CANTO DECIMONONO

1
Né fune intorto crederò che stringa
soma così, né così legno chiodo,
come la fé ch’una bell’alma cinga
del suo tenace indisolubil nodo.
Né da li antiqui par che si dipinga
la santa Fé vestita in altro modo
che d’un vel bianco che la copra tutta:
ch’un punto, un nevo la potria far brutta.
2
La fede unque non debbe esser corrotta,
o data a un solo o data insieme a mille;
e così in una selva, in una grotta,
lontano da città, castella e ville,
come dinanzi a tribunali, in frotta
di testimoni, cedule e postille,
senza giurare o segno altro più expresso,
basti una volta che s’habbi promesso.
3
Quella servò, come servar si debbe
in ogni impresa, il cavallier Zerbino:
e quivi dimostrò che conto n’hebbe
quando si tolse dal proprio camino
per far compagnia a tal, che più gl’increbbe
che s’altrotanto o più stato vicino
li fusse il basilisco; ma premea
quel che a Marphisa già promesso havea.
4
Dissi di lui che di vederla sotto
la scorta sua tanto nel cor gli preme,
che ne arrabbia di duol, né le fa motto,
e muti e taciturni andaro insieme;
dissi che poi fu il lor silentio rotto,
che volse al mezo dì le ruote estreme
il vago Sol, da un cavallier errante
che in mezo del camin lor si fe’ inante.
5
La vecchia che connobbe il cavalliero,
ch’era nomato Hermonide d’Olanda,
che per insegna havea nel scudo nero
attraversata una vermiglia banda,
posto l’orgoglio e quel sembiante altiero,
humilmente a Zerbin si raccomanda,
e gli racorda quel ch’esso promise
quando Marphisa in man di lui la mise;
6
perché di lei nemico e di sua gente
era el guerrier che contra lor venìa:
ucciso ad essa havea il padre innocente
et un fratel che solo al mondo havia;
e tuttavolta far del rimanente,
come de li altri, il traditor disia.
– Fin che alla guardia tua, donna, mi senti
(dicea Zerbin), non vuo’ che ti sgomenti. –
7
Come più presso il cavallier si specchia
in quella faccia che sì in odio gli era:
– O di combatter meco t’apparecchia, –
gridò con voce minacciosa e fiera,
– o lascia la difesa de la vecchia,
che di mia man secondo il merto pèra.
Se combatti per lei rimarrai morto;
che così aviene a chi s’appiglia al torto. –
8
Zerbin cortesemente a lui risponde
che gli è desir di bassa e mala sorte,
et a cavalleria non corrisponde
che cerchi dare ad una donna morte:
se pur combatter vuol, non si nasconde;
ma che prima consideri che importe
ch’un cavallier, come era egli, gentile,
voglia por mano in sangue feminile.
9
Queste gli disse e più parole invano;
e fu bisogno al fin venire a’ fatti.
Poi che preso a bastanza hebbon del piano,
tornârsi incontra a tutta briglia ratti.
Non van sì presto i razi fuor di mano,
ch’al tempo son de le allegrezze tratti,
come andaron veloci i dui destrieri
ad incontrare insieme i cavallieri.
10
Hermonide d’Olanda segnò basso,
che per passare il destro fianco attese:
ma la sua debol lancia andò in fraccasso,
né la corazza di Zerbin si rese.
Non ferì il colpo di Zerbino in casso,
ma ruppe il scudo, e sì la spalla prese
che la forò da l’uno all’altro lato,
e riversar fe’ Hermonide sul prato.
11
Zerbin, che si pensò d’haverlo morto,
n’hebbe pietade e scese in terra presto,
e l’elmo gli levò del viso smorto,
di che il spirto ne fu subito desto.
Poi che a seder fu il cavallier risorto,
disse: – Signor, el non m’è già molesto
che da te vinto sia, che alli sembianti
mostri esser fior de’ cavallieri erranti;
12
dogliomi ben che questo per cagione
d’una femina perfida m’aviene,
a cui non so come tu sia campione;
che troppo al tuo valor si disconviene.
E quando tu sapessi la cagione
che a vendicarmi di costei mi mene,
havresti, ognhor che rimembrassi, affanno
d’haver (per lei campar) fattomi danno.
