CANTO UNDECIMO

1
Ben furo aventurosi i cavallieri
di quella età, che in li horridi valloni,
in le scure spelonche e boschi fieri,
tane di Serpi, d’Orsi e di Leoni,
trovavan quel che ne i palazzi altieri
a pena hor trovar puon giudici buoni:
donne, che in lor più lieta e fresca etade
sian degne d’haver titol di beltade.
2
Di sopra vi narrai che ne la grotta
havea trovato Orlando una donzella,
e che le dimandò ch’ivi condotta
l’havesse: hor seguitando dico ch’ella,
poi che d’alcun’ signiozzi fu interrotta,
con dolce e suavissima favella
le sue fortune al Conte fece note
con quella brevità che meglio puòte.
3
– Ben che io sia certa (disse), cavalliero,
ch’io portarò del mio parlar supplicio,
perché a colui che qui m’ha chiusa spero
che costei ne darà subito indicio,
io son disposta non celarti el vero;
poi me n’avenga qual si voglia exicio.
E che attender posso io da lui più gioia,
ch’el si dispona un dì voler ch’io muoia?
4
Issabella sono io, che figlia fui
del Re mal fortunato di Gallitia.
Ben dissi fui; c’hor non son più di lui,
ma di dolor, d’affanno e di mestitia.
Colpa d’Amor: ch’io non saprei di cui
dolermi più che de la sua nequitia;
che dolcemente ne i principii applaude,
e tesse di nascosto inganno e fraude.
5
Già mi vivea di mia sorte felice,
gentil, giovane, ricca, honesta e bella:
vile e povera hor sono, hor infelice;
e s’altra è peggior sorte, io son in quella.
Ma voglio sappi la prima radice
che produsse quel mal che mi flaggella;
e ben che aiuto poi da te non esca,
poco non mi parrà che te n’incresca.
6
Fece in Baiona il patre mio una giostra
(esser denno hoggimai dodice mesi).
Trasse la fama ne la terra nostra
a giostrar cavallier di più paesi;
fra li altri, o sia che Amor così mi mostra,
o che virtù pur se stessa palesi,
mi parve da lodar Zerbino solo,
che del gran Re di Scotia era figliuolo.
7
Il qual poi che far prove in campo vidi
miracolose di cavalleria,
fui presa del suo amore; e non m’avidi,
ch’io mi connobbi più non esser mia.
E pur (ben ch’el suo amor così mi guidi)
mi giova sempre havere in fantasia
ch’io non misi il mio core in luoco immondo,
ma nel più degno e bel c’hoggi sia al mondo.
8
Zerbino di bellezza e di valore
sopra tutti e’ signori era eminente.
Mostrommi, e credo mi portasse amore,
e che di me non fusse meno ardente.
Non ci mancò chi del commune ardore
interprete fra noi fosse sovente,
così poi che di vista fummo sgiunti,
ben che li animi ognhor stesser congiunti.
9
Perhò che dato fine alla gran festa,
il mio Zerbino in Scotia fe’ ritorno.
Se sai che cosa è Amor, ben sai che mesta
restai, di lui pensando notte e giorno;
et ero certa che non men molesta
fiamma intorno il suo cor facea soggiorno.
Egli non fece al suo disio più schermi,
se non che cercò via di seco havermi.
10
E perché vieta la diversa fede
(essendo egli christiano, io saracina)
ch’al mio padre per moglie non mi chiede,
per furto indi levarmi si destina.
Fuor de la ricca mia patria, che siede
tra verdi campi allato alla marina,
havevo un bel giardin sopra una riva,
che colli intorno e tutto il mar scopriva.
11
Gli parve il luoco a fornir ciò disposto
che la diversità de leggi vieta;
e mi fa saper l’ordine che posto
havea di far la nostra vita lieta.
Appresso a Santa Marta havea nascosto
con gente armata una Galea secreta;
n’havea guardia Odorico di Biscaglia,
in mare e in terra mastro di battaglia.
12
Né potendo in persona far l’effetto
(perché egli allhora era dal padre antico
a dar soccorso al Re di Francia astretto),
mandaria in vece sua questo Odorico,
che tra tutti i fedeli amici eletto
s’havea pel più fedele e lo più amico:
e bene esser devea, se i benefici
sempre hanno forza d’acquistar li amici.
