezo un pratel con una fonte
e quinci e quindi un solitario monte.
102
Giunto qui sopra, il cavallier ritenne
l’audace corso, e nel pratel discese;
e fe’ racôrre al suo destrier le penne,
ma non a tal che più l’havea distese.
Del caval sceso, a pena se ritenne
di salir altri; ma tennel l’arnese:
l’arnese el tenne, che bisognò trarre,
e contra il suo disir messe le sbarre.
103
Frettoloso, hor da questo hor da quel canto
confusamente l’arme si levava:
non gli parve altra volta mai star tanto;
che s’un laccio scioglea, duo ne annodava.
Ma troppo è lungo hormai, signore, il canto,
e forse ben che l’ascoltar vi grava:
sì ch’io differirò l’historia mia
a una altra volta che più grata sia.