13
E se spirto a bastanza havrò nel petto
ch’io possa dir (di che il contrario temo),
io ti farò veder che in ogni effetto
scelerata è costei più che in estremo.
Io hebbi già un fratel, che giovinetto
d’Olanda si partì, donde noi semo,
e si fece d’Eraclio cavalliero,
che allhor tenea de’ Greci il summo impero.
14
Quivi divenne intrinseco e fratello
d’un cortese baron di quella corte,
che nei confin di Servia havea un castello
di sito ameno e di muraglia forte.
Nomossi Argeo colui di ch’io favello,
di questa iniqua femina consorte,
la quale egli amò sì, che passò il segno
che conveniasi a un huom, come lui, degno.
15
Ma costei, più volubile che foglia
quando in l’autonno è più priva d’humore,
che ’l freddo vento li arbori ne spoglia
e le soffia dinanzi al suo furore;
verso il marito cangiò presto voglia,
che fisso qualche tempo hebbe nel core;
e volse ogni pensiero, ogni disio
d’acquistar per amante il fratel mio.
16
Ma né sì saldo al impeto marino
l’Acrocerauno d’infamato nome,
né sta sì duro contra Borea il pino
che rinovato ha più di cento chiome,
che quanto appar di fuor del scoglio alpino
tanto sotterra ha le radici; come
il mio fratello a’ prieghi di costei,
nido di tutti i vitii infandi e rei.
17
Hor, come aviene a un cavallier ardito
che cerca briga e la ritruova spesso,
fu gravemente il mio fratel ferito
in una impresa che gli accàde appresso
a quel castel, dove senza altro invito
venìa, fusse o non fusse Argeo con esso;
e dentro a quel per riposar fermosse
tanto che del suo mal libero fosse.
18
Mentre che quivi si giacea, convenne
ch’a certo suo bisogno andasse Argeo.
Presto questa sfacciata a tentar venne
el mio fratel, et a sua usanza feo;
ma quel fedel non oltra più sostenne
havere ai fianchi un stimulo sì reo:
elesse, per servar sua fede a pieno,
di molti mal quel che gli parve meno.
19
Tra molti mal gli parve elegger questo:
lasciar d’Argeo la intrinsichezza antiqua;
lungi andar sì, che non sia manifesto
mai più el suo nome alla femina iniqua.
Ben che duro gli fusse, era più honesto
che satisfare a quella voglia obliqua
o accusar la moglie al suo signore,
da cui fu amata a par del proprio core.
20
Né sano essendo anchor, né tutto infermo,
l’arme sue piglia e del castel si parte;
e con animo va constante e fermo
mai più di ritornare in quella parte.
Ma che gli val? che ogni difesa e schermo
gli fa debil Fortuna e la nuova arte
di questa falsa: ecco il marito intanto
vi sopraggiunge, e la ritruova in pianto,
21
e scapigliata e con la faccia rossa;
e le dimanda perché sia turbata.
Et ella al primo dir di nulla è mossa,
e fa pregarsi più d’una fïata,
pensando tuttavia come si possa
vendicar di colui che l’ha lasciata:
e ben convenne al suo mobile ingegno
senza mezo cangiar l’amore in sdegno.
22
Pur disse finalmente: «A che nascondo
a te l’error commesso in la tua absentia?
che quando anchora io il celi a tutto il mondo,
celar nol posso alla mia conscïentia.
L’alma che sente il suo peccato immondo
patisce dentro a sé tal penitentia,
ch’avanza ogni altro corporal martìre
che dar mi possa alcun del mio fallire;
23
quando fallir sia quel che si fa a forza:
ma sia quel che si vuol, tu sappil’ancho;
poi con la spada da la immonda scorza
libera il spirto immaculato e bianco,
e ne la eterna cecitade ammorza
le luci mie, che dopo il falso, almanco
tenerle basse ognhor non mi bisogni,
e di ciascun ch’io veggia io mi vergogni.
24
El tuo compagno è quel che t’ha destrutto
l’honor, che questo corpo ha vïolato;
e perché teme ch’io ti narri il tutto,
hor si parte il villan senza commiato».
In odio con quel dir gli hebbe ridutto
colui che più d’ogn’altro gli fu grato.
Argeo lo crede, et altro non aspetta;
ma piglia l’arme e va per far vendetta.