13
Verria costui sopra un naviglio armato
al terminato tempo indi a levarmi.
E così venne il giorno disïato,
che dentro il mio giardin lasciai trovarmi.
Odorico la notte, acompagnato
di gente valorosa all’acqua e all’armi,
smontò ad un fiume alla città vicino
e venne chetamente al mio giardino.
14
Quindi fui tratta alla galea spalmata
prima che la città n’havesse avisi.
De la famiglia ignuda e disarmata
altri fuggiro, altri restaro uccisi,
parte captiva meco fu menata.
Così da la mia terra io mi divisi,
con quanto gaudio non ti potrei dire,
sperando in breve il mio Zerbin fruire.
15
Voltati sopra Mongia eramo a pena,
quando n’assalse alla sinistra sponda
un vento che turbò l’aria serena,
e turbò il mare e al ciel gli levò l’onda.
Salta un Maestro ch’a traverso mena,
e cresce ad hora ad hora e soprabonda;
e cresce e soprabonda con tal forza,
che val poco alternar poggia con orza.
16
Non giova calar vele e l’arbor sopra
corsia legar, né ruinar castella,
che si veggiàn (mal grado) portar sopra
acuti scogli appresso alla Rocella:
se non ne aiuta quel che sta di sopra,
ne spinge in terra la crudel procella.
El vento rio ne caccia in maggior fretta
che d’arco mai non s’aventò saetta.
17
Vide il periglio il Biscaglino, e a quello
usò un remedio che fallir suol spesso:
hebbe ricorso subito al battello;
calossi, e me calar fece con esso.
Sceser dui altri, e ne scendea un drapello
se i primi scesi l’havesser concesso;
ma con le spade li téner discosto:
tagliâr la fune, e s’allargaron tosto.
18
Fummo gettati a salvamento al lito
noi che nel palaschermo eramo scesi;
periron li altri col legno sdruscito;
in preda al mare andâr tutti li arnesi.
All’eterna Bontade, all’infinito
Amor, con le man giunte gratie io resi
che non m’havessi dal furor marino
lasciato tôr d’ancho veder Zerbino.
19
Come ch’io havessi sopra il legno e vesti
lasciato e gioie et altre cose care,
pur che la speme di Zerbin mi resti,
contenta son che s’habbi il resto il mare.
Non sono, ove scendemo, i liti pesti
d’alcun sentier, né intorno albergo appare,
ma solo il monte, a cui mai sempre fiede
l’ombroso capo il vento, e il mare il piede.
20
Quivi il crudel tyranno Amor, che sempre
d’ogni promessa sua fu disleale,
e sempre guarda come involva e stempre
ogni nostro disegno rationale,
mutò con triste e dishoneste tempre
mio conforto in dolor, mio bene in male;
che quel amico, in chi Zerbin sì crede,
di disire arse, et aggiacciò di fede.
21
O che m’havesse in mar bramata anchora,
né fusse stato a dimostrarlo ardito,
o comminciassi il desiderio allhora
che l’agio v’hebbe dal solingo lito;
disegnò quivi senza più dimora
condurre a fin l’ingordo suo appetito,
ma prima da sé tòrre un de li dui
che nel battel campati eran con nui.
22
Quell’era homo di Scotia, Almonio detto,
che mostrava a Zerbin portar gran fede,
e commendato per Guerrier perfetto
da lui fu, quando ad Odorico il diede.
Disse a costui che biasmo era e difetto
se mi traheano alla Rocella a piede,
e lo pregò ch’inanti volesse ire
a farmi contra alcun ronzin venire.
23
Almonio, che di ciò nulla temea,
innanzi immantinente il camin piglia
alla città, che ’l bosco n’ascondea
e non era lontana oltra sei miglia.
Odorico scoprir sua voglia rea
all’altro finalmente si consiglia,
sì perché tòr non se lo sa d’appresso,
parte che havea gran confidentia in esso.
24
Era Corebo di Bilbao nomato
quel di ch’io parlo, che con noi rimase,
che da piccol fanciul s’era allevato
con Odorico in le medesme case.
Poter con lui communicar l’ingrato
pensiero il Traditor si persuase,
sperando che devesse amar più presto
el piacer del amico, che l’honesto.
25
Corebo, che gentile era e cortese,
non lo puoté ascoltar senza gran sdegno:
lo chiamò traditore, e gli contese
con parole e con fatti il rio disegno.
Grande ira all’uno e all’altro il cor accese,
e con le spade nude ne fêr segno;
al trar de’ ferri, i’ fui da la paura
volta a fuggir per l’alta selva oscura.
26
Odorico, che mastro era di guerra,
in pochi colpi a tal vantaggio venne,
che per morto lasciò Corebo in terra,
e per le mie vestigie il camin tenne.
Prestògli Amor (se ’l mio creder non erra),
acciò potesse giungermi, le penne;
e l’insegnò molte lusinghe e prieghi
con che ad amarlo e compiacer mi pieghi.
27
Ma tutto è indarno; che fermata e certa
più presto ero a morir che a satisfarli.
Poi ch’ogni priego, ogni lusinga experta
hebbe e minaccie, e non potean giovarli,
si ridusse alla forza a faccia aperta.
Nulla mi val che supplicando parli
de la fé c’havea in lui Zerbino havuta,
e ch’io ne le sue man m’ero creduta.
28
Poi che gettar mi vidi i prieghi invano,
né mi sperar altronde altro soccorso,
e che più sempre cupido e villano
a me venìa come famelico Orso,
io mi difesi co piedi e con mano,
et adopra’vi sin al’ugna e il morso:
pela’gli il mento e gli graffiai la pelle,
con stridi che n’andavano alle stelle.
29
Non so se fusse caso, o li miei gridi
(che si deveano udir lungi una lega),
o pur ch’usati sien correre a i lidi
come naviglio alcun si rompe o annega;
sopra il monte una turba apparir vidi,
che dove al mare eramo noi si piega.
Come li vide il Biscaglin venire,
lasciò l’impresa, e comminciò a fuggire.
30
Contra quel disleal mi fu aiutrice
la turba; ma, signore, a quella image
che sovente in proverbio il volgo dice:
cader de la padella ne le brage.
È ver ch’io non son stata sì ’nfelice,
né le lor menti anchor tanto malvage
c’habbiano vïolata mia persona:
non che sia in lor virtù, né cosa buona;
31
ma perché se mi serban, come io sono,
vergine, speran vendermi più molto.
Finito è il mese ottavo e viene il nono
che fu il mio vivo corpo qui sepolto.
Del mio Zerbino ogni speme abbandono;
che già, per quanto ho da lor detti accolto,
m’han promessa e venduta a un mercadante
che portare al Soldan me de’ in Levante. –
32
Così parlava la gentil Donzella;
e spesso con signiozzi e con sospiri
interrompea l’angelica favella,
da movere a pietade Aspidi e Tiri.
Mentre sua doglia così rinovella,
o forse disacerba i suoi martìri,
intraron più di venti in la spelonca,
armati chi di spiedo e chi di ronca.
33
El primo d’essi, huom di spietato viso,
ha sol un occhio, e sguardo scuro e bieco;
l’altro, da un colpo che gli havea reciso
el naso e la mascella, è fatto cieco.
Costui vedendo il cavalliero assiso
con la vergine bella in mezo ’l speco,
volto a’ compagni, disse: – Ecco augel nuovo,
a cui non tesi, e ne la rete il trovo. –
34
Poi disse al Conte: – Huomo non vidi mai
più commodo di te, né più opportuno.
Non so se ti se’ apposto, o se lo sai
perché te l’habbia referito alcuno,
che sì bell’arme desïavo assai
et un sì vago portamento bruno:
venuto a tempo veramente sei
per riparar alli bisogni miei. –
35
Sorrise amaramente, in piè salito,
Orlando, e fe’ risposta al maschalzone:
– Io ti venderò l’arme ad un partito
che non ha mercadante in sua ragione. –
Del fuoco, c’havea appresso, indi rapito
havendo un grave e torrido tizzone,
trasse e percosse el malandrino a caso
dove confina con le ciglia il naso.