25
E come quel c’havea il paese noto,
lo giunse che non fu troppo lontano;
ch’el mio fratello, debile et egroto,
senza suspetto alcun n’andava piano:
e brevemente, in un luoco remoto
pose, per vendicarsene, in lui mano.
Non truova il mio fratel scusa che vaglia;
ch’in summa Argeo con lui vuol la battaglia.
26
Era l’un sano e pien di nuovo sdegno,
infermo l’altro et all’usanza amico:
sì c’hebbe il mio fratel poco ritegno
contra il compagno fattoli nemico.
Dunque Philandro, di tal sorte indegno
(del sfortunato mio fratel ti dico),
ferito e più non sostenendo il peso
del’armi, al fin fu dal compagno preso.
27
«Non piaccia a Dio che me conduca a tale
il mio giusto furore e ’l tuo demerto
(gli disse Argeo), che mai sia homicidiale
di te ch’amavo; e tu m’amavi certo,
ben che nel fin me l’hai mostrato male:
pur voglio a tutto il mondo far aperto
che, come fui nel tempo del amore,
così nel odio son di te migliore.
28
Per altro modo punirò il tuo fallo,
che le mie man più nel tuo sangue porre».
Così dicendo, fece sul cavallo
di verdi rami una bara comporre,
e quasi morto in quella riportallo
dentro al castello in una chiusa torre,
dove in perpetuo per punitïone
condennò l’innocente esser prigione.
29
Non perhò ch’altra cosa havesse manco,
che la libertà prima del partire;
perché nel resto, come fusse franco,
commandava e potea farsi ubedire.
Ma non essendo anchor l’animo stanco
di questa fraudolente ad exequire
la libidine sua, spesso veniva
alla pregion, che a suo piacere apriva,
30
movendo sempre al mio fratello assalti,
e con maggior audacia che di prima.
«Questa tua fedeltà (dicea) che valti,
poi che perfidia per tutto se stima?
Oh che triomphi glorïosi et alti!
oh che superbe spoglie e preda opima!
oh che merito al fin te ne risulta,
se come a traditore ognun t’insulta!
31
Quanto utilmente e con più grande honore
m’havresti dato quel che da te volli!
Di questo sì ostinato tuo rigore
la gran mercé, che tu guadagni, hor tolli:
in pregion sei, né crederne uscir fuore
se la durezza tua prima non molli.
Ma quando mi compiaci, io farò trama
di racquistarti e libertade e fama».
32
«Non, non (dicea Philandro) haver mai spene
che non sia, come suol, mia vera fede,
se ben contra ogni debito m’aviene
ch’io ne riporti sì dura mercede,
e di me creda il mondo o male o bene:
basta che inanti a quel ch’el tutto vede
e puommi ristorar di gratia eterna
chiara la mia innocentia se discerna.
33
Se non basta ad Argeo tenermi preso,
togliami anchor questa noiosa vita.
Forse che premio in ciel mi serà reso
de la buona opra qui poco gradita;
forse egli, che da me se chiama offeso,
quando serà questa anima partita
s’avederà d’havermi fatto torto,
e piangerà il fedel compagno morto».
34
Così più volte la sfacciata donna
tenta Philandro, e torna senza frutto.
Ma il cieco suo desir, che non assonna
del scelerato amor traher construtto,
cercando va più dentro che la gonna
suoi vitii antiqui, e ne discorre il tutto:
mille pensier fa d’uno in altro modo
prima che fermi in alcun d’essi il chiodo.
35
Stette sei mesi che non messe piede
(sì come facea prima) in la pregione;
di che il miser Philandro e spera e crede
che costei più non gli habbia affettïone.
Ecco Fortuna, al mal propitia, diede
a questa scelerata occasïone
di poner fin con memorabil male
al suo cieco appetito irrationale.
36
Antiqua nemicitia havea il marito
con un baron detto Morando el Bello,
ch’en absentia d’Argeo spesso era ardito
correrli solo insin dentro il castello;
ma s’Argeo v’era, non tenea l’invito,
né s’accostava a diece miglia a quello:
e per poterlo indur che vi venisse,
d’ire in Hierusalem per voto disse.
37
Disse d’andare; e se partì che ognuno
lo vide, e fe’ di ciò sparger le grida:
né il suo pensier, fuor che la moglie, alcuno
puoté saper; che sol di lei se fida.
Poi ritornò, quando fu il ciel più bruno,
drento al castel; né qui troppo s’annida:
ma con mutate insegne al nuovo albóre,
senza vederlo alcun, se n’uscia fuore.
38
Andava in questa e in quella parte errando,
e volteggiando al suo castello intorno,
pur per veder se, credulo Morando
del suo partir, volesse far ritorno.
Stava il dì tutto alla foresta; e quando
vedea nascoso in la marina el giorno
venìa al castel, e per nascose porte
lo togliea dentro l’infedel consorte.
39
Crede ciascun, fuor che la iniqua moglie,
che molte miglia Argeo lontan si trove.
Dunque il tempo opportuno ella si coglie:
e al frate mio va con malitie nuove
(e con lachryme pronte alle sue voglie)
e simulato sdegno, e dice: «Dove,
ohimè, dove potrò trovare aiuto
che in tutto l’honor mio non sia perduto?
40
E col mio quel del mio marito insieme;
che se fusse egli qui, non temerei.
Tu sai chi sia Morando, che non teme
(absente Argeo) né li huomini né i dèi.
Esso sempre mi stimula e mi preme
con prieghi e doni a quel che non farei
né per esso già mai né per altrui;
ben che per te d’altro parer già fui.
41
Hor c’ha inteso il partir del mio consorte
e sa che ritornar non de’ sì presto,
hebbe hoggi audacia intrar ne la mia corte
senza altra scusa e senza altro pretesto,
come colui che se connosce forte
tra donne vili; e so che di far questo,
sendovi Argeo, non serìa sol sicuro,
ma non pur di lontan guardar il muro.
42
E quel che già per messi ha ricercato,
hoggi me l’ha richiesto a fronte a fronte,
con tanta audacia, che gran dubbio è stato
de lo avenirmi dishonore et onte;
e se non che parlar dolce gli ho usato
e finto le mie voglie alle sue pronte,
serìa a forza di quel stato rapace
che spera haver per mie parole in pace.
43
Promesso gli ho, ma non per observarli;
che fatto per timor, nullo è il contratto:
ma gli promessi sol per divietarli
quel che per forza havrebbe allhora fatto.
Il caso è qui: tu sol puoi remediarli;
del mio honor altrimente serà tratto
e di quel del mio Argeo, che già m’hai detto
havere o tanto o più che ’l proprio a petto.
44
E se questo mi nieghi, io dirò dunque
che ’n te non sia la fé di che ti vanti:
ma che fu sol per crudeltà, qualunque
volta hai sprezzati i miei sùpplici pianti;
non per rispetto alcun d’Argeo, quantunque
tal scudo mi opponesti ognhora inanti.
Saria stato tra noi la cosa occulta;
ma quinci aperta infamia mi risulta».
45
«Non si convien (disse Philandro) tale
prologo a me, per il mio Argeo disposto.
Dimmi pur che ho da far, che serò quale
fui sempre, né cangiar voglio proposto;
e ben che a torto io ne riporti male,
a lui non ho questo peccato imposto.
Per lui son pronto andar sino alla morte,
e siami contra il mondo e la mia sorte».
46
Rispose l’empia: «Io voglio che tu spenga
colui che ’l nostro dishonor procura,
né dubitar di peggio che n’avenga;
ch’io te ne mostrerò la via sicura.
Debbe egli a me tornar come rivenga
su l’hora terza la notte più scura,
e farmi un cenno di ch’io l’ho previsto;
et io drento il torrò che non fia visto.
47
El non ti graverà prima aspettarme
ne la camera mia dove non luca,
tanto che dispogliar gli faccia l’arme
e come nudo in man te lo conduca».
Così la moglie conducesse parme
il suo marito alla tremenda buca;
se per dritto costei moglie s’appella,
più che furia infernal crudele e fella.
48
Poi che la notte scelerata venne,
fuor trasse il mio fratel col’arme in mano;
e ne la oscura camera lo tenne
fin che tornasse il miser Castellano.
Come ordine era dato, il tutto avenne;
ch’el consiglio del mal va raro invano:
così l’amico il fratel mio percosse,
che si pensò ch’Argeo Morando fosse.