36
L’una e l’altra palpèbra il stizzo colse;
ma fece maggior danno in la sinistra,
che quella parte misera gli tolse
che de la luce sola era ministra.
Né d’acciecarlo contentar si vòlse
il colpo fier, s’anchor non lo registra
tra i spirti rei che ne i bollenti stagni
guarda Chiron con li altri suoi compagni.
37
Una gran mensa in la spelonca siede
grossa dua palmi, e spatïosa in quadro,
che sopra un grosso e mal dolato piede
cape con tutta la famiglia il ladro.
Con quell’agevolezza che si vede
gettar la canna alcun Spagnol liggiadro,
Orlando il grave desco da sé scaglia
dove ristretta insieme è la canaglia.
38
A chi giugne nel petto, a chi alla testa,
ne le gambe, ne’ fianchi e ne la faccia;
chi morto al tutto, chi stroppiato resta,
chi meno è offeso di fuggir procaccia;
come, s’el vïandante alla foresta,
con grave sasso, sbarrando le braccia,
fere una turba d’implicate biscie
che dopo il verno al sol si goda e liscie,
39
nascono casi ch’io non so dir quanti:
more una, e l’altra parte senza coda,
un’altra non si può mover dinanti
e il deretano indarno aggira e snoda;
altra, ch’in ciel forse ha propicii i santi,
striscia fra l’herbe e va serpendo a proda.
Il colpo horribil fu, ma non mirando,
poi che lo fece il valoroso Orlando.
40
Quei che la mensa o nulla o poco offese
(e Turpin scrive a punto che fur sette)
a i piedi raccomandan sue difese:
ma ne l’uscita il Paladin si mette;
e poi che presi li ha senza contese,
le man lor lega con la fune istrette,
con una fune al suo bisogno destra,
che ritrovò ne la casa silvestra.
41
Poi li strassina fuor de la spelonca
dove facea grand’ombra un vecchio sorbo.
Orlando con la spada i rami tronca
e quelli attacca per vivanda al corbo.
Non bisognò catena in capo adonca;
che per purgar il mondo di quel morbo
l’arbor medesmo li uncini prestolli,
con che pel mento Orlando ivi attaccolli.
42
La donna vecchia, amica a’ malandrini,
poi che restar tutti li vide extinti,
fuggì piangendo e stracciandosi i crini
per selve et boscarecci labyrinthi.
Subito, dopo aspri et malagevoli camini,
a gravi passi e dal timor sospinti,
in ripa a un fiume un cavallier scontrosse:
ma differisco a ricontar chi fosse;
43
e torno all’altra, che si raccomanda
al Paladin che non la lasci sola,
e dice di seguirlo in ogni banda.
Cortesemente Orlando la consola;
e quindi, poi ch’uscì con la ghirlanda
di rose adorna e di purpurea stola
la bianca Aurora al solito camino,
partì con Issabella il Paladino.
44
Senza trovar cosa che degna sia
d’historia, molti giorni insieme andaro;
e finalmente un cavallier per via,
che prigione era tratto, si scontraro:
chi fusse dirò poi; c’hor me ne svia
tal, di ch’udir non vi serà men caro.
La figliuola d’Amon io vi lasciai
languida dianzi in amorosi guai.
45
La bella donna, disïando invano
ch’a lei facesse il suo Ruggier ritorno,
stava a Marsiglia, et quindi era alle mano
con la gente infedel quasi ogni giorno,
che discorrea, rubando in monte e in piano,
per Linguadoca et per Provenza intorno;
e facea con gran laude ufficio vero
di savio duca e d’ottimo guerriero.
46
Standosi quivi, e di gran spatio essendo
passato ’l tempo che tornar a lei
il suo Ruggier devea, né lo vedendo,
vivea in timor di mille casi rei.
Un dì fra gli altri, che di ciò piangendo
stava solinga, le arrivò colei
ch’a Ruggier sanò ’l cor con medicina
sol d’un annello, ove ferillo Alcina.
47
Come a sé ritornar senza il suo amante
dopo sì lungo termine la vede,
resta pallida e smorta, e sì tremante
che non ha forza sostenersi in piede:
ma la Maga gentil se le fa inante
ridendo (poi che del timor s’avede);
e con viso giocondo la conforta,
qual haver suol chi buone nuove apporta.
48
– Non temer (disse) di Ruggier, Donzella,
che è vivo e sano, e t’ama, et è qui presso;
ma non già in libertà: che pur gli ha quella
tolta colui che gli la tol sì spesso.
A te convien, per lui slegar, che in sella
ne monti, et che me siegui adesso adesso;
ch’io ti darò (se m’ubidisci) via
che ’l tuo Ruggier per te libero fia. –
49
E seguitò narrandole di quello
magico error che gli havea ordito Atlante:
che simulando d’essa il viso bello,
che captiva parea del rio Gigante,
tratto l’havea nel incantato hostello,
dove sparito poi gli era dinante;
e come tarda con simile inganno
tutti li cavallier che di là vanno.
50
A tutti par, l’incantator mirando,
mirar quel che per sé brama ciascuno:
donna, scudier, compagno, amico; quando
il desiderio human non è tutto uno.
Quindi ’l Palagio van tutti cercando
con lungo affanno, e senza frutto alcuno;
e tanta è la speranza e il gran disire
del ritrovar, che non ne san partire.
51
– Come tu giungi (disse) in quella parte
che giace presso all’incantata stanza,
verrà l’incantatore a ritrovarte,
che terrà di Ruggier ogni sembianza;
e ti farà parer con sua mal’arte
ch’ivi lo vinca alcun di più possanza,
acciò che tu per aiutarlo vada
dove con li altri poi te tenga a bada.
52
Per non cader dunque in l’error de tanti,
ti convien esser cauta et avertita:
se ben del tuo Ruggier viso e sembianti
ti parrà di veder, che chieda aita,
non gli creder perhò; ma, come inanti
ti vien, fagli lasciar l’indegna vita;
né dubitar per ciò che Ruggier muoia,
ma ben colui che ti dà tanta noia.
53
Ti parrà duro assai (ch’io lo connosco)
uccider un che sembri il tuo Ruggiero:
pur non dar fede all’occhio tuo, che losco
farà l’incanto, e celaragli ’l vero.
Férmati, pria ch’io te conduca al bosco,
sì che poi non si cangi il tuo pensiero;
che sempre di Ruggier rimarai priva
se lasci per viltà che ’l Mago viva. –
54
La valorosa giovane, con questa
intentïon, ch’el fraudolento uccida,
a pigliar l’arme et a seguir è presta
Melissa; che sa ben quanto l’è fida.
Quella, hor per terren culto, hor per foresta,
a gran giornate e in gran fretta la guida,
cercando allevïarle tuttavia
con parlar grato la noiosa via.
55
E più di tutti i bei ragionamenti,
spesso le repetea ch’uscir di lei
e di Ruggier deveano li excellenti
Principi e glorïosi Semidei.
Come a Melissa fossero presenti
tutti i secreti de li eterni dèi,
tutte le cose ella sapea predire
c’havean per molti seculi a venire.
56
– Deh, come, o prudentissima mia scorta
(dicea alla Maga l’inclyta Donzella),
molti anni prima tu m’hai fatto accorta
di tanta mia viril progenie bella,
così d’alcuna donna mi conforta
che di mia stirpe sia, s’alcuna in quella
poner si può tra belle e virtüose. –
E la cortese Maga le rispose:
57
– Da te uscir veggio le pudiche donne,
matri de l’alti Imperatori e Regi,
reparatrici et solide colonne
de le gran case et de li stati egregi;
e non seran men degne in le lor gonne,
ch’in arme i cavallier, di summi pregi,
di pietà, di grand’animo e prudenza,
splendore, et senza par di continenza.
58
E s’havrò da narrarti di ciascuna
che ne la stirpe tua sia d’honor degna,
troppo serà; che non ne veggio alcuna
che passar con silentio mi convegna.
Ma ti farò, tra mille, eletta d’una
o di due coppie, acciò ch’a fin ne venga.
Duolmi che in la spelonca nol dicesti;
che l’imagini anchor veduto haresti.