49
Partìgli in un sol colpo il capo e il collo;
ch’elmo non v’era, e non vi fu riparo.
Pervenne Argeo senza pur dare un crollo
de la misera vita al fin amaro;
e tal l’uccise, che mai non pensollo,
né mai l’havria creduto: oh caso raro!
che cercando giovar, fece al amico
quel di che non si fa peggio al nemico.
50
Poscia ch’Argeo non connosciuto giacque,
rese a Gabrina il mio fratel la spada.
Gabrina è il nome di costei, che nacque
sol per tradire ognun che in man le cada.
Ella, ch’el ver sino a quell’hora tacque,
vuol che Philandro a riveder ne vada
col lume in mano il morto onde egli è reo:
e gli dimostra il suo compagno Argeo.
51
Et gli minaccia poi, se non consente
al amoroso suo lungo desire,
di palesare a tutta quella gente
quel ch’egli ha fatto, e nol può contradire;
e lo farà vituperosamente
(sì come suole un traditor) morire;
e gli racorda che sprezzar la fama
non de’, se ben la vita sì poco ama.
52
Pien di paura e di dolor rimase
Philandro, poi che del suo error s’accorse,
e quasi ch’el primo impeto suase
d’uccider questa; e stette un pezzo in forse:
e se non ch’era in le nemiche case,
che pur ne l’ira la ragion soccorse,
non si trovando havere altre arme in mano,
co’ denti la stracciava a brano a brano.
53
Come nel alto mar legno talhora
che da duo venti sia percosso e vinto,
c’hora uno inanzi l’ha mandato, et hora
un altro al primo termine respinto,
e l’han girato da poppa e da prora,
dal più possente al fin resta sospinto;
così Philandro, tra molte contese
de’ dui pensieri, al manco rio s’apprese.
54
Ragion gli dimostrò ’l pericol grande
(oltra il morir) del fin infame e sozzo,
se l’homicidio nel castel si spande;
e del pensare il termine gli è mozzo.
Voglia o non voglia, al fin convien che mande
l’amarissimo calice nel gozzo:
più finalmente nel afflitto core
de l’ostinatïon puoté il timore.
55
Il timor del supplicio infame e brutto
prometter fece con mille scongiuri
che faria di Gabrina il voler tutto,
se di quel luoco se partian sicuri.
Così per forza colse l’empia il frutto
del suo desir, e poi lasciâr quei muri.
Così Philandro a noi fece ritorno,
lasciando di sé in Grecia infamia e scorno.
56
E portò nel cor fisso il suo compagno,
che così scioccamente ucciso havea
per far, con sua gran noia, empio guadagno
d’una Progne crudel, d’una Medea.
E se la fede e il giuramento, magno
e duro freno, non lo ritenea,
come al sicuro fu, morta l’havrebbe;
ma quanto più si poté, in odio l’hebbe.
57
Non fu da indi in qua rider mai visto:
tutte le sue parole erano meste,
sempre suspir gli uscian del petto tristo;
et era divenuto un nuovo Horeste
poi che la madre uccise e il sacro Egisto,
e che l’ultrici Furie hebbe moleste.
E senza mai cessar, tanto l’afflisse
questo dolor, che infermo al letto el fisse.
58
Hor questa meretrice, che si pensa
quanto a quest’altro suo poco sia grata,
muta la fiamma già d’amore intensa
in odio, in ira ardente et arrabbiata;
né meno è contra al mio fratello accensa
che fusse contra Argeo la scelerata:
e dispone tra sé levar dal mondo,
come el primo marito, ancho el secondo.
59
Un medico trovò d’inganni pieno,
sufficïente et atto a simil uopo,
che sapea meglio uccider di veneno
che risanar l’infermi di siropo;
et gli promesse inanzi più che meno,
di quel che dimandò, donarli, dopo
c’havesse con mortifero liquore
levatole da gli occhi il suo signore.
60
Già, me presente e molte altre persone,
venìa col tòsco in mano il vecchio ingiusto,
dicendone esser buona potïone
da ritornare il mio fratel robusto.
Ma Gabrina con nuova intentïone,
pria che l’infermo ne turbasse il gusto,
per tôrse il consapevole da presso
o per non darli quel che havea promesso,
61
la man gli prese quando a punto dava
la tazza dove il tòsco era celato,
dicendo: «Ingiustamente è s’el ti grava
ch’io tema per costui c’ho tanto amato.