59
De la tua chiara stirpe uscirà quella
d’opere illustri e de bei studii amica,
che non so ben se più leggiadra o bella
mi debba dir, o più saggia o pudica,
liberal e magnanima Issabella,
che del bel lume suo dì e notte aprica
farà la terra che sul Mincio siede,
a-ccui la madre d’Ocno il nome diede:
60
dove honorato e splendido certame
havrà col suo dignissimo consorte
chi di lor più le virtù prezzi et ame,
ch’apra di lor più a cortesia le porte.
S’un narrerà ch’al Tarro e nel Reame
fu a liberar da’ Galli Italia forte,
l’altra dirà: «Sol perché casta visse,
Penelope non fu minor d’Ulysse».
61
Gran cose e molte in brevi detti accolgo
di questa donna, e più drieto ne lasso,
ch’in quelli dì ch’io m’absentai dal volgo
mi fe’ chiare Merlin dal cavo sasso.
E s’in questo gran mar la vela sciolgo,
di lunga Tiphy in navigar trappasso:
conchiudo in summa ch’ella havrà, per dono
del cielo e sua virtù, ciò ch’è di buono.
62
Seco havrà la sorella Bëatrice,
a-ccui se converrà tal nome a punto:
ch’essa non sol del ben che qua giù lice,
per quel che viverà, toccherà il punto;
ma havrà possanza far seco felice,
tra tutti i ricchi duci, il suo congiunto;
il qual, com’ella poi lascierà il mondo,
così del’infelici anderà al fondo.
63
E Moro e Sforza e Vescontei colubri
(lei viva) formidabili saranno
da l’Hyperboree nevi a i lidi Rubri,
dal Indo a’ monti ch’al tuo mar via dànno;
(lei morta) andran col regno de l’Insubri,
e con grave di tutta Italia danno,
in servitude; et fia stimata, senza
costei, ventura la summa prudenza.
64
Vi saranno altre c’haveranno il nome
medesmo, et nasceran molti anni prima:
di ch’una s’ornerà le sacre chiome
de la corona di Pannonia opima;
un’altra, poi che le terrene some
lasciate havrà, fia nel Ausonio clima
collocata nel numer de le Dive,
et havrà incensi e imagini votive.
65
De l’altre tacerò; che come ho detto
lungo sarebbe a ragionar di tante,
ben che per sé ciascuna habbia suggetto
degno c’heroica e chiara tuba cante.
Le Bianche, le Lucretie io terrò in petto,
e Ginevre e Costanze, che di quante
splendide case Italia reggeranno,
reparatrici e madri ad essere hanno.
66
Più ch’altre fusser mai, le tue famiglie
saran ne le lor donne aventurose;
non dico in quella più de le lor figlie,
quanto ne la honestà de le lor spose.
E perché anchora tu notitia piglie
di questa parte che Merlin mi espose,
forse perch’io il devesse a te ridire,
ho di parlarne non poco disire.
67
E dirò prima di Ricciarda, degno
exempio di fortezza e di honestade:
vedova rimarrà, giovane, a sdegno
di Fortuna, il che spesso a’ buoni accade;
i figli, privi del paterno regno,
exuli andar vedrà in strane contrade,
fanciulli in man de li aversari loro;
ma infine havrà il suo male amplo ristoro.
68
Del nobil sangue d’Aragon non deggio
tacer la pudicissima Regina,
di cui la più magnanima non veggio
historia celebrar greca o latina;
né la più fortunata, quando seggio
scelto sarà da la Bontà divina
il ventre suo d’Hippolyto e Issabella,
d’Alfonso e de la prole inclyta e bella.
69
Costei sarà la saggia Leonora,
che nel tuo felice arbore se inesta.
Che ti dirò de la seconda nora,
succeditrice prossima di questa?
Lucretia Borgia, di cui d’hora in hora
la beltà, la virtù, la fama honesta
e la fortuna crescerà, non meno
che giovin pianta in morbido terreno.
70
Qual il stagno al ariento, il rame al oro,
il campestre papavero a la rosa,
il scialbo salce al sempre verde alloro,
dipinto vetro a gemma pretïosa;
tal a costei, ch’anchor non nata honoro,
sará ciascuna insino a qui famosa
di beltà, di grande animo e prudentia,
e d’ogni altra lodevole excellentia.
71
Lungo serà che di Alda di Sansogna
narri, o de la Contessa di Celano,
o di Bianca Maria di Catalogna,
o de la figlia del Re Siciliano,
o de la bella Lippa da Bologna,
e d’altre; che s’i’ vuo’ di mano in mano
venirti predicando le gran lode,
mi caccio in alto mar che non ha prode. –
72
Poi che le raccontò la maggior parte
de la futura stirpe a suo grande agio,
più volte e più le replicò del’arte
c’havea tratto Ruggier dentro al palagio.
Melissa si fermò, poi che fu in parte
vicina al luogo del vecchio malvagio;
e non le parve di venir più inante,
acciò veduta non fusse d’Atlante.
73
E la Donzella di nuovo consiglia
di quel che mille volte hormai le ha detto.
Sola la lascia; e quella oltra dua miglia
non cavalcò per un sentiero istretto,
che vede quel ch’al suo Ruggier simiglia;
e dua Giganti di crudele aspetto
intorno havea, che lo stringean sì forte,
ch’era vicino esser condutto a morte.
74
Come la Donna in tal periglio vede
colui c’ha di Ruggier tutti li segni,
subito cangia in suspition la fede,
subito oblia tutti li bei disegni:
che sia in odio a Melissa Ruggier crede,
per nuova ingiuria e non intesi sdegni,
e cerchi far con disusata trama
che sia morto da lei che così l’ama.
75
Seco dicea: – Non è Ruggier costui,
che col cor sempre, et hor con gli occhi veggio?
e s’hor non veggio e non connosco lui,
che mai veder o mai connoscer deggio?
Perché voglio io de la credenza altrui
che la veduta mia giudichi peggio?
che dato che io nol veggia, per se stesso
connoscerà il mio cor che gli è qui appresso. –
76
Mentre che così pensa, ode la voce,
che le par di Ruggier, chieder soccorso;
e vede quello a un tempo, che veloce
sprona il cavallo e gli rallenta il morso,
e l’uno e l’altro predator feroce,
che lo segue e lo caccia a tutto corso.
Di lor seguir la Donna non rimase,
che fu condutta all’incantate case;
77
di cui la soglia non intrò più presto
che fu sommersa nel commune errore.
Cercando andò, come faceva il resto,
invan di su e di giù, drento e di fuore:
e stette molti e molti giorni in questo
carcere, e tanto fa l’incantatore,
che tutto ’l dì Ruggier vede, e favella,
né Ruggier lei, né lui riconnosce ella.
78
Ma lascio Bradamante, e non v’incresca
udir che così resti in quello incanto;
che quando sarà ’l tempo ch’ella n’esca,
la farò uscire, e Ruggier altrotanto.
Come raccende il gusto il mutar esca,
così mi par che la mia historia, quanto
hor qua hor là più varïata sia,
meno a chi l’udirà noiosa fia.
79
Di molte fila esser bisogno parme
a condur la gran tela ch’io lavoro.
E perhò non vi spiaccia d’ascoltarme
come fuor de le stanze il popul Moro
dinanzi al Re Agramante ha preso l’arme;
che, molto minacciando ai Gigli d’oro,
lo fa assembrar ad una mostra nuova
per saper quanta gente se ritruova.
80
Perché oltra i cavallieri, oltra i pedoni
che s’avedeano esser mancati in copia,
mancavan capitani, e pur de’ buoni,
e di Spagna e di Lybia e di Ethïopia,
e le diverse squadre e natïoni
givano errando senza guida propia;
per dare e capo et ordine a ciascuna,
tutto il campo alla mostra si raguna.
81
In supplemento de le turbe uccise
ne le battaglie e ne’ spessi conflitti,
Marsilio in Spagna, et Agramante mise
in Africa, ove molti n’havean scritti;
e questi qua e là tutti divise,
tutti sotto i lor duci havea diritti.
Differirò, signor, con gratia vostra,
l’ordine in l’altro canto de la mostra.