Voglio esser certa che bevanda prava
tu non gli dia, né succo avenenato;
et per questo mi par ch’el beveraggio
non habbi a dar, se non ne fai tu il saggio».
62
Come pensi, signor, che rimanesse
il miser veglio conturbato allhora?
La brevità del tempo sì l’oppresse,
che non puoté pensar che meglio fôra;
pur, per non dar maggior suspetto, elesse
il calice gustar senza dimora:
e l’infermo, seguendo una tal fede,
tutto il resto pigliò che si gli diede.
63
Come l’astor che nel piede griphagno
tenga la starna, e sia per trarne pasto,
dal can che si tenea fido compagno
ingordamente è sopraggiunto e guasto;
così il medico, intento al rio guadagno,
donde sperò sussidio hebbe contrasto.
Odi di summa audacia exempio raro!
e così avenga a ciascun altro avaro.
64
Fornito questo, il vecchio erasi messo,
per ritornarsi alla sua stanza, in via,
et usar qualche medicina appresso
che lo servasse da la peste ria;
ma da Gabrina non gli fu concesso,
dicendo non voler ch’andasse pria
che quel liquor nel stomacho digesto
non facesse il valor suo manifesto.
65
Nulla valse il pregarla o fare offerta
che mai gli concedesse il dipartire.
Il disperato, poi che vide certa
la morte sua, né la poter fuggire,
a’ circonstanti fe’ la cosa aperta;
né la seppe costei troppo coprire.
E così quel che fece a li altri spesso,
il medico alla fin fece a se stesso:
66
e seguitò coll’alma quella ch’era
già del mio frate caminata inanzi.
Noi circonstanti, che la cosa vera
dal vecchio udimmo, che fe’ pochi avanzi,
pigliammo questa abominevol fera,
d’ogn’altra più crudel che ’n selva stanzi;
e la serrammo in tenebroso luoco
per condennarla al meritato fuoco. –
67
Questo Hermonide disse, e gli voleva
seguir come ella di pregion levossi;
ma il dolor de la piaga sì l’aggreva
che pallido ne l’herba riversossi.
Intanto dui scudier, che seco haveva:
dentro una bara, che di rami grossi
tesser fatto s’havea, si fece porre;
ch’indi altrimente non si potea tôrre.
68
Zerbin con lui fece accettabil scusa,
che gli ’ncrescea d’haverli fatto offesa;
ma, come pur tra cavallieri s’usa,
colei che venìa seco havea difesa;
ch’altrimente sua fé serìa delusa:
perché, quando in sua guardia l’havea presa,
promisse a tutto suo poter salvarla
contra ognun che venisse a disturbarla.
69
E s’in altro potea gratificarli,
prontissimo offeriase alla sua voglia.
Rispose il cavallier che racordarli
sol vuol, che da Gabrina se discioglia
prima ch’ella habbia cosa a machinarli,
di che esso indarno poi si penta e doglia.
Gabrina tenne sempre gli occhi bassi,
perché risposta male al vero dassi.
70
Con la vecchia Zerbin quindi partisse
al già promesso debito vïaggio;
e tra sé tutto il dì la maledisse
che far gli fece a quel baron oltraggio.
Et hor che, per il mal che gli ne disse
chi lo sapea, di lei fu instrutto e saggio,
se prima l’havea a noia e dispiacere,
hor l’odia sì, che non la può vedere.
71
Ella che di Zerbin sa l’odio a pieno,
né in mala volontà vuole esser vinta,
un’oncia a lui non ne riporta meno:
la tien di quarta e la rifà di quinta.
Nel cor era gonfiata di veneno,
e nel viso altrimente era depinta.
Dunque ne la concordia ch’io vi dico
tenean lor via per mezo il bosco antico.
72
Ecco, volgendo il Sol verso la sera,
udiron gridi e strepito e percosse,
che facea segno di battaglia fiera
che, quanto era il rumor, vicina fosse.
Zerbino, per veder la cosa che era,
verso il rumore in gran fretta si mosse.
Non fu Gabrina lenta andarli drieto:
ma questo canto è al fine, et io m’accheto.